Avviso del curatore al creditore ex art. 92 L.Fall., domanda tardiva di ammissione al passivo e ritardo dipeso da causa non imputabile
30 Luglio 2020
Può essere rigettata per tardività la domanda di ammissione al passivo presentata da una banca creditrice, se il curatore non ha inviato al creditore l'avviso di intervenuto fallimento ai sensi dell'art. 92 L.F.?
Caso concreto - Una banca vanta una serie di crediti nei confronti di una società, crediti a vario titolo: da scoperto di conto corrente, da fideiussione e da mutuo fondiario. Subentrato il fallimento della società, la banca presenta domanda di ammissione al passivo. La domanda viene presentata oltre i limiti di legge, ma la banca si giustifica dicendo che il ritardo è dipeso da causa a essa non imputabile. L'istituto di credito sostiene di non avere ricevuto la comunicazione del curatore prescritta dall'art. 92 L.F. Più precisamente il curatore aveva sì inviato la comunicazione via PEC, ma la aveva inviata a una banca diversa dalla banca creditrice, ossia alla banca mandataria, che aveva ricevuto incarico dalla banca creditrice di recuperare il credito. Il mandato era stato conferito con atto notarile e, nell'atto di mandato, il creditore aveva specificato che tutte le comunicazioni dovessero essere inviate alla banca mandataria.
Soluzione - Il quesito trae spunto da una recente decisione della Corte di cassazione (12 marzo 2020, n. 7109). Come è noto, una volta intervenuto il fallimento, scattano degli adempimenti sia per il curatore sia per i creditori. Per quanto concerne il curatore, questi “comunica senza indugio ai creditori … a mezzo posta elettronica certificata … 1) che possono partecipare al concorso trasmettendo domanda … 2) la data fissata per l'esame dello stato passivo” (art. 92 comma 1 L.F.). Per quanto concerne il creditore, egli deve chiede l'ammissione del proprio credito: “la domanda di ammissione al passivo di un credito … si propone con ricorso da trasmettere … almeno trenta giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo” (art. 93 comma 1 L.F.). Il legislatore considera tuttavia con una certa bonarietà le domande che giungono con ritardo, distinguendo fra domande “tardive” e domande “ultratardive”. Più specificamente “le domande di ammissione al passivo di un credito … trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell'udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo sono considerate tardive” (art. 101 comma 1 L.F.). Inoltre, “decorso il termine di cui al primo comma, e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare, le domande tardive sono ammissibili se l'istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile” (art. 101 comma 4 L.F.). Nel caso affrontato dalla Corte di cassazione, il curatore inviò l'avviso. La contestazione del creditore è che l'avviso venne inviato a un soggetto diverso dal creditore, ossia alla banca mandataria per il recupero del credito. Nel caso di mandato al recupero del credito, il mandante (ossia la banca originaria) rimane titolare del credito. Si tratta difatti di una fattispecie diversa dalla cessione del credito in cui al primo creditore (banca cedente) si sostituisce il secondo creditore (banca cessionaria). Ragionando in questi termini, si può sostenere la tesi che il curatore abbia errato, avendo inviato la comunicazione a un soggetto diverso (la mandataria) rispetto al soggetto titolare del credito (la prima banca). E in effetti, l'art. 92 L.F. si riferisce – testualmente - al “creditore” e non al mandatario del creditore. Tuttavia, la Corte di cassazione - nella sentenza n. 7109 del 2020 - supera il problema alla luce delle seguenti considerazioni. In primo luogo la Corte di cassazione dà peso al contratto notarile con il quale la prima banca aveva conferito mandato alla seconda di recuperare il credito. In detto contratto difatti la prima banca aveva concordato con la seconda banca che ogni comunicazione rivolta al creditore si sarebbe dovuta effettuare nei confronti della mandataria. Si era dunque verificata una sorta di elezione di domicilio presso la seconda banca. La Cassazione ne trae la conseguenza che la comunicazione del curatore alla mandataria soddisfa il requisito imposto al curatore dall'art. 92 L.F. In secondo luogo, e si tratta del profilo più importante, la Corte di cassazione ritiene che il creditore - seppure non abbia ricevuto direttamente l'avviso dal curatore - non può invocare questa circostanza per giustificare il ritardo nella presentazione della domanda di ammissione al passivo, quando abbia comunque avuto conoscenza in altro modo dell'intervenuto fallimento. Nella sentenza n. 7109 del 2020, la Corte di cassazione valorizza diversi elementi che fanno presumere che la banca originaria avesse avuto cognizione del fallimento del proprio debitore. Il creditore è un soggetto professionale, in quanto impresa bancaria, ed è tenuto a una diligenza alta nel verificare il destino dei propri crediti. Inoltre il credito vantato dalla banca era ingente (quasi 15 milioni di euro), circostanza che impone particolare diligenza nel recupero del medesimo. Poi il giudice accerta che il creditore era a conoscenza delle condizioni di precarietà del debitore, tanto è vero che aveva partecipato alla procedura concordataria che era poi sfociata nel fallimento. Questo complesso di circostanze, secondo la Corte di cassazione, fa ritenere che il creditore fosse a conoscenza dell'intervenuto fallimento (o quantomeno avrebbe dovuto essere a conoscenza del fallimento). Essendo la banca creditrice consapevole del fallimento, essa avrebbe dovuto di propria iniziativa attivarsi - al fine di presentare la domanda di ammissione al passivo del credito - indipendentemente dall'invio dell'avviso da parte del curatore. Secondo la Corte di cassazione non è pensabile che un creditore professionale si sia completamente disinteressato delle sorti del credito in questione per un periodo di oltre 20 mesi, visto – per di più – che in quel lasso di tempo si era appena svolta una procedura di concordato preventivo, alla quale il medesimo creditore aveva preso parte. La banca si difende infine sostenendo che la banca mandante (creditore) e la banca mandataria (soggetto incaricato di recuperare il credito) sono due soggetti distinti dal punto di vista giuridico e che l'invio di una PEC alla seconda non può significare conoscenza in capo alla prima. La Corte di cassazione, tuttavia, rileva che si tratta di due banche appartenenti allo stesso gruppo bancario. L'appartenenza a un unico gruppo sollecita – afferma la Cassazione – delle sinergie informative fra i partecipanti del medesimo.
Normativa e giurisprudenza
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