La liquidazione del patrimonio e il compimento di atti di frode
24 Agosto 2020
È inammissibile un'istanza di liquidazione del patrimonio proposta da un soggetto che, nel corso dei cinque anni antecedenti alla presentazione della domanda, si era reso fiduciariamente intestatario di un bene immobile di scarso valore rispetto alla sua esposizione debitoria complessiva?
Caso concreto - Un soggetto sovraindebitato – è bene precisare sin da subito che si trattava una persona diventata maggiorenne non molti anni prima – ha presentato domanda di accesso alla procedura di liquidazione del patrimonio, disciplinata dall'art. 14 ter ss. l. 27 gennaio 2012, n. 3. Il suo patrimonio passivo si componeva esclusivamente di esposizioni nei confronti dell'Amministrazione finanziaria e dell'I.N.P.S. e derivava, in buona sostanza, dal mancato versamento di imposte e di contributi previdenziali. La causa del sovraindebitamento era da individuarsi nell'esercizio di un'attività di impresa (nella forma dell'impresa individuale), che l'istante, appena divenuto maggiorenne, aveva avviato. Tuttavia, pur essendo formalmente qualificabile come imprenditore, l'attività era concretamente gestita ed amministrata dal padre: si trattava, in altre parole, di un'intestazione fiduciaria, finalizzata al conseguimento in favore del genitore di benefici di carattere fiscale e contributivo altrimenti non ottenibili, in quanto legati all'imprenditoria giovanile. Prima che venissero notificati al soggetto gli avvisi bonari e le cartelle di pagamento che hanno appalesato l'effettiva esposizione debitoria dell'impresa, il padre, nuovamente mosso dal fine di beneficiare dell'applicazione di una normativa fiscale favorevole, decideva di intestare al figlio imprenditore un bene immobile (peraltro di valore contenuto) acquisito con denaro proprio. Lo stesso immobile, a distanza di un anno, veniva ceduto ad un soggetto terzo al medesimo prezzo di acquisto ed il denaro ricavato veniva successivamente trasferito dal figlio al padre (che era l'effettivo acquirente). A meno di cinque anni dalla conclusione dell'atto di vendita, emergeva la significativa esposizione debitoria maturata attraverso l'esercizio dell'impresa, la cui attività veniva successivamente cessata, ed il formale titolare della stessa decideva di chiedere al tribunale la liquidazione del proprio patrimonio, non potendo altrimenti comporre la propria crisi da sovraindebitamento. Nell'istanza depositata, il sovraindebitato metteva in luce la complessiva operazione, ivi compresa l'intestazione fiduciaria, mentre l'O.C.C., nella sua relazione particolareggiata, rappresentava alcuni elementi di fatto a sostegno della tesi dell'assenza di natura fraudolenta della medesima. Il Tribunale di Milano, tuttavia, con decreto del 18 giugno 2020, rigettava la domanda di apertura della procedura di liquidazione dei beni, qualificando come fraudolento l'atto in parola (ai sensi dell'art. 14 quinquies l. n. 3 del 2012).
Spiegazioni e conclusioni - Analizzando il decreto, si può evincere che il Tribunale di Milano, focalizzando l'attenzione sulla fase conclusiva dell'operazione, abbia ravvisato nella vendita del bene immobile e nel successivo trasferimento del ricavato della vendita a terzi un atto di frode, avendo il sovraindebitato distratto risorse che avrebbero dovuto essere destinate al soddisfacimento dei propri creditori, nel rispetto del principio di cui all'art. 2740 c.c. Nel giungere alla predetta conclusione, il giudicante ha fatto espresso richiamo ad un orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di merito, alla stregua del quale “l'atto in frode (…) non si identificherebbe con il mero atto pregiudizievole, ma richiederebbe il suddetto quid pluris del carattere “fraudolento”, come innanzi decifrato, della disposizione patrimoniale” (Tribunale di Benevento 23 aprile 2019). In aggiunta a ciò, disattendendo le argomentazioni sostenute dal ricorrente, il Tribunale ha escluso che l'esiguità del valore del bene oggetto di alienazione, se rapportato alla complessiva esposizione debitoria, possa aver un impatto sulla valutazione della fraudolenza dell'atto, poiché, a parere dello stesso, l'entità del ricavato della vendita andrebbe correlato “a quanto effettivamente messo a disposizione dei creditori” nel corso della procedura (in senso contrario, si veda Tribunale di Latina 18 gennaio 2020). In altre parole, per qualificare come non fraudolento un atto compiuto dal debitore sarebbe necessario che il medesimo sia di modico valore rispetto al soddisfacimento che comunque si può garantire alla massa durante la liquidazione dei beni. A prescindere da quest'ultima considerazione, parrebbe che il Tribunale, nel caso di specie, nel riconoscere l'operazione come fraudolenta, abbia erroneamente non considerato in modo unitario le attività compiute dal debitore – concentrandosi unicamente sulla vendita e sul trasferimento del ricavato della stessa – e il loro carattere fiduciario, anche perché l'acquisto veniva effettuato con risorse altrui.
Normativa e giurisprudenza
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