La disciplina applicabile al concordato preventivo “misto”
04 Agosto 2020
Il concordato preventivo “misto” nel quale alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell'impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell'attività aziendale, rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso, dalla disciplina speciale prevista dall'art. 186-bis legge fall.?
Caso concreto - Il nostro ordinamento giuridico disciplina il concordato con cessione dei beni (art. 182 L.F.) ed il concordato con continuità aziendale (art. 186-bis L.F.). Nel primo (definito anche liquidatorio) il debitore mette a disposizione dei creditori tutto il suo patrimonio. Il concordato in continuità (detto anche di risanamento), a sua volta, ai sensi del primo comma del citato art. 186-bis opera quando il piano di concordato prevede:
Accanto a queste due tipologie di concordato preventivo nella prassi se ne aggiunge una terza, nota come concordato misto, caratterizzato dalla coesistenza di una componente di continuità aziendale ed una liquidatoria. Al riguardo, si discute in relazione alla disciplina da applicare - quella speciale prevista per il concordato in continuità dagli artt. 186-bise 182-quinquies, comma 5, L.F. o quella di cui all'art. 182 L.F.; tenendo ben presente che, la non corretta configurazione della procedura concordataria, potrebbe originare la inammissibilità della domanda di concordato. Basti pensare al caso di una proposta qualificata come liquidatoria dal debitore da considerarsi, invece, in continuità, con la conseguente necessità: 1) dell'indicazione analitica nel piano concordatario dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano medesimo, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura; 2) dell'attestazione del professionista indipendente sul fatto che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (art. 186-bis, comma 2, L.F.). Per contro, a quello di un concordato qualificato dal proponente in continuità da considerare, al contrario, liquidatorio, con la conseguente previsione del soddisfacimento dei creditori chirografari nella percentuale minima del venti per cento richiesta dall'art. 160, comma 4, L.F.
Spiegazioni e conclusioni - Il concordato preventivo nel quale alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell'impresa si affianchi la prosecuzione dell'attività aziendale rimane regolato nella sua interezza, secondo i giudici di legittimità (Cass. 15 gennaio 2020, n. 734), salvi i casi di abuso, dalla disciplina speciale di cui all'art. 186 bis L.F. che, al primo comma, contempla tale fattispecie. Questa norma, infatti, non prevede alcun giudizio di prevalenza tra le porzioni di beni a cui sia assegnato una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una simile organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori. Per la S.C., quindi, non c'è spazio ad equivoci di sorta in merito al fatto che il concordato tradizionalmente definito come misto sia, secondo le intenzioni del legislatore, un concordato in continuità che prevede la dismissione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa. La regola prevista dalla norma, pertanto, non riguarda la quantità delle porzioni a cui sia affidato un diverso destino (e la conseguente prevalenza dell'una rispetto all'altra in funzione delle risorse da devolvere alla soddisfazione dei creditori), ma la funzionalità di una porzione dei beni alla continuazione dell'impresa in uno scenario concordatario. L'inclusione di un concordato così strutturato nel novero del concordato con continuità comporta, pertanto, l'introduzione di una precisa connotazione di portata generale, costituita dalla clausola del miglior soddisfacimento dei creditori, con la conseguenza - da un punto di vista pratico - della necessità dell'attestazione rafforzata prevista dal secondo comma dell'art. 186-bis, ma anche dell'applicabilità della disciplina speciale prevista da tale articolo. Ciò si traduce nella possibilità per la procedura di non sottostare alla percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari nella misura del venti per cento, imposta per il solo concordato liquidatorio; di sottrarsi al rischio di una proposta concorrente, proponendo ai chirografari una percentuale di soddisfacimento attestata al trenta per cento, a fronte del quaranta per cento del concordato con cessione dei beni; di non nominare il liquidatore giudiziale (organo, al contrario, essenziale nel concordato liquidatorio); di prevedere nel piano una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione; di proseguire i contratti con la pubblica amministrazione; infine, di pagare i debiti pregressi, a condizione che siano strategici per l'attività d'impresa, cioè necessari per la prosecuzione della medesima. La soluzione suggerita dai giudici di legittimità è comunque prospettabile soltanto per le procedure concordatarie disciplinate dalla legga fallimentare, considerato che il codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (la cui entrata in vigore è prevista, come noto, il 1 settembre 2021) in relazione alla ipotesi di concordato c.d. misto declina in modo specifico il criterio della prevalenza nell'art. 84, comma 3.
Normativa e giurisprudenza
Per approfondire S. Sisia, C'era il cd. "concordato misto" (commento a Cass. n. 734 del 2020), in ilfallimentarista.it, 4 maggio 2020. |