Il concordato preventivo e la finalità esdebitatoria
29 Giugno 2021
È da considerarsi ammissibile il piano di concordato preventivo che preveda un impegno della società debitrice a rinunciare agli effetti esdebitatori e a soddisfare ulteriormente i creditori mediante la prosecuzione dell'attività aziendale anche dopo il termine della procedura?
Caso concreto - Una società immobiliare in stato di crisi domandava al Tribunale di Padova l'accesso alla procedura di concordato preventivo, presentando un piano in continuità aziendale diretta, ai sensi dell'art. 186 bis L.F., che prevedeva il soddisfacimento dei propri creditori mediante gli utili conseguiti attraverso la prosecuzione dell'attività di impresa. Giova precisare sin da subito, però, che la società, parte di un più ampio gruppo, era stata costituita in precedenza solamente per la conclusione di una determinata operazione immobiliare, che consisteva nell'acquisto di un vasto fabbricato, nella sua ristrutturazione e nella successiva rivendita delle singole unità immobiliari. Il piano concordatario si basava sull'intervento finanziario di un soggetto terzo, che era cessionario dall'originario creditore ipotecario del compendio immobiliare, nonché la riscossione di un credito nei confronti di un'altra società. La debitrice, anche attraverso tali incassi, si era impegnata a soddisfare, entro tre mesi dall'omologa, le spese prededucibili in misura integrale, un debito di natura ipotecaria in misura parziale (con conseguente degradazione a chirografo della parte falcidiata), nonché, in misura minima (compresa tra l'1% e l'1,6%), i creditori chirografari nativi e falcidiati, che erano stati suddivisi in cinque differenti classi. Inoltre, la proposta prevedeva il soddisfacimento del soggetto terzo finanziatore (come anticipato, anche cessionario di un credito ipotecario) al di fuori della sede concorsuale e, in particolare, successivamente alla conclusione della fase esecutiva del concordato, mediante i proventi della continuazione dell'attività di impresa. In questo senso, il cessionario aveva presentato alla debitrice una dichiarazione di postergazione volontaria. Attraverso la proposta descritta, la società avrebbe potuto ridurre il debito bancario e recuperare l'equilibrio finanziario una volta terminata la procedura. La proposta, peraltro, conteneva un più generale obbligo di pagare alcuni creditori anche successivamente al concordato. Il Tribunale di Padova, letta la proposta e l'attestazione del professionista indipendente, convocava la debitrice ai sensi dell'art. 162 L.F. Il Tribunale, a seguito dell'udienza camerale, con decreto del 7 luglio 2020, in ragione di diverse criticità riscontrate, dichiarava inammissibile il piano e la proposta concordataria.
Spiegazioni e conclusioni - Il provvedimento del Tribunale di Padova oggetto del presente commento si esprime sull'ammissibilità di una proposta concordataria che preveda la mancata esdebitazione della società debitrice, mediante impegno a soddisfare uno o più creditori falcidiati dalla procedura in seguito alla completa esecuzione della medesima. Questo impegno, a dire della debitrice, avrebbe permesso un migliore soddisfacimento dei creditori, che avrebbero beneficiato dei futuri incassi realizzati. Come noto, l'art. 184, comma 1, L.F. stabilisce che «il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all'articolo 161». Tale previsione, in buona sostanza impone la c.d. falcidia dei diritti vantati dai creditori nei confronti della proponente e permette la piena realizzazione della funzione propria della procedura concordataria, enucleabile dall'art. 160 L.F., che consiste nel risanamento dell'impresa e nel ripristino dell'equilibrio economico, finanziario e patrimoniale della società. Ebbene, a dire del Tribunale di Padova, una proposta che preveda espressamente una diffusa deroga alla falcidia concordataria e all'esdebitazione – ipotesi ben differente da quella in cui la debitrice concluda accordi para-concordatari con uno specifico creditore –, non può dirsi compatibile con i principi contenuti nella legge fallimentare e, pertanto, non può che essere reputata inammissibile sotto il profilo strettamente giuridico. Inoltre, il collegio giudicante osserva correttamente che l'art. 182sexiesL.F. «stabilisce una parentesi temporale negli obblighi di ricapitalizzazione delle società dalla domanda fino alla data di omologa del concordato, (…) [affinché] la società in continuità (…) [esca] da questa parentesi con un passivo falcidiato in ragione della parziale soddisfazione prospettata e dovuta ed un attivo adeguato a farvi fronte». Questa norma, con ogni evidenza, deve essere letta in modo correlato con quanto affermato in precedenza, poiché la società, una volta terminata la procedura, dovrebbe riacquisire il proprio equilibrio finanziario, economico e patrimoniale e, pertanto, non dovrebbe più necessitare della deroga agli obblighi di ricapitalizzazione (o scioglimento). Il Tribunale, dunque, conclude che, non essendo in grado di riportare in equilibrio la debitrice, il piano in continuità predisposto non può che essere inammissibile, poiché tradisce la funzione stessa dell'istituto concordatario.
Normativa
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