Tassazione sopravvenienze da esbebitamento in regime di consolidato fiscale

28 Agosto 2020

Qual è il trattamento fiscale dell'esdebitamento nell'ambito di un concordato preventivo in continuità omologato dal tribunale?

Qual è il trattamento fiscale dell'esdebitamento nell'ambito di un concordato preventivo in continuità omologato dal tribunale?

Caso pratico - La società Alfa ha formulato ai propri creditori una proposta di concordato preventivo in continuità che è stato omologato dal competente tribunale, generando ai sensi dell'art. 184 L.F. un'esdebitazione pari a euro 81.001.645,00, di cui euro 66.891.747,00 sono relativi a debiti fiscali e contributivi, costituiti da:

  1. somme accessorie inerenti a oneri contributivi per euro 580.296,00;
  2. ritenute Irpef per euro 27.096.470,00;
  3. iva per euro 8.054.654,00;
  4. irap per euro 6.295.894,00;
  5. ires per euro 11.528,00;
  6. altri tributi per euro 32.583,00;
  7. sanzioni per euro 15.014.946,00;
  8. interessi moratori per euro 4.817.995,00;
  9. interessi di dilazione per euro 560.336,00;
  10. compensi di riscossione per euro 4.427.045,00.
    Alcuni di tali debiti (quelli indicati sub 1, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10) derivano, attesa la loro natura, dal sostenimento di corrispondenti oneri fiscali e sono stati rilevati nelle scritture contabili in corrispondenza di tali oneri, mentre altri (quelli indicati sub 2 e 3) sono stati rilevati direttamente come debiti, in sostituzione di altri debiti (verso dipendenti o lavoratori autonomi a seguito delle effettuazione della ritenuta), nel caso sub 2), o per effetto dell'eccedenza delle somme percepite a titolo di iva rispetto a quelle corrisposte ai propri fornitori, nel caso sub 3), e dunque in assenza della rilevazione di costi fiscali a essi correlati. Gli oneri che hanno originato i debiti sopra indicati sub 1, 4, 5, 6, 7, 8 e 10 non sono stati dedotti da codesta Società nei relativi esercizi di competenza ai fini della determinazione dei redditi imponibili della stessa, a eccezione di quelli di cui al punto 9.
    La società Alfa ha aderito negli anni passati a un regime di consolidato fiscale facente capo alla società Beta e alla fiscal unit cui fa capo tale regime sono state attribuite perdite fiscali pari all'importo complessivo di euro 104,5 milioni, di cui 91 milioni generate e trasferite nel tempo da parte di Alfa.
    Ciò posto, mi è stato richiesto di esprimere un parere sul trattamento fiscale del predetto esdebitamento e degli effetti che esso produce sulle perdite fiscali maturate in capo alla società Alfa e alla fiscal unit testé menzionata.

Spiegazioni e concludioni - La questione posta richiede la soluzione di quattro sub quesiti, che sono i seguenti:

  1. Qual è la sopravvenienza attiva fiscalmente rilevante con riferimento alla natura dei debiti fiscali oggetto di esdebitamento.
  2. Qual è il regime applicabile alle sopravvenienze attive generate dal concordato preventivo in continuità.
  3. Qual è il regime applicabile alle sopravvenienze attive generate in presenza di perdite fiscali pregresse trasferite al consolidato fiscale non ancora utilizzate;
  4. Qual è conseguentemente l'eventuale ammontare delle perdite fiscali pregresse ancora utilizzabili da Alfa successivamente al loro impiego, ai sensi dell'art. 84 e dell'art.88 del TUIR, ai fini della neutralizzazione del reddito generato dalle sopravvenienze da esdebitamento.
    Sulla nozione fiscale di sopravvenienza attive, l'art. 88, comma 1, del TUIR stabilisce (in maniera sostanzialmente speculare a quanto previsto dal successivo art. 101, comma 3, con riferimento alle sopravvenienze passive) che agli effetti delle imposte sui redditi si considerano sopravvenienze attive:
  1. i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi;
  2. i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi (per esempio, rientra in questa categoria il maggior valore di mercato attribuibile all'azienda restituita al cedente ai sensi dell'art. 1523 c.c. per inadempimento dell'acquirente, rispetto all'ammontare del credito residuo vantato dal cedente, in caso di vendita con riserva di proprietà);
  3. la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.
    Dalla definizione legislativa si desume che gli elementi caratterizzanti le sopravvenienze attive in senso proprio sono:
  • la presenza di poste di competenza di esercizi precedenti cui l'evento sopravvenuto è collegato sul piano causale, atteso che, se tale evento si verificasse nel corso dello stesso periodo d'imposta cui compete il ricavo o il costo oggetto di rettifica, non si determinerebbe alcuna sopravvenienza sotto il profilo fiscale, già rilevando ai fini della formazione del reddito d'impresa l'importo (netto) correttamente quantificato tenendo conto di tutte le componenti reddituali tra loro correlate. La rettifica di un costo o di un ricavo contabilizzato in esercizi precedenti deve necessariamente fondarsi su un evento sopravvenuto, affinché possa trattarsi di sopravvenienza (se tale rettifica è invece dovuta alla correzione di un errore compiuto nella valutazione di una precedente operazione, non si verifica alcuna deroga al principio di competenza, dovendo la correzione assumere rilevanza con riguardo a detto periodo e non in quello in cui si rimedia all'errore);
  • la necessità che l'operazione originaria abbia assunto (o dovesse assumere a norma di legge) rilevanza ai fini delle imposte sui redditi. Questa caratteristica, a ben vedere, ricorre anche nel caso della cancellazione di un debito originato dal mutuo erogato da un soggetto che non è socio della società mutuataria, giacché la sua successiva remissione modifica la natura della somma originariamente corrisposta a quest'ultima, trasformandola in un provento che non può non essere fiscalmente rilevante; tant'è che la somma percepita dall'impresa avrebbe assunto subito rilevanza reddituale se corrisposta ab origine dal terzo senza vincolo di restituzione.
    Per converso, in base al medesimo principio di simmetria fiscale, se l'evento sopravvenuto si ricollega ad un costo o ad un provento che non ha concorso alla formazione del reddito del periodo d'imposta di competenza (in quanto fiscalmente irrilevante), anche la relativa rettifica non assume rilevanza fiscale. Infatti, il costo non dedotto ai fini della determinazione del reddito d'impresa si considera fiscalmente tamquam non esset, sicché, se esso non ha assunto rilevanza alcuna a tal fine, non può assumerla neppure la sua sopravvenuta insussistenza (in sostanza, se sotto il profilo fiscale un costo non esiste, non può neanche venire meno). In altri termini, il comma 1 dell'art. 88 stabilisce che la sussistenza di una correlazione tra il provento sopravvenuto e un costo di competenza di esercizi precedenti rileva sia in senso positivo (comportando l'imponibilità del provento rettificativo se il suddetto costo è stato dedotto), sia in senso negativo (escludendone l'imponibilità se il medesimo costo non è stato dedotto). Ne consegue che l'imputazione al conto economico di un provento, rilevato a seguito della riduzione di un costo indeducibile di competenza di esercizi precedenti, costituisce sopravvenienza attiva solo agli effetti contabili, e non anche sotto il profilo fiscale, quale sopravvenienza attiva non imponibile (come tipicamente accade, per esempio, in caso di utilizzo di fondi svalutazione crediti o fondi per rischi e oneri costituiti mediante svalutazioni o accantonamenti fiscalmente non dedotti). Il principio succitato è stato da tempo riconosciuto dal Ministero delle Finanze con la ris. 28.6.1979, n. 9/813, con la quale è stato affermato che i rimborsi d'imposta configurano una sopravvenienza attiva imponibile solo se le imposte cui si riferiscono hanno già assunto carattere di onere deducibile nella determinazione del reddito imponibile; se invece le imposte oggetto di rimborso sono fiscalmente indeducibili, il loro rimborso non dà luogo a sopravvenienze attive imponibili.
    E' peraltro doveroso rappresentare che un diverso orientamento è stato espresso dalla Corte di Cassazione con le sentenze 11/10/2017 n. 23812 e 13/07/2018 n. 18719, con riferimento ad accantonamenti diversi da quelli espressamente previsti dal TUIR che, ai sensi dell'art. 107, comma 4, del suddetto testo unico, costituiscono accantonamenti fiscalmente non riconosciuti e quindi indeducibili. La Suprema Corte ha, infatti, affermato che, se il fondo relativo a tali accantonamenti indeducibili viene azzerato, il venir meno dell'accantonamento precedentemente effettuato dà luogo a una sopravvenienza attiva ex art. 88 del TUIR e quindi un componente positivo di reddito imponibile, come se l'accantonamento fosse stato dedotto. Ciò, come sopra enunciato, contrasta con quanto stabilito dall'art. 88 testé citato, secondo il quale la riduzione di un costo di competenza di esercizi precedenti costituisce sopravvenienza attiva fiscalmente rilevante solo se tale costo ha concorso alla formazione del reddito nel periodo d'imposta di competenza. A ben vedere le citate pronunce presentano anche profili di contraddittorietà perché, pur affermando che l'azzeramento del fondo costituito con accantonamenti indeducibili origina una sopravvenienza attiva tassabile, danno al tempo stesso atto del fatto che l'utilizzo del fondo genera una variazione in diminuzione del reddito, proprio perché si tratta di utilizzo di un fondo costituito mediante accantonamenti fiscalmente non rilevanti. Per tali motivi il descritto orientamento è censurabile e non meritevole di costituire un riferimento ai fini di cui trattasi.

    Per quanto riguarda, la disciplina prevista dall'art. 88, comma 4-ter, del TUIR, il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, ha significativamente riformulato l'art. 88 del TUIR, introducendovi il comma 4-ter, in cui è confluita la disciplina delle sopravvenienze attive costituite dalla riduzione di debiti intervenute nell'ambito di istituti regolamentati dalla legge fallimentare, dapprima contenuta nel comma 4 del medesimo articolo.
    Il citato comma 4-ter dell'art. 88 del TUIR al primo periodo stabilisce quanto segue: “Non si considerano, altresì, sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell'imprese in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio ...”; mentre al secondo periodo del medesimo comma 4-ter sancisce, invece, che in caso di concordato di risanamento, di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art. 182-bis l.f. o di piano attestato ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. d), l.f., “la riduzione dei debiti dell'impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all'art. 84, senza considerare il limite dell'ottanta per cento”, la deduzione relativa all'agevolazione denominata “ACE” (maturata nel periodo stesso o in periodi d'imposta precedenti) e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma dell'art. 96 del TUIR.
    In considerazione delle due diverse ratio che prima convivevano in un'unica disposizione contenuta nel comma 4 previgente, il comma 4-ter ora distingue quindi tra (a) riduzioni dei debiti originate da procedure concorsuali con finalità liquidatorie, disciplinate dal primo periodo, e (b) riduzioni dei debiti derivanti da procedure finalizzate alla prosecuzione dell'attività aziendale, cioè di risanamento, regolate dal secondo (e terzo) periodo.
    Le riduzioni dei debiti dell'impresa in sede di concordato fallimentare e di concordato preventivo “non di risanamento” (la cui principale tipologia è certamente costituita da quello liquidatorio) sono rimaste integralmente e incondizionatamente escluse da imposizione. Alle riduzioni dei debiti derivanti da “concordati di risanamento”, da accordi di ristrutturazione del debito e da piani attestati, invece, è stata applicata la limitazione inizialmente prevista solo per queste due ultime fattispecie: ciò sempre allo scopo di impedire la fruizione del doppio beneficio di cui si è detto poc'anzi, consentendo che, per effetto della detassazione della sopravvenienza attiva, possa emergere una perdita fiscale utilizzabile per compensare redditi futuri realizzati grazie alla prosecuzione dell'attività.
    A ben vedere, nella legge fallimentare non viene mai utilizzata la locuzione “concordato di risanamento” introdotta dal legislatore nella disposizione recata dal comma 4-ter del citato art. 88, bensì quella di “concordato con continuità aziendale”, distinguendo l'art. 186-bis l.f. tra “concordato liquidatorio” o comunque con cessazione dell'attività e “concordato in continuità”. Poiché le disposizioni di quest'ultima trovano applicazione ogniqualvolta la finalità del concordato è quella di consentire la prosecuzione dell'attiva d'impresa esercitata dal debitore, a prescindere dal soggetto a ciò deputato - che può essere lo stesso debitore (nel qual caso ricorre la fattispecie della cosiddetta “continuità diretta”) oppure un'impresa terza cessionaria, conferitaria o affittuaria dell'azienda del debitore (nel qual caso ricorre, invece, la fattispecie della “continuità indiretta”), era dubbio se, ai fini delle imposte sui redditi, la categoria dei “concordati con continuità aziendale” di cui all'art. 186-bis l.f. coincidesse sempre con quella dei “concordati di risanamento” di cui al secondo periodo del comma 4-ter dell'art. 88 oppure no. Privilegiando il profilo oggettivo, in quest'ultima sarebbe dovuta rientrare ogni forma di concordato contemplante la prosecuzione dell'attività economica dell'impresa debitrice, in qualsiasi forma (diretta o indiretta); privilegiando il profilo soggettivo, invece, per “concordati di risanamento” si sarebbero dovuti intendere unicamente quelli con prosecuzione dell'attività aziendale da parte della stessa impresa debitrice ammessa alla procedura concordataria, mentre i “concordati con continuità indiretta” sarebbero stati da classificare tra le procedure di tipo liquidatorio o che comunque comportassero la cessazione dell'attività d'impresa, da assoggettare alla disciplina di cui al primo periodo del comma 4-ter. Come a suo tempo si ebbe modo di sostenere, alla luce della particolare ratio sottesa alla restrizione normativa di cui trattasi, l'interpretazione da considerare corretta è la seconda e ciò ha recentemente trovato espressa conferma sia da parte del Ministro dell'Economia e delle Finanze con la risposta ad apposita interrogazione parlamentare, sia da parte dell'Agenzia delle Entrate con la risposta n. 120/2018: in altri termini, la disciplina di cui al primo periodo del comma 4-ter trova applicazione solo per i concordati dalla cui esecuzione discende l'estinzione dell'impresa debitrice e la perdita dello status di imprenditore da parte di quest'ultima, a seguito dei quali è da escludere quell'utilizzo futuro delle perdite pregresse (e delle altre posizioni soggettive individuate dal secondo periodo del comma 4-ter) che la norma in commento intende scongiurare.

    Con riferimento alla detassazione della sopravvenienza attiva da esdebitamento in presenza di perdite fiscali pregresse, con il D.Lgs. n. 147/2015, posto che le disposizioni dell'art. 88 relative all'utilizzo delle perdite pregresse erano state - sulla base del testo vigente anteriormente a tale decreto legislativo - fonte di incertezze interpretative circa la rilevanza del limite dell'80% di cui all'art. 84 anche ai fini della determinazione delle sopravvenienze da detassare, il legislatore ha inoltre cercato di risolvere tali dubbi interpretativi, stabilendo nel secondo periodo del comma 4-ter che, in caso di concordato di risanamento, di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art. 182-bis l.f. o di piano attestato ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. d), l.f., “la riduzione dei debiti dell'impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all'art. 84, senza considerare il limite dell'ottanta per cento”.
    L'aggiunta della locuzione sottolineata non ha tuttavia risolto in misura integrale la questione, non essendo il legislatore intervenuto direttamente sul meccanismo di utilizzo delle perdite pregresse previsto in via ordinaria dall'art. 84 del TUIR. Infatti, in presenza di perdite pregresse utilizzabili in misura limitata, il secondo periodo del comma 4-ter dell'art. 88 continua a prestarsi a diverse, possibili interpretazioni, in quanto letteralmente:
    1) l'ammontare delle perdite utilizzabili per ridurre il reddito formato dalla sopravvenienza attiva potrebbe corrispondere all'ammontare delle perdite pregresse disponibili nella misura dell'80% del reddito imponibile oggetto di compensazione, secondo la lettera dell'art. 84 del T.U.I.R.;
    2) l'ammontare delle perdite utilizzabili per ridurre il reddito formato dalla sopravvenienza attiva potrebbe corrispondere all'ammontare integrale delle perdite pregresse disponibili utilizzando anche la quota delle stesse eccedente l'80% del reddito d'impresa oggetto di compensazione, fino a concorrenza dell'intero ammontare della sopravvenienza attiva imponibile;
    3) la riduzione dei debiti eccedente la perdita di periodo potrebbe non costituire sopravvenienza attiva in presenza di perdite pregresse disponibili e nei limiti delle stesse, fino a loro concorrenza, ma considerando queste ultime previamente consumate fino a concorrenza della sopravvenienza attiva eccedente la perdita di periodo.
    Atteso che la ratio della disposizione in commento è quella di non penalizzare l'attuazione delle procedure di risanamento, impedendo la tassazione delle sopravvenienze da esse generate ed evitando al contempo l'utilizzabilità futura di perdite fiscali atte a neutralizzare di per sé la sopravvenienza attiva, questo scopo non sarebbe soddisfatto con la soluzione indicata sub 1), ma solo con quelle indicate sub 2) e 3). Solo in queste due ultime ipotesi, infatti, si evita l'emersione di un reddito tassabile dovuto esclusivamente alle sopravvenienze da esdebitamento, limitando tuttavia la detassazione di queste ultime in presenza della disponibilità di capienti perdite pregresse, analogamente a quanto accade nel caso della contestuale sussistenza di una sopravvenienza e di una perdita di periodo.
    Più precisamente, l'interpretazione corretta (in quanto maggiormente aderente alla lettera della norma) è da tempo apparsa quella indicata sub 2), dovendosi intendere la locuzione “senza considerare il limite dell'ottanta per cento” quale deroga implicita alla limitazione nell'utilizzo delle perdite pregresse imposta in via generale dall'art. 84. In base a questa interpretazione, la sopravvenienza da esdebitamento che concorre alla formazione del reddito d'impresa sarebbe comunque interamente compensabile con le perdite pregresse disponibili, non trovando applicazione il limite dell'80% previsto dalla norma da ultimo citata, con il risultato che il reddito imponibile sarebbe sempre pari a zero e le perdite pregresse riportabili in avanti sarebbero consumate (ad eccezione della parte eccedente la sopravvenienza attiva detassata).
    In dottrina non era però mancato chi aveva ritenuto corretta la tesi sub 3), poiché “la disapplicazione del limite quantitativo che caratterizza la consumazione delle perdite conferma la volontà del legislatore di voler far scattare la detassazione in parola solo dopo aver consumato le poste che potrebbero dar luogo ad una riduzione degli imponibili dei successivi periodi d'imposta” (così Assonime); ciò anche in considerazione del fatto che il software e le istruzioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi non contemplano per questi casi modalità particolari per la gestione delle perdite fiscali pregresse ordinariamente utilizzabili in misura limitata. Con le risposte a interpello n. 85/2018 e n. 120/2018 l'Agenzia delle Entrate, facendo leva sulla ratio della restrizione in commento (che - come detto - è quella di “evitare che alcune poste sorte in capo al soggetto in stato di crisi finanziaria possano dar luogo a una riduzione degli imponibili dei successivi periodi d'imposta”), ha ritenuto essere corretta l'interpretazione dapprima indicata sub 2), perché in forza “di tale logica il legislatore con riferimento alle perdite pregresse ha previsto, novellando il precedente testo normativo, che le stesse sono utilizzabili oltre il limite dell'80 per cento al fine di individuare la quota di sopravvenienza attiva detassata”.
    Ne discende che la sopravvenienza attiva da esdebitamento non genera mai reddito imponibile, ma, in presenza di perdite pregresse (utilizzabili in misura piena e/o limitata), comporta l'esaurimento (ovvero la consumazione) delle stesse, fino a concorrenza dell'ammontare della suddetta sopravvenienza.
    Nell'ambito delle pronunce testé richiamate, l'Agenzia ha avuto altresì modo di chiarire che, al fine di dare chiara evidenza nella dichiarazione dei redditi dell'utilizzo delle posizioni soggettive richiamate dalla norma de qua, il contribuente deve effettuare una variazione in diminuzione nel quadro RF per un importo pari alla differenza tra la sopravvenienza attiva e la somma della perdita di periodo (calcolata senza tener conto della sopravvenienza attiva) e delle altre posizioni soggettive, portando in compensazione nel quadro RN le perdite fiscali disponibili fino a concorrenza del reddito imponibile corrispondente alla sopravvenienza attiva da esdebitamento, senza quindi considerare la limitazione dell'80%.

    Sulla detassazione della sopravvenienza attiva da esdebitamento in presenza di perdite fiscali pregresse trasferite al consolidato fiscale e ancora non utilizzate, il terzo periodo del comma 4-ter dell'art. 88 stabilisce ulteriormente che ai fini della determinazione della riduzione dei debiti che non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, rilevano anche “le perdite trasferite al consolidato nazionale di cui all'art. 117 e non ancora utilizzate”. ll legislatore ha inteso così chiarire che la limitazione imposta dal secondo periodo del predetto comma si applica anche alle perdite fiscali trasferite alla fiscal unit costituita dal consolidato di gruppo, in quanto maturate in vigenza del regime del consolidato fiscale, sempre che non siano state ancora utilizzate in compensazione dei redditi del gruppo. Posto che la ratio della detassazione parziale è quella di evitare una doppia agevolazione, devono assumere rilevanza ai suddetti fini sia la perdita di periodo trasferita al consolidato fiscale (che giocoforza non è stata ancora utilizzata, in quanto appena maturata), sia le perdite fiscali pregresse che residuano al termine del periodo d'imposta immediatamente precedente quello di maturazione della sopravvenienza attiva. Ciò significa, in pratica, che la restrizione prevista dal secondo periodo del comma 4-ter in presenza di perdita di periodo e di perdite pregresse opera del pari in presenza di perdita di periodo di gruppo e di perdite pregresse riportate nel consolidato (indicate nel quadro CS del modello CNM).
    Tuttavia, la limitazione de qua presuppone l'identità soggettiva dell'ente che beneficia della riduzione dei debiti (da detassare) e di quello che mantiene il diritto di utilizzare le perdite fiscali pregresse (presumibilmente) generate dai medesimi debiti. Si è perciò ritenuto che le perdite trasferite al consolidato fiscale nazionale, rilevanti agli effetti del terzo periodo del comma 4-ter, dovessero essere esclusivamente quelle maturate dalla stessa società beneficiaria della riduzione dei debiti. Questa conclusione ha trovato espressa conferma da parte dell'Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 85/2018, avente ad oggetto il trattamento fiscale della sopravvenienza attiva da esdebitamento di cui ha beneficiato un'impresa in concordato con continuità aziendale aderente al regime del consolidato fiscale nazionale, nel cui ambito erano maturate perdite fiscali “non ancora utilizzate” trasferite in parte dalla medesima società debitrice, in parte dalla società controllata. Alla richiesta di conoscere se la limitazione sancita dal terzo periodo del comma 4-ter sopra citato riguardasse entrambe le perdite o soltanto quelle trasferite al consolidato dall'impresa assoggettata alla procedura di concordato (che è il soggetto che beneficia dell'esdebitamento da cui derivano le sopravvenienze), l'Agenzia delle Entrate ha testualmente affermato quanto segue: “poiché le componenti da considerare ai fini del suddetto calcolo sono valori riconducibili al soggetto in concordato, laddove la disposizione normativa prevede anche l'utilizzo delle perdite trasferite al consolidato nazionale e non ancora utilizzate dalla fiscal unit, la stessa fa riferimento esclusivamente alle perdite prodotte dalla medesima società e trasferite al consolidato e non a quelle riferibili alle altre società che partecipano al consolidato stesso”.
    Il principio confermato dall'Agenzia trae origine dall'assenza di correlazione tra la formazione della sopravvenienza attiva da esdebitamento da detassare in capo alla società debitrice aderente al consolidato, da un lato, e la formazione delle perdite fiscali trasferite al consolidato dalle altre società aderenti, dall'altro. Inoltre, sebbene le società aderenti al consolidato perdano la loro soggettività passiva, le regole sancite dagli artt.117 e ss. del TUIR continuano a prescrivere la necessità di determinare in maniera distinta il reddito d'impresa maturato in capo a ciascuna delle società consolidate (nel quadro RF della dichiarazione dei redditi), la cui somma algebrica costituisce il reddito complessivo globale da assoggettare a imposizione (nel quadro CN del modello CNM); ciò perché le regole del consolidato fiscale non comportano la determinazione di un reddito imponibile unitario, calcolabile come se esistesse un solo soggetto passivo d'imposta rappresentato dal gruppo (analogamente a quanto accade ai fini della redazione del bilancio consolidato), ma prevedono la quantificazione del reddito consolidato attraverso la mera somma algebrica dei distinti risultati fiscali di periodo delle singole società aderenti al regime del consolidato.
    Per questi motivi le disposizioni contenute nell'art. 88, comma 4-ter, del TUIR devono incidere unicamente sulla determinazione del reddito d'impresa della società debitrice che beneficia della riduzione dei debiti e non sul computo del reddito delle altre società aderenti (con essa) al regime del consolidato. In maniera coerente, gli effetti dell'applicazione della norma citata si estendono anche sulle perdite maturate nel consolidato, ma unicamente alla quota di esse prodotta dalla medesima società debitrice.
    Corollario di questa conclusione è che il trattamento delle perdite fiscali trasferite al consolidato dalle società consolidate, diverse da quella cui si riferisce la sopravvenienza attiva da esdebitamento (e diverse quindi da quelle che accedono agli istituti della legge fallimentare richiamati dal secondo periodo del più volte citato comma 4-ter), resta quello ordinariamente previsto, nel senso che le stesse, non rilevando ai fini del computo della sopravvenienza imponibile né di quella esclusa (previsto dal secondo e terzo periodo del comma 4-ter dell'art. 88), non possono intendersi consumate per effetto dell'applicazione di tali disposizioni e, in particolare, per effetto della detassazione di tutta o parte della suddetta sopravvenienza.
    Ne discende in definitiva che le perdite fiscali trasferite al consolidato e non ancora utilizzate:
  1. per la parte riferibile alla società consolidata o consolidante che matura la sopravvenienza attiva da esdebitamento, sono utilizzate in misura piena - non operando il limite dell'80% - in sede di determinazione del reddito complessivo globale (ovverosia nel quadro CN del modello CNM) fino a concorrenza dell'ammontare della sopravvenienza;
  2. per la parte riferibile alle società consolidate diverse da quella indicata sub A) per le quali il consolidato fiscale prosegue, restano utilizzabili nell'ambito del suddetto regime secondo le ordinarie regole previste dall'art. 118, comma 1, del TUIR;
  3. per la parte riferibile alle società consolidate diverse da quella indicata sub A) per le quali (a causa del venir meno del requisito del controllo) il consolidato fiscale si interrompe, restano utilizzabili nell'ambito del suddetto regime secondo le ordinarie regole previste dall'art. 118, comma 1, del TUIR se permangono nell'esclusiva disponibilità della società consolidante giusta la regola generale prevista dall'art. 124, comma 4, primo periodo, del TUIR;
  4. per la parte riferibile alle società consolidate diverse da quella indicata sub A) per le quali (a causa del venir meno del requisito del controllo) il consolidato fiscale si interrompe, restano da queste utilizzabili secondo le ordinarie regole sancite dall'art. 84 del TUIR se devono essere a esse riattribuite in forza della diversa destinazione stabilita nel cosiddetto “accordo (o regolamento) di consolidamento” (e sempre che tale destinazione sia stata debitamente comunicata all'Agenzia delle Entrate).

    Con riferimento al sub quesito di cui alla lettera A) indicato nella premessa, occorre considerare che nel caso di specie le sopravvenienze da esdebitamento sono costituite sia dalla sopravvenuta insussistenza di passività iscritte nel bilancio di precedenti esercizi inerenti all'iva e alle ritenute, sia da oneri quali l'Ires, l'Irap, altri tributi, le sanzioni, gli interessi moratori e dilatori e le somme aggiuntive inerenti agli oneri contributivi, che, a eccezione degli interessi di dilazione, non hanno concorso a formare il reddito d'impresa tassabile, in quanto componenti negativi di reddito indeducibili a tal fine.
    Pertanto, per i motivi esposti, la sopravvenienza attiva rappresentata dall'insussistenza dei debiti e dagli interessi di dilazione (dedotti dalla società) è fiscalmente rilevante, mentre quella che rettifica i debiti originati da componenti che, in quanto indeducibili, non sono stati dedotti ai fini della determinazione dei redditi degli esercizi precedenti, non è per propria natura rilevante nell'ambito delle imposte sui redditi.

    Conseguentemente, posti i valori cui si riferiscono le sopravvenienze da esdebitamento conseguite da codesta Società indicati nella premessa del presente parere, la sopravvenienza fiscalmente rilevante “per natura” ammonta a euro 35.711.460,00, mentre quella non rilevante “per natura” è pari a euro 31.180.287,00.
    Con riferimento ai sub quesiti indicati alle lettere B) e C)della premessa,aventi ad oggetto il trattamento fiscale della sopravvenienza attiva generata dal concordato preventivo in continuità, in presenza di perdite fiscali pregresse trasferite al consolidato fiscale e non ancora utilizzate, alla luce di quanto illustrato nei paragrafi B e C, la riduzione dei debiti dell'impresa non costituisce sopravvenienza attiva imponibile per la parte eccedente l'ammontare delle perdite pregresse assunte in misura piena, cioè senza tener conto del limite dell'80% di cui all'art. 84 del TUIR, e della perdita di periodo; tale limitazione non comprende solo le perdite di cui la società debitrice ha mantenuto la disponibilità, ma anche quelle - non ancora utilizzate - maturate dalla stessa e da essa trasferite al consolidato nazionale (non rileva, dunque, relativamente al concordato di codesta Società, la quota di perdite generata da altre società partecipanti al consolidato).
    Al riguardo, si è riferito in premessa che codesta Società ha maturato e trasferito al consolidato fiscale perdite per circa euro 91.000.000,00 e che l'esdebitazione concordataria è pari a circa euro 81.001.645,00, di cui 66.891.747,00 milioni relativi a debiti fiscali e contributivi dei quali risulta fiscalmente non rilevante “per natura”, come si è poc'anzi precisato, l'ammontare di euro 31.180.287,00, dal che discende che la sopravvenienza attiva fiscalmente rilevante è, dunque, complessivamente pari a euro 49.821.358,00 (=81.001.645,00 - 31.180.287,00).
    Posto che, a norma dell'art. 88, comma 4-ter, del TUIR, (i) non costituisce sopravvenienza attiva imponibile la quota di riduzione dei debiti che eccede le perdite, pregresse o di periodo, di cui all'art. 84 del TUIR, comprese quelle trasferite al consolidato, e che (ii) la sopravvenienza fiscalmente rilevante (ammontante a euro 49.821.358,00) è nel caso di specie inferiore all'ammontare delle perdite fiscali pregresse (91.000.000,00), ne discende che la sopravvenienza generata dalla omologazione del concordato preventivo di codesta Società non beneficia di alcuna detassazione e concorre interamente alla formazione del reddito d'impresa imponibile; tale reddito imponibile è tuttavia compensato dalle stesse perdite pregresse e di esercizio maturate dalla Società, per il che non ne deriva l'emersione di alcun reddito netto e non ne consegue quindi la debenza dell'imposta sul reddito delle società in alcuna misura.
    Da quanto esposto discende ulteriormente, con riferimento al sub quesito lett. D) indicato in premessa, che le perdite fiscali pregresse, ammontanti a euro 91.000.000,00, sono assorbite dalla compensazione con la predetta sopravvenienza (salva la sussistenza di altri redditi) per l'intero ammontare di quest'ultima, cioè per euro 49.821.358,00, e conseguentemente esse possono ancora essere utilizzate ai fini di cui all'art. 84, comma 1, TUIR limitatamente al residuo ammontare di euro 41.178.642,00, pari alla differenza tra i due predetti importi.

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