Liquidazione del patrimonio: i limiti di sindacato del liquidatore e le sue responsabilità
01 Dicembre 2020
In una liquidazione del patrimonio quali sono i confini di mandato conferito al liquidatore e le sue responsabilità (previsti dall'art. 15, comma 10 L. 3/12)?
Caso pratico - Il liquidatore, a seguito di apposita nomina da parte del G.D., deve assolvere ai compiti imposti dalla normativa e nello specifico:
Spiegazioni e conclusioni - La relazione del gestore della crisi svolge un ruolo decisivo nella procedura poiché in virtù di questa i creditori e il giudice basano le proprie determinazioni. La relazione, infatti, oltre che in funzione della procedura tout court è in funzione della tutela dei creditori, per non compromettere i loro diritti. È questa la ragione per cui la L. 3/2012 riconosce all'organismo di composizione della crisi (e, quindi, al gestore della crisi) - previa autorizzazione del giudice - l'accesso alle banche dati (art. 15, comma 10, L. 3/2012) nonché la possibilità di “assume[re] ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e alla sua stessa esecuzione". Il che, però, non significa che l'attività del gestore sia indifferente e priva di responsabilità: in fondo è la ragione per cui la legge, oltre a richiedere la relazione particolareggiata, esige un controllo proprio da parte del gestore sulla attendibilità dei dati presenti in quella relazione e, quindi, una verifica, ad esempio, dei crediti e dei debiti e, in generale, sul patrimonio del debitore (attraverso l'accesso alle banche dati e una lettura attenta di quanto emerge dai colloqui con il debitore stesso). Detta attività appartiene agli atti della procedura e determina una responsabilità del gestore nei confronti dei creditori nell'ipotesi in cui, ad esempio, essi abbiano esercitato il loro voto in un certo modo confidando sulle valutazioni del gestore (F. Valerini, Il giudice del sovraindebitamento nomina il CTU se deve valutare la fattibilità della proposta, in ilfallimentarista.it, 8 Aprile 2020, nota a Tribunale di Livorno, 22 Gennaio 2020). Ecco perché il gestore della crisi deve prestare la massima attenzione proprio alle verifiche sulla completezza e veridicità della documentazione presentata dal debitore e attestarne il contenuto. Nei confronti del debitore, l'OCC risponde di una responsabilità contrattuale da contratto sociale, posto che l'OCC è officiato da una specifica istanza del debitore, il quale è tenuto a rivolgersi ad un Organismo della composizione della crisi se vuole accedere alle procedure ai sensi dell'art. 7, comma 1, L. 3/2012. La disattenta o negligente attività di verifica della documentazione prodotta dal debitore, nonché l'assenza totale di una scrupolosa attività di indagine nelle banche dati opportune e consultabili in virtù del mandato, al fine di accertare la reale capacità patrimoniale del debitore, comporta in capo all'OCC una responsabilità ex art. 2043 c.c.. Nella stessa responsabilità incorre l'OCC che non ha trattato correttamente i dati acquisiti ai sensi dell'art.15 comma 11, che potrebbero integrare oltre che illeciti amministrativi e penali previsti dal D. Lgs. 196/2003, anche illeciti civili con conseguenti responsabilità risarcitorie. Riconosciuta dal Giudice la sussistenza dei presupposti soggettivi per l'accesso alla procedura di liquidazione, la questione in esame attiene al tema dell'ammissibilità della programmazione di liquidazione in caso di patrimonio del debitore troppo modesto rispetto al debito accumulato. Dottrina e giurisprudenza, convengono sulla ricostruzione sistematica della L. 3/2012 che consenta di accedere alla soluzione positiva della questione. L'art.14 ter indica espressamente quali beni non possano essere ricompresi nella liquidazione e quali non, tra cui i redditi aventi carattere alimentare e di mantenimento suo e della sua famiglia ex art. 545 c.p.c.. Tale limitazione significa evidentemente che, detratto quanto occorre al mantenimento del debitore e della sua famiglia, la retribuzione residua possa essere ricompresa nella liquidazione. L'art. 14 quater L. 3/2012, infine, prevede, la possibilità su istanza del debitore e di un creditore, di conversione della procedura di composizione della crisi in quella della liquidazione dal piano e dall'accordo, che possono prevedere la messa a disposizione di parte delle entrate di natura professionale future. Il parere negativo del professionista, fondandosi su una valutazione di meritevolezza economica, non trova giustificazione nel dettato normativo né tanto meno nella ratio che il legislatore ha voluto riconoscere al tenore letterale della norma. Numerose sono le pronunce dei tribunali nazionali che hanno ammesso alla procedura di liquidazione del patrimonio i debitori sovraindebitati con un patrimonio modesto o addirittura in completa assenza di esso, in cui si metteva a disposizione il solo accantonamento della propria retribuzione ed eventuali beni futuri rientranti nel loro patrimonio, in ossequio all'art. 2740 c.c., con una soddisfazione parziale dei creditori. Parziale, appunto. D'altronde se non fosse parziale, non avrebbe senso ricorrere alle procedure di sovraindebitamento. Poiché la norma nulla stabilisce, in termini quantitativi, in merito al soddisfacimento parziale, va segnalato l'orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui “la condizione di soddisfacimento, almeno parziale dei creditori, deve intendersi realizzata anche quando talune categorie di creditori (nella specie quelli chirografari) non abbiano ricevuto alcunché in sede di riparto” (Cass. Civ. n. 9767/2012). Il gestore non è chiamato a esprimere “il giudizio di fattibilità della proposta” dal momento che simile sindacato spetta al giudice. Ricorrono i presupposti per accedere alla procedura di liquidazione ex art. 14 ter L. 3/2012 in combinato disposto con l'art. 7, comma 2, lett. a) e b). Soltanto questi sono i limiti codificati dal legislatore entro i quali il debitore sovraindebitato è ammesso a fruire della procedura ex art. 14 ter L. 3/2012. (Trib. Milano 16 novembre 2017, Trib. Verona 21 dicembre 2018 n. 37, Trib. Matera, 24 luglio 2019, n.1021; Trib. Vicenza 8 luglio 2013). Non vi è alcuna richiesta di un giudizio di fattibilità e soprattutto di fattibilità economica, anziché giuridica. Stabilire se il debitore sovraindebitato possa accedere alla procedura con un patrimonio di modesta entità, non rientra nelle valutazioni ex lege richieste al liquidatore, tanto più che il decreto di accoglimento alla procedura è compito del giudice ed è per l'appunto già emesso prima della nomina del liquidatore. Nel CCII è prevista l'esdebitazione del debitore incapiente all'art. 283. Nella liquidazione, il debitore offre l'intero patrimonio e parte della sua retribuzione, indicando la misura dei futuri guadagni entro cui spingersi. Un primo controllo deve necessariamente essere volto a verificare se il reddito del debitore sia tale da consentire un soddisfacimento, seppur parziale, dei creditori, ma soprattutto al fine di non arrecare pregiudizio al mantenimento suo e della sua famiglia. Così l'entità del soddisfacimento dei creditori, seppure non rientrante tra i compiti assegnati all'OCC, non è sicuramente determinabile a priori, perché la finalità di liberazione dai debiti prescinde, in questa programmazione di liquidazione (e non piano), da una precisa quantificazione della percentuale di soddisfo dei creditori e ciò si spiega con il fatto che, nella liquidazione del patrimonio, così come costruita dal legislatore, si tenta di arrivare all'esdebitazione, senza indicare alcun limite quantitativo (Trib. Milano 16.11.2017).
Normativa e giurisprudenza
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