La liquidazione del patrimonio senza beni con apporto di finanza esterna

Lorenzo Rossi
28 Gennaio 2021

È ammissibile una domanda di apertura della procedura di liquidazione dei beni dalla quale si determini il soddisfacimento dei creditori unicamente mediante risorse appartenenti a terzi, non potendo la c.d. finanza esterna trovare spazio nella procedura liquidatoria?

È ammissibile una domanda di apertura della procedura di liquidazione dei beni dalla quale si determini il soddisfacimento dei creditori unicamente mediante risorse appartenenti a terzi, non potendo la c.d. finanza esterna trovare spazio nella procedura liquidatoria?

Caso pratico - Un soggetto sovraindebitato depositava domanda di accesso alla procedura di liquidazione del patrimonio, disciplinata dall'art. 14 ter ss. l. 27 gennaio 2012, n. 3.

Il suo patrimonio, però, non era composto da alcun bene immobile o mobile.

Il ricorrente, peraltro, non percepiva alcun reddito da lavoro dipendente o autonomo, in quanto disoccupato.

In ragione di ciò, consapevole dell'orientamento (seguito da alcuni tribunali di merito) che nega l'accesso alla procedura di liquidazione dei beni a tutti coloro che non sono proprietari di beni e non dispongono di redditi, esso decideva di presentare il ricorso giudiziale allegando l'impegno di un terzo a conferire alla procedura una determinata somma da denaro, da destinare al soddisfacimento dei creditori concorsuali.

Così facendo, il tribunale avrebbe avuto contezza del fatto che i creditori insinuati al passivo avrebbero potuto in ogni caso soddisfarsi nell'ambito della procedura, indipendentemente dalla futura ed eventuale percezione di redditi (o acquisizione di beni) da parte del sovraindebitato, prevenendo così possibili eccezioni su tale aspetto.

Nonostante ciò, il Tribunale di Rimini, con provvedimento emesso in data 8 dicembre 2020, rigettava la domanda di apertura della procedura di liquidazione dei beni.

Spiegazioni e conclusioni - Nel dettaglio, il Tribunale di Rimini, in composizione monocratica, ha espressamente chiarito che il ricorso per l'apertura della liquidazione del patrimonio non può ritenersi ammissibile se il patrimonio del soggetto sovraindebitato risulta del tutto incapiente, mancando risorse economiche da liquidare per la soddisfazione dei creditori.

Precisamente, il tribunale ha affermato che, per l'accoglimento della domanda e la conseguente apertura della procedura, non è indispensabile che il debitore sia proprietario di beni (mobili o immobili) da liquidare, a patto che lo stesso abbia la disponibilità di qualche utilità (reddituale) da destinare ai creditori (in questo senso, si veda Trib. Milano30 luglio 2019).

Peraltro, le risorse da destinare ai creditori nella liquidazione del patrimonio, a detta del giudicante, non possono provenire da soggetti terzi ma solamente dal debitore.

Ed infatti, la c.d. finanza esterna non potrebbe trovare alcuno spazio nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento aventi carattere liquidatorio ma solo in quelle di natura negoziale, ovverosia l'accordo con i creditori e il piano del consumatore, in quanto non costituirebbe un «bene proprio del debitore come tale rientrante nella nozione di “beni” di cui all'art. 14 ter e ss. l n. 3/12».

In buona sostanza, il sovraindebitato, per accedere alla liquidazione del patrimonio, dovrebbe essere nelle condizioni di mettere a disposizione della massa dei creditori risorse proprie, indipendentemente dalle caratteristiche delle stesse (beni immobili, mobili o redditi). In caso contrario, la domanda sarebbe da reputarsi inammissibile.

A ben vedere, tuttavia, le conclusioni cui è giunto il Tribunale di Rimini non parrebbero condivisibili.

Ed infatti, a prescindere dalla circostanza che l'eventuale soddisfazione del ceto creditorio sia un profilo rilevante ai fini non dell'apertura della liquidazione del patrimonio bensì della futura ed eventuale esdebitazione, l'interpretazione dell'art. 14 ter l. n. 3 del 2012, fornita dal giudice sembrerebbe eccessivamente formalistica, restrittiva e non conforme alle esigenze di tutela del soggetto sovraindebitato (e degli stessi creditori).

Peraltro, per superare il limite posto dal giudice sarebbe sufficiente che il terzo donasse al debitore una somma di denaro in prossimità del deposito della domanda di apertura, in modo tale che le risorse risultino appartenenti al ricorrente al momento del vaglio giudiziale.

In ultimo, si ritiene che la soluzione adottata sia incompatibile con le più recenti determinazioni parlamentari, tese ad anticipare l'entrata in vigore di una parte della disciplina sulle procedure da sovraindebitamento contenuta nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza.

Si segnala, a tal fine, che il legislatore, con la l. 18 dicembre 2020, n. 176, ha convertito il d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, introducendo nell'ordinamento, mediante l'art. 4 ter, comma 1, lett. i), l'esdebitazione del debitore incapiente.

Normativa e giurisprudenza

  • Art. 14 ter l. 27 gennaio 2012, n. 3
  • Art. 4 ter l. 18 dicembre 2020, n. 176
  • Trib. Rimini8dicembre 2020
  • Trib. Milano 30 luglio 2019

Per approfondire

F. Cesare, Il nuovo sovraindebitamento modificato dalla legge di conversione del Decreto ristori, in ilfallimentarista.it, 5 gennaio 2021

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