Revocatoria fallimentare e efficacia protettiva del piano di risanamento
29 Gennaio 2021
In che modo l'esenzione dall'azione revocatoria prevista dall'art. 67 L.F. è espressione del favore del legislatore della riforma per le soluzioni concordate della crisi d'impresa che, altrimenti, troverebbero difficile attuazione se i creditori ed i finanziatori fossero esposti al rischio della revocatoria?
Caso pratico - Una curatela fallimentare evocava in giudizio una S.r.l. al fine di sentir dichiarati inefficaci, ai sensi dell'art. 67, comma 2, L.F., i pagamenti effettuati dalla società ancora in bonis in favore della convenuta, per complessivi € 209.757,13, a pagamento di alcune fatture e, per l'effetto, condannare quest'ultima alla restituzione di quanto ricevuto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali. A sostegno della domanda, la curatela deduceva la sussistenza sia del presupposto temporale previsto dall'art. 67, comma 2. L.F., in quanto i pagamenti oggetto di revocatoria erano stati eseguiti nei sei mesi antecedenti alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, sia dell'elemento soggettivo della scientia decoctionis in capo al creditore, sia dell'elemento soggettivo c.d. interno, poiché la natura stessa dell'incarico svolto dalla S.r.l. presupponeva la conoscenza della situazione finanziaria della società poi fallita. Sicché, a parere del curatore fallimentare, risultavano dimostrati tanto l'elemento oggettivo, quanto quello soggettivo richiesti per l'accoglimento dell'azione revocatoria. Si costituiva in giudizio la convenuta S.r.l., eccependo preliminarmente il difetto dell'autorizzazione di cui all'art. 25, comma 1, n. 6, L.F. e, nel merito, la mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per l'accoglimento della domanda attorea, operando, nel caso di specie, le esenzioni di cui all'art 67, comma 3, lettere a) e d), L.F. e non avendo la curatela provato la scientia decoctionis in capo alla convenuta al momento in cui ricevette i pagamenti oggetto di revocatoria. Nel corso dell'istruttoria, la curatela attrice produceva il provvedimento di autorizzazione emesso dal Giudice delegato e veniva disposta CTU finalizzata ad accertare se i pagamenti oggetto di revocatoria fossero stati eseguiti nei c.d. termini d'uso. Precisate le conclusioni delle parti, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. Nelle more, si costituiva in giudizio una S.p.A. in qualità di assuntore del concordato fallimentare, facendo proprie le difese svolte dalla Curatela nel corso del giudizio. Il Tribunale di Piacenza, in accoglimento delle eccezioni formulate dalla società convenuta, rigettava la domanda della curatela fallimentare e, per l'effetto, condannava l'assuntore del concordato al pagamento delle spese di lite in favore della controparte.
Spiegazioni e conclusioni - Come noto, l'art. 67 L.F., disciplinante in casi di revocatoria fallimentare, prevede, al comma 3, l'esenzione di alcune tipologie di atti, pagamenti e garanzie al ricorrere di determinate condizioni. In particolare, ai sensi della suindicata norma, non possono essere revocati gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore, purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria. Il Tribunale di Piacenza, dunque, è stato chiamato a decidere circa l'applicabilità, al caso sottoposto al suo esame, dell'esenzione da revocatoria in relazione ai pagamenti eseguiti in virtù di un piano di risanamento presentato anteriormente alla declaratoria di fallimento. Prima di esaminare il merito della questione, il tribunale ha dato atto della successione a titolo particolare della S.p.A. nel diritto controverso, oggetto dell'azione revocatoria, verificandosi in tal modo la successione a titolo particolare della S.p.A. nei diritti della Curatela fallimentare, non essendo consentita la prosecuzione del processo tra le parti originarie, ai sensi dell'art. 111, comma 1, c.p.c., poiché la chiusura della procedura comporta il venir meno della legittimazione processuale del Curatore (Cass., 28 febbraio 2007, n. 4766). Premesso quanto sopra, il tribunale, in virtù del principio giurisprudenziale della c.d. ragione più liquida, ha ritenuto dirimente la censura mossa dalla S.r.l. convenuta circa l'applicabilità, nel caso in esame, dell'esimente di cui all'art. 67, comma 3, lettere a) e d), L.F. Sicché, esaminando il merito della domanda attorea, a parere del Tribunale è risultato pacifico tra le parti, oltre che provato dalla documentazione versata in atti, che i pagamenti oggetto di revocatoria avvennero nel c.d. periodo sospetto, essendo stati effettuati dalla società poi fallita in favore della S.r.l. convenuta nei sei mesi anteriori alla declaratoria dello stato di insolvenza. Ciò nonostante, il Tribunale ha ritenuto che la domanda revocatoria non potesse trovare accoglimento, operando, nel caso di specie, l'esenzione di cui all'art. 67 comma 3, lett. d) L.F., posto che i pagamenti oggetto di revocatoria erano stati eseguiti in esecuzione di un piano di risanamento debitamente asseverato. Il Tribunale, in proposito, ha rammentato quel principio ormai costante della Corte di cassazione secondo cui il giudice, investito dell'azione revocatoria dell'atto attuativo del piano di risanamento - predisposto unilateralmente dal debitore e non soggetto ad omologa, né ad alcuna forma di pubblicità - deve effettuare, oltre ad una verifica mirata al rispetto dei requisiti legali del piano e dell'attestazione, una valutazione, necessariamente ex ante, circa l'idoneità del piano, del quale l'atto impugnato costituisce strumento attuativo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa, attraverso un'attività di c.d. prognosi postuma (cfr. Cass., 5 luglio 2016, n. 13719). Infatti, ai fini dell'applicabilità della predetta esenzione, è essenziale la compresenza dei seguenti presupposti: 1) che il pagamento di cui si domanda la revoca sia stato compiuto in esecuzione di un piano attestato da un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall'art. 28, lett. a) e b), il quale deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; 2) che il pagamento di cui si domanda la revoca sia stato compiuto in esecuzione di un piano che risulti fattibile sia dal punto di vista giuridico (in quanto concluso nel rispetto di norme inderogabili), che dal punto di vista economico (in quanto idoneo a conseguire l'obiettivo del risanamento dell'impresa). Del resto, l'esenzione in oggetto, unitamente a quelle previste dalle lettere e) e g), è espressione del favore del legislatore della riforma per le soluzioni concordate della crisi d'impresa che, altrimenti, troverebbero difficile attuazione se i creditori ed i finanziatori fossero esposti al rischio della revocatoria. Sicché, la norma disciplina il c.d. piano attestato di risanamento al fine di esentare da azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano stesso, laddove si dimostri idoneo al conseguimento degli obiettivi prefissati. Il Tribunale, dunque, in linea con la giurisprudenza di merito sul punto (cfr. Trib. Verona, 22 febbraio 2016), ha affermato che l'efficacia "protettiva" del piano di risanamento potrebbe venire meno solo nei casi in cui fosse dimostrata - sulla base di un giudizio ex ante del piano stesso - la sua assoluta inidoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, trovando, in assenza di tale prova, piena ed indiscutibile applicazione l'esenzione dalla revocatoria espressamente prevista dall'art. 67, comma 3, lett. d) L.F. Nel caso di specie, il Tribunale ha accertato che, in ragione dell'aggravamento della crisi macroeconomica, nel corso del 2011 la società poi fallita aveva avviato un percorso di riorganizzazione industriale e finanziaria, volto alla ristrutturazione dell'esposizione debitoria e al riequilibrio finanziario, conferendo mandato ad una società di consulenza per la predisposizione di un piano di risanamento e negoziando, con numerosi istituti di credito, una complessa manovra finanziaria a sostengo del predetto Piano. Verso la fine dell'anno 2011, il piano aveva ottenuto l'attestazione di un professionista in possesso dei requisiti richiesti dalla norma e, allo stesso tempo, era stato sottoscritto un Accordo di Ristrutturazione del debito con le Banche creditrici, tra le quali figurava anche la S.r.l. convenuta. A parere del Tribunale, il piano non poteva essere ritenuto manifestamente inidoneo a conseguire gli obiettivi prefissati, poiché il Professionista aveva attestato la ragionevole idoneità dello stesso al risanamento dell'indebitamento e, soprattutto, era stato posto alla base dell'accordo di ristrutturazione del debito sottoscritto da ben diciassette primari istituti di credito, all'esito di plurime analisi e verifiche condotte dalle relative strutture interne, specializzate in operazioni di ristrutturazioni del debito. Sicché, doveva senz'altro ritenersi concretamente fattibile da un punto di vista tanto giuridico quanto economico. Il Tribunale, pertanto, in applicazione dei principi giurisprudenziali richiamati, ha ritenuto operante l'esenzione da revocatoria, ai sensi dell'art. 67, comma 3, L.F., in relazione ai pagamenti eseguiti dalla società poi fallita e, per l'effetto, ha rigettato la domanda attorea condannando l'assuntore del concordato al pagamento delle spese di lite.
Normativa e giurisprudenza
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