Ammissione di una società all'amministrazione straordinaria e opposizione del socio
17 Agosto 2020
Il socio di una S.p.A. può proporre opposizione alla sentenza che ha ammesso la società all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi solo nel caso in cui abbia proposto opposizione avverso la delibera assembleare che aveva espresso la volontà societaria di chiedere l'ammissione alla predetta procedura?
Caso pratico - Un socio e componente del C.d.A. della S.p.A. YZ, ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, propone regolamento di competenza avverso la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato lo stato d'insolvenza della predetta società e statuito anche sulla propria competenza per territorio. Si pone il problema se il socio abbia la legittimazione attiva a proporre il ricorso in cassazione per il regolamento di competenza e se, in generale, possa opporsi alla sentenza che ammette la società alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Spiegazioni e conclusioni - L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è la procedura concorsuale disciplinata dalla legge Prodi bis (D. Lgs. n. 270/1999, mod. dal D.L. n. 154/2015, convertito nella L. 189/l 2015 e successivamente mod. dalla L. 208/ 2015) con finalità conservative di quelle imprese che, per le loro dimensioni, assumono un rilevante interesse pubblico. Per completezza è bene precisare che le imprese che hanno dimensioni ancora maggiori, le c.d. imprese grandissime, sono disciplinate dal D.L. 347/2003 convertito nella L. 39/2004 e successive modificazioni (Decreto Marzano). I requisiti di ammissione delle imprese alla procedura, a prescindere dalla loro forma societaria - si può trattare sia di società di persone che di capitali, di società cooperative, di imprese individuali, di società di fatto o irregolari -, sono i seguenti: le imprese devono essere soggette alle disposizioni sul fallimento, devono avere un numero di lavoratori subordinati non inferiore a duecento da almeno un anno e debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio. Tali requisiti devono sussistere congiuntamente. Sia l'imprenditore che ogni altro soggetto che vi abbia interesse possono proporre opposizione davanti al tribunale collegiale avverso la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza. L'opposizione è proposta con atto di citazione notificata al commissario giudiziale, a colui che ha chiesto la dichiarazione di insolvenza ed all'imprenditore insolvente (almeno che non sia lui stesso l'opponente). Nel caso che ci occupa il socio e componente del C.d.A. della società ha contestato la competenza per territorio del tribunale affermata nella sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza e presentato regolamento di competenza con rituale ricorso in cassazione. Orbene, come sancito chiaramente dalla Suprema Corte, la posizione del socio, ed a maggior ragione quella del socio che sia anche componente del C.d.A. che ha chiesto l'apertura della procedura, data la sua peculiarità, deve essere valutata in concreto e la legittimazione può essergli attribuita solo se si ravvisi la sua posizione di terzietà rispetto all'ente alla cui compagine appartiene, che ricorre solo se abbia proposto opposizione avverso la delibera che abbia espresso, col suo dissenso, la volontà sociale di chiedere il fallimento, giacchè in caso contrario detta delibera è anche per esso vincolante (Cass. Civ., n. 558/2001). Pertanto - come ha più tardi precisato sempre la Corte di Cassazione - il socio di una società di capitali ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria nei confronti della quale sia stato dichiarato lo stato d'insolvenza, non è legittimato a proporre regolamento di competenza avverso la decisione adottata, posto che il regolamento di competenza può essere proposto dagli stessi soggetti legittimati ad opporsi alla dichiarazione di fallimento ex art. 18 L.F. ed ai sensi dell'art. 9 D.L.vo 8 luglio 1999, n. 270, e che da tale novero è escluso colui che abbia chiesto il proprio fallimento (ed egualmente colui che ha chiesto l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria). In tal caso, infatti, il socio pur potendo ricoprire la posizione di creditore verso la stessa società non può essere considerato portatore di un autonomo interesse, poiché la delibera assembleare che esprimeva la volontà societaria di chiedere l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria ha efficacia vincolante per tutti i soci, a meno che lo stesso abbia proposto opposizione avverso tale delibera, manifestando in tal modo il proprio dissenso (Cass. Civ., I, 15 settembre 2006, 19923). In conclusione, dunque, appare corretto trarre dalle superiori considerazioni il seguente principio generale: il socio di una società di capitali che non abbia impugnato la delibera con cui l'assemblea ha deliberato di chiedere l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi non può proporre opposizione avverso la sentenza che abbia ammesso la società a tale procedura.
Normativa e giurisprudenza
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