Natura delle rimesse bancarie e azione revocatoria
26 Marzo 2021
Il versamento sul conto corrente scoperto ha sempre natura solutoria a meno che non sia intervenuta una specifica pattuizione di segno contrario che impedisca al credito di essere esigibile e alla rimessa di assumere la funzione di pagamento. Quali sono i riflessi in relazione all'azione revocatoria ex art. 67 c. 2 L.Fall.?
Caso pratico - Il Tribunale, ai sensi dell'art. 67, comma 2, L.F., dichiarava l'inefficacia delle rimesse solutorie affluite sul conto corrente intestato alla società in bonis. La sentenza veniva appellata e veniva riformata dalla Corte territoriale solo nella parte in cui la quantificazione delle somme veniva ridotta, seppur in maniera non considerevole, sulla base di un criterio temporale, oggetto di contestazione, di cui si dirà meglio infra.
Spiegazioni e conclusioni - Le deduzioni della Corte d'Appello: La Corteaveva ritenuto che il conto corrente aperto dalla società fosse affidato sino alla concorrenza della somma di €. 100.000,00; che la scientia decoctionis della banca risultava dimostrata, seppur in via presuntiva, solo in un determinato periodo di tempo; aveva rilevato che sino al mese di aprile del 2004 il conto era stato ben movimentato e solo dopo tale periodo erano comparse operazioni consistenti in accrediti e successivi addebiti per competenza (le c.d. partite bilanciate); dall'analisi dei bilanci aveva dedotto l'esistenza di una considerevole ricapitalizzazione che aveva ridotto l'esposizione debitoria ed una contrazione del fatturato relativo all'esercizio 2013 pari al 41 % rispetto a quello dell'anno precedente che, però, era divenuto effettivamente conoscibile ai terzi solo nel mese di settembre 2004, allorquando il bilancio veniva pubblicato, deducendo che le risultanze del ridetto, tenuto conto dei tempi relativi alla sua pubblicazione (circa 9 mesi dopo la chiusura dell'esercizio) non potevano assumere un peso specifico affidabile in relazione alla prova della conoscenza dello stato di insolvenza. Diverso ragionamento era stato impostato in relazione alle notizie apparse sui giornali locali e nazionali, facilmente conoscibili alla banca, circa lo stato di estrema difficoltà in cui versava la società. Parimenti dicasi per l'accesso alla centrale rischi, canale di informazioni privilegiato, che, nel periodo di competenza, certamente avrebbe rivelato lo stato di irreversibile crisi in cui versava la società. Il topos La Corte territoriale, infine, era approdata alla rideterminazione del quantum esaminando con particolare attenzione i versamenti imputabili alle “partite bilanciate” detraendoli da quelli che, fisiologicamente, assumevano una veste diversa. I primi erano stati definiti tali poiché ad un determinato versamento corrispondeva un immediato pagamento di pari importo emesso in favore di terzi e, di conseguenza, secondo un criterio basato sulla considerazione della concreta volontà delle parti, non potevano essere considerati come un pagamento avente carattere restitutorio in favore della banca. La qualificazione giuridica, quindi, privilegiava un criterio “maieutico” pur nella consapevolezza dell'inesistenza di pattuizioni contrattuali specifiche. Il ricorso in Cassazione La società in liquidazione ed amministrazione straordinaria impugnava la sentenza della Corte d'appello sulla base di tre motivi. Il primo motivo riguardava la presunta mancata considerazione di una parte del quadro indiziario sulla base del quale doveva essere dedotto l'elemento soggettivo dell'azione: la Corte territoriale non avrebbe prestato la dovuta attenzione ad alcuni fatti “noti” come lo stato di crisi dell'intero comparto industriale europeo ed il continuo susseguirsi di notizie sugli organi di stampa che riferivano dell'aggravamento del predetto che culminava con la chiusura di due stabilimenti negli anni immediatamente antecedenti al periodo oggetto di scrutinio. Il secondo motivo riguardava l'omessa pronuncia su un motivo di appello che riguardava la contestazione dell'esistenza di una apertura di credito sul conto corrente ove erano confluite le rimesse oggetto di revocatoria. Con il terzo motivo la ricorrente si doleva del fatto che la Corte territoriale aveva ritenuto detraibili dall'ammontare dei versamenti solutori quelli relativi alle operazioni bilanciate sulla base della sola prossimità cronologica (“criterio temporale”) tra gli accrediti ed i relativi addebiti. Il tutto nonostante la banca non avesse prodotto alcuna prova tale da far ritenere che gli accordi con la cliente prevedevano la possibilità di effettuare determinati versamenti al solo scopo di fornire una provvista per i successivi pagamenti. Le risposte della Corte di cassazione Il primo motivo è stato ritenuto inammissibile. La Corte ha riqualificato la doglianza, rispetto a quella indicata dal ricorrente, poiché, sulla base delle deduzioni ivi riportate, ha ritenuto che la stessa, più che all'errata interpretazione od applicazione delle norme, faceva riferimento ad un mero vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo di gravame con il quale era stato contestato l'accertamento del Tribunale secondo cui la scientia decoctionis della banca doveva essere circoscritta solo a partire dal 1° maggio 2004. Sulla base di questo presupposto, e tenuto conto che l'atto di citazione in appello era stato notificato 17 giugno 2013, ha concluso per l'inammissibilità in ragione del fatto che, ai sensi dell'art. 348 ter, comma 5, c.p.c., nei casi in cui la Sentenza d'Appello sia confermativa di quella di primo grado, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi indicati ai nn. 1, 2, 3, 4 dell'art. 360, 1° comma c.p.c.. Il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte territoriale ha respinto ha respinto il motivo d'appello riguardante la mancanza della prova dell'affidamento attraverso il richiamo delle argomentazioni espresse dal Tribunale secondo le quali il conto doveva ritenersi affidato perché la Banca accedeva alle informazioni attraverso la centrale rischi e perché dalla stessa segnalazione aveva fatto discendere importanti conseguenze ai fini della prova della scientia decoctionis . Sul punto, quasi con rammarico, la Corte conclude riferendo che sarebbe stato diverso se la doglianza avesse riguardato la conformità della prova fornita in materia di affidamento ai principi espressi a riguardo dalla Corte stessa. La Cassazione ha confermato un orientamento rigoristico che pone in risalto la necessità di avere rapporti ben definiti tra banche e clienti. Per poter escludere la natura solutoria delle rimesse bancarie effettuate su un conto scoperto è necessario che la questione sia chiaramente definita per iscritto affinché le rimesse connesse ad operazioni bilanciate possano essere considerate come provvista per una speculare operazione a debito e non, invece, come rientro di una esposizione debitoria nei confronti della banca . La Corte, quindi, non ha ritenuto corretto il criterio della “prossimità temporale” tra il versamento ed il successivo prelievo adottato dalla Corte d'appello e, invece, ha posto l'accento sulla necessità che la causa specifica del versamento sia oggetto di preventiva pattuizione affinché lo stesso possa essere correttamente inquadrato nella categoria voluta dalle parti. La prova dell'esistenza della pattuizione, conclude la Cassazione, deve essere fornita dalla banca e può essere desunta anche per facta concludentia purché nella specularità delle operazioni sia rinvenibile uno stretto collegamento funzionale.
Normativa e giurisprudenza
Per approfondire V. P. Bosticco, Azione revocatoria fallimentare, in ilfallimentarista, 21 maggio 2020. |