Il criterio della c.d. prevalenza quantitativa tra concordato in continuità e liquidatorio

07 Aprile 2021

Per la distinzione tra concordato in continuità aziendale e liquidatorio, occorre applicare il criterio della c.d. prevalenza quantitativa, accertando se la maggior parte delle risorse da distribuire ai creditori provenga dalla prosecuzione dell'attività aziendale o dalle attività liquidatorie?

Per la distinzione tra concordato in continuità aziendale e liquidatorio, occorre applicare il criterio della c.d. prevalenza quantitativa, accertando se la maggior parte delle risorse da distribuire ai creditori provenga dalla prosecuzione dell'attività aziendale o dalle attività liquidatorie?

Caso pratico - Una società presentava una proposta di concordato preventivo, qualificata come in continuità ex art. 186-bis L.F., che prevedeva sia la cessione di un ramo d'azienda in esercizio, sia la liquidazione di una rilevante parte del patrimonio societario (segnatamente un immobile e una partecipazione), nonché l'incasso dei crediti.

La proposta, in particolare, si prefiggeva un soddisfacimento dei crediti chirografari, ivi inclusi i privilegiati previdenziali ed erariali (questi ultimi di importo molto rilevante, pari a circa 60 milioni di Euro) degradati al chirografo per incapienza, in misura pari allo 0,38%.

Il Tribunale di Monza ha dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 162 L.F. la proposta del debitore – di cui ha dichiarato il fallimento con separata sentenza – evidenziando, tra i plurimi profili, anche quello relativo alla violazione dell'art. 160, comma 4, L.F. (che, come noto, impone, nel concordato liquidatorio, il soddisfacimento del ceto chirografario in misura pari ad almeno il 20%), ritenendo che il concordato proposto doveva qualificarsi, in applicazione del criterio della c.d. prevalenza quantitativa, come liquidatorio e non in continuità.

Come anticipato, il Tribunale di Monza, nel dichiarare inammissibile la proposta concordataria, ha confermato il proprio orientamento relativo all'applicazione del criterio della c.d. prevalenza quantitativa in materia di c.d. concordato misto (vale a dire con componente sia di continuità che liquidatoria), illustrando compiutamente le ragioni in forza delle quali ha ritenuto di discostarsi dal principio di diritto, di segno opposto, recentemente affermato dalla Suprema Corte.

Spiegazioni e conclusioni - La questione giuridica affrontata dal Tribunale di Monza riguarda il c.d. concordato misto, termine utilizzato, sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito, per individuare un concordato di contenuto complesso, il cui piano preveda, oltre alla continuazione (anche parziale) dell'attività di impresa, anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio della stessa.

Come peraltro ricordato nel provvedimento del Tribunale monzese, al fine di dirimere i contrastanti orientamenti formatisi nella giurisprudenza di merito nel corso del tempo circa il criterio da seguire ai fini della disciplina da applicare al concordato misto, la Suprema Corte, con l'ordinanza n. 734 del 15.01.2020, ha espresso i seguenti principi di diritto:

  • il concordato tradizionalmente definito come misto è, nelle intenzioni del legislatore, un concordato in continuità aziendale che prevede la dismissione di beni. Infatti, la compresenza nel piano di attività liquidatorie che si accompagnino alla prosecuzione dell'attività aziendale è

espressamente contemplata dal legislatorenella disciplina, speciale e derogatoria dei criteri generali, relativa al concordato in continuitàdi cui all'art. 186 bis, comma 1, L.F. (a mente del quale il piano in continuità “può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa”);

  • l'art. 186 bis L.F. non evoca alcun rapporto di prevalenza di una parte dei beni (quelli funzionali alla continuità) rispetto all'altra destinata alla liquidazione, bensì un criterio qualitativo (e, dunque, non quantitativo) che impone un'indagine circa la funzionalità di una porzione dei beni (quella non destinata alla liquidazione) alla continuazione, totale o parziale, dell'attività aziendale;
  • l'enunciato criterio della funzionalità dei beni non destinati alla liquidazione rispetto alla continuità aziendale trova il suo limite nella manifesta dannosità per i creditori: prescindendosi, dunque, da un'analisi di prevalenza quantitativa, la porzione di continuità aziendale prevista dal piano deve, tuttavia, essere funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori rispetto all'ipotesi liquidatoria. Tanto è vero che l'art. 186 bis, comma 2, lett. b), L.F. espressamente prevede che la relazione del professionista di cui all'art. 161, comma 3, L.F. “deve attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”.

Ebbene, nel provvedimento in commento, il Tribunale di Monza, pur dando atto della sopra ricordata giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha ritenuto, in continuità con l'indirizzo seguito sinora, che, per distinguere il concordato in continuità aziendale da quello liquidatorio (nei casi di concordato c.d. misto) occorre applicare il criterio della c.d. prevalenza quantitativa, ovvero verificare se la maggior parte delle risorse da distribuire in favore dei creditori provenga dalle attività aziendali in prosecuzione o dalle attività liquidatorie.

Tale conclusione si fonda sulle seguenti considerazioni:

  • l'ordinanza della Suprema Corte sopra ricordata lascerebbe al Tribunale, in sede di ammissione al concordato, un'eccessiva discrezionalità, lasciando margini di elevata incertezza applicativa, con il conseguente concreto rischio di scarsa prevedibilità delle decisioni;
  • l'art. 186 bis L.F. non imporrebbe il criterio c.d. qualitativo ritenuto applicabile dalla Suprema Corte e non escluderebbe, al contempo, l'applicazione di un criterio meramente quantitativo. In altri termini, l'art 186 bis L.F. si limiterebbe a rendere possibile la coesistenza nel piano di previsioni liquidatorie e previsioni di continuazione dell'attività imprenditoriale, lasciando comunque libertà al Tribunale di individuare in che misura la descritta coesistenza possa portare ad una diversa qualificazione del concordato;
  • l'art. 84, comma 3, primo periodo, CCI prevede espressamente che “nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”, costituendo una valida indicazione, seppur in ottica esegetica, dell'adozione, da parte del legislatore, del criterio della c.d. prevalenza quantitativa.

Per i motivi sopra esposti, il Tribunale di Monza, constatato che le risorse economiche destinate al soddisfacimento dei creditori nella proposta del debitore derivavano in netta prevalenza da attività di liquidazione (e non dalla prosecuzione dell'attività tipica), ha qualificato il concordato proposto come liquidatorio, dichiarandolo inammissibile per mancata assicurazione ai creditori chirografari di una percentuale di soddisfacimento pari ad almeno il 20%. Quella in commento rappresenta certamente una decisione destinata a ravviare nuovamente l'articolato dibattito in tema di concordato c.d. misto.

Si segnala, da ultimo, che, come anticipato, il Tribunale ha evidenziato ulteriori profili di inammissibilità della proposta concordataria in esame, precisando, tra l'altro, che la stessa, anche qualora fosse stata qualificata come in continuità, sarebbe stata comunque caratterizzata dalla mancanza di causa concreta, in ragione della percentuale prossima allo zero offerta ai creditori chirografari (0,38%).

Normativa e giurisprudenza

  • Art. 160 L. F.
  • Art. 186 bis L. F.
  • Cass. 15 gennaio 2020, n.734

Per approfondire

V. S. Sisia, C'era il c.d. "concordato misto" (commento a Cass. n. 734/2020), in ilfallimentarista.it, 4 maggio 2020

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