La giurisdizione del giudice italiano in caso di attività negoziale di società con sede all'estero
10 Settembre 2021
La semplice attività negoziale svolta in Italia da un'impresa che abbia all'estero il centro principale dei propri interessi è sufficiente a radicare la competenza del giudice italiano?
Caso pratico - Una S.r.l. con sede a Milano propone istanza di fallimento presso il Tribunale del capoluogo lombardo nei confronti di una società con sede in Belgio sulla base della mancata osservanza, da parte di quest'ultima, delle condizioni di un contratto a prestazioni corrispettive concluso in Italia. La società belga si difende eccependo l'incompetenza del Tribunale italiano e proponendo istanza di regolamento di giurisdizione. Tra i motivi addotti viene eccepita la circostanza di avere in Belgio non solo la propria sede legale ma anche il centro degli interessi principali, di non avere alcuna sede secondaria in Italia e che l'attività negoziale intrapresa con la S.r.l. istante era l'unica mai svolta nel nostro territorio. Si pone il problema di stabilire se possa essere dichiarata fallita in Italia una società straniera (europea) che abbia svolto attività commerciale in Italia ma che non abbia nel nostro Paese il centro degli interessi principali.
Spiegazioni e conclusioni - Secondo la legge fallimentare, le imprese che abbiano la loro sede principale fuori dall'Italia possono essere dichiarate fallite nel nostro territorio se ivi esercitano attività commerciale attraverso una sede secondaria o una rappresentanza stabile. Ai sensi dell'art. 9 L.F., l'imprenditore che ha all'estero la sede principale dell'impresa, può essere dichiarato fallito nella Repubblica italiana anche se è stata pronunciata dichiarazione di fallimento all'estero. Sono naturalmente ammessi sia i creditori nazionali che quelli stranieri. Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza ricalca sostanzialmente quanto dettato dalla legge fallimentare del 1942. L'art. 26 CCI prevede che l'imprenditore che ha all'estero il centro degli interessi principali, può essere assoggettato ad una procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza nella Repubblica italiana anche se è stata aperta analoga procedura all'estero, quando ha una dipendenza in Italia. Sono fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell'Unione europea, così come avviene anche oggi sotto la vigenza della legge fallimentare. Secondo la giurisprudenza di legittimità sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore, presumendosi per le società e le persone giuridiche che il centro degli interessi sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria (Cass. civ., Un., 28 gennaio 2005, n. 1734). Nel caso che ci occupa il debitore ha all'estero sia la sede principale dell'impresa che il centro principale dei propri interessi. Non ha mai svolto attività negoziale nel nostro Paese se non il contratto che non è stato in grado di rispettare; non ha, inoltre, alcuna sede secondaria nel nostro territorio. E, secondo l'orientamento delle Sezioni Unite, non si può ritenere sussistente la giurisdizione del giudice italiano se l'impresa ha svolto una semplice attività negoziale come la conclusione di un contratto, trattandosi di un elemento che può solo giustificare l'apertura di una procedura secondaria nei confronti di un debitore che ha il centro degli interessi principali all'interno di uno Stato Ue (Cass. Civ., Sez. Un., 28 gennaio 2005, n. 1734). In conclusione, una semplice attività negoziale svolta in Italia da un'impresa che abbia all'estero il centro principale dei propri interessi non è sufficiente a radicare la competenza del giudice italiano. Opportunamente, dunque, la società belga ha proposto istanza di regolamento di giurisdizione.
Normativa e giurisprudenza
Per approfondire B. Armeli, Giurisdizione e competenza (bussola), in ilfallimentarista.it. |