La stabilità dei riparti nel concordato preventivo
23 Novembre 2021
La regola della stabilità dei riparti di cui all'art. 140, comma 3, L.F., valevole per il concordato fallimentare, trova applicazione anche nel concordato preventivo?
Caso pratico - Una società domandava al Tribunale di Livorno l'apertura di una procedura di concordato preventivo, il quale, successivamente al voto favorevole dei creditori, veniva omologato. Nell'ambito della fase esecutiva della procedura concordataria venivano effettuati riparti parziali, che assicuravano la soddisfazione di alcuni creditori concorsuali, tra i quali vi era il Ministero delle Finanze (in ragione di un ingente credito per imposta sul valore aggiunto). Tuttavia, in un successivo momento, il concordato preventivo veniva risolto per inadempimento ex art. 186 L.F. e la debitrice veniva dichiarata fallita. Il curatore fallimentare, esaminate le attività compiute in sede concordataria e verificati i creditori insinuati al passivo del fallimento, decideva di assumere iniziative finalizzate al recupero di liquidità da destinare alla massa. Precisamente, veniva avviato un procedimento ai sensi dell'art. 44 L.F. per la declaratoria di inefficacia del pagamento effettuato in sede di riparto parziale nell'ambito del concordato. Il giudice di prime cure, dopo aver esperito una consulenza tecnica d'ufficio, finalizzata a verificare se in sede fallimentare fossero emersi diritti di credito, regolarmente ammessi al passivo, di grado poziore rispetto al credito del Ministero (il cui soddisfacimento aveva dato origine alla pretesa della curatela), aveva respinto la domanda proposta dal fallimento, in ragione dell'assenza di prova in ordine alla lesione dell'ordine delle cause legittime di prelazione, che secondo il giudicante avrebbe potuto essere accertata concretamente solo all'esito della liquidazione fallimentare. Il curatore impugnava la pronuncia dinanzi alla Corte d'appello di Firenze, che accoglieva l'appello ritenendo applicabile al concordato preventivo la norma prevista dall'art. 140 L.F., che definisce il principio della stabilità dei pagamenti effettuati nel corso della procedura minore purché non lesivi della par condicio creditorum. Il giudizio proseguiva dinanzi al giudice di legittimità, che cassava la sentenza di seconde cure e rinviava ad altra sezione della Corte d'appello che si era pronunciata sulla fattispecie. La Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 17 novembre 2020, nell'ambito del giudizio di rinvio, accoglieva la domanda del curatore, formulando alcune importanti precisazioni rispetto a quelle contenute nella sentenza cassata.
Spiegazioni e conclusioni - La Corte d'appello di Firenze, con la sentenza in commento, si sofferma sulla stabilità dei riparti effettuati in sede di concordato preventivo, materia che non è oggetto di espressa regolamentazione. Come noto, la legge fallimentare disciplina solamente l'irrevocabilità dei pagamenti effettuati in esecuzione della proposta di concordato fallimentare. Precisamente, l'art. 140, comma 3, L.F. stabilisce che «i creditori anteriori [alla procedura] conservano le garanzie per le somme tuttora ad essi dovute in base al concordato risolto o annullato e non sono tenuti a restituire quanto hanno già riscosso». Alla luce della lacuna normativa, l'interprete si è domandato se la disciplina del concordato fallimentare sia applicabile anche al concordato preventivo e, dunque, se anche i pagamenti eseguiti in esecuzione dei riparti effettuati nell'ambito di queste ultime procedure possono beneficiare di analogo trattamento. A tale quesito, la giurisprudenza di legittimità ha fornito riscontro positivo, precisando però che i pagamenti effettuati in seno al concordato preventivo possono essere oggetto di ripetizione nella successiva procedura fallimentare se abbiano violato il principio della par condicio creditorum (Cass. 13 giugno 2018, n. 15495). Tale precisazione trova giustificazione nel fatto che nel concordato preventivo manca una fase di verifica del passivo e, di conseguenza, sussiste astrattamente il rischio che vi siano creditori esclusi dalla procedura. Ebbene, tale rischio, con ogni evidenza, non può restare a carico solo di alcuni creditori (quelli pregiudicati dai pagamenti effettuati in violazione della par condicio) «ma va equamente ripartito tra tutto il ceto creditorio, secondo il meccanismo della ripetizione». Dunque, nel caso in cui un creditore di grado anteriore non sia stato contemplato nel passivo del concordato e abbia subito pregiudizio da un pagamento effettuato in sede di riparto concordatario (perché destinato a crediti di rango inferiore), il pagamento dovrà essere dichiarato inefficace nel conseguente fallimento. La Corte d'appello di Firenze, peraltro, ha precisato che «la verifica della lesione in concreto della par condicio non può cristallizzarsi alla fase concordataria ed essere ravvisata solo se avvenuta all'interno della fase stessa (…) e al rispetto formale a quel momento dell'ordine delle garanzie e dei privilegi, ma deve tener conto delle sopravvenienze della fase fallimentare senza tuttavia doversi attendere l'esito e l'epilogo della suddetta procedura che si chiude con l'approvazione del progetto finale di riparto». Normativa Art. 44 L.F.; Art. 140 L.F., Art. 186 L.F. |