Il vaglio di merito del G.D. nelle procedure concorsuali minori liquidatorie. Elementi di inammissibilità e diniego di omologa
22 Ottobre 2021
Per “la insussistenza della convenienza economica” e “non apprezzabile soddisfazione del ceto creditorio proposto", può essere dichiarata l'inammissibilità all'accesso della procedura di liquidazione ex art. 14 ter L. 3/2012?
Caso pratico - Ancorché i ricorrenti destinatari dei provvedimenti analizzandi siano due soggetti distinti, ben potendo assimilare i piani di liquidazione ex art. 14 ter L. 3/2012 sia da un punto di vista oggettivo che soggettivo, l'analisi dei casi, per brevità ed opportunità, sarà svolta come un unicum, evidenziando i tratti salienti, differenti e comuni che hanno condotto il Giudicante a dichiarare la inammissibilità dei ricorsi. I piani, presentati da imprenditori soggetti non fallibili per mancanza dei requisiti di cui all'art. 1 L.F., formalmente esclusi dal piano del consumatore ex artt. 7 ss L. 3/2012, adivano il Tribunale di Grosseto formulando una liquidazione del patrimonio ex art. 14 ter . Per sommi capi, i piani si articolavano nella erogazione periodica per un certo arco temporale (durata del piano) di una somma consistente in un pro quota, dello stipendio in un caso, e del quantum incassando dallo svolgimento dell'attività imprenditoriale nell'altro (ditta individuale - partita iva attiva). L'importo, vagliato in entrambi i casi dal rispettivo Gestore della Crisi, “destinando ed erogando deriva dal differenziale minimo tra quanto necessario al sostentamento e la cifra minima nei limiti di 1/5 ovvero superiore del valore di sopravvivenza per come delineato dall'ISTAT” per nuclei familiari analoghi secondo le risultanze dell'ultima annualità disponibile (2020). Entrambi i piani, giusta assenza ovvero non convenienza, non prevedevano la liquidazione di beni mobili ovvero immobili, sostanziandosi, dunque, esclusivamente in un piano liquidatorio di credito o somma futura. Tale previsione è, comunque, conforme alla L. 3/2012, in quanto non v'è dubbio che anche il denaro sia da considerarsi “patrimonio” ai fini della procedura di liquidazione ex art. 14 ter (si veda tra le tante, Trib. Pordenone 14 marzo 2019, Trib. Milano 16 novembre 2017) tanto che nella prassi si stanno sempre più frequentemente sviluppando procedure di liquidazione del patrimonio basate, come i casi di specie, esclusivamente su redditi futuri. Dal programma di cui ai piani emergeva, comunque, una ragionevole prospettiva di pagamento della pletora creditoria. Questa cifra, in ambedue i piani, avrebbe coperto integralmente i costi della procedura (prededucibili) e parte dei crediti privilegiati. In ogni caso, gli istanti manifestavano l'intenzione di destinare alla procedura eventuale finanza esterna sopravvenuta, al fine di colmare una eventuale differenza che si fosse venuta a creare, durante il programma liquidatorio, tra la somma ottenuta dalla liquidazione ed il debito complessivo, in modo da garantire una soddisfazione migliore dei debiti. Posto che la valutazione circa il grado di soddisfazione dei creditori assume rilievo piuttosto nel futuro procedimento di esdebitazione ex art. 14 terdecies L. n. 3/2012 e non nella procedura prescelta in sé, vale la pena, in ogni caso, evidenziare come tale scelta sia conforme al disposto di cui agli artt. 12 e per analogia art. 14 undecies, che prevede l' inclusione nella liquidazione di “beni e crediti sopravvenuti”. Inoltre, circa la ammissibilità da un punto di vista temporale, entrambi i piani, rispettivamente di 60 e 72 mesi, rispettavano la disposizione di cui all'art. 14 quinquies comma 4 e art. 14 novies comma 5 che statuisce una durata minima di quattro anni. Onde concludere la sintesi, nella forma e nel merito, dei piano depositati, appare opportuno riportare quanto statuito sommariamente dai rispettivi Gestori della Crisi. In particolare, ambedue i professionisti nominati concludevano nel senso di evidenziare la ragionevole fattibilità, la fondata attendibilità e l'idoneità dei piani, in quanto apparentemente attendibili, sostenibili e coerenti perché conformi alla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dei ricorrenti e fondati su ipotesi realistiche, prevedendo risultati ragionevolmente conseguibili.
Spiegazioni e conclusioni - Con la emissione del dei due decreti richiamati in premessa, il Giudice Delegato motivava la inammissibilità dei piani di liquidazione per ragioni simili, ma non identiche. In particolare, con il provvedimento di cui alla causa 198/2021, il Giudicante sollevava dubbi in ordine alla ammissibilità della proposta in quanto “deve ritenersi che quando il reddito futuro destinabile ai creditori è minimo e la procedura consente, in ottica prognostica, di soddisfare, oltre alle spese prededucibili, i creditori concorsuali in una misura complessiva pressoché irrisoria, la stessa deve ritenersi priva di causa in concreto. [...] talché la somma residua da destinare al ceto creditorio [...] corrispondenti al 6% circa del debito residuo complessivo), è da considerarsi del tutto irrisoria anche alla luce delle capacità reddituali future della ricorrente [...] le cui prospettive lavorative devono considerarsi di durata ben superiore alla durata del piano.” In ordine, invece al procedimento 534/2021, il Giudicante eccepiva la inammissibilità, in quanto, “la proposta di liquidazione del patrimonio (con la condivide la natura concorsuale), pur non avendo un contenuto fisso e predeterminabile, deve comunque rilevarsi idonea -ex ante- ad assicurare il soddisfacimento, seppur parziale, ma comunque non meramente simbolico od irrisorio dei creditori, in ciò consistendo il vaglio sulla cosiddetta fattibilità giuridica che il Tribunale è chiamato a svolgere in sede di ammissione della proposta concordataria ed applicabile, considerata la eadem ratio, anche alla presente procedura concorsuale minore. In sostanza, dunque, deve ritenersi che quando il reddito futuro destinabile ai creditori è minimo e la procedura consente, in ottica prognostica, di soddisfare a malapena le sole spese prededucibili, la stessa deve essere ritenuta priva di causa concreta. [...] La percentuale residua [...] destinata al ceto creditorio è da considerarsi del tutto irrisoria.” Ad avviso di chi scrive, i provvedimenti costituiscono un primus inter pares ed un'importante inibizione nella successiva pianificazione per analoghe procedure allorquando gli istanti dovessero congiuntamente o disgiuntamente, trovarsi nella condizione di avere contratto, pur senza colpa, debiti tali, quantitativamente, da non garantire, secondo il Giudicante, un apprezzabile valore economico di soddisfazione e dall'altra un piano consono alle aspettative lavorative. Sul primo aspetto, appare opportuno osservare quanto segue. Ancorché gli scriventi siano consci delle analogie prescritte nella L. 3/2012 onde adattare, allorquando possibile, tale norma al R.D. 267/1942, viene da chiedersi, alla luce della recentissima norma introdotta dalla L. 176/2020 in tema del debitore incapiente e successiva esdebitazione dello stesso, quale sia la strada da seguire per un soggetto, chiaramente in stato di disagio economico, ma non incapiente, privo di assets da liquidare, ma sorretto dalle proprie forze (p.iva) ovvero per mezzo di uno stipendio da lavoro dipendente. Se, dunque, la strada della liquidazione del patrimonio futuro, rectius reddito comunque inteso, rimane preclusa quasi in rito, non sembra essere esperibile alcuna procedura che possa piegare inaudita altera parte i creditori ad un piano unilaterale che, secondo i pratici della materia, sostanziava la ratio della concorsualità e del favor concesso. A fronte, dunque, di creditori ostili, riottosi ovvero inerti, e di una soddisfazione, giudicata non apprezzabile, finanche pro quota, al debitore rimane, per assurdo, l'alternativa di prodigarsi al fine di volontariamente giungere alla situazione del soggetto incapiente, peraltro, ad avviso di chi scrive, andando contra legem o, comunque, altro da sé rispetto al di questi esprit de loi, onde addivenire ad una rapida esdebitazione, quasi coartata, ovvero, in seconda ipotesi, di rimanere con la scure e la spada di damocle dell'esecuzione individuale potenziale, con la consapevolezza di non essere in grado civilisticamente di soddisfare in alcun modo la pletora creditoria. Tale duplice scenario non appare essere, riprendendo la lettura conforme delle numerose prebende normative accordate al debitore civile nell'ultimo anno, la propaggine dei desiderata del Legislatore. Il secondo profilo, strettamente inerente alla supposta ed asserita vita lavorativa dell'istante, circa cui il Giudicante riteneva di esprimersi nel senso di statuire che “la somma residua da destinare al ceto creditorio [...], corrispondenti al 6% circa del debito residuo complessivo, è da considerarsi del tutto irrisoria anche alla luce delle capacità reddituali future della ricorrente, che è titolare di un rapporto di lavoro subordinato e le cui prospettive lavorative devono considerarsi di durata ben superiore alla durata del piano (prevista in soli sei anni) considerata l'età relativamente giovane della stessa (nata nell'anno 1972)”, appare ancor più severa e penalizzante rispetto alla prima motivazione suesposta. Infatti, ponendo alla mente il generale orientamento maggioritario inerente alla massima durata delle procedure concorsuali secondo cui, negando la ammissibilità di piani nei casi di termini di pagamento di 8 anni (Tribunale Pistoia, decreto 28.2.2014), di 12 anni (Tribunale di Ravenna, decreto 10.3.2017), di 15 anni (Tribunale di Monza, decreto 2.4. 2014), di 40 anni (Tribunale di Pisa, decreto 05.7.2017)., numero Corti si sono determinati ad ammettere le procedure ponendo un tempo massimo di ora 3 ora 5 anni (Tribunale di Rovigo, 13.12.2016; Tribunale di Milano, 27.11.16) ora 7 anni, prendendo a parametro di riferimento le indicazioni della Cassazione (n. 8468/2012) o dall'art. 2, comma 2 bis, L. 89/2001 (Legge Pinto) che garantisce una ragionevole durata del procedimento quantificandola in misura massima di sei anni per le procedura concorsuali. Peraltro, volendo dare uno sguardo alle recenti pronunce di omologa presso il Tribunale adito, non si ravvisano estensioni temporali superiori ad anni 7 (per tutti Trib. Grosseto VG 465/2020 e Trib. Grosseto VG 1389/2020). Circa il profilo di inammissibilità enunciato, emergono due aspetti estremamente rilevanti. Se, dunque, il profilo di inammissibilità verte esclusivamente ovvero in maggior parte nella asserita età lavorativa residuale concessa, appare opportuno domandarsi quale sia la soluzione concessa ai soggetti sovraindebitati, privi di assets da liquidare dal valore economico apprezzabile, di analoga età, ovvero finanche inferiore. Giusta determinazione maggioritaria delle Corti nel senso di non concedere un arco temporale superiore ad anni 7, non sembra esperibile alcun rimedio concorsuale ai sensi della L. 3/2012 per i soggetti sovraindebitati che intendessero porvi soluzione mediante il solo flusso di redditi futuri, finanche certi o, comunque, ragionevolmente tali. Diversamente, allorquando la criticità fosse stata la percentuale di soddisfazione statuita, ad avviso di chi scrive, forse, sarebbe stato opportuno esperire le modalità previste, per analogia dall'art. 9, comma 3 ter, L. 3/2012, onde assegnare a parte ricorrente termine per apportare integrazioni alla proposta o produrre nuovi documenti al fine di ovviare all'esito di inammissibilità (vedi per tutti Trib. Livorno 1.03.2021, decr.). Peraltro, nello spirito della legge, appare quantomeno severa una pronuncia di inammissibilità de plano, ricorribile esclusivamente mediante reclamo ex art. 737 ss. c.p.c. entro i dieci giorni successivi alla comunicazione, sacrificando, sull'altare, la tutela dei soggetti deboli. In sintesi, posto che sia assolutamente fuori di dubbio che il G.D. possa legittimamente operare un vaglio di merito, in analogia con quanto statuito dalle prescrizioni concordatarie, viene da chiedersi quale sia il reale ambito applicativo delle eccezioni sollevande d'ufficio allorquando il gestore della crisi facente funzioni, che dovrebbe essere la naturale sostanziazione delle veci e volontà del G.D., abbia ritualmente, positivamente e correttamente asseverato la relazione particolareggiata ex art. 9 L. 3/2012. La pronuncia di inammissibilità, ancorché legittimamente statuita, oltre a spogliare di valore l'operato del professionista nominato, esautorato delle funzioni che sarebbero a questi attribuite, risulta, qualora non anticipata da una concessione di un termine per delle eventuali integrazioni ritenute ex post necessarie ex art. 15, un atto, forse, oltremodo punitivo per il soggetto sovraindebitato.
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