PMI, “impresa collegata”, cumulo dei dati: condizioni e portata applicativa al vaglio della giustizia amministrativa

28 Ottobre 2021

In materia di PMI e cumulo dei dati con impresa “collegata”, l'esclusivo riferimento contenuto nel Regolamento 651/2014/UE alla detenzione della maggioranza dei diritti di voto richiesto per dar luogo ad un fenomeno di “collegamento” delle imprese non può essere interpretato in modo da ricomprendervi anche i casi di mera titolarità della maggioranza assoluta delle quote sociali, allorquando la stessa non risulti accompagnata dal contestuale esercizio della maggioranza dei voti assembleari.

Il caso. In sintesi, la vicenda trae origine dall'impugnazione, da parte di una Piccola Media Impresa (“PMI”), del provvedimento di decadenza dal contributo pubblico assegnato ai sensi del bando “Contributi alle Micro, Piccole e Medie Imprese (MPMI) per il sostegno al trasferimento tecnologico nei settori agricolo, agroalimentare e della bioeconomia in Lombardia”.

Più nel dettaglio, alla ricorrente veniva contestato il fatto di non essere in possesso di quelle caratteristiche minime per potersi qualificare “micro, piccola o media impresa” – ai sensi dell'Allegato I al Regolamento 651/2014/UE della Commissione europea – con particolare riguardo al superamento delle soglie relative sia al fatturato annuo che al totale di bilancio; ciò in quanto qualificata dall'Autorità competente come “impresa collegata” (ai sensi del Regolamento UE citato) ad altra società a responsabilità limitata (di cui la ricorrente deteneva il 55% delle quote sociali).

Breve inquadramento normativo. Il TAR, ai fini della risoluzione della controversia in esame, ha preliminarmente ricostruito la normativa applicabile al caso de quo.

In particolare, il dato normativo di riferimento è rappresentato dall'art. 3 del citatoRegolamento 651/2014/UE europeo che definisce le nozioni di “impresa autonoma” e di imprese “associate” e “collegate”.

Più nel dettaglio, il rilievo della qualificazione di “collegata” piuttosto che di “associata” è rappresentato dalla circostanza che, nel primo caso, i dati dell'impresa “collegata” – ai sensi dell'art. 3, par. 3, lett. a), delRegolamento n. 651/2014 definita quale “impresa che detiene la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di un'altra impresa” – si sommano per intero a quelli dell'impresa di riferimento, a prescindere dalla percentuale di partecipazione in essa detenuta (“si aggiunge il 100 % dei dati relativi alle eventuali imprese direttamente o indirettamente collegate all'impresa in questione”: art. 6, par. 2, comma 3, dell'Allegato I del Regolamento UE n. 651/2014); mentre nel caso di impresa “associata”, si devono aggiungere soltanto i dati in proporzione alla partecipazione posseduta dall'impresa di riferimento (“l'aggregazione è effettuata in proporzione alla percentuale di partecipazione al capitale o alla percentuale di diritti di voto detenuti”: art. 6, par. 2, comma 2, dell'Allegato I del Regolamento UE n. 651/2014).

In tale ultimo frangente, non si devono poi computare e aggregare i dati relativi alle imprese associate all'impresa “associata”, mentre nel caso di impresa “collegata” si dovrà procedere a sommare per intero anche i dati delle imprese a loro volta collegate o, in proporzione, associate a quest'ultima (art. 6, parr. 2 e 3, dell'Allegato I del Regolamento U.E. n. 651/2014).

Considerazioni in fatto. I giudici amministrativi, nell'accogliere il ricorso, hanno evidenziato come la fattispecie concreta esaminata – pur possedendo la ricorrente il 55% delle quote sociali di altra impresa – “non può essere ricondotta nel perimetro delle ‘imprese collegate'” in quanto, nei fatti, “benché essa – la ricorrente – risulti in possesso del 55% del capitale sociale [di altra società a responsabilità limitata], non detiene la maggioranza dei diritti di voto in quanto il quorum (costitutivo e deliberativo) previsto dallo Statuto di quest'ultima per le delibere assembleari come per le decisioni dei soci assunte in altro modo è del 71%”. Ed infatti, ai sensi del ridetto Statuto, “l'Assemblea è, sempre e comunque, regolarmente costituita e delibera col voto favorevole di tanti soci che rappresentino almeno il 71% del capitale sociale”.

Alla luce di tale circostanza, il TAR milanese ha evidenziato come la ricorrente – pur detenendo la maggioranza assoluta delle quote sociali di altra società (pari al 55%) – non possiede, de facto, la maggioranza dei diritti di voto in assemblea, non potendosi, dunque, ritenere configurato il presupposto applicativo di cui al citato art. 3, par. 3, lett. a, del Regolamento europeo. Difatti, specifica il giudice amministrativo, la richiamata previsione non si riferisce soltanto al possesso della maggioranza delle quote sociali, ma richiede “la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci”, con la conseguenza che deve essere positivamente verificata la possibilità di esercizio del potere di controllo nell'impresa collegata attraverso lo strumento della titolarità della maggioranza assoluta del voto assembleare. Interpretazione, peraltro, avallata dallo stesso Allegato I Regolamento UE, laddove nel definire le “imprese associate” (art. 3, par. 2, comma 1) richiama il possesso di “almeno il 25 % del capitale o dei diritti di voto di un'altra impresa”, ossia pone sullo stesso piano il possesso di una (equivalente) quota del capitale o dei diritti di voto, non distinguendo tra le due situazioni.

Diversamente, nella vicenda oggetto di scrutinio, l'esclusivo riferimento contenuto nel Regolamento europeo alla detenzione della maggioranza dei diritti di voto richiesto per dar luogo ad un fenomeno di “collegamento” delle imprese non può essere interpretato in modo da ricomprendervi anche i casi di mera titolarità della maggioranza assoluta delle quote sociali, “allorquando la stessa non risulti accompagnata dal contestuale esercizio della maggioranza dei voti assembleari (e rafforzata pure da un elevato quorum costitutivo)”.

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