Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 2 - (Competenze legislative di Stato, regioni e province autonome) 1

Mariano Protto

(Competenze legislative di Stato, regioni e province autonome)1

[1. Le disposizioni contenute nel presente codice sono adottate nell'esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile, nonché nelle altre materie cui è riconducibile lo specifico contratto.

2. Le Regioni a statuto ordinario esercitano le proprie funzioni nelle materie di competenza regionale ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione 2.

3. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione.]

[1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo.

Inquadramento

L'art. 2 del Codice definisce il riparto della competenza legislativa tra Stato, Regioni e Province autonome.

In particolare, il primo comma chiarisce espressamente che le disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici sono di esclusiva competenza statale in ordine alla tutela della concorrenza e dell'ordinamento civile, nonché nelle altre materie cui è riconducibile lo specifico contratto, richiamando espressamente, al comma 2 la competenza delle Regioni nelle materie loro attribuite.

Peraltro, il richiamo alla competenza esclusiva dello Stato nella materia della concorrenza si è appalesata subito inidonea a dirimere ogni questione legata al riparto di competenza in una materia, quella appunto degli appalti pubblici, che ha una ineliminabile natura trasversale e, pertanto, non inquadrabile in modo aprioristico (R. De Nictolis, 5).

Prima della riforma del 2001, il previgente testo dell'art. 117 Cost. aveva previsto che «lavori pubblici di interesse regionale», quale materia di competenza concorrente fra Stato e Regioni.

Per cui le Regioni potevano adottare discipline di dettaglio, nel rispetto dei principi stabiliti dalla legge statale. Ci si chiese, quindi, se il criterio di individuazione dell'interesse regionale avesse carattere soggettivo o oggettivo.

Secondo un primo orientamento, di tipo soggettivo, per lavori di interesse regionale si intendevano quelli con committenza, finanziamento o destinazione regionale o infraregionale.

Secondo una diversa interpretazione, avente carattere oggettivo, per lavori pubblici di interesse regionale di intendevano tutti quelli eseguiti nell'ambito della Regione. La legislazione regionale ha utilizzato in alcuni casi il criterio oggettivo e in altri il criterio misto (Caringella, Protto, 30).

Pertanto, poiché la materia dei lavori pubblici di interesse regionale rientrava fra quelle rimesse alla competenza di Stato e Regioni, ai sensi della vecchia formulazione dell'art. 117 Cost. allo Stato era attribuita l'adozione delle regole di principio ed alla Regione quella delle regole di dettaglio.

Tuttavia, l'art. 1, comma 2 della l. n. 109/1994 (cd. legge Merloni), nella sua prima formulazione destinata a disciplinare le opere ed i lavori pubblici di «competenza delle regioni anche a statuto speciale, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti infraregionali da queste finanziati», prevedeva che «le disposizioni della presente legge costituiscono norme fondamentali di riforma economico ‒ sociale e principi della legislazione dello Stato ai sensi degli statuti delle regioni a statuto speciale e dell'art. 117 della Costituzione, anche per il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato».

La norma è stata successivamente dichiarata incostituzionale nella parte in cui imponeva al legislatore regionale l'osservanza di tutte le disposizioni della l. n. 109/1994, anziché dei soli principi ricavabili dalla stessa (Corte Cost., n. 482/1995). La decisione della Corte Costituzionale è stata, poi, recepita dalla l. n. 415/1998, cd. Merloni ter.

In punto la Corte costituzionale, con la sentenza n. 308/1993, aveva chiarito che «Essendo la competenza legislativa regionale di tipo concorrente, essa va esercitata «nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato» (art. 117 della Costituzione). Al legislatore statale compete, pertanto, stabilire la normativa di principio anche in relazione agli appalti relativi ai lavori pubblici ed alle opere pubbliche d'interesse regionale, come si evince – tra l'altro – anche dall'art. 33 della l. n. 333/1976, il quale statuisce che i principi fondamentali in materia di contratti delle regioni siano fissati con apposita legge della Repubblica».

Il riparto di competenza tra Stato e Regioni è stato oggetto della riforma operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

L'attuale sistema è così delineato:

1. competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, Cost.);

2. competenza concorrente (art. 117, comma 3, Cost.);

3. competenza residuale delle Regioni (art. 117, comma 4, Cost.).

Le modifiche hanno riguardato anche il potere regolamentare, per cui è stato previsto che lo Stato abbia potere regolamentare solo nelle materie in cui ha competenza esclusiva.

Il riparto di competenza fra Stato e Regioni nel vecchio Codice dei contratti pubblici

Il vecchio Codice dei contratti pubblici dettava agli artt. 4 e 5 un'apposita disciplina per il riparto di giurisdizione fra Stato e Regioni.

L'art. 4, dopo aver stabilito che le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e delle disposizioni relative a materie di competenza esclusiva dello Stato (comma 1), procedeva all'elencazione dei casi di regolamentazione della materia dei contratti pubblici ricadente nella competenza esclusiva dello Stato ed in quella concorrente.

Il legislatore, consapevole delle difficoltà interpretative di individuazione delle diverse ipotesi di regolamentazione, ha provveduto alla loro classificazione nell'ambito di due macroaree «competenza esclusiva statale» e «competenza concorrente».

Pertanto, nell'art, 4, comma 2, individua le seguenti materie di competenza concorrente:

1) la programmazione dei lavori pubblici;

2) l'organizzazione dei progetti a fini urbanistici ed espropriativi;

3) i compiti ed i requisiti del responsabile del procedimento;

4) la sicurezza del lavoro.

Il comma 3, invece, individua le materie di competenza concorrente statale, tra le quali:

1) la qualificazione e selezione dei concorrenti;

2) le procedure di affidamento, esclusi i profili di organizzazione amministrativa;

3) i criteri di aggiudicazione;

4) il subappalto;

5) i poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture;

6) le attività di progettazione ed i piani di sicurezza;

7) la stipulazione e l'esecuzione dei contratti, compresi la direzione ed esecuzione dei lavori, contabilità e collaudo;

8) il contenzioso;

9) i contratti relativi alla tutela dei culturali;

10) i controlli nel settore della difesa, i contratti segregati che richiedono particolari misure di sicurezza.

La mancata menzione della materia dei contratti pubblici nell'art. 117 Cost. è suscettibile di due diverse interpretazioni:

a) ritenere che, in applicazione di una rigorosa interpretazione del nuovo art. 117 Cost., la mancata menzione della materia nell'ambito della competenza esclusiva statale o concorrente determini la devoluzione della stessa alla competenza residuale delle Regioni;

b) ovvero ritenere che la mancata indicazione della materia dei contratti pubblici è dovuta all'assenza di detta materia tra quelle costituzionali, perché la stessa può essere riconducibile, di volta in volta, ad un insieme disomogeneo di disposizioni di principi costituzionali (tutela della concorrenza, ordinamento civile, governo del territorio, organizzazione amministrativa).

Detta ultima interpretazione è quella che è stata poi fatta propria dalla Corte Costituzionale che, individuando il fondamento dell'intervento legislativo statale, ora nella tutela della concorrenza (fase pubblicistica), ora nell'ordinamento civile (fase privatistica), fa salva l'attribuzione della competenza legislativa dello Stato ex art. 4, comma 3 del Codice dei contratti pubblici, rilevando «come le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 163/2006, per la molteplicità degli interessi perseguiti e degli oggetti implicati, non siano riferibili ad un unico ambito materiale (...) Non è, dunque, con figurabile né una materia relativa ai lavori pubblici nazionali, né tantomeno un ambito materiale afferente al settore dei lavori pubblici di interesse regionale. Tali affermazioni non valgono soltanto per i contratti di appalto di lavori, ma sono estensibili all'intera attività contrattuale della pubblica amministrazione che non può identificarsi in una materia a sé, ma rappresenta, appunto, un'attività che inerisce alle singole materie sulle quali essa si esplica».

Pertanto, la fase di evidenza pubblica, in cui la stazione appaltante deve selezionare la miglior offerta, corrisponde all'esigenza di tutela della concorrenza che, secondo il dettato dell'art. 117 Cost., rientra nella competenza esclusiva dello Stato.

Il giudice costituzionale, al fine di sgombrare il campo da equivoci, si sofferma sulla nozione di tutela della concorrenza e la considera quale materia trasversale, esercitabile da diversi soggetti, ma per quanto riguarda lo specifico settori degli appalti ha precisato che «l'interferenza con competenze regionali si atteggi, in modo peculiare, non realizzandosi normalmente un intreccio in senso stretto con ambiti materiali di pertinenza regionale, bensì la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa», rilevando che l'assenza dei lavori pubblici tra le materie elencate nell'art. 117 Cost. non ne determinava l'automatica attrazione nella potestà legislativa residuale regionale, ma «al contrario si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato o a potestà legislative concorrenti» (Corte Cost., n. 401/2007).

A fronte di tale affermazione di principio, diviene recessiva l'idea che la materia dei contratti pubblici, non rientrando tra quelle elencate nell'art. 117, commi 2 e 3, Cost., possa ricadere nella competenza legislativa residuale delle Regioni, ex art. 117, comma 4, Cost., ai quali potrà semmai spettare una competenza di carattere residuale i cui confini rimangono ancora da chiarire.

Attualmente l'indirizzo appare consolidato e recentemente ribadito nella sentenza n. 39/2020 in cui la Consulta ha ribadito che «È poi giurisprudenza costante di questa Corte che alla tutela della concorrenza deve essere ricondotta «l'intera disciplina delle procedure di gara pubblica (sentt. n. 46 e n. 28 del 2013, n. 339/2011 e n. 283/2009), in quanto quest'ultima costituisce uno strumento indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza in modo uniforme sull'intero territorio nazionale (sentt. n. 339/2011, n. 1/2008 e n. 401/2007)» (sent. n. 28/2014; nello stesso senso, sent. n. 259/2013), senza che rilevi che la procedura sia aperta o negoziata (sent. n. 322/2008)».

Conclusa la fase dell'evidenza pubblica, la stazione appaltante procede alla stipula del contratto, attività che rientra in un ambito strettamente privatistico. In tale fase la P.A. si pone in una posizione di parità con la controparte ed agisce non nell'esercizio di poteri amministrativi, ma della propria autonomia negoziale.

Per cui l'intervento normativo statale si giustifica in forza dell'attribuzione a questi della competenza statale esclusiva in materia di diritto civile di cui all'art. 117, comma 2, lett. i, Cost.

Sono riconducibili, secondo la giurisprudenza della Corte, alla materia dello «ordinamento civile» e pertanto sono di competenza esclusiva statale i seguenti istituti: la regola della tassatività dei tipi contrattuali per la realizzazione di lavori, di cui all'art. 53 del previgente Codice degli appalti, le garanzie di esecuzione, la direzione dei lavori, le polizze, le varianti in corso d'opera ed il collaudo.

Il riparto di competenza fra Stato e Regioni nel nuovo Codice dei contratti pubblici

Il dettato dell'art. 2, comma 1, prevedendo, di fatto, una competenza generale ed esclusiva dello Stato in riferimento alle procedure ad evidenza pubblica (direttamente riferibile alla materia della concorrenza) ha inteso ribadire, proprio sulla scorta di un indirizzo univoco della Consulta, l'impossibilità di affidarne la disciplina legislativa alle Regioni.

Il legislatore ha adottato una formulazione generica in ordine al riparto di competenze legislativa fra Stato e Regioni, a differenza del precedente che conteneva una puntuale ricognizione delle materie riconducibili alle competenze statali o regionali (De Nictolis, 19, 21; Corradino, Sticchi Damiani, 6 ss.; Mariani, 7 ss.; Lasalvia, 162 ss.; De Michele).

Secondo taluni, peraltro, resterebbe alle Regioni uno spazio residuale in materia di appalti pubblici, in parti di dettaglio, attribuita alla competenza legislativa concorrente, desumibile da una lettura d'insieme dei primi due commi dello stesso art. 2, d.lgs. n. 50/2016 e al richiamo alla competenza concorrente, che diversamente non avrebbe nessun significato.

Del resto, nel parere del 6 febbraio 2006 reso sullo schema del precedente Codice, il Consiglio di Stato aveva rilevato come «la norma statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell'autonomia regionale».

In tale prospettiva residuerebbe una competenza regionale per la disciplina di dettaglio in linea con le «norme di principio», fissate dal legislatore statale nel rispetto delle disposizioni europee, così da garantire una disciplina della materia conforme al fondamentale principio della concorrenza.

In ogni caso, il margine concesso alla legislazione regionale non può essere utilizzato per introdurre misure di attenuazione della concorrenza: per assurdo mai sarebbe in potere delle Regioni decidere di sostituire le norme che prevedono una procedura ad evidenza pubblica, optando, invece, per il ricorso ad un affidamento diretto.

Sul punto Corte Cost. n. 32/2015 ha autorevolmente affermato che «sono ammissibili effetti pro-concorrenziali degli interventi regionali nelle materie di competenza concorrente o residuale purché (...) siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza» (conformi: Corte cost. n. 43/2011, Corte cost. n. 45/2010 e Corte cost. n. 160/2009).

Per individuare il limite della competenza, se esclusiva statale o concorrente regionale, non ha alcun rilievo la distinzione tra contratti sopra-soglia e sotto-soglia europea, poiché, come ancora recentemente affermato dalla Consulta nella sentenza n. 39/2020, «(l)a distinzione tra contratti sotto soglia e sopra soglia non costituisce (...) utile criterio ai fini dell'identificazione delle norme statali strumentali a garantire la tutela della concorrenza, in quanto tale finalità può sussistere in riferimento anche ai contratti riconducibili alla prima di dette categorie e la disciplina stabilita al riguardo dal legislatore statale mira ad assicurare, tra l'altro, «il rispetto dei principi generali di matrice comunitaria stabiliti nel Trattato e, in particolare, il principio di non discriminazione (in questo senso, da ultimo, nella materia in esame, Corte di giustizia 15 maggio 2008, C-147/06 e C-148/06) (sent. n. 160 del 2009)»» (sent. n. 184 del 2011)».

Anche se appare pacifico che le Regioni non possano adottare leggi che abbiano come oggetto principale e diretto la tutela della concorrenza, sarebbe comunque ammessa l'introduzione di norme che, nel disciplinare i settori di loro competenza, producano effetti proconcorrenziali. In ogni caso, tali effetti devono essere indiretti e marginali, dovendosi comunque escludere di incidere sull'assetto concorrenziale del mercato definito dalle norme statali.

Secondo parte della dottrina, l'effetto proconcorrenziale potrebbe essere conseguito dalle Regioni in una duplice direzione «sul piano orizzontale, le Regioni possono produrre effetti pro-concorrenziali dettando norme che, nel disciplinare i profili di tipo organizzativo, economico, ecc. delle procedure di gara, semplifichino le modalità e abbrevino i tempi per lo svolgimento di certi adempimenti. Sul piano verticale, queste possono produrre effetti pro-concorrenziali, dettando norme che, nel disciplinare un determinato ambito materiale che potrà diventare oggetto di un ipotetico contratto di appalto, rendano maggiormente appetibile quell'oggetto agli operatori economici» (A. De Michele).

Peraltro, la semplificazione potrebbe richiedere un bilanciamento con le esigenze di piena concorrenza tra gli operatori, come nel caso di inversione dell'ordine procedimentale tra la fase di ammissione e quella di valutazione delle offerte prevista dall'art. 133, comma 8, del Codice solo nei settori speciali e per le procedure aperte (e a prescindere dal criterio di aggiudicazione prescelto).

Come noto, l'art. 1, lett. f), n. 4, del d.l. n. 32/2019, intervenendo sull'art. 36, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, aveva introdotto analoga facoltà per tutte le procedure sotto soglia (negoziate e non), ma in sede di conversione il legislatore –recependo le preoccupazioni espresse da ANAC nel documento di analisi del citato decreto legge– ha mutato rotta, eliminandola per le gare sotto soglia e contestualmente introducendola nei settori ordinari, e limitatamente alle procedure aperte (quale che sia il criterio di aggiudicazione), a tempo e in via sperimentale (mediante l'estensione a tali settori, sino al 31 dicembre 2020, dell'art. 133, comma 8, del Codice dei contratti pubblici: così l'art. 1, comma 3, del d.l. n. 32/2019, nel testo risultante dalla legge di conversione).

Con riferimento alla possibilità di estendere l'inversione procedimentale oltre i casi previsti dall'art. 133, l'art. 1 della l. reg. Toscana n. 46/2018 e l'art. 2 della l. reg. Toscana n. 3/2019 hanno previsto l'inversione procedimentale nelle procedure negoziate sotto soglia regolate dal criterio di aggiudicazione del minor prezzo.

Con la già citata sentenza n. 39/2020, la Corte Costituzionale ha ritenuto la disciplina toscana incostituzionale per violazione dell'art. 117, comma 2, lett. e), Cost., osservando che «la scelta di consentire o meno l'inversione procedimentale implica un delicato bilanciamento fra le esigenze di semplificazione e snellimento delle procedure di gara e quelle, fondamentali, di tutela della concorrenza, della trasparenza e della legalità delle medesime procedure, bilanciamento che non può che essere affidato al legislatore nazionale nell'esercizio della sua competenza esclusiva in materia, quale garanzia di uniformità della disciplina su tutto il territorio nazionale».

Un intervento regionale deve altresì escludersi nella fase di esecuzione del contratto rientrante nella materia dell'ordinamento civile, in quanto l'autorità pubblica agisce nell'esercizio della propria autonomia negoziale e non di un potere amministrativo e, in tale senso, la Corte costituzionale ha escluso che possa configurarsi, in tale ambito, una disciplina generale di matrice regionale, ammettendo soltanto che «in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico», possano «residuare in capo alla pubblica amministrazione poteri riferibili, tra l'altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva» (Corte Cost., n. 401/2007).

Attesa la trasversalità della materia, nel caso di appalti pubblici posso venire certamente in rilevo oggetti riconducibili alla materia della «organizzazione amministrativa».

Sul tema la Corte costituzionale, nella pronuncia appena citata, ha osservato che «quanto alla organizzazione amministrativa (che, fatta eccezione per gli enti ed organismi statali, compete, di regola, alle Regioni) (...) il legislatore statale non avrebbe inteso sottrarre alle Regioni l'intera materia in esame, ma sottolineare che possono sussistere particolari profili relativi a principi che devono essere rispettati dal legislatore regionale (quali la garanzia della trasparenza o la presenza del responsabile del procedimento)».

In ordine a tale «terreno comune», con riferimento all'art. 4 del previgente Codice, la Corte ha precisato che «il riferimento all'organizzazione amministrativa non può che riguardare il settore della realizzazione delle opere pubbliche, nonché quello delle forniture o dei servizi, e non certamente l'altro, più generale, concernente la struttura ed il funzionamento dell'ente Regione. Ciò è desumibile dalla stessa formulazione della disposizione impugnata, la quale – nell'indicare i singoli settori per i quali è richiamata la competenza dello Stato nella determinazione dei principi fondamentali ‒ ha riguardo alla programmazione ed alla esecuzione dei lavori necessari per tale realizzazione. L'organizzazione, dunque, cui la norma si riferisce, è quella propria dell'apparato o degli apparati incaricati di operare nel settore preso in considerazione e, in particolare, del responsabile del procedimento, di cui si prevede l'istituzione e non le modalità organizzative. La suddetta connessione tra l'organizzazione e i compiti e requisiti del responsabile del procedimento consente, con riferimento al settore in esame, di interpretare la norma in senso conforme a Costituzione e ritenere che essa non sia invasiva della sfera di competenza legislativa residuale delle Regioni, collocandosi invece, in funzione strumentale, nell'ambito di procedimenti che appartengono alla competenza ripartita Stato-Regioni e seguendone, in conseguenza, le sorti», ritenendo peraltro fondate le doglianze regionali in relazione ai censurati commi 2, 3, 8 e 9 dell'abrogato art. 84, i quali disciplinano le funzioni, la composizione e le modalità di nomina dei componenti della commissione giudicatrice incaricata di esprimersi nell'ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Ciò in quanto tali aspetti di disciplina attengono «alla organizzazione amministrativa degli organismi cui sia affidato il compito di procedere alla verifica del possesso dei necessari requisiti, da parte delle imprese concorrenti, per aggiudicarsi la gara».

Le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano

Il legislatore nel terzo ed ultimo comma dell'articolo in commento regola la competenza delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano, disponendo che le stesse sono tenute ad adeguare la propria legislazione al Codice secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione.

Per le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome occorre infatti tenere conto che sono gli Statuti a delineare il riparto di competenze e non l'art. 117 Cost. Detti statuti attribuiscono in maniera diversa la materia dei lavori pubblici alla competenza esclusiva delle Regioni e delle Province autonome. Tuttavia, gli stessi prevedono che il potere legislativo delle Regioni sia esercitato in armonia con la Costituzione, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme fondamentali in tema di riforma economico sociale. Detta impostazione ha creato contrasti nella giurisprudenza costituzionale.

Secondo un primo orientamento, la disciplina degli appalti intesa in senso complessivo include diversi ambiti di legislazione a seconda dei diversi settori in cui si intersecano. Vi è, pertanto, una interferenza fra materie di competenza statale e materie di competenza della legislazione regionale, ma con la prevalenza della legislazione statale.

In relazione agli ambiti di legislazione va precisato che la disciplina delle procedure di gara è diretta a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole della concorrenza e dei principi eurounitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei principi di trasparenza e parità di trattamento.

Questa disciplina, diretta a garantire la libertà del mercato nel settore degli appalti, va ricondotta alla tutela della concorrenza di competenza esclusiva statale. Allo stesso modo, la fase negoziale dei contratti della pubblica amministrazione, nella quale si è già esaurito l'esercizio del potere di natura pubblicistica della P.A., è di competenza esclusiva della legislazione statale.

Secondo un diverso orientamento della giurisprudenza costituzionale, la competenza legislativa delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, in materia di lavori pubblici, sarebbe ben più vasta.

La Corte costituzionale si è, in più occasioni, pronunciata sulla questione del riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni e le Province autonome.

Nella sentenza n. 74/2012, che richiama quanto statuito nella sentenza n. 114/2011, la Corte ha precisato che il legislatore regionale e provinciale «deve rispettare i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, tra i quali sono ricompresi quelli afferenti la disciplina di istituti e rapporti privatistici relativi, soprattutto, alle fasi di conclusione ed esecuzione del contratto di appalto, che devono essere uniformi su tutto il territorio nazionale, in ragione dell'esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza. A ciò è da aggiungere che nelle suindicate fasi si collocano anche istituti che rispondono ad interessi unitari e che – implicando valutazioni e riflessi finanziari, che non tollerano discipline differenziate nel territorio dello Stato – possono ritenersi espressione del limite rappresentato dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali».

Per tali motivi, si è ritenuto che la disposizione impugnata (l'art. 51, comma 12 della l. prov. Trento n. 18/2011, nella parte in cui subordina l'aggiornamento dei prezzi di progetto al superamento della percentuale di aumento del 2,5%, quali risultanti dagli elenchi ufficiali, intervenuto tra la data della delibera a contrattare e quella di indizione dell'appalto) discostandosi dalle sopra citate previsioni del Codice degli appalti in materia di aggiornamento dei prezzi, interferisce con la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, in violazione dell'art. 117, comma 2, lett. l), Cost.

In ordine all'illegittimità di alcune norme della l. reg. Friuli-Venezia Giulia n. 12/2010 riguardanti misure di accelerazione di lavori pubblici, la Corte ha precisato che le norme del Codice degli appalti costituiscono norme fondamentali di riforme economico sociali e come tali sono idonee a costituire un limite alla legislazione primaria delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano (Corte Cost., n. 221/2010).

Giudicando in ordine alla legittimità costituzionale della legge Regione Sardegna n. 14/2002 sul sistema di qualificazione regionale delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici regionali, rilevato che la Regione Sardegna è titolare, in virtù dello statuto speciale, di competenza legislativa primaria nella materia «lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione» (art. 3, lett. e, dello statuto speciale), ha precisato che tale competenza deve comunque essere esercita «in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali (...), nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali» (Corte Cost., n. 728/2011) e nel caso degli appalti con le disposizioni di principio contenute nel d.lgs. n. 163/2006.

Ciò perché le disposizioni del Codice degli appalti, per la parte in cui sono correlate all'art. 117, comma 2, lett. e), Cost., ed in specie alla materia tutela della concorrenza, assurgono «per il loro stesso contenuto d'ordine generale, all'area delle norme fondamentali di riforme economico-sociali, nonché delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell'Italia all'Unione Europea» e costituiscono, pertanto, limite alla potestà legislativa primaria della Regione.

Sebbene pronunciate con riferimento al previgente Codice, i principi affermati dalla Consulta sono destinati ad operare anche per il nuovo Codice, essendo ormai consolidato che anche la legislazione delle Regioni a Statuto speciale e delle Provincie autonome deve osservare i limiti derivanti dal rispetto dei principi della tutela della concorrenza, fissati dal Codice dei contratti pubblici, strumentali ad assicurare le libertà europee, e non può avere un contenuto contrastante con le disposizioni di quest'ultimo che costituisce il recepimento delle direttive in materia di appalti, né, parimenti, può alterare il livello di tutela garantito dalle norme statali (Corte Cost., n. 144/2011).

Bibliografia

Caringella, Protto (cur.), L'appalto pubblico e gli altri contratti della P. A., Torino, 2012; R. De Nictolis, La Corte costituzionale si pronuncia sul codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in Urb. App., 2008, 5 ss.; Corradino, S. Sticchi Damiani, I nuovi appalti pubblici - Commento al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, Milano, 2017, 6 ss.; De Michele, La potestà legislativa delle Regioni in materia di contratti pubblici dopo le sentenze della Corte costituzionale n. 401 e n. 431 del 2007, in Istituz. Federalismo, suppl. 5/2007; Lasalvia, Commentario al nuovo codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, Roma, 2016, 162 ss.; Mariani, Competenze legislative di Stato, regioni e province autonome, in Garella, Mariano, Il codice dei contratti pubblici: Commento al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, Torino, 2016, 7 ss.

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