Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 5 - (Principi comuni in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici nell'ambito del settore pubblico) 1

Francesco Caringella
Mariano Protto

(Principi comuni in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici nell'ambito del settore pubblico)1

[1. Una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, non rientra nell'ambito di applicazione del presente codice quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

b) oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi;

c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati , ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata 2.

2. Un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi del comma 1, lettera a), qualora essa eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore.

3. Il presente codice non si applica anche quando una persona giuridica controllata che è un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore, aggiudica un appalto o una concessione alla propria amministrazione aggiudicatrice o all'ente aggiudicatore controllante o ad un altro soggetto giuridico controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, a condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l'appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

4. Un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore può aggiudicare un appalto pubblico o una concessione senza applicare il presente codice qualora ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche in caso di controllo congiunto.

5. Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti;

b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;

c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti.

6. Un accordo concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell'ambito di applicazione del presente codice, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) l'accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune;

b) l'attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico;

c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione (A).

7. Per determinare la percentuale delle attività di cui al comma 1, lettera b), e al comma 6, lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull'attività, quale i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto o della concessione.

8. Se, a causa della data di costituzione o di inizio dell'attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato o la misura alternativa basata sull'attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell'attività, che la misura dell'attività è credibile.

9. Nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e gestione di un'opera pubblica o per l'organizzazione e la gestione di un servizio di interesse generale, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica.]

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(A) In riferimento al presente comma vedi: Risposta Agenzia delle Entrate  1 aprile 2021, n. 226.

[1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo.

Note operative

Le linee guida vincolanti ANAC n. 7/2017 (vedi commento) prevedono le seguenti coordinate per l'iscrizione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che si avvalgono del modello dell'autoproduzione o in house providing: contenuto dell'elenco (art. 2, che stabilisce le informazioni da inserire); enti legittimati all'iscrizione (art. 3: sono legittimate le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori che, al ricorrere dei presupposti previsti dall'art. 5 del Codice dei contratti pubblici ovvero dagli artt. 4 e 16 del d.lgs. n. 175/2016, intendano operare affidamenti diretti in favore di organismi in house in forza di un controllo analogo diretto, invertito, a cascata o orizzontale sugli stessi); modalità di presentazione della domanda (art. 4: la domanda di iscrizione è presentata a pena di inammissibilità in forma telematica, accedendo al sito web dell'Autorità e utilizzando l'apposito applicativo reso disponibile on line, dal Responsabile dell'Anagrafe delle Stazioni Appaltanti (cd. RASA) su delega delle persone fisiche deputate ad esprimere all'esterno la volontà del soggetto richiedente; avvio del procedimento (art. 5, che prevede l'avvio entro 30 giorni dalla domanda e la conclusione entro i successivi 90 giorni); la verifica dei requisiti (art. 6: l'Ufficio competente valuta la sussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 5 del Codice dei contratti pubblici ovvero dagli artt. 4 e 16 del d.lgs. n. 175/2016, accertando, mediante l'esame dell'atto costitutivo e dello statuto della società partecipata, che la stessa abbia come oggetto sociale esclusivo una o più delle attività di cui all'art. 4, comma 2, lettere a), b) d) ed e) del d.lgs. n. 175/2016); le comunicazioni e variazioni (art. 7); e la cancellazione dall'elenco (art. 8).

Inquadramento

L'art. 5 in rassegna disciplina, nella sua parte essenziale (commi 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 8), il ben noto fenomeno dell'affidamento degli appalti e delle concessioni in regime di delegazione inter-organica o in house providing.

Infatti, la diposizione – da raccordare con l'art. 192 dello stesso codice e con l'art. 16 del Testo Unico delle Società Pubbliche di cui al d.lgs. n. 175/2016esclude dall'ambito di applicazione del codice gli appalti e le concessioni affidati, nei settori ordinari o speciali, a soggetti considerati in house in forza delle tre condizioni del controllo analogo, della dedizione prevalente e della partecipazione non influente di capitali privati (cfr., da ultimo, Corte Giust. sez. IX, ordinanza 6 febbraio 2020, in cause riunite da C 89/19 a C-91/19).

La norma in commento – integrata dal citato art. 192 che prevede l'elenco degli enti che intendono avvalersi del modello dell'auto-produzione – precisa i tre caratteri in precedenza frutto dell'elaborazione giurisprudenziale. Si consente così l'affidamento diretto quando siano soddisfatte in via cumulativa le seguenti condizioni:

a) l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

b) oltre l'80% delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi;

c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati (le quali non comportano controllo o potere di veto) previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

Nel rinviare al successivo par. 4 per la condizione sub a) del controllo analogo, la lett. b) focalizza i connotati della dedizione prevalente (vedi par. 8), definita in giurisprudenza quale sostanziale esclusività o quasi esclusività dello svolgimento dell'attività per conto degli enti pubblici soci (nella versione inglese: “the essential part of his activities”; in francese: “l'essentiel de son activité”; in tedesco: im wesentlichen. Cfr. C.G.A.R.S., n. 719/07).

La previsione di cui alla riportata lett. c) è poi innovativa, rispetto alla disciplina previgente, nella parte in cui – in attuazione delle richiamate direttive europee – prevede e ammette la partecipazione di capitali privati. Il testo definitivo del decreto legislativo correttivo al d.lgs. 50/2016 ha previsto l'inserimento nella norma in commento, al comma 1, lettere c) delle parole «le quali non comportano controllo o potere di veto». In relazione alla tale modifica il Consiglio di Stato nel parere n. 782 del 30 marzo 2017 ha rilevato che non è chiaro se l'esercizio di «controllo o potere di veto» costituisca una delle possibili specificazioni del concetto generale di «influenza determinante» o se, al contrario, si voglia significare che tale influenza sussiste solo se la persona giuridica controllante gode di potere di controllo o di veto, come formalmente definito.

Vista la peculiarità del modello, i citati requisiti vanno interpretati con rigore, poiché costituiscono una deroga alle regole generali del diritto comunitario imperniate sul modello della competizione aperta (Cons. St. Ad. plen., n. 1/2008; Cons. St. V, n. 5082/2009; id. II, parere n. 457/ 2008; C.G.A.R.S., n. 719/2007).

I caratteri generali del modello dell'auto-produzione a partire dalla sentenza Teckal

Da tempo la giurisprudenza ha fissato i caratteri essenziali dell'istituto dell'in house providing.

Il battesimo è avvenuto con la sentenza dei Giudici di Lussemburgo sul caso Teckal, che, già alla fine dello scorso millennio, ha messo l'accento sula sussistenza di una particolare relazione tra ente pubblico socio e società affidataria, tale da implicare la considerazione del primo alla strega di mero organo (pur se con personalità giuridica) dell'ente pubblico, (Corte di Giustizia V, 18 novembre 1999, n. C-107/98 Teckal).

Su questa scia la giurisprudenza nazionale, al fine di giustificare la responsabilità erariale degli amministratori di tali società innanzi alla Corte dei conti, hanno rilevato che l'organismo in house, come in qualche modo già la stessa denominazione denuncia, non è in grado di collocarsi come un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna. Essa non è altro che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l'affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale schiettamente intersoggettivo (Corte cost. n. 46/13); di talché l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa (così Cons. St, Ad. plen., n. 1/08). Il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva.

L'uso del vocabolo società qui serve solo allora a significare che, ove manchino più specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario; ma di una società di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è più possibile parlare (Cass. S.U., n. 26283/2013).

In definitiva, tali entità hanno delle società solo la forma esteriore, perché costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi (T.A.R. Veneto I, n. 1186/2019).

Questa mancata separatezza giustifica l'affidamento diretto del servizio da parte dell'ente pubblico alla società «in house» nell'architettura dell'art. 5, che in questo si uniforma alle coordinate giurisprudenziali sincronizzate con le direttive del 2014 in materia. Non si tratta, infatti, di un effettivo ricorso al mercato, ma di una forma di auto-produzione, ossia di erogazione dei servizi da parte della pubblica amministrazione mediante strumenti propri (Cons. St. I, parere n. 1389/2019).

Come detto in precedenza, per quanto riguarda il requisito del controllo analogo (par. 4), viene ora stabilito (comma I) che esso può ricorrere anche in presenza di partecipazione diretta di capitali privati, a condizione che non comporti la possibilità di esercitare il controllo o poteri di veto o un'influenza determinante sull'attività dell'Ente. Al contrario, fino a tempi recenti, la giurisprudenza UE e nazionale avevano ritenuto che anche una minima partecipazione di capitale privato escludesse la possibilità di configurare un controllo analogo a quello esercitato dall'Amministrazione sulle proprie articolazione interne (si vedano sul punto le sentenze Corte Giust. 11 gennaio 2005, causa C-26/03; Stadt Halle 13 ottobre 2005, causa C-458/03 Parking Brixen).

L'in house nella recente giurisprudenza della Corte Giust. e della Corte Cost.: regola o eccezione?

Si discute da sempre se il modello dell'in house rappresenti un fenomeno del tutto eccezionale, da relegare a ipotesi residuali, previo accertamento del cosiddetto «fallimento del mercato» (in tal senso, la pregressa disciplina di cui all'art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 125 e l'art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, nonché la prevalente giurisprudenza amministrativa, ad esempio: Cons. St., Ad. plen., n. 1/2008); ovvero se, nell'attuale stadio evolutivo dell'ordinamento UE e nazionale, l'in house rappresenti una modalità di conferimento del tutto legittima e ordinaria rispetto all'affidamento con gara e alle forme di partenariato pubblico privato istituzionalizzato (così T.A.R. Emilia-Romagna Bologna II, n. 461/2019; vedi anche Cons. St. I., parere n. 2583/2018, sulla compatibilità con il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni ex art 117 Cost. di una legge regionale piemontese che prevede lo svolgimento del servizio pubblico di interesse generale, rientrante nelle competenze tipiche dell'ente regionale, mediante una società in house partecipata a pure da soggetti privati).

Come si vedrà meglio nell'esame dell'art. 192, il Codice dei contratti ha sciolto il dilemma nel senso della collocazione della delegazione inter-organica su un piano di eccezione risetto alla regola del ricorso al mercato. Si può quindi ricorrere a tale paradigma solo laddove venda dimostrato in modo motivato il fallimento del mercato, ossia l'impossibilità di soddisfare in modo adeguato l'interesse pubblico seguendo la dinamica dell'outsourcing.

Nel rispondere al quesito pregiudiziale sottoposto sul punto da Cons. St. V, n. 138/2019, la Corte di Giustizia, con Ordinanza sez. IX, 6 febbraio 2020, cause riunite da C-89/19 a C-91/2019, ha stabilito che, in virtù del principio euro-unitario di autodeterminazione degli Stati membri sulle proprie scelte gestionali derivante dal considerando § 5 della direttiva 2014/14, UE è indifferente per l'ordinamento euro-unitario che uno Stato membro introduca delle condizioni stringenti tese alla verifica dell'economicità e dell'efficienza del modello dell'autoproduzione rispetto al ricorso mercato.

In questo quadro va ricordata anche la sent. 27 maggio 2020 n. 100 della Corte cost., che ha respinto la questione di legittimità costituzionale sollevata in merito all'art. 192, comma 2, di questo codice, sospettata di violazione del divieto di gold plating (divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie), nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti danno conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house, delle ragioni del mancato ricorso al mercato.

Secondo i giudici costituzionali, il divieto di gold plating (che è un principio di diritto nazionale e non europeo) deve essere applicato in conformità alla sua ratio, che è di impedire l'introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa unionale, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all'amministrazione e segue una direttrice pro-concorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato. L'obbligo di motivazione sulle ragioni del mancato ricorso al mercato imposto, infatti, risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa oltre che della tutela e della promozione della concorrenza.

La compatibilità europea dell'affidamento del servizio pubblico al soggetto in house

Da ultimo Cons. St. IV, ord. n. 7161/2020 ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione se l'art. 12 della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 osti a una normativa nazionale la quale imponga un'aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a seguito della quale l'operatore economico succeduto al concessionario iniziale a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, prosegua nella gestione dei servizi sino alle scadenze previste, nel caso in cui: a) il concessionario iniziale sia una società affidataria in house sulla base di un controllo analogo pluripartecipato; b) l'operatore economico successore sia stato selezionato attraverso una pubblica gara; c) a seguito dell'operazione societaria di aggregazione i requisiti del controllo analogo pluripartecipato più non sussistano rispetto a taluno degli enti locali che hanno in origine affidato il servizio di cui si tratta. Ad avviso della Sezione non sussiste incompatibilità comunitaria se la società che è succeduta è stata selezionata come «operatore economico», con il quale effettuare l'aggregazione, proprio all'esito di una pubblica gara (il fatto è pacifico in causa), e quindi il risultato ultimo dell'operazione, l'affidamento del servizio, consegue non all'affidamento disposto dall'Amministrazione, ma a monte dalla gara esperita, in modo del tutto coerente con i principi di diritto Europeo. Accogliendo questa tesi, nessun illegittimo affidamento diretto si potrebbe configurare.

Si osserva infatti che lo scopo ultimo delle norme del diritto europeo qui rilevanti è quello di promuovere la concorrenza, e che questo risultato nell'affidamento dei servizi pubblici si raggiunge, in termini sostanziali, quando più operatori competono, o possono competere, per assicurarsi il relativo mercato nel periodo di riferimento, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dello strumento con il quale ciò avviene. In questi termini, è irrilevante che l'affidamento di un dato servizio avvenga per mezzo di una gara il cui oggetto è quel singolo servizio – isolatamente considerato ovvero assieme ai servizi per gli altri comuni dell'ambito – ovvero avvenga mediante una gara il cui oggetto è l'attribuzione del pacchetto azionario della società che tali servizi svolge, perché in entrambi i casi la concorrenza è garantita. Si sarebbe nella sostanza di fronte a un fenomeno simile a quello del negozio indiretto, a titolo di esempio come nel caso in cui, invece di cedere un immobile con un contratto di compravendita, si preferisca cedere il pacchetto azionario della società che ne è proprietaria: il risultato economico finale è il medesimo, e quindi è corretto, in linea di principio, che le operazioni siano soggette alla stessa disciplina.

Più in generale la Sezione ha ricordato che in origine l'affidamento in house si fondava sull'art. 113, T.U. 18 agosto 2000, n. 267 nel testo allora vigente, che dava in generale competenza ai Comuni in materia di servizi pubblici di rilevanza economica di proprio interesse. Come è noto, i Comuni sono amministrazione aggiudicatrici, tenute a procedere per mezzo di pubbliche gare; peraltro, la possibilità di affidamento in house, nella specie del servizio di gestione dei rifiuti urbani, esisteva anche se né la direttiva 2014/24/UE né le norme nazionali di recepimento erano state ancora approvate, e ciò sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza di codesta Corte che si è citata sopra. Attualmente, nell'ordinamento nazionale, il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani ai sensi della norma sopravvenuta dell'art. 200, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 è gestito dalle Regioni, che vi procedono individuando ambiti territoriali ottimali ed hanno potestà legislativa integrativa al riguardo.

Ciò posto, l'art. 12 della direttiva 2014/24/UE è stato recepito quasi alla lettera dall'art. 5, d.lgs. n. 50/2016, ma come si è detto si tratta di una norma soltanto ricognitiva di un istituto già esistente la possibilità per gli enti locali di affidare il servizio costituendo a tale scopo una società di capitali a partecipazione pubblica era pacificamente ammessa sulla base dei principi, dato che gli enti locali stessi sono nell'ordinamento nazionale persone giuridiche con piena capacità, e quindi titolari anche della capacità di costituire enti del tipo descritto.

Attualmente, dispone in modo espresso il d.lgs. n. 175/2016, che in particolare all'art. 2, comma 1, lett. c) e d), definisce il controllo analogo e il controllo analogo congiunto di cui si è detto in termini conformi a quanto previsto dall'art. 12 della direttiva 2014/24/UE. Anche in questo caso, però, si tratta di norme ricognitive, e non innovative.

Il fenomeno delle partecipazioni sociali da parte di enti pubblici è stato disciplinato dal legislatore nazionale, essenzialmente allo scopo di contenere la spesa pubblica, nel senso di imporne una riorganizzazione e quindi di limitarlo. In particolare, i citati commi 611 e 612 dell'art. 1, l. n. 190/2014 prevedono che gli enti locali svolgano «un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse» entro un dato termine, tenendo conto di una serie di criteri indicati in modo espresso, uno dei quali è la «aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica».

Il requisito del controllo analogo squarcia il velo tra socio e società (comma 2)

La prima delle tre condizioni stabilite dalla legge in sede di definizione della condizione soggettiva che giustifica l'esonero dall'obbligo di evidenza pubblica è la ricorrenza del cd. controllo analogo a quello esercitato dall'amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore sui propri servizi.

L'art. 5, comma 2, nel prevedere questa possibilità, specifica altresì come può essere ravvisato questo controllo, ossia quando l'ente eserciti «un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni significative della persona giuridica controllata». Il medesimo comma, inoltre, precisa che questa tipologia di controllo può essere anche indiretta, ossia essere esercitata da un'altra e diversa persona giuridica purché quest'ultima sia a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore.

L'attenzione del Legislatore, pertanto, è focalizzata sul concretizzarsi di un vero e proprio potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione che consenta all'ente pubblico di dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dell'affidatario dell'attività della società: di qui l'assenza di autonomia decisionale nei principali atti di gestione da parte dell'azienda o società controllata. Il requisito postula un rapporto intenso e istituzionale che lega gli organi societari della società affidataria con l'ente pubblico affidante, in modo che quest'ultimo sia in grado, con strumenti pubblicistici o con mezzi societari di derivazione privatistica, di indirizzare “tutta” l'attività sociale attraverso gli strumenti previsti dall'ordinamento (Caringella, Manuale dei contratti pubblici, 118). Deve trattarsi di una relazione equivalente, ai fini degli effetti pratici – pur se non identica in ragione della diversità del modulo organizzatorio – a una relazione di subordinazione gerarchica, che si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sul soggetto societario Cons. St. VI, n. 1154/2007, secondo cui è necessario che il consiglio di amministrazione della S.p.A. affidataria in house non abbia rilevanti poteri gestionali e che l'ente/i pubblico/i affidanti, esercitino, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria: è pertanto, indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci.

Non è possibile provvedere all'affidamento in house di servizi pubblici nel caso in cui l'impresa affidataria abbia acquisito una vocazione schiettamente commerciale tale da rendere precario il controllo dell'ente pubblico. Detta vocazione, può, in particolare, risultare dall'ampliamento, anche progressivo, dell'oggetto sociale e dall'apertura obbligatoria della società ad altri capitali o dall'espansione territoriale dell'attività della società: l'affermarsi di una vocazione strategica basata sul rischio di impresa finisce infatti per condizionare le scelte strategiche dell'ente asseritamene in house, distogliendolo dalla cura primaria dell'interesse pubblico di riferimento e, quindi, facendo impallidire la natura di costola organica, pur se entificata, dell'ente o degli enti istituenti (Cons. St. VI, n. 1154/2007).

Il controllo inverso o «verticale capovolto» (comma 3)

L'art. 5, comma 3, specifica, inoltre, che l'esclusione opera anche nei casi in cui la persona giuridica controllata (amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore) aggiudichi un appalto o una concessione a un altro soggetto dalla stessa controllato, purché tuttavia quest'ultimo non sia partecipato da capitali privati o comunque questi non assumano rilevanza.

Il comma 3 citato, dunque, disciplina un'ipotesi particolare di in house c.d. inverso o «verticale capovolto», in quanto viene previsto a tal proposito che l'affidamento diretto sia possibile non solo nella direzione – per così dire classica – che va dall'Amministrazione controllante all'organismo controllato, ma anche nella direzione inversa ossia, dall'organismo controllato in favore dell'Amministrazione controllante.

Tale norma suscita spunti di riflessione in quanto nelle ipotesi di in house capovolto è assente per definizione un rapporto di controllo fra il soggetto che conferisce l'appalto o la concessione e l'organismo al quale lo stesso viene conferito in via diretta.

Si è affermato inoltre che non è possibile qualificare come in house una società ove difetti, da parte del Comune nei confronti della società stessa, il requisito del controllo analogo rispetto a quello espletato sui propri servizi, avuto riguardo alla esiguità della partecipazione societaria comunale (nella specie il Comune deteneva una quota di azioni del valore di 500 Euro su un capitale sociale pari ad Euro 5.100.000) e, soprattutto, alla mancata dimostrazione della esistenza di poteri di controllo o di direzione sull'attività societaria da parte del Comune, anche per mezzo di accordi con gli altri enti soci. Nel caso in cui sussista una società in house del Comune, è legittima la scelta di quest'ultimo di non procedere all'affidamento di un servizio pubblico e di indire una gara, atteso che l'affidamento a una società in house ha natura eccezionale rispetto alla regola generale che impone il ricorso al libero mercato; difatti, l'affidamento diretto è assoggettato a un più stringente obbligo motivazionale, rispetto alla scelta di ricorrere all'acquisizione del servizio tramite una procedura di tipo concorrenziale, da ritenersi la modalità ordinaria di individuazione dei contraenti dell'Amministrazione (cfr., sul punto, artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 175/2016, Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) (T.A.R. Valle D'Aosta I, n. 7/2017).

Il nodo gordiano del controllo congiunto (commi 4 e 5)

I commi 4 e 5 riconoscono e disciplinano il fenomeno, già noto all'esperienza nazionale, del cosiddetto in house frazionato o pluripartecipato o a controllo analogo congiunto, il quale ricorre quando il controllo sull'organismo cui si intende affidare un appalto o una concessione non viene esercitato unicamente da un'Amministrazione, bensì da più Amministrazioni in modo congiunto.

Si tratta di un tipo di cooperazione in senso verticale fra Amministrazioni la cui legittimità era stata già in più occasioni riconosciuta dalla giurisprudenza (Corte Giust. UE III, 10 settembre 2009, causa C-573; Cons. St. III, n 2154/2015; Corte Conti Riun., n. 25/2019).

Tali previsioni suscitano spunti di riflessione in quanto l'affidamento diretto è possibile anche da parte di un'Amministrazione pubblica che, da sola, non è affatto in grado di esercitare sull'organismo conferitario un effettivo controllo analogo.

Il comma 4, in particolare estende la possibilità di esclusione dal novero di applicabilità del Codice anche nei casi di controllo congiunto, purché sussistano le tre condizioni previste dal comma 1.

Il successivo comma 5 dettaglia, invece, le tre condizioni affinché possa ritenersi sussistente un controllo c.d. congiunto:

a) la presenza negli organi decisionali della persona giuridica controllata di rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatari partecipanti, con la precisazione che singoli rappresentanti possono rappresentare anche più amministrazioni;

b) l'influenza determinate sugli obiettivi strategici e sulle decisioni più significative dell'ente controllato esercitabile da parte dei soggetti controllanti;

c) l'esigenza che la persona giuridica controllata non persegua interessi contrari a quelli dei controllanti.

Ciò che viene richiesto affinché possa ritenersi sussistente un controllo c.d. congiunto è, in sostanza, che un ente debba avere un'influenza reale o comunque che almeno in teoria abbia il potere di esercitarla, seppur in posizione minoritaria, che possa nominare o comunque concorrere alla nomina degli organi decisionali; che non vi sia un contrasto (negli interessi perseguiti) tra controllanti e soggetto controllato.

Si rammenta che per ritenersi sussistente un'ipotesi di controllo congiunto, ai sensi del comma 6 della norma in commento, ogni singolo ente partecipante al soggetto controllato deve – almeno astrattamente – poter esercitare una propria sfera di influenza (anche minoritaria).

L'orientamento maggioritario, infatti, per riconoscere lo status di controllante richiede che il controllo esercitato sull'entità partecipata non si fondi soltanto sulla posizione dominante di quell'autorità pubblica che detenga una partecipazione di maggioranza del capitale sociale.

È necessario, infatti, che anche il singolo socio possa vantare una posizione più che simbolica, idonea, per quanto minoritaria, a garantirgli una possibilità effettiva di partecipazione alla gestione dell'organismo del quale è parte.

D'altro canto, non basta e non è sufficiente una presenza puramente formale nella compagine partecipata o in un organo comune incaricato della direzione della stessa sufficiente. Sul punto particolarmente ricca la giurisprudenza comunitaria, cfr. Corte Giust. III, 29 novembre 2012, C-182/11e C-183/11, Econord, punti 31-33; Corte Giust. III, 10 settembre 2009, C-573/07, Sea, punti 81-86; Corte Giust. III 13 novembre 2008 C-324/07, Coditel Brabant, punto 46).

L'obbligo di gara per gli affidamenti a valle compensa l'affidamento diretto a monte

Le stesse ragioni che giustificano l'affidamento del servizio all'ente domestico senza gara impongono alla società in house il ricorso alla gara laddove essa si avvalga di soggetti terzi per l'acquisizione di beni, servizi o opere (T.A.R. Veneto I, n. 1186/2019).

Il soggetto «in house» ha infatti ottenuto l'affidamento senza gara in base alla sua qualificazione come espressione dell'ente pubblico che l'ha costituito. Di qui l'assoggettamento «compensativo» alle gare pubbliche imposte dalle norme di evidenza pubblica alle amministrazioni aggiudicatrici o agli enti aggiudicatori (cfr., in questo senso, l'art. 16, comma 7, del d.lgs. n. 175/2016).

L'accordo tra due o più amministrazioni (comma 6)

Il comma 6 dell'art. 5 disciplina l'istituto dell'accordo tra più o due amministrazioni. Anche tale ipotesi, dunque, può rientrate tra le ipotesi di esclusione dell'applicabilità del Codice, ed ancora una volta a fronte del realizzarsi di tre condizioni:

a) l'accordo sia volto a stabilire (o realizzare) una forma di cooperazione con la finalità di garantire il conseguimento di obiettivi in comune mediante la prestazione dei servizi oggetto dell'accordo;

b) l'attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico;

c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatari partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione.

La problematica degli accordi tra amministrazioni pubbliche e della loro non assoggettabilità alle disposizioni del codice appalti non costituisce, invero, affatto una novità.

I moduli consensuali e gli accordi costituiscono, dopo tutto, una delle modalità con cui può esplicarsi l'azione amministrativa per espressa disposizione dell'art. 15 della l. n. 241/1990; inoltre già nel 2010 l'ANAC (con determina n. 7) aveva approfondito detta tematica, delineando «un modello convenzionale attraverso il quale le pubbliche amministrazioni coordinano l'esercizio di funzioni proprie in vista del conseguimento di un risultato comune in modo complementare e sinergico ossia in forma di «reciproca collaborazione» e nell'obiettivo comune di fornire servizi «indistintamente a favore della collettività e gratuitamente» «ed esplicitando poi condizioni e criteri che devono essere rispettate affinché il ricorso a tali fattispecie negoziali non si traduca in una violazione della normativa in materia di appalti pubblici.

Ben prima delle citate direttive del 2014, inoltre, la giurisprudenza comunitaria aveva iniziato a occuparsi del tema. Definendo anzitutto, a partire dalla nota sent. 9 giugno 2009 C-480/06, i limiti entro cui gli accordi di cooperazione tra amministrazioni aggiudicatrici sono sottratti alla direttiva appalti.

La Corte di Giustizia ha precisato che, per legittimare l'esclusione dall'applicabilità delle normative in materia di appalti (e quindi di numerosi principi, tra cui quelli di pubblicità, trasparenza, concorrenza, ecc.), deve trattarsi di forme di cooperazione finalizzate all'esecuzione di compiti comuni di interesse pubblico al cui espletamento devono partecipare entrambe le parti, anche se non necessariamente in ugual misura, restando esclusa la previsione di trasferimenti finanziari tra le parti cooperanti fatti salvi i rimborsi dei costi sostenuti per l'esecuzione dell'attività oggetto dell'accordo di cooperazione. Escludendo così ogni accordo di natura commerciale.

Da qui, la giurisprudenza nazionale ha evidenziato l'elemento centrale di questa prospettazione: ossia l'estraneità alla logica dello scambio tra prestazione e controprestazione suggellata dalla previsione di un corrispettivo, propria del contratto, e l'adesione alla logica del coordinamento di convergenti attività di interesse pubblico di più enti pubblici (cfr. Cons. St. V, n. 4832/2013).

Criterio cardine (in positivo) è stato ritenuto invece quello del coordinamento tra i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune, da intendersi quale «sinergica convergenza» su attività di interesse comune, pur potendosi ammettere la diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione (si veda sul punto Cons. St. V, n. 3849/2013 che esclude la necessità di una «identità ontologica» per individuare l'interesse comune, in quanto questo avrebbe indebitamente limitato le forme e modalità di cooperazione tra enti pubblici, circoscrivendole necessariamente ed apoditticamente a quelle concluse tra soggetti appartenenti alla medesima branca amministrativa).

Un esempio di esclusione dall'applicabilità del codice dei contratti pubblici è rinvenibile negli accordi di gestione del patrimonio immobiliare pubblico, come riconosciuto dal Consiglio di Stato già nelle more di recepimento delle nuove direttive appalti: «[...] Deve concludersi per l'esclusione dal codice dei contratti e dalle direttive UE, e per la piena legittimità, senza riserva alcuna, di accordi, convenzioni e contratti di servizi tra l'Agenzia del demanio ed ogni altro soggetto pubblico, tra i quali le amministrazioni statali centrali e periferiche e gli enti territoriali, nonché ogni ente pubblico o società per azioni (sempreché totalmente in mano pubblica), finalizzati alla gestione e valorizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari. Il fine comune di tali amministrazioni nel perseguire questi obbiettivi, a ben vedere, prescinde totalmente dalla natura demaniale o patrimoniale dei beni oggetto delle convenzioni, ed è piuttosto ravvisabile nell'esigenza pubblicistica di valorizzare economicamente e socialmente il territorio attraverso il miglior utilizzo degli immobili [...]» (così Cons. St. II, parere n. 11787/2015).

In linea di principio, quindi, sono stati ritenuti non soggetti alle direttive appalti e dunque legittimi, gli accordi tra pubbliche amministrazioni, anche se appartenenti a ordinamenti autonomi e/o in rapporto di reciproca indipendenza, finalizzati alla cooperazione c.d. non istituzionalizzata/orizzontale, come quelli che l'Agenzia del demanio ha stipulato ovvero si ripromette di concludere con vari enti ed organi, riconducibili indifferentemente all'amministrazione statale centrale o periferica o ad altri enti territoriali minori.

I criteri di calcolo dell'attività (commi 7 e 8)

La norma precisa altresì, ai commi 7 e 8, alcuni criteri volti a specificare e determinare le condizioni previste dai precedenti commi, si tratta, dunque, di due disposizioni esplicative che vanno a completare, chiarire e parametrare le modalità di calcolo di quelle percentuali indicate dal legislatore nell'articolo, quali condizioni per consentire l'esclusione di applicazione del Codice.

In particolare, al comma 7 viene esplicitato il criterio di calcolo della percentuale dell'attività: primo parametro è il fatturato medio; in alternativa è considerata sufficiente «una idonea misura alternativa basata sull'attività», tra cui il conteggio dei costi sostenuti dall'aggiudicatore nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori, in ambo i casi da considerarsi per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto o della concessione.

Questo criterio (il fatturato medio o l'idonea misura dell'attività, sussumibile anche nei costi dei tre anni precedenti) rileva nell'ambito della verifica delle condizioni di: i) controllo, ossia per misurare il rispetto del parametro dell'80% delle attività svolte dal soggetto controllato per compiti affidati dalla controllante o da altri enti o soggetti controllati dalla medesima persona giuridica aggiudicatrice (comma 1, lett. b); ii) cooperazione, ovvero per verificare la percentuale di attività sul mercato aperto (limite 20%) tra quelle interessate dall'accordo di cooperazione (comma 6 lett. c).

Il comma 8 in aggiunta prevede, a livello residuale, che possa essere sufficiente dimostrare la credibilità del calcolo qualora non sia possibile avere il dato su base triennale per la recente costituzione o inizio attività o riorganizzazione delle attività del soggetto.

La costituzione di società miste (comma 9)

Da ultimo, all'art. 5, comma 9, viene regolamentato il caso di attività di realizzazione e gestione di un'opera pubblica o di organizzazione e gestione di un servizio di interesse generale espletate per il tramite di società miste (con la presenza quindi di almeno un socio privato).

In questa evenienza, il comma 9, quale elemento di chiusura, impone l'utilizzo di procedure ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato.

Evidente la ratio della norma di evitare fenomeni elusivi o comunque di «aggiramento» dei limiti precisati nei commi precedenti relativi alla presenza di capitali privati nelle persone giuridiche aggiudicatarie di contratti pubblici esclusi dalle procedure ordinarie previste dal Codice in quanto rientranti, per l'appunto, nei c.d. contratti esclusi (Zoppini, 27).

Come si è visto, infatti, il legislatore ha posto paletti precisi ai capitali privati, prevedendone la non rilevanza, o comunque la non influenza se in carattere esclusivamente minoritario e secondario.

Anche l'affidamento a società miste conosce quindi dei limiti, a chiusura del sistema:

1) che comunque la costituzione di questa tipologia di società sia consentito (elemento ricordato espressamente nella prima parte del comma 9);

2) soprattutto, il richiamo all'evidenza pubblica quale parametro che comunque deve informare l'azione del soggetto pubblico.

Anche nella scelta del socio privato: pertanto la deliberazione, l'atto e il procedimento «a monte» con cui si indirizza e si determina la scelta del socio privato saranno assoggettabili al vaglio di legittimità dell'azione amministrativa.

Si ricorda a tal proposito che con la locuzione «evidenza pubblica» si va a indicare il tratto fondamentale di quelle procedure che l'amministrazione pubblica è tenuta a seguire al fine di giungere alla stipula di un contratto di diritto privato. Com'è noto, infatti, anche quando usa strumenti di natura o derivazione privatistica, l'Amministrazione è comunque soggetta agli obblighi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa posti dall'art. 97 Cost. e ai numerosi principi da questa derivanti.

Conseguenze pratiche sono la possibilità di vagliare «in concreto» il rispetto dei più basilari principi, tra cui quelli di imparzialità, proporzionalità e trasparenza dell'azione amministrativa, oltre alla necessità di porre comunque in essere tutte quelle tutela e garanzie volte a garantire a qualunque interessato la possibilità di avere contezza dell'operato dell'amministrazione. In sintesi, la riconducibilità a procedure ad evidenza pubblica del momento di scelta del socio privato evita distorsioni e abusi del sistema che consente l'esclusione (anche per queste particolari società) di affidamenti di appalti in un regime di esclusione dalle procedure ordinarie del Codice.

Questioni operative: l'in house frazionato al vaglio della Corte di Giustizia

Con la citata Ordinanza 6/2/2020 n. da C-89/19 a C-91/19, la Corte di Giustizia Europea IX, si è espressa anche sulla questioni pregiudiziale rimesse dal Consiglio di Stato rispetto alla coerenza dei vincoli all'affidamento in house c.d. frazionato o pluripartecipato, imposti dalla normativa italiana, rispetto all'art. 12, par. 3 della direttiva n. 2014/24/UE.

Nello specifico il Consiglio di Stato aveva sottoposto alla CGE le questioni di compatibilità con la richiamata Direttiva Europea, delle norme italiane sul vincolo del perseguimento delle proprie finalità istituzionali delle partecipazioni e del controllo analogo congiunto in caso di affidamento in house a società pluri-partecipata (art. 4, comma 1 del d.lgs. n. 175/2016). I Giudici europei concludono (punto 47 dell'Ordinanza), che «l'art. 12, par. 3, della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che impedisce a un'amministrazione aggiudicatrice di acquisire partecipazioni al capitale di un ente partecipato da altre amministrazioni aggiudicatrici, qualora tali partecipazioni siano inidonee a garantire il controllo o un potere di veto e qualora detta amministrazione aggiudicatrice intenda acquisire successivamente una posizione di controllo congiunto e, di conseguenza, la possibilità di procedere ad affidamenti diretti di appalti a favore di tale ente, il cui capitale è detenuto da più amministrazioni aggiudicatrici». In definitiva, la Corte di Giustizia si è limitata a osservare che l'art. 12 par. 3 della direttiva 2014/24/UE, nel disciplinare le condizioni in presenza delle quali un'Amministrazione può ricorrere all'affidamento in house a favore di un organismo pluripartecipato da Amministrazioni pubbliche, richiede l'esercizio del controllo analogo congiunto, senza alcuna indicazione sulle modalità di acquisizione delle partecipazioni. L'esito desta perplessità ove si ritenga che una P.A. debba contestualmente deliberare l'acquisizione della partecipazione e l'affidamento del servizio; dato che questi adempimenti spesso vengono posti in essere, per ragioni logiche e pratiche, in una prospettiva non sincronizzata. Non resta dunque che valutare le ricadute che tale pronuncia avrà, nei prossimi mesi, nella prassi operativa e gestionale delle Amministrazioni Pubbliche.

Problemi attuali: la natura giuridica anfibia delle società in house

Le società «in house» vanno, infine, inquadrate nella galassia delle società a partecipazione pubblica.

È noto che non esiste una corrispondenza biunivoca tra nozione di pubblica amministrazione e ambito soggettivo di applicabilità del diritto amministrativo in senso lato inteso, essendo configurabili sia atti amministrativi in senso solo soggettivo (atti normativi, politici, materiali o privatistici delle pubbliche amministrazioni) sia atti amministrativi in senso esclusivamente oggettivo (le leggi provvedimento e gli atti giudiziari di volontaria giurisdizione).

È altresì acquisito che la nozione di ente pubblico non è più universalestatus» permanente e immanente), ma settoriale o elastica («geometrie variabili»), in quanto le norme europee a efficacia verticale abbracciano a seconda dei casi una nozione ampia (appalti e responsabilità) o ristretta (lavoro pubblico), in base al principio dell'effetto utile; le stesse leggi nazionali sposano una lettura oggettiva in campi in cui il perseguimento dell'interesse pubblico è compatibile con il carattere privato dell'ente (azione, responsabilità, finanza) e una soggettiva in settori (l'organizzazione) in cui le regole pubblicistiche sono incompatibili con la matrice privatistica o con scelte di privatizzazione (Zoppini, 31).

In ossequio a vincoli costituzionali (la necessaria organizzazione amministrativa degli enti pubblici) e unionali (il principio di indifferenza della partecipazione pubblica, la parità tra imprese pubbliche e private e la soggezione integrale delle imprese pubbliche alle regime di mercato), il testo unico delle società pubbliche del 2016 (art. 1, comma 3) consacra la generale natura privata delle società a partecipazione pubblica e la conseguente ordinaria soggezione delle stesse alle regole del diritto privato, ove non diversamente disposto (vedi anche art. 7, comma 2, del codice del processo amministrativo) (Caringella, Manuale dei contratti pubblici, 116).

Viene quindi sconfessata la tesi della neutralità delle forme giuridiche e della despecializzazione dei modelli organizzativi, secondo cui una società pubblica andrebbe sempre identificata con la P.A. di cui è pura articolazione organizzativa con vincolo di scopo (tesi della società di diritto pubblico o amministrativa o speciale o esorbitante o singolare o semi amministrazione o ente pubblico in forma societaria). Si abbraccia, invece, l'opposta prospettiva della “neutralità della partecipazione pubblica”, secondo cui viene in rilievo una società di diritto comune (con profili di specialità o esorbitanza o singolarità, ma non speciali o esorbitanti o singolari) costituita per effetto di atto di autonomia privata volto a evitare proprio l'applicazione dello statuto pubblicistico a favore del più efficiente ed elastico modello societario. Non è, perciò, accettata la tesi dell'indifferenza della forma societaria in quanto nel diritto, come nella vita, la forma è sostanza: una società pubblica non può essere ente pubblico, ma solo soggetto equiparato (pubblica amministrazione «occasionale») da leggi specifiche a enti pubblici per singoli settori (appalti, accesso, contabilità pubblica) (Zoppini, 31).

L'applicazione di queste coordinate anche alle società in house conduce al rilievo che l'art. 5nella parte in cui equipara le società in esame agli enti pubblici nel campo degli affidamenti, sotto il duplice profilo della possibilità di conseguire un affidamento diretto a monte e della necessità di procedere alla gara a valle è norma eccezionale, legata alla specificità della materia.

Tale disposizione, al pari dell'articolo12, comma 2, del T.U. n. 175/2016, che equipara le società agli enti pubblici ai fini della responsabilità erariale (Cass. S.U., ordinanza n. 32608/19, che esclude però le società in house in via indiretto e n. 22712/2019), fa eccezione, al pari di altre prescrizioni specifiche (vedi in tema di accesso ai documenti amministrativi: artt. 22 e 23 della l. n. 241/1990) alla regola generale della natura privata di dette società, al pari degli atti e dei rapporti alle stesse riferibili.

È stato recentemente rilevato in giurisprudenza che una società, costituita secondo le forme della società a responsabilità limitata, affidataria da parte dell'ente territoriale pubblico partecipante di plurimi servizi di gestione del relativo patrimonio, nell'ambito di un rapporto disputato quanto alla prossimità al controllo analogo, proprio delle società in house, è soggetta alle norme sul fallimento previste per le società private (Cass. I, n. 5346/2019 e 27865/2019; in questo senso anche l'art. 14 del T.U. n. 175/2016 sulla crisi d'impresa).

La giurisprudenza ha osservato che, se è vero che l'ente pubblico in linea di principio può partecipare alla società soltanto se la causa lucrativa sia compatibile con la realizzazione di un proprio interesse (secondo norme e vincoli resi più stringenti dal d.lgs. n. 175/2016), una volta che comunque la società sia stata costituita, l'interesse che fa capo al socio pubblico si configura come di rilievo esclusivamente extrasociale, con la conseguenza che le società partecipate da una pubblica amministrazione hanno comunque natura privatistica (Cass. S.U., n. 17287/2006).

È quindi, privatistico e assoggettato alla giurisdizione ordinaria il regime del contratto di società (l'assenza o caducazione della delibera pubblicistica a monte incide sul contratto costituivo a valle secondo lo schema societario della liquidazione della partecipazione o della società o, in via eccezionale, della nullità negoziale); degli atti del socio pubblico (compresi gli atti di nomina e revoca dei rappresentanti); e dei conflitti tra società e soci, tra società e creditori, tra società e dipendenti e tra società e terzi;

Restano attratte nell'orbita del diritto pubblico e della giurisdizione amministrativa le questioni relative alle procedure amministrative prodromiche alla costituzione della società, alla fase della scelta del socio privato.

Bibliografia

Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Roma, 2020; Id., Manale dei contratti pubblici, Roma; Caringella, Ciaralli, Bottega (a cura di), Codice ragionato delle società pubbliche, Roma, 2018; D'aries, Glinianski, Tessaro, Testo unico delle società a partecipazione pubblica, Rimini, 2016; Esposito (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Torino 2017; Garofoli, Zoppini (a cura di), Manuale delle società a partecipazione pubblica, Molfetta, 2018; Giuffrè, Provenzano, Tranquilli, Codice dei contratti pubblici, Napoli, 2019.

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