Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 80 - (Motivi di esclusione) 1 2[1. Costituisce motivo di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto o concessione, la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale[, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6,] per uno dei seguenti reati 3: a) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416, 416-bis del codice penale ovvero delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, dall'articolo 291-quater del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 e dall'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in quanto riconducibili alla partecipazione a un'organizzazione criminale, quale definita all'articolo 2 della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio; b) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 353-bis, 354, 355 e 356 del codice penale nonché all'articolo 2635 del codice civile; b-bis) false comunicazioni sociali di cui agli articoli 2621 e 2622 del codice civile4; c)frode ai sensi dell'articolo 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee; d)delitti, consumati o tentati, commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, e di eversione dell'ordine costituzionale reati terroristici o reati connessi alle attività terroristiche; e)delitti di cui agli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 del codice penale, riciclaggio di proventi di attività criminose o finanziamento del terrorismo, quali definiti all'articolo 1 del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109 e successive modificazioni; f)sfruttamento del lavoro minorile e altre forme di tratta di esseri umani definite con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24; g)ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione 5. 2. Costituisce altresì motivo di esclusione la sussistenza , con riferimento ai soggetti indicati al comma 3, di cause di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall'articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all'articolo 84, comma 4, del medesimo decreto. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-bis, e 92, commi 2 e 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, con riferimento rispettivamente alle comunicazioni antimafia e alle informazioni antimafia. Resta fermo altresì quanto previsto dall'articolo 34-bis, commi 6 e 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 6. 3. L'esclusione di cui ai commi 1 e 2 va disposta se la sentenza o il decreto ovvero la misura interdittiva sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; di un socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza ivi compresi institori e procuratori generali, dei membri degli organi con poteri, di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo, del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro , se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l'esclusione non va disposta e il divieto non si applica quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero, nei casi di condanna ad una pena accessoria perpetua, quando questa è stata dichiarata estinta ai sensi dell'articolo 179, settimo comma, del codice penale ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima 7. 4. Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale. Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali. Per gravi violazioni non definitivamente accertate in materia contributiva e previdenziale s'intendono quelle di cui al quarto periodo. Costituiscono gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale quelle stabilite da un apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e previo parere del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente periodo, recante limiti e condizioni per l'operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate che, in ogni caso, devono essere correlate al valore dell'appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro. Il presente comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ovvero quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l'estinzione, il pagamento o l'impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande89. 5. Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni [, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6], qualora10 : a) la stazione appaltante possa dimostrare con qualunque mezzo adeguato la presenza di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché agli obblighi di cui all'articolo 30, comma 3 del presente codice; b) l'operatore economico sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 19 ottobre 2017, n.155 e dall'articolo 1101112; c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità 13; c-bis) l'operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione 14; c-ter) l'operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa (A) 15; c-quater) l'operatore economico abbia commesso grave inadempimento nei confronti di uno o più subappaltatori, riconosciuto o accertato con sentenza passata in giudicato 16; d) la partecipazione dell'operatore economico determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell'articolo 42, comma 2, non diversamente risolvibile; e) una distorsione della concorrenza derivante dal precedente coinvolgimento degli operatori economici nella preparazione della procedura d'appalto di cui all'articolo 67 non possa essere risolta con misure meno intrusive; f) l'operatore economico sia stato soggetto alla sanzione interdittiva di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 o ad altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, compresi i provvedimenti interdittivi di cui all'articolo14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81; f-bis) l'operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere 17; f-ter) l'operatore economico iscritto nel casellario informatico tenuto dall'Osservatorio dell'ANAC per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalti. Il motivo di esclusione perdura fino a quando opera l'iscrizione nel casellario informatico 18; g) l'operatore economico iscritto nel casellario informatico tenuto dall'Osservatorio dell'ANAC per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione ai fini del rilascio dell'attestazione di qualificazione, per il periodo durante il quale perdura l'iscrizione; h) l'operatore economico abbia violato il divieto di intestazione fiduciaria di cui all'articolo 17 della legge 19 marzo 1990, n. 55. L'esclusione ha durata di un anno decorrente dall'accertamento definitivo della violazione e va comunque disposta se la violazione non è stata rimossa; i) l'operatore economico non presenti la certificazione di cui all'articolo 17 della legge 12 marzo 1999, n. 68, ovvero non autocertifichi la sussistenza del medesimo requisito 19; l) l'operatore economico che, pur essendo stato vittima dei reati previsti e puniti dagli articoli 317 e629 del codice penale aggravati ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non risulti aver denunciato i fatti all'autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall'articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689. La circostanza di cui al primo periodo deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell'imputato nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all'ANAC, la quale cura la pubblicazione della comunicazione sul sito dell'Osservatorio; m) l'operatore economico si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale (B). 6. Le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l'operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1,2, 4 e 5. 7. Un operatore economico[, o un subappaltatore,] che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1, limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l'attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato, o al comma 5, è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti20. 8. Se la stazione appaltante ritiene che le misure di cui al comma 7 sono sufficienti, l'operatore economico non è escluso della procedura d'appalto; viceversa dell'esclusione viene data motivata comunicazione all'operatore economico. 9. Un operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto non può avvalersi della possibilità prevista dai commi 7 e 8 nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza. 10. Se la sentenza penale di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, la durata della esclusione dalla procedura d'appalto o concessione è: a) perpetua, nei casi in cui alla condanna consegue di diritto la pena accessoria perpetua, ai sensi dell'articolo 317-bis, primo periodo, del codice penale, salvo che la pena sia dichiarata estinta ai sensi dell'articolo 179, settimo comma, del codice penale; b) pari a sette anni nei casi previsti dall'articolo 317-bis, secondo periodo, del codice penale, salvo che sia intervenuta riabilitazione; c) pari a cinque anni nei casi diversi da quelli di cui alle lettere a) e b), salvo che sia intervenuta riabilitazione21. 10-bis. Nei casi di cui alle lettere b) e c) del comma 10, se la pena principale ha una durata inferiore, rispettivamente, a sette e cinque anni di reclusione, la durata della esclusione è pari alla durata della pena principale. Nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l'operatore economico che l'abbia commesso 22. 11. Le cause di esclusione previste dal presente articolo non si applicano alle aziende o società sottoposte a sequestro o confisca ai sensi dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356odegli articoli 20 e 24 del decreto legislativo 6 settembre 2011 n .159, ed affidate ad un custode o amministratore giudiziario o finanziario, limitatamente a quelle riferite al periodo precedente al predetto affidamento. 12. In caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto, la stazione appaltante ne dà segnalazione all'Autorità che, se ritiene che siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, dispone l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto ai sensi del comma 1 fino a due anni, decorso il quale l'iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia. 13. Con linee guida l'ANAC, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, può precisare, al fine di garantire omogeneità di prassi da parte delle stazioni appaltanti, quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui al comma 5, lettera c), ovvero quali carenze nell'esecuzione di un procedente contratto di appalto siano significative ai fini del medesimo comma 5, lettera c). 14 . Non possono essere affidatari di subappalti e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti per i quali ricorrano i motivi di esclusione previsti dal presente articolo.] _____________ (A) Per una nota di lettura Anci-IFEL sulle disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la Pubblica Amministrazione (DL 135 del 14 dicembre 2018, come approvato dal Senato il 29 gennaio e dalla Camera con voto di fiducia il 6 febbraio 2019), di cui al presente comma vedi: Nota IFEL - Istituto finanza economia locale 07/02/2019 n. 158105. (B) In riferimento ad un Parere relativo a Consip - Bando di gara per l'affidamento della fornitura di servizi di facility management ad uffici, università ed enti di ricerca - Edizione 1, vedi: Parere Autorita Garante per la Concorrenza e il Mercato 24 settembre 2019 n. AS1630. [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Le verifiche in sede di gara riferite al subappaltatore, di cui al presente articolo, sono sospese fino al 30 giugno 2023, a norma dell'articolo 1, comma 18, del D.L 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55, come modificato dall'articolo 13, comma 4, del D.L. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito, con modificazioni, dalla Legge 26 febbraio 2021, n. 21 e successivamente dall'articolo 52, comma 1, lettera a), punto 9), del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108. [3] Alinea modificato dall'articolo 10, comma 1, lettera c), numero 1), della Legge 23 dicembre 2021, n. 238. [4] Lettera inserita dall'articolo 49, comma 1, lettera a), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56. [5] Lettera modificata dall'articolo 49, comma 1, lettera a), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56. [6] Comma modificato dall'articolo 49, comma 1, lettera b), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56 e successivamente dall'articolo 1, comma 20, lettera o), numero 1), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55. [7] Comma modificato dall'articolo 49, comma 1, lettera c), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56 e successivamente dall'articolo 1, comma 20, lettera o), numero 2), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55. [8] Comma modificato dall'articolo 49, comma 1, lettera d), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56, dall'articolo 8, comma 5, lettera b), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120 e successivamente dall'articolo 10, comma 1, lettera c), numero 2), della Legge 23 dicembre 2021, n. 238. [9] Vedi l'articolo 1, comma 1, del D.M. 28 settembre 2022. [10] Alinea modificato dall'articolo 10, comma 1, lettera c), numero 3), della Legge 23 dicembre 2021, n. 238. [11] Lettera sostituita dall'articolo 372, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, a decorrere dal 15 luglio 2022, ai sensi di quanto stabilito dall'articolo 389, comma 1, del D.Lgs. 14/2019, come modificato dall'articolo 5, comma 1, del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla Legge 5 giugno 2020, n. 40, dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla Legge 21 ottobre 2021, n. 147e successivamente dall'articolo 42, comma 1, del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla Legge 29 giugno 2022, n. 79. [12] Lettera sostituita dall'articolo 1, comma 20, lettera o), numero 3), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55. [13] Lettera sostituita dall'articolo 5, comma 1, del D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni, dalla Legge 11 febbraio 2019, n. 12. [14] Lettera aggiunta dall'articolo 5, comma 1, del D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni, dalla Legge 11 febbraio 2019, n. 12. [15] Lettera aggiunta dall'articolo 5, comma 1, del D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni, dalla Legge 11 febbraio 2019, n. 12. [16] Lettera inserita dall'articolo 1, comma 20, lettera o), numero 4), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55. [17] Lettera inserita dall'articolo 49, comma 1, lettera e), punto 1), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56. [18] Lettera inserita dall'articolo 49, comma 1, lettera e), punto 1), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56. [19] Lettera modificata dall'articolo 49, comma 1, lettera e), punto 2), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56. [20] Comma modificato dall'articolo 10, comma 1, lettera c), numero 4), della Legge 23 dicembre 2021, n. 238. [21] Comma modificato dall'articolo 49, comma 1, lettera f), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56 e successivamente sostituito dall'articolo 1, comma 20, lettera o), numero 5), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55. [22] Comma aggiunto dall'articolo 1, comma 20, lettera o), numero 5), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32,convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55. InquadramentoL'art. 80 del Codice reca la disciplina dei motivi di esclusione dalle procedure di gara, riferendosi ai requisiti definiti tradizionalmente di ordine generale, di moralità o anche di ordine pubblico, necessari per partecipare a una procedura di appalto o di concessione nonché per eseguire il contratto. Si tratta di requisiti di natura strettamente soggettiva, richiesti per ogni tipologia ed importo di prestazione, in quanto posti a garanzia dell'affidabilità morale e professionale dei concorrenti. Essi sono ritenuti dalla giurisprudenza espressione di «un fondamentale principio di ordine pubblico economico che soddisfa l'esigenza che il soggetto che contrae con l'amministrazione sia affidabile» (Cons. St. VI, n. 2725/2003). Pertanto, essi devono essere posseduti dai concorrenti in qualsiasi tipologia di affidamento, compresi i contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea (art. 36 del Codice) nonché i contratti relativi ai settori esclusi dall'applicazione integrale del Codice (art. 136) e i contratti di concessione (art. 164, comma 2); essi, inoltre, devono essere soddisfatti da tutti i soggetti che, a qualunque titolo, concorrono all'affidamento, quindi dall'operatore economico che partecipa in forma monosoggettiva, dagli operatori che partecipano in forma associata (ad es. R.T.I., contratto di rete), dalle imprese consorziate, dall'impresa ausiliaria (art. 89, comma 3) e dai subappaltatori (art. 80, comma 14). Rientrando tra i requisiti di partecipazione, essi devono essere posseduti senza soluzione di continuità dalla data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara, ma anche successivamente, fino all'aggiudicazione e alla data di stipulazione del contratto, nonché per tutto il periodo di esecuzione dello stesso (Cons. St. III, n. 3614/2017; Id. V, n. 852/2017; Cons. St., Ad. plen., n. 8/2015). In applicazione del suddetto principio, l'art. 80, comma 6, prevede che le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che si trovi in uno dei motivi di esclusione, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura. Proprio perché si risolvono in una drastica limitazione della capacità contrattuale degli operatori, quindi in una contrazione della libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost., le cause di esclusione di ordine generale sono ritenute tassative, escludendosi la possibilità per la singola stazione appaltante di stabilirne di ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge (Cons. St., n. 4750/2003). Dal principio di tassatività la giurisprudenza ha fatto discendere il divieto di applicazione estensiva o analogica delle cause di esclusione (cfr. ex multis Cons. St. V, n. 3595/2015; Cons. St. IV, n. 6296/2014; Id. V, n. 4629/2011; Cons. St. Ad. plen. n. 10/2012). L'art. 80 attua, in particolare, l'art. 57 della direttiva 2014/24/UE (sugli appalti pubblici), l'art. 80 della direttiva 2014/25/UE (sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali) e l'art. 38 della direttiva 2014/23/UE (sulle concessioni). Rinviando ai paragrafi che seguono l'analisi delle singole cause di esclusione, in termini generali, va tenuto presente che, sin dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 163/2006, i motivi di esclusione previsti dal legislatore nazionale sono più ampi rispetto a quelli definiti nelle direttive europee. Inoltre, rispetto all'art. 38 del previgente Codice, essi sono stati ulteriormente incrementati con l'art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, che, sul punto, è stato novellato dal d.lgs. n. 56/2017 (Decreto Correttivo), nonché dal d.l. c.d. Semplificazione n. 135/2018 (conv., con modif. dalla l. n. 12/2019), dall'art. 1, comma 20, lett. o) della l. n. 55/2019 (di conversione con modificazioni del d.l. n. 32/2019, c.d. Sblocca cantieri) e dall'art. 8, comma 5, lett. b) del d.l. c.d. Semplificazioni n. 76/2020 (conv., con modif. dalla l. n. 120/2020). Rispetto all'art. 38 del precedente Codice, la disciplina contenuta nell'art. 80 presenta alcune analogie ma, soprattutto, molte differenze (De Nictolis, 772). Il legislatore ha, infatti, optato per la conferma di tutte le cause di esclusione previste nel previgente Codice, anche se non contemplate nelle direttive europee, tenendo ferma anche la scelta di dettare una disciplina più severa rispetto a quella prevista nelle direttive medesime, sia disponendo come obbligatorie le ipotesi che nelle direttive rientrano tra i motivi facoltativi, sia prevedendo cause di esclusione ulteriori rispetto a quelle contemplate dal legislatore europeo. Le differenze più significative rispetto al previgente art. 38 riguardano, invece, la tipizzazione delle condanne penali costituenti motivo di obbligatorio e «vincolato» di esclusione, la previsione di un limite temporale massimo di rilevanza delle cause di esclusione, la possibilità di partecipazione alle gare in presenza di misure di c.d. self-cleaning, l'introduzione di una nuova causa di esclusione in tema di prevenzione di un conflitto di interessi, l'ampliamento dei casi suscettibili di integrare un «grave illecito professionale» (non più circoscritto alla sola fase esecutiva del contratto), l'iniziale estensione, sin dalla fase di gara, delle cause di esclusione nei confronti dei subappaltatori. Si precisa, tuttavia, che l'obbligo di indicare i subappaltatori in fase di gara è stato sospeso dall'art. 1, comma 18, d.l. n. 32/2019, conv. con modif. in l. n. 55/2019, dapprima fino al 31 dicembre 2020, termine successivamente prorogato fino al 31 dicembre 2021 dall'art. 13, comma 4, d.l. n. 183/2020, conv., con modf., in l. n. 21/2021, e in ultimo fino al 30 giugno 2023 ad opera dell'art. 52, comma 1, lett. a) punto 9) d.l. n. 77/2021, conv. con modif., in l. 29 luglio 2021, n. 108. Sotto tale profilo, si segnala che la disposizione in esame sarà oggetto di modifiche da parte della Legge europea 2019-2020 (in corso di approvazione), la quale prevede l'eliminazione della possibilità che un operatore economico possa essere escluso da una procedura di gara, quando il motivo di esclusione (di cui ai commi 1 e 5) non riguardi il medesimo operatore, bensì un suo subappaltatore; nonché, attraverso la modifica del comma 7 dell'art. 80, la limitazione al solo operatore economico (escludendo il subappaltatore) della possibilità, in caso di ravvedimento operoso o altre misure di self-cleaning, di essere ammesso a partecipare alle procedure di gara. Il testo della disposizione è stato modificato, con effetto dal 1° febbraio 2022 , dalla legge 23 dicembre 2021, n. 238 recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2019- 2020”. Le condanne penali per reati graviLa causa di esclusione contemplata nel comma 1 dell'art. 80 riguarda l'assenza di condanne penali e ha lo scopo di impedire la partecipazione alle procedure di gara ai soggetti le cui condotte siano state riconosciute e accertate incompatibili con la posizione di un contraente pubblico. Il requisito era contemplato nell'art. 38, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 163/2006, che inibiva la partecipazione a coloro che fossero gravati da una condanna definitiva (a cui erano espressamente equiparati la c.d. sentenza di patteggiamento e il decreto penale di condanna irrevocabile) per: i) uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'art. 45, par. 1, della direttiva 2004/18/CE, determinanti l'esclusione automatica dalla procedura, senza alcun margine di valutazione della stazione appaltante; ii) reati gravi in danno dello Stato o della Comunità incidenti sulla moralità professionale, la cui rilevanza ai fini dell'esclusione era rimessa al giudizio discrezionale dell'amministrazione aggiudicatrice. A tale misura è stata attribuita natura cautelare (in aggiunta a quanto già disposto dall'art. 32-ter c.p., che prevede, per alcuni reati di particolare gravità, la pena accessoria dell'incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione) avente lo scopo di evitare la stipulazione di contratti con soggetti inaffidabili poiché responsabili di condotte illecite, reputate incompatibili con la realizzazione di progetti d'interesse collettivo e con l'esborso di denaro pubblico (cfr. A.V.C.P., Determinazione n. 1/2010). Rispetto al precedente Codice, l'art. 80 tipizza i reati che comportano l'esclusione obbligatoria dalla procedura, optando per un sistema di numerus clausus delle condanne. Sotto tale profilo, è rimasto inascoltato il suggerimento del Consiglio di Stato (Cons. St., parere n. 855/2016) di inserire una previsione ‘di chiusura' che riproducesse espressamente la facoltà di esclusione in caso di condanne per reati gravi incidenti sulla moralità professionale. Nella versione definitiva del comma 1 dell'art. 80, è stata però aggiunta la lett. g) che fa riferimento a «ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione» (rimandando alle fattispecie per cui opera il cit. art. 32-ter c.p.). In dottrina, è stata criticata la scelta legislativa di ridurre il novero delle cause di esclusione, evidenziando «il grave rischio di un abbassamento delle esigenze di tutela della legalità e di garanzia di una corretta scelta degli interlocutori contrattuali della P.A.», osservando che «non è del tutto condivisibile la scelta di «cristallizzare» una volta per tutte (...) il quadro delle fattispecie penali ostative, vista l'imprevedibilità dell'evoluzione sociale e la possibile affermazione e diffusione di nuovi e inediti fenomeni criminali» (Greco, Pignatiello, Pietrosanti, Nunziata, Di Iorio, Giuffrè, 773). A questo ‘inconveniente' si è posto parzialmente rimedio includendo le condanne (anche) non definitive, per alcune tipologie di reato, nella categoria del «grave illecito professionale» di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice (cfr. Linee guida ANAC n. 6, su cui infra). Venendo alle fattispecie di reato «escludenti», innanzitutto, il legislatore ha confermato la piena equiparazione, quanto agli effetti dell'esclusione, della sentenza definitiva di condanna, della sentenza di patteggiamento e del decreto penale di condanna divenuto irrevocabile per mancata opposizione. Sulla natura della sentenza di patteggiamento il Consiglio di Stato ha affermato più volte che «la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., seppure non comporta alcuna ammissione di responsabilità, costituisce un accordo sulla misura della sanzione applicabile, grazie al quale l'imputato può beneficiare di uno sconto fino ad un terzo, evitando così l'alea del dibattimento e tuttavia, l'art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen. pone una equiparazione della sentenza di patteggiamento ad una ordinaria di condanna, rilevante agli effetti penali (Cons. St. III, n. 6787/2018). Inoltre, anche ai fini dell'esclusione automatica di cui all'art. 80, comma 1, non è sufficiente la mera pendenza di un procedimento penale (Cons. St. V, n. 3063/2012), come pure l'esistenza di sentenze non ancora passate in giudicato (Cons. St. IV, n. 1320/2015). Volendo semplificare l'elenco di reati indicati, il Codice richiama: delitti di stampo associativo, lett. a); numerosi delitti contro la pubblica amministrazione relativi a fenomeni di concussione, corruzione e frode, lett. b); false comunicazioni sociali, lett. b-bis); frode ai sensi dell'art. 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, lett. c); delitti terroristici o connessi ad attività terroristiche, lett. d); delitti di riciclaggio, lett. e); reati in materia di lavoro minorile e altre forme di tratta di esseri umani, definite con d.lgs. n. 24/2014, lett. f); ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, lett. g). È pacifica la natura obbligatoria ed automatica di tale causa di esclusione. Infatti, «è diverso l'obbligo di dichiarare sentenze penali di condanna rientranti tra quelle previste dall'art. 80, comma 1, ovvero rilevanti ai sensi del successivo comma 5, lett. c); nel primo caso l'esclusione è atto vincolato in quanto discendente direttamente dalla legge, mentre nell'ipotesi di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), la valutazione è rimessa alla stazione appaltante» (Cons. St. V, n. 6529/2018). I motivi di esclusione connessi alla disciplina antimafiaIl comma 2 dell'art. 80 prevede motivi di esclusione relativi alla normativa antimafia, precedentemente contenuti nell'art. 38, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 163/2006. Rispetto alla previgente disposizione, la nuova norma ha il pregio di avere raccordato la disciplina del Codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011) con quella del Codice dei contratti pubblici, facendo chiarezza circa il corretto inquadramento degli strumenti di controllo antimafia nell'ambito della contrattualistica pubblica, sia in fase di gara sia di esecuzione (cfr. art. 108, comma 2, lett. b) del Codice che prevede la risoluzione obbligatoria del contratto). Ai sensi del Codice antimafia, la documentazione antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia e dall'informazione antimafia: la prima consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di contrarre con la P.A. di cui all'art. 67 del medesimo decreto (art. 84, comma 2) ed ha validità di sei mesi dalla data di acquisizione (art. 86, comma 2); la seconda contiene anche l'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese ‘raggiunte' (art. 86, comma 3) ed ha validità di dodici mesi dalla data di acquisizione (art. 86, comma 2). La documentazione antimafia può essere liberatoria, se favorevole all'interessato, o interdittiva, se a lui sfavorevole e si sostanzia in un provvedimento amministrativo avente natura cautelare e preventiva, finalizzato a salvaguardare l'ordine pubblico economico e il corretto confronto concorrenziale, impedendo che imprese interdette possano contrarre con la P.A. Sotto la vigenza del d.lgs. n. 163/2006, si discuteva se tale documentazione fosse necessaria solo ai fini della stipulazione del contratto o anche ai fini della partecipazione alla gara. Con l'art. 80, comma 2, del Codice il legislatore ha aderito a questa seconda opzione (si veda ANAC, Rassegna ragionata degli atti dell'Autorità in tema di riflessi dell'interdittiva antimafia sulla partecipazione alle gare e sull'esecuzione dei contratti pubblici, anni 2015-2019, gennaio 2020). Per quanto concerne l'ambito applicativo del motivo di esclusione in esame, la versione originaria del comma 2 dell'art. 80 non individuava i soggetti nei cui confronti operava l'esclusione. L'ANAC (con Comunicato del Presidente del 26 ottobre 2016) aveva chiarito che, in assenza di specifiche indicazioni normative, il motivo di esclusione andava riferito ai soggetti sottoposti alla verifica antimafia, ai sensi dell'art. 85 del Codice antimafia. Con l'art. 49 del d.lgs. n. 56/2017 (Decreto correttivo) il legislatore ha, poi, specificato che esso opera «con riferimento ai soggetti indicati al comma 3» (cfr. Comunicato del Presidente dell'ANAC dell'8 novembre 2017). Rimaneva, tuttavia, aperto il problema del disallineamento con il Codice antimafia, con riferimento ai controlli nelle società di capitali (considerando che, mentre l'art. 80, comma 3, del Codice dei contratti pubblici si riferiva al «socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio», l'art. 85, comma 2, lett. c) del Codice antimafia fa riferimento al «socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, ovvero al socio in caso di società con socio unico»; cfr. Atto di segnalazione n. 5 del 12 dicembre 2018, con cui l'ANAC aveva sottolineato l'opportunità di valutare un allineamento tra le due disposizioni «considerato che la ratio non può che essere la medesima, ovvero estendere i controlli ai soggetti che nell'ambito delle società a capitale sociale ristretto, hanno un presumibile e altamente probabile potere di controllo all'interno della società»). Il risultato auspicato dall'Autorità è stato raggiunto con l'art. 1, comma 20, lett. o) della l. n. 55/2019, con il quale è stato, altresì, specificato che rimane fermo quanto previsto dall'art. 34-bis, commi 6 e 7, del Codice antimafia (il quale prevede che le imprese destinatarie di informativa interdittiva antimafia, che abbiano impugnato il provvedimento prefettizio, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione, l'applicazione del controllo giudiziario di cui all'art. 34-bis, comma 2, del medesimo Codice; viene, inoltre, previsto che il provvedimento giudiziario che dispone l'amministrazione giudiziaria o il controllo giudiziario, sospende gli effetti dell'interdittiva antimafia). La giurisprudenza è pacifica sulla natura vincolata del provvedimento di esclusione da una gara (ovvero di risoluzione del contratto in fase di esecuzione) a fronte della sopravvenienza di un'informativa interdittiva antimafia (Cons. St. III, n. 319/2017; sull'obbligo di dichiarare l'informativa antimafia cfr. Cons. St. III, n. 2896/2019). Sulla natura del provvedimento interdittivo de quo ed in particolare sui suoi effetti, si veda Cons. St., Ad. plen., n. 3/2018, secondo cui il provvedimento di c.d. interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque l'impossibilità per il destinatario (persona fisica o giuridica) di essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro c.d. ‘lato esterno, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione. Sui rapporti tra interdittiva e i contratti pubblici cfr. ex multis C.G.R.S., ord. n. 48/2021; Cons. St., Ad. plen., n. 23/2020. L'ambito soggettivo e oggettivo di applicazioneL'art. 80, comma 3, del Codice definisce il perimetro di applicazione soggettivo delle fattispecie escludenti di cui ai commi 1 e 3 della stessa disposizione. Tale disposizione è applicabile anche alla categoria dei gravi illeciti professionali, di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice (cfr. infra). Rispetto al precedente Codice, la cui normativa di riferimento era contenuta nell'art. 38, comma 1, lett. c) e b), la vigente disposizione – soprattutto in seguito alle modifiche apportate dall'art. 49 del d.lgs. n. 56/2017 e dall'art. 1, comma 20, lett. o) della l. n. 55/2019 – ha ampliato il novero delle persone (fisiche o giuridiche) nei confronti delle quali operano i motivi di esclusione, recependo alcuni approdi giurisprudenziali. Tra i soggetti espressamente menzionati dalla norma in esame rientrano: i) il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; ii) il socio o il direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; iii) i soci accomandatari o il direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; iv) i membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi institori e procuratori generali, i membri degli organi con poteri di direzione o di vigilanza o i soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo, il direttore tecnico o il socio unico persona fisica, ovvero il socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. La giurisprudenza ha assimilato alla figura del direttore tecnico quella del responsabile tecnico dell'impresa (cfr. Cons. St. III, n. 768/2013; Cons. St. V, n. 83/2012). È stata, tuttavia, esclusa tale equiparazione nel caso in cui al responsabile tecnico non siano attribuiti poteri di rappresentanza e di gestione, anche sul piano della direzione tecnica (Cons. St. III, n. 619/2015; Cons. St. V, n. 6105/2014). Gli aspetti di maggiore problematicità hanno riguardato le società di capitali. Con riferimento ai membri del consiglio di amministrazione, cui sia conferita la legale rappresentanza, e agli organi con poteri di direzione o di vigilanza, come rilevato dall'ANAC (nel Comunicato del Presidente dell'8 novembre 2017), la loro individuazione varia in funzione del sistema societario prescelto: i) nel caso di sistema tradizionale o monistico, occorre fare riferimento, quanto agli organi di direzione e amministrazione, ai membri del consiglio di amministrazione ai quali sia stata conferita la legale rappresentanza (presidente, amministratore unico o delegato), quanto agli organi di vigilanza, al collegio sindacale (nel modello tradizionale) e al comitato per il controllo sulla gestione (con riguardo al sistema monistico); ii) nell'ipotesi di adozione del sistema dualistico, occorre fare riferimento ai membri del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza. Nell'ambito applicativo della norma sono pacificamente inclusi i procuratori generali (cfr. T.A.R. Lazio (Roma) I-bis, n. 1725/2021 relativa a «un procuratore generale della società e che, in ogni caso, ha posto in essere tale condotta in qualità di rappresentante della stessa e con la finalità di avvantaggiare quest'ultima»). Sono, invece, esclusi i procuratori speciali con limitati poteri gestori (Cons. St. III, n. 5240/2015; Cons. St., Ad. plen., n. 23/2013). Altra questione è quella relativa all'interpretazione della locuzione «socio di maggioranza». A tale riguardo, si sono formati in giurisprudenza due orientamenti contrapposti. Secondo un primo indirizzo (che può definirsi minoritario), i controlli vanno estesi nei confronti del socio «persona giuridica» e vanno effettuati risalendo alla persona giuridica a cui fa capo il “controllo indiretto” dell'operatore economico, ossia ai soggetti investiti di poteri gestori, decisionali e rappresentativi, al fine di evitare fenomeni di irregolarità e l'elusione della disciplina di ordine pubblico (cfr. ex multis Cons. St. n. 3178/2017; Id. n. 2813/2016; Id., n. 4442/2015; T.A.R. Lazio (Roma) I-quater, n. 3677/2017; T.A.R. Campania (Napoli), III, n. 3566/2016). Altro indirizzo (prevalente), invece, ha escluso l'applicabilità della norma al socio di maggioranza persona giuridica, sia per ragioni di ordine letterale – in quanto, con riferimento alle società con meno di quattro soci, manca la precisazione relativa al socio unico persona fisica –, che per ragioni di ordine sistematico, in quanto la norma necessariamente richiede che vi sia un rapporto di immedesimazione organica tra il soggetto interessato e l'impresa concorrente o almeno la possibilità del soggetto di influire sulla gestione della società – (cfr. ex multis Cons. St. V, n. 5782/2020; Cons. St. V, n. 7922/2019; Cons. St. VI, n. 1292/2016; C.G.A.R.S., n. 179/2016). Sotto altro connesso profilo la giurisprudenza, risolvendo un altro contrasto interpretativo, ha affermato l'applicabilità della norma anche ai due soci, titolari ciascuno del 50% del capitale sociale, ovvero (in caso di società con tre soci) al socio titolare del 50% (Cons. St., Ad. plen., n. 24/2013). Non è, invece, configurabile un obbligo dichiarativo in capo al socio titolare della sola maggioranza relativa (Cons. St. V, n. 3621/2015; T.A.R. Campania (Napoli), n. 3942/2015). Confermando la formulazione ampia utilizzata nell'art. 38, comma 1, lett. c) del precedente Codice, l'art. 80, comma 3, impone di verificare l'assenza di condanne penali e di misure relative alla normativa antimafia anche a carico dei soggetti cessati dalle cariche in precedenza menzionate nell'anno antecedente la pubblicazione del bando di gara. La ratio di tale previsione è quella di evitare una facile elusione della normativa, realizzabile attraverso la tempestiva sostituzione dei soggetti affetti dal motivo di esclusione, in vista della partecipazione alla gara. Si presume, infatti, che la persona fisica che ha posto in essere una condotta riprovevole abbia ‘inquinato' l'organizzazione societaria. Si tratta, tuttavia, di una presunzione relativa, per la quale è ammessa la prova contraria, in quanto il concorrente può dimostrare di avere adottato misure di completa ed effettiva dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata. Con riguardo alle misure di dissociazione, la giurisprudenza, anche sotto il previgente Codice, ha affermato che “la nozione di “completa ed effettiva dissociazione” [va] intesa in modo rigoroso” (Cons. St. V, n. 1024/2016). In termini generali, sono state considerate misure dissociative il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, atteso il suo carattere di estrema afflittività per il dipendente (Cons. St. V, n. 1024/2016); la revoca dei poteri conferiti all'amministratore condannato o l'accettazione delle sue dimissioni (Cons. St. V, n. 3992/2014); l'avvio di un'azione di responsabilità sociale ex art. 2476 c.c. (Cons. St. V, n. 2271/2014; C.G.R.S., n. 37/2014). Invece, non è stata ravvisata l'effettività della condotta dissociativa nella semplice rimozione o cessazione della carica sociale, non seguite dal tempestivo avvio di un'azione per responsabilità sociale (Cons. St. V, n. 3880/2019); il trasferimento alla moglie convivente della quota posseduta dall'ex socio condannato (T.A.R. Lazio (Latina) I, n. 761/2016); l'adozione di una delibera di revoca del ruolo di direttore tecnico, ma non anche di direttore operativo (Cons. St. V, n. 1028/2019). La giurisprudenza (anche sotto la vigenza del precedente Codice, i cui principi sono tutt'ora validi) ha esteso l'applicazione degli obblighi dichiarativi anche alle ipotesi di successione tra enti (cessione di azienda o di un suo ramo, fusione o incorporazione) avvenuti nell'anno antecedente la pubblicazione del bando di gara, equiparando gli amministratori (e gli altri soggetti elencati nell'odierno comma 3 dell'art. 80) agli amministratori delle società cedenti, incorporate o fuse con altra società. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Ad. plen., n. 10/2012; Ad. plen., n. 21/2012) ha equiparato gli amministratori e i direttori tecnici della cedente ai “soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando”. Ciò in ragione di una presunzione di continuità tra la vecchia e nuova gestione imprenditoriale che, pure, può essere superata dando la prova della cesura tra l'una e l'altra (cfr. di recente Cons. St. IV, n. 3481/2021). Lo stesso principio è applicabile al contratto di affitto di azienda (in questo caso opera pur sempre la presunzione di continuità, ed anzi è più solida, perché nel periodo di affitto, sia pure mediante la percezione del canone, il locatore si giova dei risultati economici dell'azienda conseguiti dalla successiva gestione e l'affittuario delle referenze del complesso aziendale acquisito; cfr. Cons. V, n. 3607/2018; Id. n. 4045/2017). La giurisprudenza ha precisato che l'obbligo di dichiarazione riguarda anche l'assenza di grave errore professionale nell'esecuzione di precedenti contratti (ora confluito nella categoria del grave illecito professionale), essendo funzionale ad evitare la partecipazione alla gara di una società utilizzata per commettere illeciti e ‘ripulita' mediante il ricambio degli amministratori ovvero attraverso un successivo passaggio di mano (Cons. St. V, n. 2733/2017). Sotto il profilo della completezza della dichiarazione sostitutiva da presentare in sede di gara, va tenuto presente che essa non deve contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell'impresa, quando questi ultimi possano essere agevolmente identificati (Cons. St., Ad. plen., n. 16/2014; cfr. Cons. St. V, n. 3873/2018). L'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 80 è dedicato alle c.d. cause di esenzione. In particolare, l'esclusione non va disposta in cinque diverse ipotesi: i) quando il reato sia stato depenalizzato; ii) quando sia intervenuta la riabilitazione; iii) nei casi di condanna ad una pena accessoria perpetua, quando questa sia stata dichiarata estinta ai sensi dell'art. 179, comma 7, c.p. (ipotesi aggiunta dalla l. n. 55/2019); iv) quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna; v) in caso di revoca della condanna. L'esclusione dell'obbligo di dichiarare una condanna per reato depenalizzato discende dalla definitiva irrilevanza penale sancita dal legislatore al reato depenalizzato; anche in tal caso, la possibilità di apprezzarne la gravità e quindi la rilevanza ai fini della partecipazione ad una gara pubblica risulta esclusa ex ante dal provvedimento legislativo a contenuto abrogativo (Cons. St. VI, n. 4392/2013; T.A.R. Lazio (Roma), I-bis, n. 372/2019). Con riferimento all'estinzione del reato, si registrano due orientamenti, relativamente alla necessità o meno del provvedimento del giudice dell'esecuzione: un primo indirizzo, reputa sufficiente la constatazione della circostanza del mero decorso del tempo successiva alla sentenza di condanna a pena sospesa o patteggiata (Cons. St. VI, n. 2704/2018); un secondo indirizzo (prevalente) ritiene, al contrario, necessaria una pronuncia espressa del giudice dell'esecuzione penale, che è l'unico soggetto al quale l'ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria (Cons. St. V, n. 7025/2018; Cons. St. III, n. 2548/2017; Cons. St. III, n. 4118/2016). Allo stesso modo si ritiene che l'avvenuta abrogazione del reato, con conseguente estinzione della pena, necessiti di un provvedimento giurisdizionale avente efficacia costitutiva nei confronti dei terzi (Cons St. V, n. 7025/2018). Sotto il profilo oggettivo, infine, il comma 11 dell'art. 80, tra le disposizioni ‘di chiusura' dei motivi di esclusione, precisa che essi non si applicano alle aziende o società sottoposte a sequestro o confisca (ai sensi dell'art. 12-sexies del d.l. n. 306/1992, conv., con modif. dalla l. n. 356/1992 o degli artt. 20 e 24 del Codice antimafia), qualora siano state affidate a un custode o a un amministratore giudiziario o finanziario. La ratio di tale deroga è riconducibile al fatto che l'affidamento al custode o all'amministratore garantisce una completa dissociazione dalla precedente gestione ‘illecita' della società, consentendone il risanamento. L'irregolarità fiscale e contributivaL'art. 80, comma 4, d.lgs. 50/2016 conferma in larga parte quanto precedentemente disposto dall'art. 38, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 163/2006, prevedendo che la violazione degli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse, così come dei contributi previdenziali, determina l'esclusione dalla partecipazione alla procedura di appalto degli operatori economici che hanno commesso tali violazioni. I primi quattro periodi dell'art. 80, comma 4, prevedono una tipologia di meccanismo escludente di natura vincolata, legato alla commissione di una violazione “grave” e “definitivamente accertata” rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. In merito alla nozione di “violazione definitivamente accertata” il Consiglio di Stato ha precisato che il concetto di definitività nell'ambito delle gare pubbliche va fotografato al momento della scadenza del termine di presentazione dell'offerta, nel senso che – affinché possa ritenersi sussistente la definitività dell'accertamento della violazione – è in quel momento che non devono sussistere dubbisulla debenza della somma, o che deve risultare accolta l'istanza di rateizzazione, ovvero che deve essere risultare ancora pendente un ricorso amministrativo (se previsto) e/o giurisdizionale (Cons. St. V, n. 5802/2015; Cons St. V, n. 2397/2020). Quanto alla nozione di “violazione grave”, il legislatore precisa che costituiscono gravi violazioni “quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui all'art. 8 del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla G.U. n. 125 del 1° giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale”. Quanto alla natura vincolata del meccanismo escludente in parola, la giurisprudenza conferma che i primi periodi dell'art. 80, comma 4, del Codice non consentono alcuna valutazione in ordine alle irregolarità fiscali riscontrate e all'incidenza sulla affidabilità dell'operatore economico; il legislatore, infatti, fissando precisi parametri normativi, ha pre-valutato le condizioni di regolarità e predeterminato le conseguenze dell'eventuale irregolarità sulla partecipazione (da ultimo T.A.R. Campania (Salerno) I, n. 441/2021). Il d.l. Semplificazioni (d.l. n. 76/2020), così come convertito dalla l. n. 120/2020, ha introdotto un quinto periodo prevedendo (non già l'obbligo, bensì la mera) possibilità di esclusione dalle procedure d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che l'operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione. La novella consente alla stazione appaltante di escludere un operatore economico dalla procedura quando essa sia a conoscenza, e possa adeguatamente dimostrare, che l'operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione ai sensi, rispettivamente, del secondo o del quarto periodo dell'art. 80, comma 4. A differenza del regime antecedente, pertanto, la stazione appaltante può escludere l'operatore, anche qualora l'accertamento della grave violazione non sia definitivo. Sulla possibilità di escludere un operatore economico per violazioni non definitivamente accertate si vedano anche le novità di cui alla legge 23 dicembre 2021, n. 238, su cui amplius infra, par. 5.2. L'ANAC (con Delibera n. 215/2021), in sede di precontenzioso, ha evidenziato che “con la modifica all'art. 80, comma 4, del Codice apportata dall'art. 8, comma 5, lett. b), della l. 11 settembre 2020 (...) è stato superato il pregresso principio secondo cui, in mancanza di un accertamento di carattere definitivo, non era possibile, per la stazione appaltante, escludere il concorrente dalla gara. Tale causa di esclusione si applica alle procedure di gara i cui bandi sono stati pubblicati o i cui inviti sono stati trasmessi dopo l'entrata in vigore del Decreto-legge, a prescindere da un esplicito richiamo della nuova disposizione nella lex specialis di gara, trattandosi di una normativa di carattere cogente ed imperativo”. Nella recente modifica normativa emerge la volontà legislativa di inasprire il regime previsto, accordando alla stazione appaltante la possibilità di disporre l'esclusione anche a prescindere dal presupposto della definitività dell'accertamento, con ciò introducendo un notevole ampliamento del potere discrezionale della stazione appaltante medesima (Fontana, Madeo, 32). Si evidenzia che il requisito della regolarità fiscale e contributiva assume importanza anche nella fase esecutiva del contratto pubblico, come requisito che deve essere mantenuto senza soluzione di continuità. Ciò è confermato peraltro dal dato normativo (cfr. art. 30, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016, che prevede l'intervento in via sostitutiva della stazione appaltante nel caso in cui l'appaltatore non paghi i contributi, versando direttamente agli enti previdenziali ed assicurativi quando dovuto dall'appaltatore). Il Consiglio di Stato ha più volte precisato che il principio di necessaria continuità dei requisiti di partecipazione si riferisce a tutti i requisiti generali e speciali di partecipazione e postula che gli stessi siano posseduti senza soluzione di continuità al momento della presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la fase di esecuzione, qualora l'impresa sia aggiudicataria dell'appalto (per le più recenti: Cons. St. V, n. 1918/2020; Cons. St. V, n. 8514/2019; Id., n. 5441/2019). La regolarità contributiva rientra tra i requisiti di cui ogni operatore che intenda instaurare un rapporto con la pubblica amministrazione deve essere in possesso. Con particolare riferimento alla previsione che reca menzione delle “certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale”, introdotta con il decreto correttivo del 2017, merita sottolineare che lo Sportello Unico Previdenziale era la piattaforma utilizzata fino al 31 dicembre 2016 per le richieste di rilascio del DURC. Per richiedere il DURC a partire dal 31 dicembre 2016 è invece necessario utilizzare la piattaforma messa a disposizione da I.N.P.S., I.N.A.I.L. e CASSA EDILE. Particolare rilievo assume poi l'art. 3, comma 3, del d.m. 30 gennaio 2015, secondo cui “la regolarità sussiste, inoltre, in presenza di uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa edile. Non si considera grave lo scostamento tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascuna Gestione nella quale l'omissione si è determinata che risulti pari o inferiore ad Euro 150,00 comprensivi di eventuali accessori di legge”. Ai fini del presupposto della gravità, riferimento determinante è la valutazione operata in sede regolamentare ove si introduce una franchigia di tolleranza pari ad Euro 150,00, con la conseguenza che tutte le pendenze di importo maggiore comporteranno il superamento della soglia di rilievo (Greco, Pignatiello, Pietrosanti, Nunziata, Di Iorio, Giuffrè, 799). Le stazioni appaltanti non hanno né la competenza né il potere di valutare caso per caso la gravità della violazione previdenziale, ma devono attenersi alle valutazioni dei competenti enti previdenziali (Cons. St., Ad. plen., n. 8/2012). Si è visto che oltre alle violazioni di natura contributiva e previdenziale, il comma 4 dell'art. 80 individua, quale motivo di esclusione automatica dalle procedure di affidamento, la commissione da parte dell'operatore economico di “violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse”. Sul punto, si sottolinea che l'espressione “imposte e tasse” è usata in senso generico, evocando qualsiasi prestazione di natura tributaria, comunque denominata dal legislatore, per la quale si sia registrata una violazione dell'obbligo di pagamento. Vi rientrano, quindi, anche canoni, diritti, tariffe ed altre prestazioni patrimoniali annoverabili nella categoria del tributo, secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza costituzionale, e cioè laddove vi sia la coattività del prelievo e la finalizzazione degli introiti al sostenimento della spesa pubblica. La violazione dell'obbligo di pagamento può, peraltro, riguardare non solo il tributo in sé, ma anche le sanzioni amministrative e gli interessi moratori richiesti dal Fisco in relazione a qualsiasi tipologia di irregolarità tributaria. Sia la giurisprudenza che l'ANAC hanno precisato che la grave violazione in materia tributaria può derivare anche dall'omesso pagamento di tributi locali (Cons. St. IV, n. 7789/2020, che ha confermato T.A.R. Puglia (Lecce) II, n. 731/2020; ANAC, Delibera n. 295/2020). Parimenti a quanto avviene per le violazioni contributive, il legislatore richiede che le violazioni in materia di imposte e tasse siano gravi e definitive. Quanto al presupposto della gravità, il dato normativo precisa che “costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.” Sul punto, si rileva che la l. n. 205/2017 ha ridotto, con decorrenza dal 1° marzo 2018, da 10.000 a 5.000 Euro il limite minimo di importo per la verifica dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni prevista dall'art. 48-bis del d.P.R. n. 602/1973 e per la verifica della regolarità fiscale prevista di cui alla norma in esame. La causa ostativa data dalla situazione di irregolarità tributaria ex art. 80, comma 4, rileva in sé, sul piano oggettivo. Più precisamente, affinché possano ritenersi integrati i presupposti della gravità, occorre che l'operatore economico partecipante alla gara sia incorso in un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R. n. 602/2017 (Cons. St. V, n. 1415/2019). Quanto al presupposto della definitività, parimenti a quanto previsto per le violazioni contributive e previdenziali, si stabilisce che esso si ricolleghi all'esistenza di sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. Il requisito della definitività non ricorre quando la definizione concreta del rapporto tributario sia ancora esposta all'oppugnabilità o alla negazione giudiziale e, dunque, non abbia raggiunto un livello di sicurezza tale per cui l'aspirante concorrente sia da presumere senz'altro inaffidabile o da estromettere: vale a dire, o quando siano ancora pendenti i termini per la presentazione di una contestazione giurisdizionale o, in caso di avvenuta impugnazione, laddove la pronuncia giurisdizionale non sia ancora passata in giudicato (Cons. St. V, n. 2279/2019). Le violazioni degli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse si considerano “definitivamente accertate” non solo quando rinvengono da sentenze passate in giudicato, ma anche da atti amministrativi inoppugnabili (perché non tempestivamente gravati). È questo il caso: – della cartella di pagamento emessa a seguito di avviso di accertamento non impugnato ovvero confermato ad esito del giudizio; – ovvero della cartella di pagamento che, pur costituendo il primo atto con il quale si manifesta la pretesa impositiva, non sia stata tempestivamente impugnata (T.A.R. Lombardia (Milano) I, n. 448/2019). Con precipuo riferimento al tema della inoppugnabilità degli atti amministrativi, la giurisprudenza ha chiarito che nessuna rilevanza può assumere la mera pendenza dei termini per l'impugnazione di cartelle esattoriali alla data prevista per la presentazione della domanda di partecipazione. Ciò in quanto la cartella di pagamento può essere impugnata soltanto per vizi formali attinenti alla stessa cartella, non potendo invece più essere rimessa in discussione la definitività dell'accertamento della sottostante pretesa tributaria (Cons St. V, n. 2397/2020; Id., n. 3985/2017). Difatti la cartella di pagamento (che non è atto del titolare della pretesa tributaria, ma del soggetto incaricato della riscossione) costituisce solo uno strumento con cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale, non possiede cioè alcuna autonomia che consenta di impugnarla prescindendo dagli atti in cui l'obbligazione è stata enunciata, laddove è l'avviso di accertamento l'atto mediante il quale l'ente impositore notifica formalmente la pretesa tributaria al contribuente, a seguito di un'attività di controllo sostanziale (Cons. St. V, n. 856/2018). Parimenti a quanto già visto per le violazioni contributive e previdenziali, l'ultimo periodo del comma 4 dell'art. 80 esplicita che l'esclusione non si applica quando “l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ovvero quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l'estinzione, il pagamento o l'impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande”. La mera presentazione dell'istanza di rateizzazione non comporta l'automatico recupero della posizione di regolarità fiscale, restando inderogabile la prescrizione di formalizzazione dell'impegno al pagamento prima della scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla procedura (cfr. ex multis Cons. St. V, n. 15/2019; T.A.R. Lazio (Roma), n. 3664/2019; Cons. St., Ad. plen., n. 20/2013). Il Documento unico di regolarità contributiva (DURC) Nell'ambito della regolarità contributiva assume fondamentale rilievo il DURC (documento unico di regolarità contributiva), disciplinato con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 30 gennaio 2015, che rappresenta – allo stato – l'unico strumento di controllo della posizione contributiva utilizzabile dalle stazioni appaltanti nelle gare. Ciò è confermato dalla più recente giurisprudenza, secondo cui il DURC costituisce l'unico documento attestante il rispetto degli oneri previdenziali e assistenziali da parte dell'operatore economico partecipante alla procedura di gara. La stazione appaltante, difatti, non è tenuta ad alcun'altra verifica, sebbene segnalazioni in senso contrario a quanto ivi certificato siano pervenute da terzi interessati all'esclusione dell'operatore dalla procedura di gara (Cons. St. V, n. 4023/2019) Più precisamente, il Consiglio di Stato ha chiarito che la nozione di “violazione grave” non è rimessa alla valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma si desume dalla disciplina previdenziale, e in particolare dalla disciplina del documento unico di regolarità contributiva; ne consegue che la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti con la P.A. è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni (DURC) si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto (Cons. St. V, 1557/2016; Cons. St. Ad. plen., n. 8/2012). E ciò in considerazione della natura giuridica di tali certificazioni che sono dichiarazioni di scienza assistite dalla pubblica fede, facenti prova fino a querela di falso (Cons. St., Ad. plen, n. 10/2016). La regolarità contributiva viene autocertificata dal concorrente nella domanda di partecipazione, dopodiché, ai sensi del d.l. n. 43/2014, la stazione appaltante procede alla verifica acquisendo d'ufficio il DURC, attraverso le banche dati di I.N.P.S. e I.N.A.I.L. Tra le norme oggi disciplinanti il DURC, particolare importanza riveste l'art 31 del d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013. L'art. 31, comma 8, di tale Decreto (in combinato disposto con l'art. 4 del d.m. 30 gennaio 2015) prevede che quando l'I.N.P.S. o l'I.N.A.I.L., in sede di rilascio del DURC, riscontrino la sussistenza di una situazione di irregolarità contributiva, invitino l'interessato tramite P.E.C. alla regolarizzazione entro il termine di 15 gg (c.d. “preavviso di DURC negativo”). Ci si è chiesti se la regolarizzazione prevista dal sopra citato art. 31, comma 8, data la sua formulazione in termini generali, possa applicarsi anche in relazione al requisito della regolarità contributiva dichiarato ai fini della partecipazione a una gara d'appalto. Sulla questione si è pronunciato il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. plen., n. 5/2016), escludendo che la regolarizzazione prevista dall'art. 31, comma 8, del d.l. n. 69/2013 possa applicarsi anche al requisito della regolarità contributiva dichiarato ai fini della partecipazione alla gara proprio in virtù del principio della necessaria permanenza e continuità nel possesso dei requisiti dichiarati ai fini della partecipazione alla gara, che è previsto dall'art. 80, comma 6, del Codice (e in precedenza, dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006). Il Consiglio di Stato ha affermato, in sostanza, che qualora si ammettesse una regolarizzazione postuma, successivamente alla scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione, si derogherebbe al principio di necessaria permanenza dei requisiti, nonché allo stesso principio di par condicio tra i concorrenti che del primo costituisce il fondamento. Ne consegue che l'istituto dell'invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo) può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall'impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell'autodichiarazione (Cons. St. Ad. plen., n. 5/2016; più di recente Cons. St., n. 1006/2017; Cons. St. V, n. 4100/2020). Agli operatori economici è concesso dimostrare la propria situazione di regolarità contributiva attraverso il cosiddetto ‘DURC in compensazione'. La norma di riferimento è l'art. 13-bis, comma 5, del d.l. n. 52/2012, conv., con modif. nella l. n. 94/2012. Il meccanismo di compensazione non opera automaticamente ed ipso iure, ma richiede una specifica istanza dell'operatore economico. Più precisamente e dal punto di vista operativo: a) al concorrente che si voglia giovare di questo istituto è richiesto di attivarsi per ottenere la certificazione dell'esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti di un soggetto pubblico (tra quelli elencati nell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001); b) tale certificazione deve essere rilasciata nel termine di trenta giorni dalla ricezione dell'istanza; c) una volta ottenuta la certificazione, può essere richiesto il rilascio del DURC c.d. “in compensazione”; d) il DURC deve attestare la regolarità contributiva dell'imprenditore. La giurisprudenza ha precisato che il concorrente deve formulare l'istanza per la certificazione dei crediti, presso l'amministrazione debitrice, prima della presentazione dell'offerta in sede di gara. Ad esito dell'istanza così presentata, il rilascio di DURC c.d. “in compensazione” dovrebbe conseguire all'attività delle amministrazioni coinvolte, dapprima l'amministrazione pubblica che certifica il credito e, successivamente, l'ente previdenziale; se ciò non avviene ed è adottato un DURC irregolare, l'operatore economico potrà in giudizio dimostrare la sua reale situazione contributiva (Cons. St. V, n. 4188/2019). Infine, una questione controversa e ‘attenzionata' dalla giurisprudenza attiene alla possibilità, per il giudice amministrativo, di estendere il proprio sindacato alle risultanze del DURC posto a fondamento delle determinazioni delle stazioni appaltanti. L'orientamento prevalente, autorevolmente sostenuto dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2016), riconosce la sindacabilità del DURC da parte del giudice amministrativo. Un opposto e minoritario orientamento giunge, invece, a dichiarare l'assenza di giurisdizione amministrativa sulle risultanze contenute nel DURC, sostenendo che gli eventuali errori contenuti in detto documento, involgendo situazioni di diritto soggettivo afferenti al sottostante rapporto contributivo, debbano essere corretti dal giudice ordinario, o all'esito della proposizione di querela di falso, o a seguito di ordinaria controversia in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria. In sostanza, il rapporto sostanziale di cui il DURC è mera attestazione si consumerebbe meramente in ambito privatistico, senza che su di esso vengano ad incidere, direttamente o indirettamente poteri pubblicistici, di talché il sindacato sullo stesso esulerebbe dall'ambito della giurisdizione – ancorché esclusiva – di cui è titolare il giudice amministrativo in materia di appalti pubblici (Cons. St. IV, n. 1321/2015, Cons. St. V, n. 2682/2013). Le novità di cui alla legge 23 dicembre 2021, n. 238 (c.d. “Legge europea 2019-2020”) Il testo dell'art. 80, comma 4, d.lgs. 50/2016 è stato modificato, con effetto dal 1° febbraio 2022, dalla legge 23 dicembre 2021, n. 238 recante “Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2019- 2020”. La norma ha previsto che il quinto periodo del predetto art. 80, comma 4, fosse sostituito dai seguenti: “Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali. Per gravi violazioni non definitivamente accertate in materia contributiva e previdenziale s'intendono quelle di cui al quarto periodo. Costituiscono gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale quelle stabilite da un apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e previo parere del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente periodo, recante limiti e condizioni per l'operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate che, in ogni caso, devono essere correlate al valore dell'appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro”. La novella conferma la possibilità, per la stazione appaltante, di escludere un operatore economico quando venga a conoscenza, e possa adeguatamente dimostrare, che non abbia ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati e che tale mancato pagamento costituisca una grave violazione. La principale novità consiste nell'introduzione di un'opportuna specificazione nelle ipotesi in cui la stazione appaltante escluda un operatore economico per violazioni non definitivamente accertate, prevedendo che le gravi violazioni non definitive in materia contributiva/previdenziale sono definite sempre all'art. 80 (4°periodo), mentre quelle fiscali saranno stabilite da un apposito decreto interministeriale (da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione), recante limiti e condizioni per l'operatività della causa di esclusione. La norma precisa che la rilevanza delle violazioni fiscali ai fini dell'esclusione deve essere correlata al valore dell'appalto e che esse devono comunque essere di importo non inferiore a 35.000 euro. Le gravi infrazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoroLa lett. a) del quinto comma dell'art. 80 contempla, come causa di esclusione, “la presenza di gravi violazioni debitamente accertate alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché agli obblighi di cui all'art. 30, comma 3 del presente codice” (vale a dire gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali) che la stazione appaltante può dimostrare con “qualunque mezzo adeguato”. La ratio sottostante a tale motivo di esclusione è quella di estromettere dalle commesse pubbliche soggetti che violano la normativa a tutela del lavoro, della dignità dei lavoratori e della salvaguardia dell'ambiente, posta a presidio di valori costituzionali. Tale previsione – che recepisce integralmente il combinato disposto dell'art. 57, par. 4, lett. a) e dell'art. 18, par. 2, della direttiva 2014/24/UE – ricalca, in parte, quella del previgente art. 38, comma 1, lett. e) del d.lgs. n. 163/2006 che disponeva l'esclusione per i concorrenti incorsi in “gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro, risultante dai dati in possesso dell'Osservatorio”. Vi sono, tuttavia, due significative differenze rispetto alla precedente previsione: i) viene ampliata la categoria delle infrazioni rilevanti, includendovi anche quelle ambientali e sociali; ii) viene eliminato ogni riferimento al fatto che l'infrazione sia stata annotata presso l'Osservatorio dell'ANAC, lasciando maggiore spazio alle valutazioni discrezionali delle stazioni appaltanti, che possono ora dimostrare la sussistenza delle violazioni de quibus “con qualunque mezzo adeguato”, purché diano congrua motivazione della gravità dell'infrazione e della sussistenza del debito accertamento. Già nella vigenza della precedente disposizione, la giurisprudenza prevalente aveva ritenuto che le stazioni appaltanti potessero utilizzare anche dati non provenienti dall'Osservatorio, considerata la finalità di interesse generale che la norma persegue e la natura non costitutiva dell'inclusione dei dati presso l'Osservatorio (Cons. St. VI, n. 4519/2012; T.A.R. Basilicata n. 742/2013; T.A.R. Emilia Romagna II, n. 90/2012; T.A.R. Sardegna, n. 1394/2009). Per quanto concerne l'ambito di applicazione della causa di esclusione in esame, l'ANAC (allora A.V.C.P., sia pure con riferimento al precedente Codice, con Determinazione n. 1/2010) ha chiarito che per “infrazioni alle norme in materia di sicurezza” devono intendersi le infrazioni disciplinate da varie normative, tra cui vi rientra il d.lgs. n. 81/2008 (Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro). Viceversa, per le infrazioni ad ogni obbligo, anzitutto di natura pubblicistica, derivante dai rapporti di lavoro, la norma si presenta come residuale in quanto possono essere escluse quelle correlate a violazioni tributarie e previdenziali, di cui alle lett. g) e i) dell'art. 38 (ora art. 80, comma 4). In tal senso, possono ipotizzarsi, a titolo esemplificativo, violazioni delle prescrizioni sull'igiene nei luoghi di lavoro non riconducibili all'ambito della sicurezza, nonché delle disposizioni in materia di cassa integrazione ovvero in materia di non discriminazione di genere e razza. La lett. a) del quinto comma dell'art. 80 (al pari della previgente lett. e) del comma 1 dell'art. 38) richiede due presupposti contestuali per integrare la causa di esclusione: i) la gravità e ii) il “debito” accertamento della violazione. Il requisito della gravità è rimesso alla valutazione discrezionale della stazione appaltante, la quale dovrà considerare, ad esempio, il tipo di sanzione comminata al datore di lavoro, l'eventuale reiterazione della condotta, il grado di colpevolezza e le conseguenze dannose discese dalla violazione. Sotto tale profilo, è pacifico che la morte di un dipendente durante lo svolgimento dell'attività lavorativa costituisce una “grave infrazione” alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro se addebitabile alla responsabilità del datore di lavoro (Cons. St., V, n. 8294/2019; sul carattere discrezionale della valutazione cfr. Cons. St. V, n. 3876/2018). Per quanto riguarda il requisito in base al quale le violazioni devono essere “debitamente accertate”, si era posta (sotto il precedente Codice) la questione sul significato da attribuire a tale espressione. L'Autorità (nella Determinazione n. 1/2010), in fase di prima interpretazione della norma, aveva equiparato tale concetto a quello delle violazioni “definitivamente accertate” (utilizzato dal legislatore per le violazioni fiscali e contributive), osservando che “la definitività dell'accertamento può discendere, a seconda dei casi, da una sentenza passata in giudicato (laddove la violazione configuri un reato) ovvero da un provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile (qualora si tratti di mero illecito amministrativo)”. La giurisprudenza prevalente ha, invece, sostenuto che non sia necessario un accertamento definitivo e che sia sufficiente che l'infrazione sia stata oggetto di un'autonoma verifica da parte dell'Amministrazione (Cons. St. V, n. 3846/2015; Cons. St. VI n. 4519/2012). La giurisprudenza ha in più occasioni affrontato la questione di quali siano i mezzi di prova dai quali la stazione appaltante può trarre convincimento nel senso della responsabilità dell'operatore economico della grave infrazione verificatasi, ritenendo valido mezzo di prova una sentenza penale non ancora passata in giudicato (cfr. Cons. St. V, n. 4519/2012; T.A.R. Campania (Napoli) I, n. 2598/2017; Cons. St. V, n. 7387/2019), come pure il verbale ispettivo dell'Ispettorato del lavoro (cfr. C.G.A.R.S., n. 546/2019; Id. n. 52/2018; Cons. St. V, n. 3876; Cons. St. III, n. 5564/2020; Cons. St. V, n. 8409/2020; di recente Cons. St. V, n. 2963/2021 secondo cui “i verbali del Servizio prevenzione, igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro [costituiscono] esplicazione del potere di accertamento demandato agli organi competenti ed esercitato nelle forme previste dalla legge”). Si è pertanto affermato come pacifico il principio per cui può essere considerato “mezzo adeguato” all'accertamento della “grave infrazione”, ogni documento, anche se proveniente dall'autorità amministrativa (e non solo dall'autorità giudiziaria), che consenta un giudizio sulla responsabilità dell'impresa nella causazione dell'evento alla luce della qualificata ricostruzione dei fatti ivi contenuta (Cons. St. V, n. 7387/2019). Costituisce causa di esclusione anche la dichiarazione reticente resa da un concorrente in relazione alla sussistenza di una potenziale causa di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. a), in quanto impedisce alla stazione appaltante di valutare, nell'ambito del proprio potere discrezionale, la gravità dell'infrazione accertata; sicché sussiste per un'impresa l'obbligo di dichiarare l'esistenza di un'infrazione in materia di sicurezza sul lavoro (Cons. St. V, n. 8409/2020; T.A.R. Toscana I, n. 989/2018). Lo stato di fallimento e le altre procedure concorsualiL'art. 80, comma 5, lett. b), del Codice prevede l'esclusione dalle procedure di gara dell'operatore economico che si trovi in stato di fallimento, di liquidazione coatta o di concordato preventivo o rispetto al quale sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'art. 110 del Codice e dall'art. 186-bis del r.d. n. 267/1942. L'art. 80, comma 5, lett. b), del d.lgs. n. 50/2016, nel rinviare alle sopra citate disposizioni, prevede talune deroghe all'applicazione del motivo di esclusione determinato dall'insorgenza di una procedura concorsuale nei confronti dell'impresa; tali deroghe intendono conciliare la tutela dell'interesse dell'impresa autorizzata alla prosecuzione dell'attività e al superamento della crisi con la tutela dei creditori che può essere maggiormente garantita anche dall'esecuzione dei contratti in essere. Rileva, altresì, l'interesse della stazione appaltante a stipulare contratti con soggetti affidabili e capaci di portare a termine gli impegni contrattualmente assunti. L'art. 186-bis del r.d. n. 267/1942 e l'art. 110 del d.lgs. n. 50/2016 sono stati recentemente modificati con il d.l. n. 32/2019 (convertito in l. n. 55/2019), denominato “Decreto sblocca cantieri”. La nuova normativa ha anticipato la disciplina dettata dal Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, la cui entrata in vigore è stata differita dall'art. 1, comma 1, d.l. n. 118/2021 al 16 maggio 2022, salvo quanto previsto all'art. 389, commi 1-bis e 2, d.lgs. n. 14/2019. L'art. 2, comma 2, del d.l. n. 32/2019 prescrive: «Le disposizioni di cui all'art. 110 del d.lgs. n. 50/2016, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, si applicano alle procedure in cui il bando o l'avviso con cui si indice la gara è pubblicato nel periodo temporale compreso tra la data di entrata in vigore del presente decreto e la data di entrata in vigore del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, nonché, per i contratti non preceduti dalla pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui gli inviti a presentare le offerte sono stati inviati nel corso del medesimo periodo temporale. 3. A decorrere dalla data di entrata in vigore del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, si applicano le disposizioni dell'art. 372 del predetto decreto.». Coerentemente, ai sensi dell'art. 372, comma 2, d.lgs. n. 14/2019, le disposizioni relative alle modifiche apportate agli artt. 48, comma 17, 80, comma 5, lett. b) e 110, d.lgs. n. 50/2016 si applicheranno «alle procedure in cui il bando o l'avviso con cui si indice la gara è pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore del presente codice, nonché per i contratti non preceduti dalla pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte». Come previsto dall'art. 349 del d.lgs. n. 14/2019 in combinato disposto con l'art. 389, comma 1, a decorrere dall'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, nelle disposizioni normative vigenti i termini “fallimento”, “procedura fallimentare”, “fallito” e le espressioni dagli stessi derivate sono sostituite, rispettivamente, con le espressioni “liquidazione giudiziale”, “procedura di liquidazione giudiziale” e “debitore assoggettato a liquidazione giudiziale” e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie. L'art. 80, comma 5, lett. b), del d.lgs. n. 50/2016, nella versione introdotta dall'art. 372, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 14/2019, indicherà come motivo di esclusione la circostanza che «l'operatore economico sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'art. 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all'art. 1 della l. 19 ottobre 2017, n. 155 e dall'art. 110». L'impresa fallita autorizzata all'esercizio provvisorio dell'attività Rispetto al testo previgente, l'art. 110, comma 3, del Codice, come modificato dal d.l. n. 32/2019, non richiama più la possibilità per il curatore del fallimento autorizzato all'esercizio provvisorio dell'attività di partecipare alle procedure di gara. In caso di fallimento dell'impresa, l'unica deroga ammessa concerne la possibilità di eseguire i contratti in corso con l'autorizzazione del giudice delegato. In tema di impresa fallita, autorizzata dal Tribunale all'esercizio provvisorio, con possibilità di proseguire nell'esecuzione dei contratti già stipulati ai sensi dell'art. 110, comma 3, del Codice, l'ANAC si è espressa con il Comunicato del Presidente del 7 ottobre 2020 avente ad oggetto: “Indicazioni in merito al mantenimento dell'attestazione di qualificazione nel caso di autorizzazione alla continuazione temporanea dell'esercizio dell'impresa ai sensi dell'art. 104 del r.d. n. 267/1942 e all'esecuzione dei contratti già stipulati ai sensi dell'art. 110, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016”. L'Autorità ha rilevato che l'adozione del decreto di autorizzazione alla continuazione provvisoria dell'esercizio dell'impresa e la successiva autorizzazione del giudice delegato all'esecuzione dei contratti già stipulati «sospendono l'obbligo di dichiarare la decadenza dell'attestazione di qualificazione in corso di validità rilasciata all'impresa fallita per la carenza del requisito previsto dall'art. 80, comma 5, lett. b) del d.lgs. n. 50/2016», con necessità di revocare l'eventuale provvedimento di decadenza nel frattempo adottato dalla SOA. Quindi, si legge nel Comunicato, la sospensione del procedimento di verifica dei requisiti deve essere comunicata dalla SOA all'ANAC che procederà ad effettuare l'annotazione nel casellario delle imprese di cui all'art. 213, comma 10, del Codice, riportando la specificazione: «l'attestazione di qualificazione in corso di validità rilasciata all'impresa fallita consente la sola prosecuzione dei contratti pubblici già stipulati, fino alla data di scadenza del periodo di temporanea gestione e con contratti pubblici già stipulati, e non abilita alla partecipazione alle procedure di affidamento né alla sottoscrizione di nuovi contratti». L'impresa in concordato preventivo L'art. 186-bis, del r.d. n. 267/1942 detta previsioni per l'impresa in concordato con continuità aziendale sia con riferimento ai contratti in corso di esecuzione, ivi inclusi i contratti pubblici, sia con riferimento alla possibile partecipazione alle procedure di gara. Per quanto concerne i contratti in corso di esecuzione alla data del deposito del ricorso, l'art. 186-bis, comma 3, del r.d. n. 267/1942 prevede un principio di carattere generale secondo cui, fermo restando quanto previsto dall'art. 169-bis concernente la possibilità di scioglimento dal vincolo contrattuale, l'apertura della procedura di concordato non ne determina la risoluzione. La norma dispone che eventuali patti contrari siano inefficaci. Ai sensi dell'art. 186-bis del r.d. n. 267/1942, l'ammissione al concordato preventivo «non impedisce la continuazione di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore di cui all'art. 67 ha attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento», potendo beneficiare di tale continuazione «in presenza dei requisiti di legge, anche la società cessionaria o conferitaria d'azienda o di rami d'azienda cui i contratti siano trasferiti». Un'importante novità introdotta dal d.l. n. 32/2019 è consistita nell'aver esteso la disciplina relativa ai contratti in corso di esecuzione anche all'ipotesi di procedura di concordato che non prevede la continuità aziendale a condizione che il professionista designato attesti che tale continuazione nell'esecuzione dei contratti sia necessaria per la «migliore liquidazione dell'azienda in esercizio». Il legislatore ha inteso garantire la prosecuzione dei contratti per consentire un maggiore soddisfacimento delle ragioni creditorie nell'ambito della procedura tesa alla liquidazione dell'impresa. Per quanto concerne la partecipazione alle gare per l'affidamento di contratti pubblici, il comma 4 dell'art. 186-bis, introdotto con il d.l. n. 32/2019, prevede che, successivamente al deposito della domanda di cui all'art. 161, l'impresa possa partecipare a procedure di affidamento di contratti pubblici, subordinatamente al rilascio dell'autorizzazione da parte del tribunale e, dopo il decreto di apertura, da parte del giudice delegato, acquisito il parere del commissario giudiziale. L'ammissione alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale consente la partecipazione alle gare a condizione che l'impresa presenti in gara la relazione del professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), r.d. n. 267/1942 che attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempiere il contratto. Come indicato al comma 6, l'impresa in concordato preventivo con continuità aziendale può partecipare alle procedure di affidamento di contratti pubblici anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, a condizione che non abbia la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese non siano soggette a procedura concorsuale. La disciplina dettata nel regio decreto deve coordinarsi con le disposizioni di cui all'art. 110 del d.lgs. n. 50/2016. L'art. 110, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016 tiene conto della disciplina in deroga concernente la partecipazione alle gare dell'impresa in concordato ai sensi dell'art. 186-bis del r.d. n. 267/1942, consentita anche all'impresa che abbia soltanto depositato la domanda di cui all'art. 161, comma 6, del r.d., prescrivendo: «Alle imprese che hanno depositato la domanda di cui all'art. 161, anche ai sensi del sesto comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, si applica l'art. 186-bis del predetto regio decreto». Sulla legittimità della previsione normativa che esclude la figura della mandataria in concordato preventivo dal regime di deroga di cui all'art. 186-bis del r.d. n. 267/1942, si è espressa la Corte Costituzionale, sent. 22 aprile 2020, n. 85, dichiarando in parte inammissibili e in parte non fondate, in riferimento agli artt. 3, 41, 97 Cost., le questioni di legittimità sollevate. La Corte, nell'evidenziare la continuità, per i profili considerati, con la normativa nel frattempo subentrata all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 (art. 80, comma 5, lett. b), del d.lgs. n. 50/2016, come modificato dal d.l. n. 32/2019), ha considerato che «il differente trattamento riservato all'impresa mandataria di un RTI in concordato di continuità, rispetto alle varie ipotesi poste a raffronto con essa dai giudici a quibus, trova giustificazione, nella prospettiva del legislatore, nella diversa modalità della sua partecipazione alla gara e, in caso di aggiudicazione, al rapporto contrattuale, rispetto alla partecipazione dell'impresa che concorra rispettivamente in forma singola, o in qualità di mandante di un RTI, o anche come mandataria di imprese che si costituiranno in consorzio». Con l'introduzione dell'art. 186-bis del r.d. n. 267/1942, l'Autorità si è espressa sulla portata e sull'applicazione della disciplina con Determinazione n. 3 del 23 aprile 2014 e con Determinazione n. 5 dell'8 aprile 2015. Se nella determinazione n. 3/2014 l'Autorità aveva escluso l'applicazione della deroga per le imprese sottoposte a un concordato preventivo “ordinario” e per le imprese che avessero depositato soltanto la domanda di concordato “in bianco” con riserva di presentare successivamente la proposta di concordato, il piano e i documenti richiesti dall'art. 161 della l.fall., invece nella determinazione n. 5/2015, a seguito di un confronto con il mercato di riferimento, preso atto della circostanza che un'altissima percentuale di domande di concordato fosse presentata ai sensi dell'art. 161, comma 6, del r.d. n. 267/1942, richiamando anche giurisprudenza del tempo (Cons. St. IV, n. 3344/2014), l'Autorità superava il precedente orientamento affermando la tesi secondo cui, laddove fossero rispettate le condizioni e soddisfatti gli adempimenti previsti dall'art. 186-bis, quarto comma, la domanda di concordato in bianco non comportasse né l'automatica decadenza dell'attestazione di qualificazione e dei requisiti generali di partecipazione alle procedure di gara né la risoluzione di diritto dei contratti in corso, a condizione che essa avesse un contenuto “prenotativo” rispetto al concordato con continuità aziendale. Successivamente, con riferimento alla normativa vigente prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 32/2019 conv. in l. n. 55/2019, l'ANAC (con Delibera n. 362/2020) ha ulteriormente precisato il proprio orientamento considerando, sulla scorta della giurisprudenza rilevata, che «la partecipazione dell'impresa in concordato con riserva è consentita nei limiti in cui l'autorizzazione del Tribunale fallimentare che accerti la capacità economica della stessa di eseguire l'appalto intervenga nel corso della procedura di gara». In ordine alla disciplina dettata dall'art. 186-bis del r.d. n. 267/1942 e alla sua applicazione anche all'ipotesi di presentazione di domanda di concordato in bianco ai sensi dell'art. 161, comma 6, del r.d. n. 267/1942, si è riscontrato nel tempo, in giurisprudenza, un vivace contrasto di orientamenti dei Giudici amministrativi. La Corte di giustizia UE, sent. 28 marzo 2019 (causa C-101/18) ha stabilito che: «L'art. 45, par. 2, comma 1, lett. b), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che consente di escludere da una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico un operatore economico che, alla data della decisione di esclusione, ha presentato un ricorso al fine di essere ammesso al concordato preventivo, riservandosi di presentare un piano che prevede la prosecuzione dell'attività». In relazione al quadro legislativo antecedente le intervenute modifiche introdotte con il d.l. n. 32/2019, il Consiglio di Stato (Cons. St. V, ord. n. 309/2021), ha sottoposto all'Adunanza Plenaria, ai sensi dell'art. 99, comma 1, Cod. proc. amm., le seguenti questioni: «a) Se la presentazione di un'istanza di concordato in bianco ex art. 161, comma 6, legge fallimentare (r.d. n. 267/1942) debba ritenersi causa di automatica esclusione dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, ovvero se la presentazione di detta istanza non inibisca la partecipazione alle procedure per l'affidamento di commesse pubbliche, quanto meno nell'ipotesi in cui essa contenga una domanda prenotativa per la continuità aziendale; b) se la partecipazione alle gare pubbliche debba ritenersi atto di straordinaria amministrazione e, dunque, possa consentirsi alle imprese che abbiano presentato domanda di concordato preventivo c.d. in bianco la partecipazione alle stesse gare, soltanto previa autorizzazione giudiziale nei casi urgenti, ovvero se detta autorizzazione debba ritenersi mera condizione integrativa dell'efficacia dell'aggiudicazione; c) in quale fase della procedura di affidamento l'autorizzazione giudiziale di ammissione alla continuità aziendale debba intervenire onde ritenersi tempestiva ai fini della legittimità della partecipazione alla procedura e dell'aggiudicazione della gara; d) se le disposizioni normative di cui all'art. 48, commi 17, 18, 19 ter del d.lgs. n. 50/2016 debbano essere interpretate nel senso di consentire la sostituzione della mandante che abbia presentato ricorso di concordato preventivo c.d. in bianco ex art. 161, comma 6, cit. con altro operatore economico subentrante anche in fase di gara, ovvero se sia possibile soltanto la mera estromissione della mandante e, in questo caso, se l'esclusione del r.t.i. dalla gara possa essere evitata unicamente qualora la mandataria e le restanti imprese partecipanti al raggruppamento soddisfino in proprio i requisiti di partecipazione» (si veda anche Cons. St. V, ord. n. 313/2021). L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata con la sent. n. 9 del 27 maggio 2021, affermando che la presentazione di una domanda di concordato c.d. in bianco non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche per perdita dei requisiti generali, ma onera l'operatore di richiedere tempestivamente al giudice fallimentare l'autorizzazione alla partecipazione alla procedura di affidamento ex art. 186-bis della l. fall., comunicandolo prontamente anche alla stazione appaltante affinché tale autorizzazione pervenga entro l'aggiudicazione della gara. Più precisamente, l'Adunanza Plenaria ha osservato: «Stando al complessivo (e innegabilmente complesso) dato testuale ricavabile dal codice dei contratti, nella versione applicabile sempre ratione temporis, se ne potrebbe ricavare allora la duplice conclusione per cui la partecipazione a nuove gare sarebbe preclusa non solo a chi ha presentato domanda di concordato in bianco ma, più in generale, in tutti i casi in cui l'operatore che ha presentato domanda di concordato preventivo a norma dell'art. 161 non sia stato ancora ammesso alla procedura. Il che, nei casi di concordato con continuità, non solo condurrebbe al sicuro insuccesso dell'istituto ma contrasterebbe frontalmente con quanto si è sempre letto, in questi anni, all'art. 186-bis, comma 4, dove – come già sottolineato – si dice chiaramente che tra il deposito della domanda e il decreto di apertura della procedura la partecipazione alle gare pubbliche è possibile purché sia autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato (un ulteriore indice, in favore della possibilità di partecipare alle gare anche prima dell'ammissione al concordato, si ricava inoltre dall'art. 5 del d.m. 31.1.2015 in tema di regolarità contributiva). Da questo inciso della norma fallimentare – “se nominato”, nella formulazione in vigore dal 2013 al 2019, divenuto attualmente (come confermato anche, quando finalmente sarà in vigore, dall'art. 95 del codice della crisi) “ove già nominato” – già l'ANAC (con la determinazione n. 5 dell'8.4.2015) e la dottrina hanno ricavato la convinzione che esso dimostrerebbe come l'art. 186-bis, comma 4, contempli (anche) l'ipotesi del concordato in bianco o con riserva, dal momento che per il concordato preventivo ordinario la nomina del commissario giudiziale è doverosa, sicché l'uso della formula ipotetica si spiegherebbe solo se riferita al concordato in bianco dove, invece, la nomina del commissario giudiziale è una facoltà lasciata al tribunale». Inoltre, l'Adunanza Plenaria ha evidenziato che le distonie tra il Codice dei contratti pubblici e la legge fallimentare sono andate riducendosi «se è vero che l'art. 80, comma 5, lett. b) fa ora (di nuovo) testuale rinvio all'art. 186-bis della legge fallimentare (come già prima era avvenuto con l'art. 38 del vecchio Codice) e quindi anche al suo comma 4; e che l'art. 110 è stato riscritto in occasione dell'adozione proprio del codice della crisi d'impresa (ad opera dell'art. 372 di tale codice), prevedendosi che alle imprese che hanno depositato domanda di concordato con riserva si applichi l'art. 186-bis della legge fallimentare e che per la partecipazione alle gare, tra il momento di tale domanda e quello del decreto di ammissione, sia sempre necessario l'avvalimento dei requisiti di un altro soggetto. Dove il primo periodo, nel fare rinvio all'art. 186-bis, ha una valenza di chiarimento o di interpretazione autentica; laddove invece il secondo periodo ha carattere innovativo, introducendo – per l'avvenire – un elemento di ulteriore garanzia che si aggiunge al controllo giudiziale». L'Adunanza plenaria ritiene quindi che, in base all'art. 186-bis, comma 4, della l.fall., «la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione né inibisca la partecipazione alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici. In particolare non si può ritenere che la presentazione di una tale domanda comporti per ciò solo la perdita dei requisiti generali di partecipazione – il cui eventuale successivo recupero in caso di buon esito della procedura non varrebbe neppure ad elidere una simile cesura, in ragione del noto principio di continuità sempre ribadito da questo Consiglio (Cons. St., A.P., n. 8/2012 e n. 8 /2015) – ostando a tale ricostruzione, oltre che la lettera dell'art. 186-bis, la veduta e ribadita funzione prenotativa e protettiva dell'istituto del concordato con riserva che, come spiegato nella relazione ministeriale all'art. 372 del codice della crisi d'impresa, da strumento di tutela non può tradursi nel suo contrario, ossia in un ostacolo alla prosecuzione dell'attività imprenditoriale in quanto proprio tale prospettiva postula che resti consentito, per quanto “vigilato”, l'accesso al mercato dei contratti pubblici (non pertinente è il richiamo a Cons. St., A.P., n. 2155/2010, perché precedente le novità sul concordato introdotte a partire dal 2012)». Secondo l'Adunanza Plenaria «Questa conclusione, che subordina la partecipazione alle procedure di gara al prudente apprezzamento del tribunale, vale sia per l'ipotesi che l'impresa abbia già assunto la qualità di debitore concordatario nel momento in cui è indetta la (nuova) procedura ad evidenza pubblica, che per il caso in cui, all'inverso, la domanda di concordato segua temporalmente quella già presentata di partecipazione alla gara. In questo senso la formula “partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici”, contenuta nell'art. 186-bis, comma 4 (e da ultimo all'art. 110, comma 4, del codice dei contratti), deve essere letta nel suo significato più pieno e più coerente con quella esigenza di controllo giudiziale ab initio che, realizzandosi sin dal momento in cui si costituisce il rapporto processuale con il giudice fallimentare, rappresenta il punto di equilibrio tra la tutela del debitore e quella dei terzi». L'Adunanza Plenaria ritiene che ove «l'impresa presenti la domanda di concordato dopo avere già presentato la domanda di partecipazione alla gara, essa dovrà chiedere al tribunale di essere autorizzata a (continuare a) partecipare alla procedura (in tal senso già Cons. St. V, n. 6272 del 2013). Sebbene la legge non indichi un termine ad hoc per la presentazione di una tale istanza (di autorizzazione), è del tutto ragionevole ritenere che, secondo un elementare canone di buona fede in senso oggettivo, l'istanza debba essere presentata senza indugio, anche per acquisire quanto prima l'autorizzazione ed essere – per quanto si dirà – nella condizione utile di poterla trasmettere alla stazione appaltante con la procedura ad evidenza pubblica ancora in corso (...). In casi di questo tipo, il richiamo alla buona fede, e agli obblighi di protezione che ne discendono nel corso delle trattative e della formazione del contratto (cfr. Cons. St., Ad. plen., n. 5 del 2018), vale anche a ritenere che della avvenuta presentazione della domanda di concordato ai sensi dell'art. 161, comma 6, l'operatore debba mettere prontamente a conoscenza la stazione appaltante, trattandosi di un'informazione rilevante, ancorché la domanda di concordato sia pubblicata nel registro delle imprese e sia quindi in linea di principio conoscibile. Qualora fosse omessa tale informazione valuterà la stazione appaltante l'incidenza di una condotta reticente, (ma) senza automatismi e alla luce di quanto si è chiarito di recente con la sentenza di questa Adunanza n. 16 del 2020». In base a quanto considerato ed evidenziato, l'Adunanza plenaria ha potuto evitare di rispondere al secondo quesito concernente la questione se la partecipazione, possibile o meno, alle gare pubbliche debba trovare la sua soluzione sulla base dell'art. 161, comma 7, della l.fall., a seconda che essa sia qualificabile come atto di ordinaria o di straordinaria amministrazione; per l'Adunanza Plenaria, l'art. 186-bis, comma 4, ha considerato la partecipazione alla gara come un atto da sottoporre sempre al controllo giudiziale del tribunale fallimentare. A tale riguardo l'Adunanza Plenaria ha rilevato la centralità e l'importanza dell'autorizzazione del giudice fallimentare ai fini della partecipazione alla gara, il cui rilascio e deposito devono «intervenire prima che il procedimento dell'evidenza pubblica abbia termine e, dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l'atto di aggiudicazione. Si tratta di una posizione, qui sostenuta anche dalla difesa erariale, che già è stata fatta propria dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (Cons. St. V, n. 1328/2020), alla quale si è richiamata anche l'ANAC (delibera n. 362/2020), e che ha il pregio di individuare un limite temporale definito, (più) idoneo ad assicurare l'ordinato svolgimento della procedura di gara, senza far carico l'amministrazione aggiudicatrice e gli altri concorrenti dei possibili ritardi legati ai tempi di rilascio (o di richiesta) dell'autorizzazione». Così rispondendo al terzo quesito, l'Adunanza Plenaria ha rimesso alle stazioni appaltanti l'onere di valutare nel caso concreto «se un'autorizzazione tardiva ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione possa avere efficacia integrativa o sanante». Infine, l'Adunanza Plenaria ha espresso il principio che «l'art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del d.lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione, nella fase di gara, del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese, che abbia presentato domanda di concordato in bianco o con riserva a norma dell'art. 161, comma 6, l. fall, e non sia stato utilmente autorizzato dal tribunale fallimentare a partecipare a tale gara, solo se tale sostituzione possa realizzarsi attraverso la mera estromissione del mandante, senza quindi che sia consentita l'aggiunta di un soggetto esterno al raggruppamento (...)». Sugli stessi temi si vedano anche: Cons. St., Ad. plen., 27 maggio 2021, n. 10 e Cons. St., Ad. plen., 27 maggio 2021, n. 11. L'avvalimento ‘rinforzato' dei requisiti La nuova formulazione dell'art. 110 del d.lgs. n. 50/2016, detta previsioni riferite al piano pubblicistico della partecipazione alle procedure di gara e della stipulazione dei relativi contratti, anche subappalti, disciplinando le condizioni relative alla necessità o meno dell'avvalimento dei requisiti di altri soggetti da parte dell'impresa in concordato. Le norme distinguono a seconda della fase della procedura concorsuale. Ove l'impresa intenda partecipare a una gara nel periodo che va dal deposito della domanda di concordato al momento di adozione del decreto di cui all'art. 163 del r.d. n. 267/1942, il comma 4 dell'art. 110 del d.lgs. n. 50/2016 prescrive come obbligatorio l'avvalimento dei requisiti di altro soggetto. Invece, una volta ammessa a concordato preventivo, l'impresa può partecipare alla procedura di gara senza che sia necessario ricorrere all'avvalimento dei requisiti di un altro soggetto. Nonostante la disciplina preveda in via generale che, in deroga all'art. 80, comma 5, lett. b), del Codice, l'impresa ammessa a concordato preventivo possa partecipare alle gare senza l'avvalimento dei requisiti di altro soggetto, l'art. 110, comma 6, del Codice attribuisce all'ANAC la facoltà di subordinare la partecipazione, l'affidamento dei contratti e subcontratti e la relativa stipula alla necessità che le imprese si avvalgano dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica e di certificazione di altro operatore economico ove non siano in possesso di ‘requisiti aggiuntivi' come individuati in linee guida. La norma, come modificata con il Decreto sblocca-cantieri del 2019, è confermata anche nelle previsioni di prossima entrata in vigore di cui all'art. 372, comma 1, lett. c) del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza. Rispetto alla previgente versione, in vigore dal 20 maggio 2017 al 18 aprile 2019, al comma 6 è stato eliminato il richiamo alla possibilità che l'ANAC subordini la partecipazione in gara, l'affidamento di contratti e subappalti e la stipula degli stessi all'avvalimento dei requisiti di un terzo operatore economico in caso di irregolarità nel versamento di retribuzioni e di contributi previdenziali e assistenziali così come è stata eliminata la prevista acquisizione di un parere del giudice delegato. Come la precedente versione, anche l'attuale formulazione della norma solleva alcuni dubbi interpretativi ed applicativi poiché, da una parte, riporta la previsione della possibilità di un avvalimento cd “rinforzato” a favore degli operatori economici in concordato preventivo, dall'altra parte, demanda all'ANAC di individuare in linee guida quali requisiti aggiuntivi sono richiedibili al fine di evitare il ricorso all'avvalimento ‘rinforzato'. Nell'esercizio del potere di segnalazione di cui all'art. 213, comma 3, lett. c) e d) del Codice dei contratti pubblici, in ordine all'art. 110, comma 6, l'ANAC ha espresso alcune considerazioni con l'Atto di segnalazione n. 10 del 2 dicembre 2020 (Delibera n. 1074/2020), evidenziando talune criticità di rilievo sistematico e operativo tenuto conto sia del necessario coordinamento tra la norma del d.lgs. n. 50/2016 e l'art. 186-bis del r.d. n. 267/1942, sia della disciplina che entrerà in vigore con il d.lgs. n. 14/2019. In particolare, l'ANAC ha evidenziato le incertezze interpretative della norma che ineriscono la natura dei requisiti aggiuntivi e la fase cui le linee guida dovrebbero riferirsi, se dovranno concernere la fase di pre-ammissione (dal deposito della domanda di concordato al decreto di ammissione allo stesso) o la fase di ammissione (dal decreto di ammissione al decreto di omologazione del concordato) o anche la fase di esecuzione del concordato. La partecipazione delle imprese in amministrazione straordinaria Come la previgente disciplina (art. 38, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 163/2006) non menzionava l'amministrazione straordinaria tra le procedure concorsuali determinanti l'esclusione dalla procedura di gara, allo stesso modo l'art. 80, comma 5, lett. b), del d.lgs. n. 50/2016 non menziona la procedura concorsuale dell'amministrazione straordinaria disciplinata dal d.lgs. n. 270/1999 e alternativa al fallimento. La mancata menzione della procedura concorsuale relativa all'amministrazione straordinaria tra quelle determinanti l'esclusione automatica dalla procedura di gara appare in linea con la ratio della normativa disciplinante tale procedura concorsuale avente «finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali» (art. 1 del d.lgs. n. 270/1999). L'amministrazione straordinaria è procedura intesa a contemperare la tutela dell'interesse al recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali con la tutela dell'interesse dei lavoratori e con la tutela dell'interesse dei creditori. Rispetto all'operatore economico in amministrazione straordinaria si pongono nella prassi questioni in ordine all'applicazione allo stesso delle cause di esclusione concernenti la titolarità di pendenze rilevanti ai sensi dell'art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016, tenuto conto che lo stato di insolvenza di tale imprenditore molto probabilmente includerà anche gravi violazioni tributarie e/o in materia contributiva e previdenziale. La questione concernente la partecipazione in gara di un operatore economico ammesso a procedura concorsuale di amministrazione straordinaria con pregresse pendenze contributive o fiscali ammesse a passivo, ma non ancora liquidate, è stata affrontata dal Consiglio di Stato, secondo cui, per tali imprese, «si rende necessario il coordinamento delle disposizioni concernenti, in via generale, la partecipazione alle gare predette con quelle relative allo status delle imprese in a.s.». Il Consiglio di Stato, pur pronunciandosi rispetto a un quadro normativo non più vigente, ma attuale nelle previsioni di principio confermate nella disciplina del Codice dei contratti pubblici, ha indicato come possibile la partecipazione alla gara con pendenze contributive o fiscale ove sia stata «osservata la procedura prescritta per le imprese in amministrazione straordinaria ai fini della rilevazione dei debiti in questione, del loro inserimento nello stato passivo e del relativo pagamento, non appena possibile, in prededuzione» (Cons. St. n. 4241/2001). Sulla linea delineata dalla citata sentenza, l'ANAC si è espressa (Delibera n. 157/2021), in favore della legittima partecipazione alla procedura di gara di un'impresa in amministrazione straordinaria con debiti fiscali indicando che «l'apertura della procedura concorsuale e l'ammissione al passivo dei debiti fiscali in periodo antecedente la presentazione della domanda di partecipazione alla gara insieme al previsto pagamento degli stessi nell'ambito del programma di cui agli artt. 54 e ss., d.lgs. n. 270/1999, siano circostanze idonee ad integrare la deroga di cui all'art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 che esclude l'applicazione della causa di esclusione relativa alla irregolarità fiscale nell'ipotesi in cui l'operatore economico abbia ottemperato «impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte dovute». Il grave illecito professionaleL'impianto normativo da cui si ricava la disciplina del grave illecito professionale è il frutto del recepimento della normativa Euro-unitaria da parte del legislatore e dei successivi interventi effettuati attraverso il d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 (c.d. “Decreto semplificazioni”, convertito con l. n. 12/2019) e il d.l. 18 aprile 2019, n. 32 (convertito dalla l. n. 55/2019). La disposizione presenta una portata più ampia rispetto a quella dell'art. 38, comma 1, lett. f) del previgente Codice in quanto, da un lato, non opera alcuna distinzione tra precedenti rapporti contrattuali con la medesima o diversa stazione appaltante, dall'altro non fa riferimento solo alla negligenza o all'errore professionale, ma più in generale all'illecito professionale, che abbraccia molteplici fattispecie, anche diverse dall'errore o dalla negligenza, e include condotte che intervengono non solo in fase di esecuzione contrattuale, ma anche in fase di gara. La causa di esclusione relativa al compimento di gravi illeciti professionali non rientra tra le cause di esclusione automatiche, spettando all'amministrazione la valutazione della rilevanza dell'infrazione o violazione commessa. In primo luogo, l'art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016 prevede l'esclusione dalla partecipazione alle procedure di appalto qualora “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso responsabile di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o professionalità”. L'art. 80, comma 5, lett. c) individuava, nella sua versione originaria (prima cioè delle modifiche intervenute con il d.l. n. 135/2018, convertito nella l. n. 12/2019), alcune fattispecie esemplificative ritenute idonee ad incidere sul rapporto fiduciario che deve sussistere tra la stazione appaltante e l'operatore economico, quali: – le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; – il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; – il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione ovvero omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura. La giurisprudenza prevalente ha ritenuto che l'elencazione riportata sia meramente esemplificativa e non comportante una preclusione automatica della valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante (cfr., inter alia, Cons. St. V, n. 5862/2019; Cons. St. IV, n. 5967/2020); ciò traducendosi nella possibilità per la stazione appaltante di valutare discrezionalmente ogni altra vicenda pregressa dell'attività professionale dell'operatore economico di cui venga accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa, se reputata idonea a metterne in dubbio l'integrità o affidabilità. Così opinando la giurisprudenza afferma, in termini generali, il principio di atipicità della figura del grave illecito professionale, in virtù del quale, nell'ampio e non tassativo catalogo degli illeciti professionali possono farsi rientrare, a titolo esemplificativo, non solo gli addebiti che abbiano comportato l'applicazione di penali, ovvero quelli che abbiano dato origine ad una conclusione transattiva del contenzioso avviato dalle parti, ma, anche l'avere reso una falsa dichiarazione in una precedente gara, indipendentemente dal fatto che vi sia stata annotazione da parte dell'ANAC. Alcune minoritarie pronunce hanno sostenuto, invece, che l'elencazione contenuta nell'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice avesse carattere tassativo e fosse, perciò, da considerare di stretta interpretazione. Si è quindi ritenuto che tale elencazione fosse da ritenersi tassativa e non integrabile al di fuori delle fattispecie in essa elencate (v. ad esempio T.A.R. Lazio (Roma) III-quater, n. 4793/2018; T.A.R. Puglia II, n. 1740/2019). Sempre con riferimento alla formulazione originaria dell'art. 80, comma 5, lett. c), la norma collegava l'esistenza di un grave illecito professionale all'evenienza di “significative carenze” commesse nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione prevedendo, però, un indice di riconoscimento di tali carenze ancorato alla risoluzione anticipata del contratto, divenuta definitiva perché non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio. Nella giurisprudenza amministrativa è sorto un contrasto interpretativo in ordine alla portata applicativa della norma, con riguardo alla possibilità o meno di escludere un operatore economico qualora una precedente risoluzione contrattuale – integrante ipotesi di grave illecito professionale – fosse stata impugnata in giudizio. Accogliendo un'interpretazione letterale e restrittiva della norma, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l'art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016 dovesse essere inteso nel senso che la pendenza e la non definitività del giudizio avente ad oggetto la contestazione di una risoluzione contrattuale pronunciata nei confronti dell'impresa, non giustificasse l'esclusione dalla gara (Cons. St. V, n. 1955/2017). La giurisprudenza si è subito chiesta se una tale linea interpretativa – letterale e restrittiva – fosse compatibile con la normativa comunitaria, tanto da sottoporre la questione all'attenzione dei giudici europei (v. rinvio pregiudiziale disposto da T.A.R. Campania, n. 5893/2017). Analoghe questioni sono state sollevate da Cons. St. V, ord., n. 2639/2018; Id. V, n. 5033/2018). In particolare, si è chiesto alla Corte di Giustizia di vagliare, rispetto ai principi europei e, in particolare, all'art. 57, comma 4, della Direttiva 2014/24/UE, la compatibilità comunitaria della lettura secondo cui l'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice degli appalti, in presenza della contestazione giudiziale della risoluzione anticipata disposta dalla stazione appaltante per significative carenze in un pregresso appalto, precludeva all'amministrazione di effettuare valutazioni sull'affidabilità del concorrente fino alla definitiva decisione del giudizio. Si è evidenziato come tale impostazione, se letta nel senso di vincolare la stazione appaltante, con preclusione di ogni valutazione sull'affidabilità del concorrente per effetto della mera contestazione in un giudizio civile della risoluzione contrattuale (decisione, peraltro, di esclusivo dominio dell'operatore economico), non risultava conforme ai principi dell'Unione dovendo, piuttosto, la decisione di esclusione per difetto di affidabilità del concorrente essere rimessa ad una valutazione, proporzionata ma discrezionale, della stazione appaltante, a prescindere dall'accertamento giurisdizionale, attraverso un'ispezione dei rapporti contrattuali precedenti. Deponeva, del resto, a favore di tale conclusione il chiaro tenore testuale del considerando n. 101 della direttiva 2014/24/UE, laddove il legislatore europeo ha ritenuto di consentire l'esclusione dell'operatore economico se la stazione appaltante è in condizione di dimostrare la sussistenza del grave illecito professionale “anche prima che sia adottata una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori”. Sul dibattito è di recente intervenuta la Corte di Giustizia, con sent. del 19 giugno 2019, resa nella causa C-41/18, in cui si è affermato che “il compito di valutare se un operatore economico debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione spetta alle amministrazioni aggiudicatrici e non al giudice nazionale”. In base alla legislazione dell'Unione, infatti, spetta solo all'amministrazione aggiudicatrice, nella fase della selezione degli offerenti, il compito di valutare se un candidato o un offerente debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto. In sostanza, il diritto europeo osta ad una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto pubblico, assunta da un'amministrazione aggiudicatrice, impedisce ad una stazione appaltante di escludere, perché considerato inaffidabile, il medesimo operatore economico in una gara successiva. Adottando un'interpretazione analoga a quella sposata dalla Corte di Giustizia, anche la Commissione UE, con la messa in mora dell'Italia del 24 gennaio 2019 (infrazione n. 2018/2273), ha censurato l'art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016, ritenendolo in contrasto con l'art. 57, par. 4, lett. g), della Direttiva 2014/24/UE e con l'art. 38, par. 7, lett. f), della Direttiva 2014/23/UE, proprio nella parte in cui l'art. stesso, nel caso di offerenti che avessero contestato in giudizio la risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto, precludeva alle stazioni appaltanti ogni valutazione circa l'affidabilità di tali offerenti sino a quando il giudizio non avesse confermato la risoluzione anticipata. Pronunciandosi sul ricorso avverso Tar Piemonte I, 390/2020, 1. Cons. St., ud 27 gennaio 2022, su ric. 4360/2021, ha osservato che la stazione appaltante ha il potere di accertamento dell'esistenza e di valutazione della rilevanza dell'illecito volativo della normativa antitrust sanzionato dall'Autorità di Garanzia con provvedimento non definitivo . Sul tema, vedi da ultimo, Cons. St., V, 22 aprile 2022, n. 3107, che ha ribadito principi consolidati e fondamentali in tema di qualificazione dell'art. 80, comma 5 lettera c), come norma di chiusura a struttura aperta (clausola residuale in cui piò essere fatta rientrare qualsiasi violazione tale da rendere dubbia l'integrità o affidabilità del concorrente); di dovere motivazionale a carico della p.a. (“specifico onere di allegazione e probatorio in merito alla rilevanza di tali fatti, che giustifichi l'esclusione dell'impresa dalla gara”) e di teoria del contagio (l'illecito professionale dell'amministratore o rappresentante del concorrente si imputa a quest'ultimo a prescindere dal fatto che l'atto commesso fosse riferibile al concorrente o perseguisse l'interesse istituzionale di quest'ultimo, visto che le condotte illecite commesse dai dipendenti-persone fisiche incidono, comunque, sull'affidabilità dell'operatore economico concorrente).
Ad avviso di Cons. Stato, Sez. V, 23 febbraio 2024, n. 1804 , l'ampiezza della discrezionalità riconosciuta all'Amministrazione in ordine al giudizio di integrità dell'operatore economico rinviene il proprio limite, ed al contempo il parametro di giudizio della legittimità del relativo esercizio, nella previsione normativa che la stazione appaltante dimostri la sussistenza del grave illecito professionale, idoneo a compromettere il rapporto fiduciario con l'operatore economico, avvalendosi di “mezzi adeguati” (art. 98, comma 1, lettera d) . Proprio il mezzo adoperato deve essere adeguato per permettere alla Stazione appaltante di dimostrare la sussistenza di un fatto o un comportamento qualificabile quale grave illecito professionale e l'idoneità dell'illecito, così come conosciuto dalla stazione appaltante, a compromettere l'affidabilità o l'integrità dell'operatore economico, in riferimento allo specifico affidamento in contestazione. I ‘nuovi' gravi illeciti professionali alla luce del decreto semplificazioni: le lett. c-bis) e c-ter) L'art. 5, comma 1, del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 (c.d. “Decreto semplificazioni”), convertito con l. n. 12/2019, ha modificato il comma 5, lett. c) dell'art. 80, il quale enunciava le fattispecie di esclusione. L'attuale formulazione considera in maniera autonoma le singole ipotesi di esclusione – lett. c-bis) e c-ter) – e alla lett. c) rimette alla stazione appaltante la individuazione e la valutazione delle fattispecie riconducibili alla nozione di “grave illecito professionale”. Quanto alla lett. c-bis) si prevedono ora, come autonomi motivi di esclusione, il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio oppure il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione ovvero l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione. Quanto alla lett. c-ter), sono state elevate ad autonomo motivo di esclusione le significative e persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili, prevedendosi, inoltre, che su tali circostanze la stazione appaltante motivi anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa. Tale modifica ha l'evidente finalità di delimitare i confini della causa di esclusione, identificati nella gravità, inescusabilità ed effettività dell'inadempimento contestato, scongiurandone, così, un'applicazione casistica sperequata. La giurisprudenza è, infatti, già da tempo intervenuta per tracciare gli esatti confini della discrezionalità di cui gode la stazione appaltante valorizzando, non sporadicamente, il ruolo dei principi generali in materia di azione amministrativa. Nella nuova disposizione, inoltre, è espunto il riferimento alla mancata contestazione (o conferma) in giudizio della risoluzione contrattuale. Così operando, il legislatore ha posto fine al dibattito giurisprudenziale sulla rilevanza delle risoluzioni non contrastate, su cui si è pronunciata anche la Corte di Giustizia. Oltre allo “spacchettamento” della disposizione originaria in autonome fattispecie – contemplate nelle nuove lett. c-bis) e c-ter) – la novella elimina l'elencazione esemplificativa dei gravi illeciti professionali che era stata introdotta con l'inciso “tra questi rientrano”. Tale nuova formulazione sembra dare luogo ad una maggiore indeterminatezza della categoria del “grave illecito professionale”: infatti si potrebbe ritenere, prima facie, che le precedenti ipotesi esemplificative (ora lett. c-bis e c-ter), essendo divenute distinte fattispecie e pertanto ulteriori ed autonomi motivi di esclusione, non potrebbero più farsi rientrare nel novero dei casi di gravi illeciti professionali di cui alla lett. c) del comma 5. Si è osservato che l'elisione – dalla ‘nuova' lett. c) – della elencazione esemplificativa non sembra di per sé idonea a mutare la portata della nozione di “grave illecito professionale”, ma anzi sembra confermarne il carattere generico ed aperto. Si è precisato però che dal suo perimetro applicativo andrebbero escluse sia le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto, sia le condotte illecite tenute nel corso della gara, da considerare come autonome cause di esclusione (Ciaccio). Dopo il Decreto semplificazioni, l'impianto normativo ha subito ulteriori modifiche per effetto del d.l. 18 aprile 2019, n. 32 (convertito dalla l. n. 55/2019, c.d. “sblocca cantieri”), che ha aggiunto tra le cause di esclusione di cui al comma 5 l'ipotesi, contemplata nella nuova lett. c-quater), in cui “l'operatore economico abbia commesso grave inadempimento nei confronti di uno o più subappaltatori, riconosciuto o accertato con sentenza passata in giudicato” (cfr. infra, par. 10). Oneri dichiarativi e reticenza Il carattere aperto e indeterminato della categoria concettuale del grave illecito professionale determina, come implicazione, che l'operatore economico è sottratto dall'individuazione delle fattispecie in astratto sussumibili nella nozione in esame. La giurisprudenza ha chiarito in più occasioni che l'operatore economico è tenuto a dichiarare ogni episodio della vita professionale astrattamente rilevante ai fini dell'esclusione, pena l'impossibilità per la stazione appaltante di verificare l'effettiva rilevanza di tali episodi sul piano dell'“integrità professionale” (Cons. St. III, n. 3331/2019; Cons. St. V, n. 591/2019; Cons. St. V, n. 5142/2018); di talché non è configurabile in capo all'impresa alcun filtro valutativo o facoltà di scegliere i fatti da dichiarare, sussistendo l'obbligo della onnicomprensività della dichiarazione, in modo da permettere alla stazione appaltante di espletare, con piena cognizione di causa, le valutazioni di sua competenza (cfr. Cons. St. V, n. 4532/2018; Id. n. 3592/2018; Id. n. 6530/2018). Anche l'ANAC, con le Linee Guida n. 6, ha puntualizzato che la “dichiarazione sostitutiva ha ad oggetto tutti i provvedimenti astrattamente idonei a porre in dubbio l'integrità o l'affidabilità del concorrente, anche se non ancora inseriti nel casellario informatico. È infatti rimesso in via esclusiva alla stazione appaltante il giudizio in ordine alla rilevanza in concreto dei comportamenti accertati ai fini dell'esclusione”. In senso più restrittivo rispetto alle indicazioni dell'ANAC contenute nelle Linee Guida n. 6, si segnala un orientamento giurisprudenziale secondo cui le esclusioni da una precedente procedura di gara, per quanto accertare dal giudice amministrativo, assumono rilevanza solo se ed in quanto iscritte nel Casellario Informatico ANAC, per gli effetti e con le modalità previste dall'art. 80, comma 12, del d. lgs. n. 50/2016, qualora l'ANAC ritenga sussistente il dolo o la colpa grave dell'impresa interessata, in considerazione dell'importanza o della gravità dei fatti (Cons. St. III, n. 4266/2018). La mancata dichiarazione di informazioni astrattamente rilevanti ai fini dell'esclusione costituisce reticenza dichiarativa che, seppure non legittimi di per sé l'attivazione di un automatismo espulsivo, può essere apprezzata dalla stazione appaltante in quanto si riveli idonea ad occultare “informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, e ad “influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante” in ordine alle valutazioni “sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione” (art. 80, comma 5 lett. c-bis) d. lgs. n. 50/2016), risultando sintomaticamente idonea a “rendere dubbia la sua integrità o affidabilità” (comma 5, lett. c). L'ipotesi della reticenza dichiarativa va tenuta distinta dalla più grave falsità dichiarativa o documentale di cui alla lett. f-bis), correlata alla obiettiva (e perciò verificabile e sindacabile) non veridicità dei fatti allegati a supporto della domanda di partecipazione: che, in quanto espressiva di inaffidabilità in re ipsa, costituisce ragione di automatica esclusione, sottratta al concreto e motivato vaglio di rilevanza (in tal senso, tra le più recenti, Cons. St. V, n. 2838/2021, che riprende i principi enunciati da Cons. St. Ad. plen., n. 16/2020). Tra le situazioni e gli eventi “astrattamente” rilevanti ai fini del possesso dei requisiti generali di partecipazione, meritano di essere citati i precedenti penali. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che, ferma la distinzione tra l'obbligo di dichiarare le sentenze penali di condanna rientranti nell'art. 80, comma 1, del Codice rispetto a quelle rilevanti ai sensi della disciplina del grave illecito professionale – posto che nel primo caso l'esclusione è atto vincolato in quanto discendente direttamente dalla legge, mentre nel secondo caso la valutazione è rimessa alla stazione appaltante – resta, in ogni caso, fermo che, nella prospettiva della norma, l'operatore economico non può valutare autonomamente la rilevanza dei precedenti penali da comunicare alla stazione appaltante. Quest'ultima deve infatti essere libera di ponderare discrezionalmente la sua idoneità come causa di esclusione, di tal che deve ritenersi mendace e rilevante anche la dichiarazione omessa (tra le molte Cons. St. V, n. 591/2019; Cons. St. V, n. 6529/2018). Parte della giurisprudenza ritiene poi che anche il rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale, al pari di una ordinanza di custodia cautelare a carico del legale rappresentante della società interessata, ancorché non espressamente previsto come causa di esclusione, può astrattamente incidere sulla moralità professionale dell'impresa con conseguente legittimità di un provvedimento di esclusione che previa adeguata motivazione ne abbia vagliato l'incidenza negativa sulla moralità professionale (da ultimo Cons. St. V, n. 1367/2019). Sulla falsità della dichiarazione resa sulla mera pendenza di un procedimento penale, a fronte di una situazione in cui era, invece, intervenuta una condanna passata in giudicato, vedi Cons. St., V, n. 3415/2022. Ambito di applicazione soggettivo Si registra un aperto e significativo contrasto in merito all'ambito di applicazione soggettivo del motivo di esclusione relativo ai gravi illeciti professionali di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), c-bis) e c-ter), de d.lgs. n. 50/2016, ed in particolare sulla corretta individuazione dei soggetti dell'operatore economico cui tali condotte e provvedimenti siano riferibili ai fini delle valutazioni richieste alle stazioni appaltanti per vagliare la sussistenza di eventuali circostanze ostative alla partecipazione della gara. Un primo orientamento ritiene che rilevino le posizioni di tutti i soggetti specificati al comma 3 dell'art. 80, come indicato nelle pertinenti Linee Guida n. 6 dell'ANAC. Più precisamente, le Linee Guida n. 6 (di attuazione del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, approvate dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 1293 del 16 novembre 2016 ed aggiornate al d.lgs. 56 del 19 aprile 2017 con deliberazione del Consiglio n. 1008 dell'11 ottobre 2017) hanno precisato l'ambito di applicazione soggettivo delle previsioni relative ai gravi illeciti professionali, specificando al par. 3.1. che “i gravi illeciti professionali assumono rilevanza ai fini dell'esclusione della gara quando sono riferiti direttamente all'operatore economico o ai soggetti individuati dall'art. 80, comma 3, del Codice”. Pertanto, ai fini della partecipazione alla gara, la stazione appaltante deve verificare la sussistenza della causa ostativa prevista dall'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice in capo: – all'operatore economico, quando i gravi illeciti professionali sono riferibili allo stesso in quanto persona giuridica; – ai soggetti individuati dall'art. 80, comma 3, del Codice quando i comportamenti sono riferibili esclusivamente a persone fisiche; – al subappaltatore nei casi previsti dall'art. 105, comma 6 del Codice. Un opposto orientamento è invece propenso a ritenere che il predetto comma 3 dell'art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 non sia passibile di interpretazioni analogiche ed estensive, dovendosi perciò circoscrivere le predette valutazioni afferenti all'illecito professionale al solo operatore economico concorrente (e/o al suo eventuale subappaltatore). Secondo parte della giurisprudenza non può condividersi l'interpretazione estensiva della previsione di cui all'art. 80, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016 delineata dall'ANAC nelle linee guida n. 6/2016, in quanto si pone in netto contrasto con la lettera della norma, la quale delimita chiaramente il proprio ambito di operatività alle sole ipotesi di cui ai commi 1 e 2 dello stesso art. e non trova, pertanto, applicazione nelle ipotesi di cui al comma 5 (T.A.R. Lombardia (Milano) I, n. 250/2018; in senso conforme anche T.A.R. Lazio (Roma) II-ter, n. 7836/2019; TRGA (Bolzano), n. 14/2019). Le Linee Guida n. 6 dell'ANAC Le disposizioni relative al grave illecito professionale rinviano all'integrazione da parte dell'interprete mediante l'utilizzo di concetti giuridici indeterminati (come le nozioni di “mezzi adeguati” e “significative carenze”). Nell'ambito di questa attività di integrazione, fondamentale ruolo è attribuito all'ANAC che ha la facoltà di indicare “quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui al comma 5, lett. c), ovvero quali carenze nell'esecuzione di un procedente contratto di appalto siano significative ai fini del medesimo comma 5, lett. c)” (art. 80, comma 13, del d.lgs. n. 50/2016). L'ANAC ha elaborato le Linee guida n. 6, di attuazione del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, approvate dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 1293 del 16 novembre 2016 ed aggiornate al d.lgs. 56 del 19 aprile 2017 con deliberazione del Consiglio n. 1008 dell'11 ottobre 2017. Dette Linee Guida hanno implementato l'art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. 50/2016 individuando, quanto all'ambito oggettivo, tre diverse categorie di gravi illecito professionale riguardanti: i) significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto (risoluzioni anticipate, condanne al risarcimento del danno od altre sanzioni quali l'applicazione di penali o l'escussione di garanzie) – par. 2.2.1; ii) gravi illeciti professionali posti in essere nello svolgimento della procedura di gara – par. 2.2.2.; iii) altre situazioni idonee a porre in dubbio l'integrità o l'affidabilità dell'operatore economico (provvedimenti esecutivi dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di condanna per pratiche commerciali scorrette o per illeciti antitrust gravi aventi effetti sulla contrattualistica pubblica e posti in essere nel medesimo oggetto del contratto da affidare, provvedimenti sanzionatori esecutivi comminati dall'ANAC ai sensi dell'art. 213, comma 13 e iscritti nel Casellario dell'Autorità) – par. 2.2.3.1. Secondo l'opinione prevalente in dottrina, alle Linee Guida dovrebbe riconoscersi solamente il valore di “atto non vincolante” recante “istruzioni operative” volte a favorire l'adozione di comportamenti omogenei e buone prassi da parte delle stazioni appaltanti. Pertanto, le stazioni appaltanti sono libere se applicarle o meno, mentre sul piano giudiziario il giudice adito avrà la possibilità di disattenderle in relazione al caso sottoposto alla sua attenzione (Greco, Pignatiello, Pietrosanti, Nunziata, Di Iorio, Giuffrè, 848). Si è precisato, inoltre, che le linee guida n. 6 sono prive di capacità innovativa dell'ordinamento, destinate solamente alla buona prassi delle amministrazioni ed astrette dall'obbligo del rispetto formale e sostanziale delle fonti di rango primario, ivi incluso il divieto di gold plating, a cui è precluso modificare o introdurre validamente nell'ordinamento giuridico previsioni diverse o ulteriori da quelle risultanti dalle norme del Codice dei Contratti Pubblici o dalle direttive europee in materia di appalti pubblici (Caldarelli, in cui viene richiamato anche il parere del Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale del 26 ottobre 2016, n. 2286/2016 del 3 novembre 2016). L'annotazione di “notizie utili” nel Casellario ANACL'art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016 prevede che “l'Autorità gestisce il Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, istituito presso l'Osservatorio, contenente tutte le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici con riferimento alle iscrizioni previste dall'art. 80. L'Autorità stabilisce le ulteriori informazioni che devono essere presenti nel casellario ritenute utili ai fini della tenuta dello stesso, della verifica dei gravi illeciti professionali di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), dell'attribuzione del rating di impresa di cui all'art. 83, comma 10, o del conseguimento dell'attestazione di qualificazione di cui all'art. 84”. L'ANAC, in attuazione di tale previsione, ha adottato l'art. 8, comma 2, lett. a) e b), del Regolamento per la gestione del Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cui alla Delibera n. 861 del 02 ottobre 2019, modificato con decisione del Consiglio del 29 luglio 2020. Il nuovo Regolamento per la gestione del Casellario Informatico ha circoscritto più puntualmente le fattispecie oggetto di annotazione, ancorandole alle diverse tipologie di grave illecito professionale. Più precisamente, il citato Regolamento ANAC ha chiarito che la sezione “B” del Casellario contiene, tra le altre: a) le notizie, le informazioni e i dati concernenti i provvedimenti di esclusione dalla partecipazione alle procedure d'appalto o di concessione e di revoca dell'aggiudicazione per la presenza di uno dei motivi di esclusione di cui all'art. 80 del codice, che consolidano il grave illecito professionale posto in essere nello svolgimento della procedura di gara od altre situazioni idonee a porre in dubbio l'integrità o affidabilità dell'operatore economico; b) le notizie, le informazioni e i dati emersi nel corso di esecuzione dei contratti pubblici, relativi a: i) provvedimenti di risoluzione del contratto per grave inadempimento, anche se contestati in giudizio; ii) provvedimenti di applicazione delle penali o altri provvedimenti di condanna al risarcimento del danno o sanzioni di importo superiore, singolarmente o cumulativamente con riferimento al medesimo contratto, all'1% del suo importo; iii) altri comportamenti sintomatici di persistenti carenze professionali. La recente modifica dell'art. 80, comma 5, lett. c) e l'introduzione del nuovo comma c-ter), che elimina il rilievo all'impugnazione della risoluzione, comporta che le stazioni appaltanti siano tenute a segnalare all'ANAC le risoluzioni anticipate anche se esse risultano essere state contestate in giudizio. La giurisprudenza ha chiarito che le annotazioni di illeciti professionali nel Casellario Informatico ex art. 213, comma 10, non hanno effetto automaticamente escludente, ma sono rimesse alle valutazioni delle singole stazioni appaltanti, che ne possono stabilire la gravità con riguardo al livello di affidabilità richiesto nelle gare di rispettiva competenza (cfr., inter alia, T.A.R. Lombardia (Brescia), n. 321/2018). In altre parole, le annotazioni iscritte nel Casellario ANAC ai sensi dell'art. 213, comma 10, d.lgs. n. 50/2016, costituiscono la base informativa necessaria per l'esercizio del discrezionale apprezzamento circa l'affidabilità del potenziale contraente, consentendo alla stazione appaltante di procedere alle valutazioni di competenza in ordine alla rilevanza ostativa degli specifici comportamenti, ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c), c-bis), c-ter) del d.lgs. n. 50/2016, in relazione all'oggetto dell'affidamento e a quanto indicato dall'ANAC nelle Linee Guida n. 6. Di recente, la giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare che l'attività di annotazione di “notizie utili” nel Casellario costituisce esercizio di un potere discrezionale; conseguentemente, l'Autorità è tenuta a motivare sulle ragioni per cui ha ritenuto, appunto, “utile” la pubblicazione. Più precisamente, si è affermato che la decisione dell'ANAC di disporre l'annotazione nel casellario di “notizie utili” deve essere sorretta da una motivazione che dia conto, da una parte, delle ragioni per cui esse possono ritenersi collegate, cioè “conferenti”, alle finalità specifiche indicate dall'art. 213, comma 10, d'altra parte delle ragioni per cui in concreto i fatti, le situazioni o i comportamenti oggetto di segnalazione siano replicabili e quindi in grado di influire sull'andamento di future gare, e come tali utili (T.A.R. Lazio (Roma) I, n. 4107/2021). Si è poi osservato che, nonostante le annotazioni di gravi illeciti ex art. 213, comma 10, del Codice differiscano da quelle che prevedono l'automatica esclusione dalle gare pubbliche (su cui amplius infra, par. 14), esse non incidono mai in maniera “indolore” nella “vita dell'impresa”, anche laddove non prevedano l'interdizione dalle gare, perché comunque rilevanti sia sotto il profilo dell'immagine, sia sotto quello dell'aggravamento della partecipazione a selezioni pubbliche (cfr. T.A.R. Lazio (Roma) I, n. 217/2019; Cons. St. V, n. 898/2019). Il grave inadempimento nei confronti dei subappaltatoriDopo il “Decreto semplificazioni”, la disciplina del grave illecito professionale ha subito una ulteriore modifica con le “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici”, introdotte dalla l. n. 55/2019, di conversione con modificazioni del d.l. n. 32/2019 (c.d. Legge “sblocca cantieri”). Più precisamente, con tale intervento il legislatore ha aggiunto tra le cause di esclusione di cui alla lett. c) del comma 5 dell'art. 80 l'ipotesi, contemplata dalla nuova lett. c-quater), in cui “l'operatore economico abbia commesso grave inadempimento nei confronti di uno o più subappaltatori, riconosciuto o accertato con sentenza passata in giudicato”. La norma risponde ad una finalità di tipizzazione di una fattispecie (l'inadempimento nei confronti del subappaltatore), con lo scopo di incentivare comportamenti corretti e diligenti da parte dell'affidatario nei confronti dei propri subappaltatori. Per espressa indicazione legislativa, assume rilevanza l'inadempimento commesso nei confronti dei subappaltatori purché grave e riconosciuto o accertato con sentenza passata in giudicato. Sembrerebbe, dunque, che il legislatore abbia voluto tipizzare – come causa di esclusione ex art. 80, comma 5 – unicamente l'inadempimento nei confronti del subappaltatore dotato dei requisiti della gravità e definitività dell'inadempimento. La recente causa di esclusione, per come formulata, ha introdotto molteplici incertezze in ordine al suo perimetro applicativo. Infatti, la locuzione “grave inadempimento nei confronti di uno o più subappaltatori” appare generica ed indeterminata e si potrebbe prestare a ricomprendere anche fattispecie ulteriori e diverse rispetto al mancato pagamento delle prestazioni rese dai subappaltatori, prestando il fianco ad interpretazioni difformi da parte delle stazioni appaltanti. Si è osservato, inoltre, che, nonostante sia stato opportunamente precisato che ai fini escludenti è necessaria una pronuncia definitiva di accertamento del grave inadempimento, non risulta se il “grave inadempimento” deve essere stato commesso dall'appaltatore nell'ambito dell'affidamento di un precedente contratto di subappalto oppure se, viceversa, rilevino anche condotte negligenti tenute al di fuori di una commessa pubblica, ma riconducibili ai rapporti tra i due soggetti (Santoro, 94). Il conflitto di interesseL'art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016 prevede alla lett. d), quale causa di esclusione dalla gara, il caso in cui la partecipazione dell'operatore economico determini una situazione di conflitto di interesse, ai sensi dell'art. 42, comma 2, che non sia diversamente risolvibile. L'art. 42 del Codice disciplina l'ipotesi particolare in cui il conflitto di interesse insorga nell'ambito di una procedura di gara. L'esclusione dalla gara può essere disposta tuttavia solamente quando non sia stato possibile risolvere il conflitto in altro modo. Una nozione specifica di conflitto di interesse non era presente nel precedente codice, d.lgs. n. 163/2006, il quale prevedeva, agli artt. 84 e 90, solo specifiche cause di incompatibilità per i commissari di gara e i progettisti. La direttiva 2014/24/UE, al Considerando 16, evidenziava che “Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero avvalersi di tutti i possibili mezzi a loro disposizione ai sensi del diritto nazionale per prevenire le distorsioni derivanti da conflitti di interesse nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici”. L'art. 24 della direttiva 2014/24/UE (e, analogamente, l'art. 42 della direttiva 2014/25/UE e l'art. 35 della direttiva 2014/23/UE) richiedevano agli Stati membri di provvedere affinché le amministrazioni aggiudicatrici adottassero misure adeguate per prevenire, individuare e porre rimedio in modo efficace ai conflitti di interesse sorti nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti, in modo da evitare distorsioni della concorrenza e garantire la par condicio fra gli operatori economici. Secondo la direttiva, il concetto di conflitto di interesse doveva coprire, come soglia minima, “almeno i casi in cui il personale di un'amministrazione aggiudicatrice o di un prestatore di servizi che per conto dell'amministrazione aggiudicatrice interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti o può influenzare il risultato di tale procedura ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto”. L'ANAC, con le Linee Guida n. 15 recanti «Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici», approvate dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 494 del 5 giugno 2019, ha fornito indicazioni non vincolanti al fine di agevolare le stazioni appaltanti nell'individuare, prevenire e risolvere i conflitti di interesse, e quindi favorire la diffusione delle migliori pratiche e la standardizzazione dei comportamenti. Le Linee guida recano anche, in forma tabellare, le varie fasi della procedura di gara, i soggetti coinvolti e i potenziali rischi di conflitto di interesse. La ratio della disciplina codicistica va ricercata nella volontà di disciplinare il conflitto di interesse nel contesto della contrattualistica pubblica, particolarmente esposto al rischio di interferenze, a tutela del principio di concorrenza e del prestigio della pubblica amministrazione. Le previsioni del Codice dei contratti pubblici si inseriscono nel quadro generale delle norme in materia di conflitto di interesse, costituito dall'art. 6-bis della l. n. 241/1990; dalla l. n. 190/2012; dal d.lgs. n. 39/2013; dagli artt. 3,6,7,13,14,16 del d.P.R. n. 62/2013; dall'art. 53, comma 14, del d.lgs. n. 165/2001; dall'art. 78 del d.lgs. n. 267/2000. La prevalenza delle previsioni della norma speciale di cui all'art. 42 sulle altre disposizioni vigenti si verifica solo ove queste ultime siano in contrasto con essa (Cons. St., parere n. 667/2019). Nozione di conflitto di interesse L'art. 42 reca tre categorie distinte di conflitto di interessi identificabili con sufficiente determinatezza. La prima si verifica ove il soggetto abbia “direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione.” La seconda, derivante dal richiamo alle fattispecie tipiche dell'art. 7 del d.P.R. n. 62/2013; la terza derivante anch'essa dall'art. 7 nella parte in cui si riferisce alle “gravi ragioni di convenienza”. A questa ultima fattispecie va assimilata quella di cui all'art. 6-bis della l. n. 241 del 1990, ovvero di “interesse anche potenziale”. La nozione di conflitto di interesse non si riferisce a comportamenti, ma a stati della persona. Un conflitto di interessi si determina quando a un soggetto giuridico sia affidata la funzione di cura di un interesse altrui (così detto interesse funzionalizzato) ed egli si trovi, al contempo, ad essere titolare (de iure vel de facto) di un diverso interesse la cui soddisfazione avviene aumentando i costi o diminuendo i benefici dell'interesse funzionalizzato. Tale nozione include non soltanto le ipotesi di conflitto attuale e concreto, ma anche quelle che potrebbero derivare da una condizione non tipizzata ma ugualmente idonea a determinare il rischio (Cons. St., parere n. 667/2019; Cons. St. V, n. 2863/2020). La nozione di conflitto di interesse ha carattere oggettivo e per definirla occorre prescindere dalle intenzioni degli interessati, e in particolare dalla loro buona fede (Trib. I grado UE, 20 marzo 2013, T-415/10). Dunque, fatte salve le situazioni tipizzate, perché possa configurarsi un conflitto di interesse è necessario che sussista un bisogno, materiale o immateriale, da soddisfare, indipendentemente dall'effettivo concretizzarsi di un vantaggio, ma per il solo pericolo di pregiudizio che la situazione conflittuale può ingenerare (Cons. St. III, n. 5151/2020). La giurisprudenza ha confermato l'orientamento (formatosi in vigenza del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e del d.P.R. 10 dicembre 2010, n. 207, che non recavano una specifica disciplina del conflitto di interesse, ma che non è contraddetto dalla disciplina attualmente vigente), secondo cui le situazioni di conflitto di interesse nell'ambito dell'ordinamento pubblicistico possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità anche solo potenziali fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite (Cons. St. V, n. 3415/2017). Si configurava un conflitto di interesse nel caso di un o.e. che, nel perseguire l'interesse “funzionalizzato” (alla cura dell'interesse altrui) proprio dell'Amministrazione che gli aveva conferito un incarico fiduciario di consulenza, aveva anche partecipato alla gara, nel perseguimento del proprio interesse economico. La norma è lato sensu una “norma di pericolo”, nel senso che essa e le misure che contempla (astensione dei dipendenti) o comporta (esclusione dell'impresa concorrente ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. “d”) operano per il solo pericolo di pregiudizio che la situazione conflittuale possa determinare (Cons. St. V, n. 355/2019). L'interesse personale dell'agente, che potrebbe porsi in contrasto con l'interesse pubblico alla scelta del miglior offerente, può essere di natura finanziaria, economica o dettato da particolari legami di parentela, affinità, convivenza o frequentazione abituale con i soggetti destinatari dell'azione amministrativa. Tale interesse deve essere tale da comportare la sussistenza di gravi ragioni di convenienza all'astensione, tra le quali va considerato il potenziale danno all'immagine di imparzialità dell'amministrazione nell'esercizio delle proprie funzioni. L'interesse economico finanziario non deve derivare da una posizione giuridica indifferenziata o casuale, quale quella di utente o di cittadino, ma da un collegamento personale, diretto, qualificato e specifico dell'agente con le conseguenze e con i risultati economici finanziari degli atti posti in essere (ANAC, Linee guida n. 15; delibere n. 881/2020; n. 762/2019 e n. 864/2018). In una fattispecie sottoposta all'attenzione dell'ANAC, l'attività professionale pregressa non era di per sé sufficiente a configurare, in capo a un commissario di gara, un interesse concreto e specifico che potesse trovare soddisfacimento nell'aggiudicazione della gara a un determinato concorrente, anche in considerazione dell'assenza della dimostrazione di perduranti legami professionali, o anche amicali, con l'attuale compagine societaria. Il fatto che la società avesse nel frattempo subito una serie di trasformazioni (oggetto sociale e controllo societario), unita alla considerazione del decorso di un lasso temporale significativo rispetto al ruolo ricoperto, portavano ragionevolmente a escludere che la pregressa posizione professionale potesse evolvere in un potenziale conflitto di interesse (ANAC, delibera n. 881/2020). L'ampia latitudine della nozione si giustifica in una logica di prevenzione. La nozione di carattere generale dà luogo a una presunzione iuris tantum di incompatibilità, in relazione alla quale può essere data prova contraria. La clausola specifica che richiama le cause di astensione per i pubblici dipendenti dà luogo a ipotesi tipizzate di conflitto di interesse presunto iuris et de iure, per i quali non può essere data prova contraria (De Nictolis, 541-542). L'art. 42 del codice rende evidente la chiara volontà del legislatore di anticipare la risposta dell'ordinamento al rischio anche solo potenziale di cointeresse idoneo a riverberarsi sulla corretta gestione delle procedure (Contessa). Ambito oggettivo e soggettivo di applicazione L'art. 42 del codice dei contratti pubblici si applica a tutte le procedure di aggiudicazione di appalti e concessioni nei settori ordinari, sopra e sotto soglia, agli appalti nei settori speciali e agli appalti assoggettati al regime particolare di cui alla parte II, titolo VI del codice dei contratti pubblici, nonché ai contratti esclusi. Si applica alle procedure ad evidenza pubblica espletate dai soggetti tenuti all'applicazione del codice dei contratti pubblici individuati dall'art. 3 del d.lgs. n. 50/2016 e, quindi, anche alle società pubbliche e ai soggetti privati che operano in qualità di stazioni appaltanti. Si applica inoltre nella fase di esecuzione dei contratti pubblici (ANAC, Linee guida n. 15). La norma si riferisce al “personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi”. Si tratta dei dipendenti in senso stretto, ossia dei lavoratori subordinati e di tutti coloro che, in base ad un valido titolo giuridico, legislativo o contrattuale, siano in grado di impegnare l'ente nei confronti dei terzi o comunque rivestano, di fatto o di diritto, un ruolo tale da poterne obiettivamente influenzare l'attività esterna. La norma si applica ai soggetti che siano coinvolti in una qualsiasi fase della procedura di gestione del contratto pubblico (programmazione, progettazione, preparazione documenti di gara, selezione dei concorrenti, aggiudicazione, sottoscrizione del contratto, esecuzione, collaudo, pagamenti) o che possano influenzarne in qualsiasi modo l'esito in ragione del ruolo ricoperto all'interno dell'ente (ANAC, Linee guida n. 15). Se la disposizione sul conflitto di interesse si applica sicuramente ai dipendenti “operativi”, a maggior ragione andrà applicata anche agli organi ed uffici direttivi e di vertice (nonché ai dirigenti e amministratori pubblici) (Cons. St. V, n. 3415/2017). L'ampia portata del comma 2 consente di ricomprendere nel suo ambito di applicazione tutti coloro che con qualsiasi modalità e anche senza intervenire nella procedura siano in grado di influenzarne il risultato (Cons. St. III, n. 5151/2020). Questione particolarmente rilevante attiene alla possibilità che il conflitto di interesse si manifesti direttamente in capo alla stazione appaltante, nel caso in cui tra la stazione appaltante ed un concorrente intercorra un rapporto di controllo o collegamento ex art. 2359 c.c. L'oggettiva problematicità di situazioni in cui una società controllata partecipi alla gara indetta dalla sua controllante, non riceve una disciplina specifica nel codice dei contratti. La questione però non può farsi rientrare nella categoria giuridica del conflitto di interesse, bensì nella problematica attinente alla tutela della concorrenza e della par condicio dei partecipanti. Il concetto stesso di conflitto di interesse dell'agente e la relativa normativa non si attagliano alla fattispecie (Cons. St., parere n. 667/2019). Deve escludersi che la mera partecipazione dell'ente pubblico a una società concorrente rappresenti un elemento tale da pregiudicare la regolarità della gara (Cons. St. V, n. 3401/2018). L'ipotesi della partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica di una società partecipata dalla stazione appaltante, sebbene possa avere un «impatto potenzialmente maggiore sul piano dell'imparzialità e della trasparenza», è estranea all'ambito di applicazione della norma sul conflitto di interessi (Cons. St., V, n. 5370/2020; n. 2511/2019). Anche attività meramente esecutive o il semplice accesso agli atti della procedura possono favorire una situazione corruttiva, da cui il rischio e quindi il conflitto (Cons. St., parere n. 667/2019). Non è sufficiente evocare il mero rapporto di “colleganza” ovvero di “conoscenza”, in quanto espressione di un approccio congetturale (Cons. St. V, n. 7462/2020). Il previo rapporto di “colleganza” fra il commissario e il progettista dell'aggiudicataria o comunque l'esistenza di un pregresso rapporto professionale tra costoro non è sufficiente, di per sé, a comprovare, in capo al commissario, la sussistenza – in via diretta o indiretta – di “un interesse finanziario, economico o altro interesse personale” ex art. 42 del d.lgs. 50/2016 (T.A.R. Campania (Salerno), n. 1885/2020). È lo stesso art. 2 del “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici” – d.P.R. 62/2013 (espressamente richiamato dall'art. 42 del “Codice dei contratti”) a definire in modo quanto mai ampio e onnicomprensivo la nozione di “dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, sino a ricomprendervi “i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico”, nonché i “collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione” (Contessa). La prevenzione del rischio nelle procedure di gara Tra le misure atte a prevenire il rischio di interferenza dovuto a conflitti di interesse meritano particolare attenzione quelle relative agli obblighi di dichiarazione, di comunicazione e di astensione. Il rischio viene valutato ex ante rispetto all'azione amministrativa. All'atto dell'assegnazione all'ufficio i dipendenti pubblici rendono la dichiarazione di cui all'art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 62/2013, avente ad oggetto la sussistenza di potenziali conflitti di interesse. In relazione al conferimento di incarichi nell'ambito di una specifica procedura di gara, la nomina è subordinata all'acquisizione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà e di certificazione, ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 sull'assenza di conflitti di interesse, che va resa al responsabile del procedimento. Il R.U.P. rilascia la dichiarazione sui conflitti di interesse al soggetto che lo ha nominato e/o al superiore gerarchico. Le situazioni di conflitto di interesse sopravvenute vanno comunicate immediatamente al responsabile dell'ufficio di appartenenza e al R.U.P.. La sussistenza di un conflitto di interesse comporta il dovere di astensione dalla partecipazione alla procedura. La partecipazione del soggetto che versi in una situazione di conflitto di interessi comporta l'insorgere di responsabilità penali, amministrative e disciplinari (ANAC, Linee guida n. 15). Spetta alle stazioni appaltanti prevedere misure adeguate per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni (Cons. St., parere n. 667/2019; Corte Giust. UE, 12 marzo 2015, C- 538/131). Le dichiarazioni devono avere data certa e, quindi, vanno datate e sottoscritte (dal soggetto interessato) e protocollate (dalla stazione appaltante) (Cons. St., parere n. 667/2019). La violazione dell'obbligo di astensione, ove prescritto, è intesa per giurisprudenza costante dalla Suprema Corte come un dovere di astensione introdotto nell'ordinamento in via generale e diretta dall'art. 323 c.p. (ex multis Cass. pen. VI, n. 14457/2013; n. 7992/2004) introducendo una norma penale in bianco completata dal richiamo alle varie ipotesi di astensione contemplate dalle leggi speciali, e indipendentemente dall'avverarsi del fatto dannoso. È necessario assicurare che i dipendenti abbiano piena contezza delle sanzioni applicabili per il caso di omessa/falsa dichiarazione sulla sussistenza delle situazioni di rischio, e indicare ai dipendenti anche gli effetti della violazione delle disposizioni sul conflitto di interessi, con particolare riferimento alla possibile configurazione dell'eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento della funzione tipica dell'azione amministrativa, che può condurre all'annullamento d'ufficio del provvedimento adottato quando i relativi effetti contrastino con l'interesse pubblico specifico del procedimento, rinvenibile nella scelta del contraente più idoneo (De Nictolis, 544). Esclusione dalla gara Un provvedimento di esclusione può essere adottato solamente quando la stazione appaltante abbia verificato che non sussistono altri rimedi per assicurare la tutela della par condicio fra i concorrenti e la trasparenza. Quando la situazione di conflitto non sia altrimenti risolvibile, l'art. 80, comma 5, lett. d) del Codice prevede, come extrema ratio, che sia l'operatore economico a sopportarne le conseguenze con l'esclusione dalla partecipazione alla procedura d'appalto. Se il conflitto di interesse è evidenziato in una fase più avanzata del procedimento di gara, o addirittura successivamente all'aggiudicazione, non può che trovare applicazione la misura demolitoria, che, secondo la regola generale, colpisce il provvedimento conclusivo della procedura, viziato in via derivata dal conflitto di interesse (Cons. St. III, n. 5151/2020; V, n. 7389/2019). È ravvisabile una situazione di conflitto di interesse laddove un dipendente della stazione appaltante partecipi effettivamente alla formazione degli atti della procedura, ovvero ne possa in qualche modo influenzare il risultato avendo egli direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale comune con un concorrente (Cons. St. III, n. 6150/2019). Nel settore dei contratti pubblici l'ipotesi di conflitto di interesse nell'affidamento di una determinata attività a un funzionario, che contestualmente sia titolare di interessi personali o di terzi, non può essere predicata in via astratta, ma deve essere accertata in concreto sulla base di prove specifiche (Cons. St. V, n. 2863/2020; n. 5370/2020; n. 2511/2019). Le situazioni di incompatibilità nelle gare pubbliche devono risultare oggetto di specifica ed inequivoca prova, anche sulla base di elementi di fatto indizianti, gravi, precisi e concordanti, non potendo farsi riferimento ad elementi presuntivi e generici (Cons. St. III, n. 330/2020). È a carico dell'impresa, una volta che l'amministrazione abbia dato conto degli elementi indiziari, dimostrare che non vi è stata violazione del principio di pari opportunità nella formulazione dei termini delle offerte per tutti gli offerenti e che non si è determinato alcun rischio reale di pratiche atte a falsare la concorrenza tra gli offerenti (Cons. St. V, n. 3048/2020). Si deve considerare che il conflitto di interesse è una situazione bilaterale, che dipende al tempo stesso i) da una parte, dalla ineliminabile situazione personale del concorrente, ii) e dall'altra parte dalla situazione del funzionario o consulente incardinato nell'organizzazione della Stazione appaltante. Si consideri che il concorrente, con la sua partecipazione, non ha fatto altro che fruire di un suo interesse legittimo costituzionalmente protetto, e che non necessariamente egli deve essere a conoscenza della situazione personale che genera il conflitto. Conseguentemente non può essere addossato al concorrente alcun obbligo di eliminare il conflitto di interessi, poiché, dal canto suo, l'unico mezzo sarebbe per lui quello di non partecipare alla gara, il che inciderebbe sui suoi diritti costituzionali. L'obbligo di risolvere il conflitto incombe sempre sul funzionario pubblico e sulla stazione appaltante, la quale è titolare del potere di garantire e soddisfare l'interesse legittimo, ed è quindi tenuta ad adeguare la propria organizzazione per permetterne la soddisfazione e il conseguimento del bene della vita sottostante, per altro tutelato dall'art. 41 della Costituzione. Per dare un'applicazione costituzionalmente orientata alla lett. d) del comma 5 dell'art. 80 del codice, la irrisolvibilità del conflitto va valutata in termini di impossibilità oggettiva, che non faccia riferimento a ragioni di correntezza amministrativa o alle sia pure gravi difficoltà organizzative, che possono sempre, e comunque devono, essere superate. La concomitanza della omissione della dichiarazione di conflitto da parte di entrambe le parti dello stesso, che faccia sospettare un accordo collusivo, potrà essere valutata dalla stazione appaltante, oltre che disciplinarmente a carico del funzionario pubblico che abbia omesso un atto dovuto, anche a carico del concorrente ex art. 80, comma 5 lett. c-bis) per omissione delle “informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”. In ogni caso l'esclusione non è automatica, ma deve essere pronunciata all'esito di una valutazione della stazione appaltante, e motivata non attraverso il semplice riferimento alla duplice omissione ma attraverso la valutazione della gravità dell'incidenza sullo svolgimento della procedura di gara nonché delle circostanze della situazione concreta, come ad esempio la oggettiva impossibilità per il concorrente di conoscere la sussistenza del conflitto (Cons. St., parere n. 667/2019). L'esclusione non è giustificata nei casi in cui si possa dimostrare che tale situazione non ha avuto alcuna incidenza sul loro comportamento nella procedura di gara, e non determina alcun rischio reale di falsare la concorrenza tra gli offerenti. Infatti, secondo una costante giurisprudenza, l'amministrazione aggiudicatrice è tenuta a vegliare sul rispetto, in ogni fase della procedura di gara d'appalto, del principio di parità di trattamento e, di conseguenza, delle pari opportunità di tutti gli offerenti. Il principio di trasparenza, che ne rappresenta un corollario, implica che tutte le condizioni e modalità della procedura di aggiudicazione siano formulate in maniera chiara, precisa e univoca, nel bando di gara o nel capitolato d'oneri e che tutte le informazioni tecniche pertinenti siano messe, appena possibile, a disposizione di tutte le imprese che partecipano ad un appalto pubblico. Il ragionamento in termini di rischio di conflitto di interessi impone da un lato una valutazione concreta dell'offerta, dall'altro della situazione dell'offerente, e l'esclusione è un rimedio volto a garantire il rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento tra gli offerenti (Trib. I grado UE II, n. 403/12 del 13/10/2015; T.A.R. Emilia Romagna (Bologna) II, n. 256/2020). L'impossibilità di sostituire il dipendente, di disporre l'avocazione dell'attività al responsabile del servizio o di ricorrere a formule organizzative alternative deve essere assoluta, oggettiva, puntualmente ed esaustivamente motivata e dimostrata. Se tali condizioni si verificano successivamente all'aggiudicazione, la stazione appaltante, previa idonea ponderazione degli interessi coinvolti, effettua le valutazioni di competenza in ordine all'annullamento dell'aggiudicazione o alla risoluzione del contratto (ANAC, Linee guida n. 15). A fronte di una presunta illegittima aggiudicazione, a motivo di pregressi rapporti professionali intercorsi fra il progettista/direttore dei lavori dell'opera oggetto di affidamento e la mandante dell'aggiudicataria nel triennio antecedente, l'operato della stazione appaltante era ritenuto conforme alla normativa di settore in quanto essa acquisiva la necessaria dichiarazione da parte della concorrente aggiudicataria relativamente alla sussistenza o meno di eventuali condizioni di controllo e collegamento con il progettista e i suoi collaboratori nello svolgimento dell'incarico, da cui emergeva che la concorrente non aveva svolto attività di supporto alla progettazione in merito ai lavori oggetto dell'odierno affidamento, (ANAC, delibera n. 762/2019). La sussistenza di un potenziale conflitto di interessi in capo a un concorrente non poteva derivare dalla semplice circostanza che esso fosse l'affidatario del servizio di manutenzione del sistema informativo sul quale dovevano essere caricate le offerte per la procedura di gara, in quanto esso non risultava aver assunto il ruolo di prestatore di servizi rispetto alla gara in esame e il suo personale non aveva contribuito alla materiale predisposizione degli atti di gara né rivestito alcun ruolo attivo o determinante nello svolgimento della procedura idoneo ad influenzare il processo decisionale della Stazione appaltante. La eterogeneità tra le prestazioni affidate nell'ambito del contratto di manutenzione del sistema informativo e quelle oggetto della gara consentiva di escludere una possibile asimmetria informativa o una posizione di vantaggio. Inoltre, sia la tempistica di produzione delle offerte sia la misura cautelativa della disabilitazione delle utenze di accesso ai server del sistema informativo e la contestuale consegna delle password a un solo funzionario apparivano sufficienti a escludere che, all'atto della presentazione dell'offerta per la gara in esame, l'operatore economico versasse in una situazione di conflitto d'interesse (ANAC, delibera n. 80/2020). L'art. 80, comma 5, lett. d) non è esaustivo di tutte le cause di esclusione dalle gare per conflitto di interesse. Da una lettura sistematica del codice, si desumono altre ipotesi: all'art. 48, comma 7 il divieto di partecipazione alla medesima gara come singolo e come componente di un'ATI o di un consorzio ordinario, o come componente di più ATI o consorzi ordinari, o come singolo e come consorziato indicato nel caso di consorzi stabili o cooperative; all'art. 24, comma 7 il divieto per gli affidatari degli incarichi di progettazione di essere anche affidatari dei relativi appalti; all'art. 89, comma 7 il divieto di partecipare a una gara come concorrente e allo stesso tempo essere indicato come impresa ausiliaria di altro concorrente; all'art. 53, comma 16-ter del d.lgs. 165/2001 il c.d. divieto di pantouflage, ipotesi speciale e tipizzata di conflitto di interesse che determina ex lege l'esclusione dalla gara con conseguente incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione (De Nictolis, 781). La distorsione della concorrenza: inquadramento e ambito di applicazioneL'art. 80, comma 5, prevede alla lett. e), quale causa di esclusione dalla gara, l'ipotesi in cui “una distorsione della concorrenza derivante dal precedente coinvolgimento degli operatori economici nella preparazione della procedura d'appalto di cui all'art. 67 non possa essere risolta con misure meno intrusive”. Il motivo di esclusione si ricollega espressamente alla previsione di cui all'art. 67, intitolata “Partecipazione precedente di candidati o offerenti”, che ricomprende anche il caso in cui la stazione appaltante abbia scelto di svolgere le consultazioni preliminari di mercato di cui all'art. 66 del Codice. I citati artt. 66 e 67, nel ricalcare gli artt. 40 e 41 della direttiva 2014/24/UE (e i corrispondenti artt. 58 e 59 della direttiva 2014/25/UE per i settori speciali, mentre disposizioni analoghe non si rinvengono nella direttiva 2014/23 sulle concessioni), disciplinano il caso in cui un soggetto offerente, avendo partecipato ad una delle fasi preliminari all'effettuazione della gara, possa trovarsi in una situazione di vantaggio competitivo nei confronti degli altri concorrenti. Essi rappresentano una novità dell'attuale Codice, in quanto disposizioni analoghe non erano presenti nel precedente d.lgs. n. 163/2006. L'ANAC, con le Linee Guida n. 14 recanti «Indicazioni sulle consultazioni preliminari di mercato», approvate dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 161 del 6 marzo 2019, da considerare non vincolanti, ha fornito indicazioni sulle modalità di applicazione e funzionamento dell'istituto delle consultazioni preliminari di mercato di cui agli artt. 66 e 67 del d.lgs. n. 50/2016. L'art. 41 della direttiva 2014/24/UE (al pari dell'art. 59 della direttiva 2014/25/UE) rappresenta una novità anche in ambito europeo e positivizza alcune delle interpretazioni giurisprudenziali raggiunte medio tempore dalla Corte di giustizia. Tra le soluzioni di maggiore rilevanza rientra senza dubbio l'ammissibilità della doppia partecipazione. Ossia, la possibilità – oggi pacifica e positivizzata – di partecipare sia alla procedura preliminare che alla successiva fase di gara. La Corte ha infatti chiarito che la partecipazione alla consultazione preliminare o, ancor di più, alla preparazione di una procedura di gara non comprometterebbe, di per sé, la partecipazione alla successiva fase di gara, purché, in virtù di tale partecipazione anticipata, l'operatore non abbia beneficiato di un vantaggio concorrenziale rispetto agli altri concorrenti. All'art. 67 del Codice, il legislatore ha individuato e positivizzato ex ante le ipotesi in cui il rischio di tali commistioni vengono maggiormente in essere: i) nel caso in cui l'operatore economico – o un'impresa a questo collegata – abbia fornito la documentazione di cui all'art. 66, comma 2, del Codice; ii) oppure, nel caso in cui lo stesso abbia altrimenti partecipato alla preparazione della procedura di aggiudicazione dell'appalto. L'istituto, indubbiamente rivolto alle commesse di maggiore complessità sul piano tecnico, si presta a possibili alterazioni per la contestuale presenza degli ampi profili di discrezionalità tecnica che caratterizzano il settore della contrattualistica pubblica, e l'esigenza di garantire i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità, di cui all'art. 30 del Codice dei contratti pubblici. Le stazioni appaltanti dovranno garantire la più ampia partecipazione possibile alle consultazioni preliminari, attraverso avvisi pubblici o anche inviti indirizzati a soggetti con comprovata expertise tecnica (quali esperti o autorità indipendenti), con regole precise volte a stabilire, in maniera trasparente i contributi ammessi e il loro oggetto, nonché misure adeguate affinché la concorrenza non sia falsata (Massari). Il diritto comunitario vuole assicurare un margine di manovra alla stazione appaltante, consentendole di dialogare con il mercato, evitando però al contempo che gli operatori che abbiano coadiuvato la stazione appaltante nella preparazione della procedura possano poi conseguire un indebito vantaggio nella procedura a valle. Tale disciplina assolve anche a obiettivi nazionali di trasparenza e prevenzione della corruzione, mirando a rendere “tracciabili” i contatti preliminari tra stazione appaltante e operatori economici (De Nictolis, 1073). Prima dell'avvio di una procedura selettiva, le stazioni appaltanti possono svolgere consultazioni del mercato finalizzate alla predisposizione degli atti di gara, allo svolgimento della relativa procedura, nonché a fornire informazioni agli operatori circa le procedure programmate e i requisiti relativi alle stesse. Le stazioni appaltanti individuano misure adeguate a garantire che la concorrenza non sia falsata dalla partecipazione precedente del candidato o dell'offerente o di un'impresa ad essi collegata alla consultazione. Costituiscono misure adeguate minime, ai sensi dell'art. 67, comma 1, del Codice: la comunicazione, in tempo utile, da parte del R.U.P. agli altri candidati o offerenti delle informazioni pertinenti scambiate nel quadro della partecipazione del candidato o dell'offerente alla preparazione della procedura, e la fissazione di termini adeguati per la presentazione delle offerte (ANAC, Linee Guida n. 14). La normativa spicca per lasciare ampi spazi di manovra e di determinazione alle pubbliche amministrazioni nell'applicazione dello strumento delle consultazioni preliminari. Così, per parte della dottrina, si tratta di uno strumento istruttorio, nel caso in cui siano coinvolti esperti e autorità di garanzia, mentre potrà atteggiarsi come strumento lato sensu prenegoziale, qualora venga impiegato nel senso di sollecitare consulenze di operatori del mercato che in futuro potrebbero essere concorrenti in una competizione (Cons. St., parere n. 445/2019). Per rimediare alla situazione di asimmetria informativa, lesiva del principio della par condicio dei soggetti concorrenti, il legislatore comunitario attribuisce all'amministrazione committente la facoltà di adottare misure “adeguate” alla necessità di ripristino di condizioni di gara eque (art. 41, comma 1 della direttiva). Come rimedio di carattere generale, il comma 2 dell'art. 41 della direttiva attribuisce alla stazione appaltante la facoltà di comunicare agli altri candidati le informazioni particolari ottenute dal concorrente “avvantaggiato”. Soltanto quando non vi siano “altri mezzi per garantire il rispetto dell'obbligo di osservare il principio della parità di trattamento” è consentito disporre l'esclusione dell'offerente dalla procedura di gara (comma 2, secondo periodo). Strettamente collegato al carattere residuale della sanzione escludente è l'obbligo sancito dal comma 3 di garantire agli offerenti “la possibilità di provare che la loro partecipazione alla preparazione della procedura di aggiudicazione all'appalto non è un elemento in grado di falsare la concorrenza”. Il quadro regolatorio è connotato dal carattere scalare delle misure previste, avendo il legislatore statale espressamente rimarcato che la condivisione delle informazioni “riservate”, ottenute a seguito del coinvolgimento nella fase preparatoria della gara, costituisce la “minima misura adeguata” (comma 1 dell'art. 67) per riequilibrare la situazione. (TRGA Trentino-Alto Adige (Bolzano), n. 98/2020). Di norma il soggetto che partecipa alle consultazioni non è titolare di una posizione differenziata in relazione alla successiva eventuale fase di gara, in ragione dell'autonomia delle due fasi, e la partecipazione ad essa non costituisce condizione di accesso alla successiva gara, anzi, in alcuni casi, può risolversi nella successiva incapacità a contrarre con l'amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell'art. 67 del Codice (T.A.R. Calabria (Reggio Calabria) I, n. 340/2018). È stata ritenuta legittima l'aggiudicazione nel caso in cui siano state adottate tutte le misure idonee a garantire la concorrenza. Nello specifico, erano state illustrate in dettaglio, nel capitolato, le operazioni svolte durante la consultazione preliminare, con indicazione sia degli operatori economici contattati sia delle attività svolte nel corso delle consultazioni, e ai candidati era stato concesso un termine di 35 giorni per formulare le offerte, pur trattandosi di gara sotto soglia (T.A.R. Puglia (Bari) I, n. 340/2021). Esclusione dalla gara La giurisprudenza è concorde nell'attribuire carattere di “extrema ratio” alla sanzione escludente (Cons. Stato, n. 1650/2019; n. 2853/2018; T.A.R. Toscana I, n. 402/2018), dovendo l'amministrazione aggiudicatrice valutare l'adozione di misure adeguate prima di provvedere alla esclusione, previo accertamento che “la partecipazione dell'operatore economico determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell'art. 42, comma 2, non diversamente risolvibile” (art. 80, comma 5, lett. d) ed e). L'esclusione non può avere natura vincolata, dovendo tale misura radicale costituire sempre il risultato della verifica dell'effettiva lesione dei principi concorrenziali (TRGA Trentino-Alto Adige (Bolzano), n. 98/2020). La nozione di partecipazione alla preparazione della procedura di aggiudicazione deve intendersi riferita al fatto che il concorrente abbia in qualsiasi modo e forma contribuito – anche se non necessariamente collaborato – alla predisposizione degli atti preparatori della procedura di gara. D'altronde l'art. 80, comma 5 lett. e) del d.lgs. n. 50/2016 prevede come causa di esclusione soltanto la situazione che discende da una “distorsione della concorrenza derivante dal precedente coinvolgimento degli operatori economici nella preparazione della procedura d'appalto di cui all'art. 67 che non possa essere risolta con misure meno intrusive”. Ove così non fosse, finirebbe per essere violato il principio di proporzionalità. Conseguentemente, la previsione di esclusione dalla partecipazione deve essere interpretata in maniera rigida e così anche il correlato obbligo dichiarativo. In questo quadro è perfettamente plausibile che la voce del el DGUE che recita “L'operatore economico o un'impresa a lui collegata ha fornito consulenza all'amministrazione aggiudicatrice o all'ente aggiudicatore o ha altrimenti partecipato alla preparazione della procedura d'aggiudicazione (art. 80, comma 5 lett. e)” fosse interpretata nel senso di riferirsi allo svolgimento di un'attività di vera e propria collaborazione nella fase di preparazione della procedura di affidamento, piuttosto che di progettazione definitiva dell'opera all'esito di una precedente gara pubblica di appalto, svolta nel confronto concorrenziale tra operatori del settore. Ciò basta per escludere che la dichiarazione resa possa ritenersi mendace (Cons. St. III, n. 2079/2019). L'omissione, da parte della stazione appaltante, dell'adozione delle misure minime atte ad evitare la distorsione della concorrenza non può determinare l'automatica esclusione della società che ha partecipato alla fase preliminare. L'esclusione può essere disposta solo nel caso in cui vi sia stato da parte di questi un comportamento volutamente scorretto, nel senso che costui abbia dolosamente influenzato l'esito dell'indagine di mercato, non potendosi imputare all'operatore economico a titolo di responsabilità oggettiva l'eventuale effetto distorsivo della concorrenza derivante da scelte errate della stazione appaltante (Cons. St., parere n. 455/2019). Le garanzie partecipative vanno applicate – in linea con l'art. 6 CEDU e l'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE – in misura ancora più stringente nei procedimenti latamente sanzionatori (Cons. St. VI, n. 1368/2020). Come affermato dalla Sezioni Unite, in virtù del principio di riferibilità o di vicinanza della prova, l'onere della prova deve essere ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione (Cons. St., parere n. 455/2019, che richiama Cass., S.U., n. 13533/2001). Una volta che sia affermata in concreto la lesione del principio della par condicio, la tutela che rimane in capo all'impresa concorrente è l'impugnazione del bando che non abbia previsto sufficienti e proporzionate misure di compensazione dell'eventuale distorsione causata dalla partecipazione di un concorrente alla fase preliminare, ma non può essere – in assenza di indizi che dimostrino che l'operatore abbia intenzionalmente influenzato l'esito dell'indagine di mercato – la pretesa dell'esclusione della concorrente che ha partecipato alla fase preliminare (T.A.R. Molise I, n. 31/2021). Il provvedimento di esclusione fornisce le ragioni sottese, motivando espressamente sulle ragioni che non hanno consentito di garantire in altro modo il rispetto del principio di parità di trattamento (ANAC, Linee Guida n. 14). La presentazione di false dichiarazioniL'art. 80, comma 5, lett. f-bis) del Codice ha recepito l'art. 57 della direttiva 2014/24/UE, la quale, nel disciplinare i “criteri di selezione qualitativa” degli operatori economici che partecipano alle gare pubbliche, prevede, al par. 4, lett. h), l'esclusione dalla gara “se l'operatore economico si è reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni richieste per verificare l'assenza di motivi di esclusione o il rispetto dei criteri di selezione, non ha trasmesso tali informazioni o non è stato in grado di presentare i documenti complementari di cui all'art. 59”. L'art. 80, nella sua originaria formulazione, ha riprodotto il previgente art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, nel quale ultimo, tuttavia, la falsità non assurgeva ad autonoma causa di esclusione ma, ciò nonostante, la giurisprudenza maggioritaria e l'ANAC la consideravano tale sulla base di una lettura combinata degli artt. 38, comma 2 e 46 comma 1-bis del d.lgs. n. 163/2006 e dell'art. 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (per un'analisi degli orientamenti giurisprudenziali dell'epoca vedasi Pignatiello, 873 ss.). In ordine a tale tematica, l'ANAC aveva espresso il proprio orientamento precisando che “l'incompletezza della dichiarazione di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 (così come la sua integrale omissione) rappresenta una autonoma violazione di legge, sanzionabile, come tale, con l'esclusione dalla gara. Una dichiarazione inaffidabile è da considerare già di per se stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l'impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara (Cons. St. V n. 5693/2012) (Delibera n. 75/2014). Su tale scia, la giurisprudenza aveva inoltre elaborato la teoria del c.d. falso innocuo, ossia del falso che “si riveli in concreto inidoneo a ledere l'interesse tutelato dalla genuinità dei documenti e cioè quando non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico, nel senso che l'infedele attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel falso materiale) appaiono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e del suo valore probatorio e, pertanto, inidonee al conseguimento delle finalità che con l'atto falso si intendevano raggiungere” (Cass. pen. n. 47601/2014). La categoria del falso innocuo è stata, tuttavia, smentita dai recenti orientamenti giurisprudenziali, secondo i quali “ai fini della sussistenza o meno della fattispecie di cui all'art. 80, comma 5, lett. f-bis del d.lgs. n. 50/2016 rileva infatti esclusivamente il fatto materiale e oggettivo del falso, a prescindere dunque dall'animus soggettivo che l'ha ispirato, tant'è che la disposizione attribuisce rilievo al dolo o alla colpa ai soli fini dell'ulteriore adozione, da parte dell'ANAC, di sanzioni di carattere interdittivo (art. 80, comma 12)”. Secondo i giudici, pertanto, in tale ambito non trovano applicazione gli istituti – di derivazione penalistica – del falso innocuo e del falso inutile (Cons. St. V, n. 1212/2020). Con l'entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici, e in occasione del primo decreto correttivo al Codice (d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56) il legislatore ha integrato l'art. 80, comma 5, con la previsione della lett. f-bis), ai sensi della quale l'operatore è escluso qualora presenti “nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere”. La nozione di falsità: rischio di sovrapposizione con altre cause di esclusione La nozione di falsità presenta margini applicativi non sempre netti, intrecciandosi anche con altre cause di esclusione di cui al Codice dei contratti pubblici e, soprattutto, con i c.d. gravi illeciti professionali. Tale difficoltà si intreccia, inoltre, con la problematica, a monte della questione, della esatta perimetrazione degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici (per una ricognizione degli indirizzi giurisprudenziali postisi nella vigenza del d.lgs. n. 163/2006 vedasi Pietrosanti, 15). In merito alla questione della esatta delimitazione della nozione di falsità di cui all'art. 80, comma 5, lett. f-bis), si rileva che il concetto di falsità ricorre anche, quale causa di esclusione, al medesimo comma 5, lett. c-bis), ossia il caso in cui “l'operatore economico (...) abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”. In relazione a tale norma, si è palesata ben presto la sottile e non sempre agevole linea di demarcazione, in punto di interpretazione, tra l'ipotesi di cui alla lett. f-bis) – documentazione o dichiarazione non veritiera – e l'ulteriore causa di esclusione di cui alla lett. c-bis) – false e omesse informazioni. Nel tentativo di fornire chiarimenti in ordine al discrimen tra tali fattispecie, il Consiglio di Stato, chiamato a rendere il proprio parere sulle Linee Guida ANAC n. 6, con riferimento alla formulazione dell'art. 80 previgente al d.l. n. 135/2018, ha evidenziato che “La differenza tra le due ipotesi è sostanziale, atteso che, nell'ipotesi di cui al comma 5, lett. c), la valutazione in ordine alla rilevanza in concreto ai fini dell'esclusione dei comportamenti accertati è rimessa alla stazione appaltante, mentre nel caso del comma 5, lett. f-bis), l'esclusione dalla gara è atto vincolato, discendente direttamente dalla legge, che ha la sua fonte nella mera omissione da parte dell'operatore economico” (Cons. St., parere n. 2042/ 2017). In altra occasione, il Consiglio di Stato, nel confermare quanto statuito dal parere n. 2042/2017 sopra citato, ha altresì precisato che “il discrimen tra le due fattispecie sembra doversi incentrare sull'oggetto della dichiarazione, che assumerà rilievo, ai sensi e per gli effetti di cui alla lett. f-bis), nei soli casi di mancata rappresentazione di circostanze specifiche, facilmente e oggettivamente individuabili e direttamente qualificabili come cause di esclusione a norma della disciplina in commento, ricadendosi altrimenti – alle condizioni previste dalla corrispondente disposizione normativa – nella previsione di cui alla fattispecie prevista al comma 5 lett. c)” (Cons. St. III, n. 5040/2018). A fronte di questa prima linea di demarcazione segnata dal Consiglio di Stato, si è venuto delineando un orientamento giurisprudenziale secondo il quale per integrare una dichiarazione falsa non deve necessariamente procedersi con una condotta attiva, ben essendo configurabile la commissione di un mendacio tenendo un qualificato silenzio o rendendo una dichiarazione reticente (di recente, Cons. St. V, n. 7108/2020). Trattasi, in altre parole, dell'orientamento che riconosce espressamente il c.d. falso omissivo. A riguardo, nell'ottica della valutazione da compiersi da parte della stazione appaltante, con precipuo riferimento al contenuto delle dichiarazioni rese dagli operatori economici, la giurisprudenza ha sostenuto che la natura “non veritiera” o “falsa” di una dichiarazione può realizzarsi anche attraverso la omissione o la incompletezza (reticenza) delle informazioni fornite, quando la informazione omessa o resa in modo parziale o incompleta attribuisce al tenore della dichiarazione un senso diverso, così che “l'enunciato descrittivo venga ad assumere nel suo complesso un significato contrario al vero o negativo dell'esistenza di fatti rilevanti” (tra le tante, Cass. pen. n. 48755/2014). Analogamente, si è sostenuto che: “Ritiene il Collegio che l'omissione di un obbligo dichiarativo così palese nella sostanza integri, con ogni evidenza, una dichiarazione mendace, tanto più ove si consideri – come rilevato dall'ANAC – che la stessa inscindibilmente si accompagnava ad una dichiarazione consapevolmente incompleta circa il possesso dei requisiti di cui all'art. 38, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006, resa dal procuratore speciale della società in sede di dichiarazione sostitutiva ai fini della partecipazione alla gara” (Cons. St. V, n. 7271/2018; Cons. St. V, n. 6169/2020; Cass. S.U., n. 27770/2020). Sul solco di questo orientamento, anche il T.A.R. Lazio, in tempi molto recenti, ha precisato che “In ragione dell'equiparabilità, ai fini dell'esclusione automatica prevista dall'art. 80, comma 5, lett. f-bis) del d.lgs. n. 50/2016 della dichiarazione omessa (o reticente) rispetto a quella non veritiera, la mancata menzione di una precedente risoluzione contrattuale, invero esistente, rientra tra quelle dichiarazioni obiettivamente “false” idonee a giustificare l'esclusione automatica del concorrente, senza che residuino poteri di apprezzamento in capo alla Stazione appaltante, trattandosi di fattispecie “di per sé dimostrative di pregiudiziale inaffidabilità” (T.A.R. Lazio (Roma) II, n. 1328/ 2021). Occorre, tuttavia, dare atto anche degli orientamenti giurisprudenziali che hanno cercato di evidenziare la sostanziale differenza tra la falsa dichiarazione e la dichiarazione omessa e/o reticente. Secondo il Consiglio di Stato “è omessa dichiarazione quando l'operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come “grave illecito professionale”; v'è dichiarazione reticente quando le pregresse vicende sono solo accennate senza la dettagliata descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente apprezzarne il disvalore nell'ottica dell'affidabilità del concorrente; è, infine, configurabile la falsa dichiarazione se l'operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero” (Cons. St. V, n. 7492/2019; Cons. St. V, n. 5171/2019). Posta tale distinzione, i giudici hanno precisato le possibili conseguenze sul piano degli effetti giuridici, precisando che “solo alla condotta che integra una falsa dichiarazione consegue l'automatica esclusione dalla procedura di gara poiché depone in maniera inequivocabile nel senso dell'inaffidabilità e della non integrità dell'operatore economico, mentre, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l'esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull'affidabilità dello stesso” (Cons. St., V, n. 5171/2019). Si è sostenuto altresì che “la violazione degli obblighi informativi si può atteggiare, per quanto qui rileva, nelle due fattispecie tipiche: – della omissione “delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione” (lett. c-bis), laddove la condotta del dichiarante è specificata come omissione (logicamente comprendente anche la reticenza, cioè l'incompletezza), con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare tale omissione (o reticenza) ai fini dell'attendibilità e dell'integrità dell'operatore economico (cfr. Cons. St., V, n. 5142/2018); – della falsità delle dichiarazioni, ovvero della presentazione “nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere” (lett. f-bis), laddove la condotta del dichiarante è specificata come falsità, cioè rappresentazione di una circostanza di fatto diversa dal vero, cui consegue l'automatica esclusione dalla procedura di gara poiché depone in maniera inequivocabile nel senso dell'inaffidabilità e della non integrità dell'operatore economico, mentre, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l'esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull'affidabilità dello stesso (Cons. St. V, n. 5171/2019; Cons. St., V, n. 2407/2019). Alla luce di quanto sopra, è emersa la necessità di un coordinamento tra la disposizione di cui alla lett. f-bis) e quella di cui alla lett. c-bis) in quanto tale problematica, lungi dal consistere in una questione puramente astratta, ha impegnato concretamente le stazioni appaltanti e gli operatori economici chiamati a districarsi in un reticolo legislativo tutt'altro che chiaro e oggetto di costanti interpretazioni a livello giurisprudenziale (per una possibile soluzione a tale problematica si richiama Rivellini). Esigenze di certezza giuridica: Ad. Pl. Consiglio di Stato n. 16/2020 Sul solco della giurisprudenza formatasi nella vigenza del nuovo Codice dei contratti pubblici, in tempi recenti si è posta in giurisprudenza l'urgenza di delimitare con maggiore precisione l'ambito degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici, a tutela della certezza dei rapporti giuridici. È stata quindi rimessa all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la dibattuta questione relativa “alla portata, alla consistenza, alla perimetrazione ed agli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alla procedura evidenziale, con particolare riguardo ai presupposti per l'imputazione della falsità dichiarativa, ai sensi di cui alle lett. c) e f-bis del comma 5 dell'art. 80 del d.lgs. n. n. 50/2016” (Cons. St. V, ord. n. 2332/2020). Con Ad. plen. 16/2020 il Consiglio di Stato, investito di tale questione, in premessa, ha ripercorso le tappe fattuali e giuridiche descritte nell'ordinanza di rimessione e, in particolare, l'osservazione secondo la quale “la falsità, come predicato contrapposto alla verità, costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l'alternativa logica vero/falso, accertabile automaticamente” (Cons. St. V, 2332/2020). Volgendo lo sguardo alla fattispecie concreta, i giudici, nel precisare che oggetto di contestazione non era l'effettivo possesso della cifra d'affari da parte dell'impresa ausiliaria bensì la possibilità per la stessa, ancorché priva di un'attestazione SOA in quanto scaduta, di cumulare i propri requisiti con quelli delle altre consorziate, sostengono che “si tratta di valutazioni riferite ad elementi di carattere giuridico, irriducibili all'antitesi vero/falso, e relativi: alla persistente validità del rapporto consortile in presenza di una delibera di sospensione; e alla possibilità di cumulare la cifra d'affari comunque realizzata nel triennio in considerazione dalla consorziata, ancorché priva di un'attestazione SOA”. Secondo il Collegio, quindi, la questione sottopostale, non ha un sostrato nella realtà materiale ma, al contrario, verte sull'interpretazione di norme giuridiche. In quanto tale non potrebbe essere ricondotta alla lett. f-bis) del comma 5 dell'art. 80. Inoltre, nella sentenza emerge che, ad ulteriore fondamento della non configurabilità nel caso di specie della causa di esclusione di cui alla lett. f-bis), vi sarebbe il rapporto tra tale causa e la ulteriore e distinta ipotesi di cui alla lett. c). In particolare, l'ipotesi di cui alla lett. c) (ora c-bis) consistente nel “fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione» avrebbe un elemento “specializzante” rispetto alla lett. f-bis), dato dal fatto che, ai fini dell'esclusione, non è sufficiente che tali informazioni siano “false” ma che le stesse siano in grado altresì di “sviare l'amministrazione nell'adozione dei provvedimenti concernenti la procedura di gara”. Aggiungono inoltre i giudici che il legislatore ha scelto di accomunare l'attitudine “falsa” e “fuorviante” nella nozione delle “informazioni” di cui alla lett. c) (ora c-bis), e in presenza di un margine di apprezzamento discrezionale non è facile scorporare questi connotati, con rischio di aggravio della procedura di gara, oltre che di irrilevanza in punto di effettivo disvalore della condotta. Per quanto concerne, invece, l'ulteriore ipotesi consistente nella «l'omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione», il disvalore si polarizza in ordina alla “doverosità” dell'informazione da rendere alla stazione appaltante e, in quanto tale, l'obbligo dovrebbe essere previsto a livello normativo o dall'amministrazione, attraverso le norme speciali regolatrici della gara. L'elemento in comune tra “l'omissione dichiarativa” e il rendere “informazioni false e fuorvianti” risiederebbe nel fatto che per entrambe non è consentito l'automatismo espulsivo proprio della lett. f-bis). La necessaria e discrezionale valutazione della stazione appaltante nei casi di cui alla lett. c) (ora c-bis), sindacabile solo in ordine alla attendibilità e al rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, deve quindi essere volta a considerare l'effettivo ricorrere dei presupposti di cui alle ipotesi sopra menzionate. Infine, per quanto riguarda la lett. f-bis), vi sarebbe un'identità di oggetto oltre ad una parziale sovrapposizione di ambito applicativo con l'ipotesi delle “informazioni false e fuorvianti” in quanto i diversi termini utilizzati (documentazione vs informazione) non rivestono una rilevanza pratica ed entrambe si riferiscono a ipotesi di falso. Pertanto, trattandosi di norme “potenzialmente concorrenti”, interviene a dirimere il conflitto il “principio di specialità” (art. 15 preleggi) in virtù del quale prevale l'ipotesi di cui alla lett. c) (ora c-bis) ossia il fornire informazioni false e fuorvianti. Di conseguenza, la lett. f-bis) assume una portata “residuale”, applicandosi in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla precedente lett. c-bis), ossia a tutti i casi in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità, e che non siano finalizzate all'adozione dei provvedimenti di competenza dell'amministrazione relativi all'ammissione, alla valutazione delle offerte o all'aggiudicazione della gara o comunque relativi al corretto svolgimento della procedura, come invece previsto dalla lett. c-bis). La successiva giurisprudenza s’è adeguata alla posizione della Plenaria. Cfr. , da ultimo, Cons. St., V, 25 gennaio 2022, n. 491. Campo residuale di applicazione della lett. f-bis): difficoltà interpretative La sent. n. 16/2020 dell''Adunanza Plenaria riveste, indubbiamente, un grande rilievo non solo teorico ma anche pratico in quanto il Consiglio di Stato ha fornito elementi fondamentali per differenziare con maggiore precisione il contenuto delle cause di esclusione analizzate, spesso intrecciate in passato dalla giurisprudenza. Tuttavia, a fronte di taluni chiarimenti forniti, permangono ancora molti dubbi. Il Consiglio di Stato, posto dinanzi alla complessa questione degli obblighi dichiarativi prescritti nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica, aveva dinanzi a sé due strade percorribili: da un lato, estendere la discrezionalità delle stazioni appaltanti mediante una lettura estensiva della lett. c-bis) e, quindi, condividere un modello di regolazione dei contratti pubblici tipicamente europeo; dall'altro, interpretare restrittivamente tale disposizione a beneficio della distinta ipotesi di cui alla lett. f-bis), con minore margine di manovra del committente pubblico, come sovente avviene nella prospettiva del modello italiano, preoccupato di arginare la corruttela. A fronte di tale scelta, l'Adunanza Plenaria ha privilegiato l'opzione ermeneutica tesa a conferire ampia discrezionalità alle stazioni appaltanti, confinando l'ipotesi di cui alla lett. f-bis) a ipotesi pratiche più marginali che rischiano di essere completamente assorbite dalla lett. c-bis) (Rivellini). Occorre inoltre considerare che la stazione appaltante, al di fuori delle cause tipiche di esclusione, ad oggi gode di ampia discrezionalità in relazione alla valutazione delle cause di esclusione, e tale valutazione è sindacabile al più entro i limiti della abnormità o della manifesta irragionevolezza. A tale ampia discrezionalità della stazione appaltante si accompagna, peraltro, un'elaborazione giurisprudenziale che nel tempo è giunta ad imporre all'operatore economico un onere dichiarativo incongruamente difficoltoso. In questo contesto, potrebbe concretizzarsi il paradosso per cui una determinata risoluzione contrattuale, di per sé non preclusiva alla partecipazione secondo l'ordinamento, lo potrebbe diventare per una determinata commissione di gara e non per un'altra, con gravissime ripercussioni sulla par condicio tra operatori economici (Nicodemo, 98). In tale occasione, quindi, l'Adunanza Plenaria avrebbe potuto porre rimedio all'indeterminatezza del dettato legislativo in materia di obblighi dichiarativi, ovviando ad una problematica che oggi, come ieri, si è riproposta inevitabilmente. Nella delicata materia della contrattualistica pubblica, infatti, sebbene “il legislatore abbia cercato di tipizzare alcune ipotesi di grave illecito professionale e abbia attribuito all'ANAC la prerogativa di delimitarne i confini, la natura aperta e indeterminata della relativa normativa mantiene in vita una zona d'ombra che – attraverso l'attività degli interpreti – rischia di dare rilevanza a cause di esclusione per così dire subdole o occulte” (Pietrosanti, 17). Tuttavia, la decisione dell'Adunanza Plenaria non ha chiarito la reale consistenza degli obblighi dichiarativi posti a carico degli operatori economici, la cui perimetrazione continua ad essere affidata alle amministrazioni prima e all'attività interpretativa dei giudici poi (Capotorto, Picardi) e questa criticità è tanto più preoccupante se si considera che i motivi di esclusione, seppure non pienamente riconducibili al novero delle “sanzioni amministrative in senso stretto”, presentano comunque un “carattere sanzionatorio”, e l'assenza di una loro predeterminazione ex ante collide con le garanzie che connotano le sanzioni amministrative e che hanno segnato la giurisprudenza CEDU degli ultimi anni (Rivellini). Orientamenti successivi alla sent. n. 16/2020 La giurisprudenza successiva alla pronuncia della sentenza del Consiglio di Stato n. 16/2020 sembra orientarsi in senso conforme al solco tracciato dall'Adunanza Plenaria. Si è sostenuto che “in presenza di dichiarazioni “fuorvianti” (anche di carattere omissivo, come nel caso di specie) si rivela imprescindibile una valutazione “in concreto” della stazione appaltante, come per le altre ipotesi previste dalla medesima lett. c), ed ora articolate nelle lett. c-bis), c-ter) e c-quater), per effetto delle modifiche da ultimo introdotte dal d.l. n. 32/2019. In particolare, la stazione appaltante non può (a mera presa d'atto della riscontrata omissione), disporre senz'altro l'estromissione della concorrente, ma deve volta a volta accertare e stabilire: a) se l'informazione (fornita od omessa) sia effettivamente falsa o fuorviante; b) se, in tal caso, la stessa “fosse in grado di sviare le proprie valutazioni” (trattandosi, con ciò, di omissione “rilevante”); c) se il comportamento tenuto dall'operatore economico “incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità” (trattandosi, allora, di omissione “significativa”)” (Cons. St. V, n. 62/2021). È stato ribadito, altresì, che “solo alla condotta che integra una falsa dichiarazione consegue l'automatica esclusione dalla procedura di gara poiché depone in maniera inequivocabile nel senso dell'inaffidabilità e della non integrità dell'operatore economico, mentre, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l'esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull'affidabilità dello stesso” (T.A.R. Emilia-Romagna (Bologna) I, n. 208/2021). Secondo la giurisprudenza amministrativa, inoltre, la dichiarazione resa dall'impresa aggiudicataria in relazione ad un procedimento penale pendente, sostanziatosi nell'avere sottaciuto diverse informazioni reputate rilevanti, “è estraneo alla logica sottesa all'art. 80, comma 5, lett. f-bis), d.lgs. n. 50/2016, e al naturale effetto escludente ivi contemplato; tale ultima norma, invero, introdotta dall'art. 49, comma 1, lett. d), del d.lgs. 56/2017 (c.d. correttivo al codice degli appalti) munisce di espressa sanctio iuris la condotta dell'operatore che produca documentazione falsa ovvero renda dichiarazioni false, al di là ed a prescindere dalla incidenza di una tale condotta sul processo decisionale della Amministrazione relativamente alla conduzione della gara; in tal guisa sancendosi l'autonoma rilevanza della natura mendace delle dichiarazioni rese nella domanda di partecipazione ovvero dei documenti esibiti; da siffatta qualificazione di falsità discende il giudizio normativo di riprovevolezza e, quale portato di una actio amministrativa vincolata, la esclusione dell'operatore dalla gara” (T.A.R. Campania (Napoli) VI, n. 1301/2021). In altra occasione, il Consiglio di Stato, chiamato a qualificare la condotta dell'operatore economico che, in sede di gara, aveva presentato una falsa documentazione per giustificare l'anomalia della propria offerta, sotto forma di difformità tra due giustificativi trasmessi alla stazione appaltante, ha rilevato che la falsità rilevante ai sensi della lett. f-bis) del comma 5 dell'art. 80 del Codice avrebbe potuto essere soltanto la “falsità materiale”, consistente nella contraffazione del documento quanto alla sua provenienza e/o al suo contenuto, imputabile all'operatore economico partecipante alla gara, per averla compiuta od averne consapevolmente approfittato. Tuttavia, nel caso di specie non era stata fornita in giudizio prova della contraffazione del documento né della sussistenza dell'elemento soggettivo in capo all'operatore economico partecipante alla gara (Cons. St. V, n. 281/2021). Nelle more della pronuncia dell'Adunanza Plenaria (Cons. St. V, n. 16/2020), l'ANAC ha aderito all'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale solo alla condotta che integra una falsa dichiarazione consegue l'automatica esclusione dalla procedura di gara, poiché depone in maniera inequivocabile nel senso dell'inaffidabilità e della non integrità dell'operatore economico, mentre, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l'esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull'affidabilità dello stesso (Cons. St. V, n. 5171/2019). La sanzione dell'espulsione per presentazione di “dichiarazioni non veritiere”, ai sensi della cit. lett. f-bis), non trova, invece, applicazione con riferimento all'omessa dichiarazione del rinvio a giudizio del socio dell'aggiudicataria, a fronte peraltro della ritenuta irrilevanza di tale circostanza da parte della stazione appaltante e della conseguente conferma dell'aggiudicazione (Delibera n. 586/2020). Secondo l'ANAC, inoltre, la mancata dichiarazione di un'annotazione non interdittiva nel Casellario informatico dell'Autorità – disposta ai sensi dell'art. 213, comma 10, del Codice ed avente ad oggetto l'esclusione da una pregressa procedura di una gara ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. m) del Codice per sussistenza di una situazione di collegamento sostanziale tra imprese – non comporta l'esclusione automatica dell'operatore per falsa dichiarazione, ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. f-bis), ma va inquadrata nell'ambito della lett. c-bis) della medesima disposizione (Delibera n. 951/2020). In tempi più recenti, infine, l'ANAC ha sostenuto che la causa di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. f-bis) del Codice, per avere presentato dichiarazioni non veritiere in fase di gara, presuppone la sussistenza di un “obbligo dichiarativo” a carico del concorrente, nonché la rilevanza della circostanza (di cui è stata omessa la dichiarazione) ai fini della partecipazione alla gara. Pertanto, in caso di cessione di azienda o di un suo ramo intervenuta prima della pubblicazione del bando di gara, il cessionario-concorrente non è tenuto ad attestare il sopravvenuto stato di fallimento della cedente, per cui non è legittima la sua esclusione dalla gara per falsa dichiarazione (Delibera n. 480/2020). Sul rapporto di specialità reciproca tra lettere c) e f-bis) dell’articolo 80, comma 5, vedi Cons. St., V, n. 3646/2022, che dedica ampia attenzione a temi nevralgici quali la teoria del contagio, la necessaria permanenza dei requisiti e il potere discrezionale di verifica da parte della stazione appaltante. L'iscrizione nel casellario informatico ANACLe ipotesi della reticenza informativa (che può rilevare ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c-bis), del Codice) e della falsità dichiarativa o documentale (di cui alla lett. f-bis) vanno tenute separate dall'ulteriore fattispecie escludente di cui all'art. 80, comma 12 (in correlazione alle lett. f-ter) e g) del comma 5). Tale fattispecie escludente si riferisce alla eventualità – operante pro futuro ed in relazione a procedure diverse e successive a quelle in cui sia maturato l'illecito – che l'ANAC, su segnalazione delle stazioni appaltanti, abbia accertato l'imputabilità soggettiva (in termini di “dolo o colpa grave”) e la concorrente gravità obiettiva dei fatti oggetto “di falsa dichiarazione o falsa documentazione”, procedendo alla “iscrizione nel casellario informatico”, di per sé obiettivamente ed automaticamente preclusiva, sia pure ad tempus e cioè “fino a due anni”, di ulteriori partecipazioni. Per quanto riguarda l'ambito oggettivo della segnalazione all'Autorità, si è ritenuto, con riferimento alle omissioni, che l'espressione “presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione” di cui all'art. 80, comma 12, del d.lgs. n. 50/2016, ricomprenda non solo il “falso commissivo”, ma anche il falso omissivo, nel caso in cui la mancata dichiarazione, in virtù della consapevolezza dell'omissione da parte del soggetto tenuto a renderla, sia idonea ad indurre in errore la stazione appaltante circa il possesso, da parte del dichiarante, dei requisiti di ordine generale (Cons. St. VI, n. 7271/2018). Di recente, si è tuttavia sostenuto che l'art. 80, comma 12, del Codice, laddove prevede la segnalazione all'ANAC in caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, è “norma di stretta interpretazione” (cfr. Cons. St. V, n. 4427/2018) e quindi non si applicherebbe “al di fuori dei casi espressamente considerati che presuppongono il mendacio” (Cons. St. V, n. 630/2021). Venendo all'ipotesi di cui alla lett. f-ter), la norma prevede l'esclusione dell'operatore economico iscritto nel casellario informatico ANAC, per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalti. Per quanto concerne il regime temporale, va detto che il motivo di esclusione di cui alla lett. f-ter) opera fino a quando perdura l'iscrizione nel casellario. Adottando un'interpretazione strettamente ancorata al dato letterale della norma, il Consiglio di Stato ha ritenuto che “nessun obbligo dichiarativo rispetto a sanzioni interdittive ANAC la cui efficacia è cessata al momento della partecipazione alla gara è previsto: innanzitutto dalla legge, che anzi circoscrive la sua portata escludente fino a quando opera l'iscrizione nel casellario informatico (lett. f-ter), e dalle linee-guida ANAC in materia” (Cons. St. V, n. 4314/2020). Si è altresì chiarito che la misura interdittiva prevista all'art. 80, comma 12, del Codice costituisce, in sé, causa di esclusione: pertanto la sua sopravvenienza, in qualsiasi momento della procedura, comporta l'esclusione dell'operatore economico ai sensi del comma 6 dello stesso art. 80, dal momento che questi si viene a trovare “a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1, 2, 4 e 5” (tra le quali, appunto, quella del comma 5, lett. f-ter) – cfr. Cons. St. V, n. 386/2021. L'ipotesi di cui alla lett. g) del comma 5, invece, prevede una autonoma causa di esclusione nell'ipotesi in cui l'operatore economico risulti iscritto nel casellario informatico per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione ai fini del rilascio dell'attestazione di qualificazione per il periodo durante il quale perdura l'iscrizione. Si è rilevato che tale causa di esclusione è correlata all'obbligo previsto dall'art. 84, comma 4-bis, del d.lgs. n. 50/2016, per cui gli organismi di qualificazione “segnalano immediatamente all'ANAC i casi in cui gli operatori economici, ai fini della qualificazione, rendono dichiarazioni false o producono documenti non veritieri. L'ANAC, se accerta la colpa grave o il dolo dell'operatore economico, tenendo conto della gravità del fatto e della sua rilevanza nel procedimento di qualificazione, ne dispone l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto, ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. g), per un periodo massimo di due anni. Alla scadenza stabilita dall'ANAC, l'iscrizione perde efficacia ed è immediatamente cancellata” (Greco, Pignatiello, Pietrosanti, Nunziata, Di Iorio, Giuffrè, 885). Deve rammentarsi che le annotazioni disposte ai sensi dell'art. 80, comma 12 (sia in correlazione alla lett. f-ter) che alla lett. g del comma 5) differiscono da quelle che l'Autorità dispone ai sensi dell'art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016 (annotazione di “notizie utili”, seguendo il procedimento previsto dal Regolamento per la gestione del Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture – v. supra), in quanto tali ultime annotazioni, a differenza delle prime, non hanno natura sanzionatoria, costituendo solo uno strumento di pubblicità che viene messo a disposizione delle stazioni appaltanti. Da ultimo Cons. St., V, 25 gennaio 2022, n. 491, nell’ambito di un ordito motivazionale che ribadisce la la differenza tra dichiarazioni omesse e false, e nell’ambito dell’art. 80, comma 5, lett. c-bis), ovvero lett. f-bis), d.lgs. n. 50 del 2016 (Plen 16/2020), si afferma sulla natura giuridica dell’annotazione nel casellario, osservando che sia impossibile escluderne una natura sanzionatoria, a prescindere (come già ritenuto anche da Cass., S.U., 4 dicembre 2020, n. 27770) dalla ravvisabilità degli indici elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per l’affermazione di un quid pluris e cioè della natura sostanzialmente penale (cui devono correlarsi determinate garanzie) della sanzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare di quelli della qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, della intrinseca natura dell’illecito e del grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (c.d. “Engel criteria”, affermati per la prima volta dalla Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi, e poi ribaditi dalla sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia), tematica cui è applicabile la recente giurisprudenza costituzionale evocata dall’appellante, concernente in definitiva l’estensione dello “statuto costituzionale” delle sanzioni penali a quelle amministrative a carattere punitivo (tra cui i principi di irretroattività della norma sfavorevole, e di retroattività della lex mitior : cfr. Corte cost. 16 aprile 2021, n. 68). Occorre considerare che, seppure l’annotazione sia generalmente ricondotta nell’ambito della funzione di vigilanza e controllo dell’Anac (argomentando anche dall’ art. 213, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016), con riguardo alla falsa dichiarazione o falsa documentazione non costituisce un mero atto dovuto da parte dell’Anac a seguito della segnalazione, imponendo altresì un giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione (in termini di dolo o colpa grave), e producendo delle conseguenze inequivocabilmente afflittive, in particolare l’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalti per un dato arco temporale, così da assumere -lo si ripete- natura sanzionatoria (in termini Cons. Stato, V, 8480/2019). Il procedimento di iscrizione nel casellario informatico ANAC L'iscrizione nel casellario informatico non può mai essere automatica, ma deve giungere all'esito di un'indagine sulla sussistenza, nel caso specifico, dell'elemento soggettivo del “dolo o della colpa grave” del dichiarante e del profilo oggettivo inerente la “rilevanza e la gravità dei fatti” oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione (Pignatiello, 7). Il procedimento, ispirato al rispetto dei principi del contraddittorio, di tempestiva comunicazione dell'apertura dell'istruttoria e di contestazione degli addebiti, è disciplinato dal Regolamento sull'esercizio del potere sanzionatorio dell'Autorità di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, approvato dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 920, nell'adunanza del 16 ottobre 2019. Il nuovo Regolamento sull'esercizio del potere sanzionatorio dell'ANAC semplifica il procedimento e lo adegua alle previsioni normative del d.lgs. n. 50/2016; regola altresì i procedimenti sanzionatori in materia di qualificazione delle imprese nelle more della ultrattività delle previsioni del d.P.R. n. 207/2010 (news dal sito istituzionale dell'Autorità del 14 novembre 2019). In base a quanto previsto dall'art. 10 del citato Regolamento, il procedimento sanzionatorio è avviato a seguito di segnalazione di parte; in particolare, le segnalazioni sono formulate compilando in tutte le loro parti gli appositi moduli pubblicati sul sito istituzionale dell'Autorità, entro 30 giorni dal verificarsi dell'evento o dalla conoscenza del fatto oggetto di segnalazione. La giurisprudenza ha chiarito che la segnalazione della stazione appaltante si configura come mero atto prodromico ed endoprocedimentale, non dotato di autonoma lesività, e, come tale, non immediatamente impugnabile (cfr. Cons. St. VI, n. 3428/2012). La successiva iscrizione nel casellario è subordinata all'accertamento, nel caso specifico, della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave del dichiarante e del profilo oggettivo inerente la rilevanza e la gravità dei fatti oggetto di segnalazione e di falsa attestazione. Il dirigente dell'Ufficio competente dell'ANAC, entro il termine di 90 giorni dalla ricezione della segnalazione può decidere di archiviarla o di procedere alla contestazione dell'addebito, dandone comunicazione all'impresa e alla stazione appaltante (art. 11 del Regolamento, relativo alla “Fase presistruttoria”). La stazione appaltante e le imprese interessate possono partecipare al procedimento inviando le proprie memorie e richiedendo di essere auditi innanzi all'Ufficio istruttore (art. 13 del Regolamento relativo alla “Contestazione dell'addebito”). Con riferimento al termine per la conclusione del procedimento, la giurisprudenza ha chiarito che il termine di 180 giorni fissato dal Regolamento (ora previsto dall'art. 13), entro il quale il provvedimento deve essere comunicato all'interessato, riveste natura perentoria (Cons. St. V, n. 2874/2019; v. anche Cons. St. VI, n. 2289/2019). La ratio della fissazione di termini perentori non va rinvenuta (soltanto) nell'esigenza di garanzia dell'efficienza dell'azione amministrativa, bensì in quella di evitare che i tempi dilatati del procedimento sanzionatorio siano penalizzanti per gli interessi degli operatori economici coinvolti. Secondo TA.R. Napoli, IV, n. 132/2024 l’art.96, comma 15, del nuovo codice dei contratti pubblici), è norma di stretta interpretazione poiché connotata dall’evidente natura afflittiva e compressiva dei diritti del destinatario, quali quello di partecipazione a pubbliche gare, espressivo della libertà di iniziativa economica privata sancito dall’art. 41, comma 1, della Costituzione, e appare funzionale solo a un’applicazione pro futuro. Si deve, quindi, escludere, quindi, che tale inibizione stabilita per le gare e per i subappalti futuri, possegga idoneità a riverberarsi anche sui contratti di appalto o di subappalto già sottoscritti dalla stazione appaltante, per di più quasi cinque anni addietro, come nel caso di specie – equivale a: 1) confliggere con il divieto generale di applicazione estensiva o analogica di norme di stretta interpretazione; 2) conferire alla norma stessa, efficacia retroattiva e attitudine a produrre effetti, inammissibilmente, anche su di una vicenda procedimentale ormai conclusa da oltre cinque anni, quale la procedura di gara sfociata nell’aggiudicazione presupposta alla stipulazione del contratto d’appalto risolto con l’impugnato provvedimento. ( In punto di fatto la Prefettura aveva risolto un precedente contratto atteso che il divieto di partecipazione dalle procedure di gara, sia pur per soli 90 giorni, pronunciato ai danni della Cooperativa dall’ANAC , quantunque emesso in occasione della nuova procedura di gara indetta dalla Prefettura, importerebbe la risoluzione del precedente contratto in virtù del principio di necessaria permanenza dei requisiti di partecipazione alle pubbliche gare per tutta la durata dell’esecuzione del contratto.) Le sanzioni interdittive che comportano il divieto di contrarre con la P.A.Con una formulazione identica a quella del previgente art. 38, comma 1, lett. m) del d.lgs. n. 163/2006, l'art. 80, comma 5, lett. f) del nuovo Codice prevede l'esclusione per l'operatore che sia stato soggetto a sanzioni interdittive che comportano il divieto di contrattare con la P.A. Si tratta di una norma di chiusura del sistema delle cause di esclusione, essendo volta a ricomprendere sia le inibizioni ivi espressamente richiamate, sia altre forme di interdizione previste dalla normativa vigente (Napoli, 528). Le ipotesi contemplate dalla disposizione sono suddivisibili in tre categorie. La prima è relativa alle sanzioni interdittive previste dall'art. 9, comma 2, lett. c) del d.lgs. n. 231/2001 (recante la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società). Essa consiste nel divieto di contrattare con la P.A., salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio e ha una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a tre anni. La sua irrogazione è prevista per i reati commessi nell'interesse o a vantaggio dell'ente (c.d. reati presupposto) da soggetti posti in posizione apicale nell'ambito della struttura organizzativa dell'ente (cioè da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione ovvero di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo della società, ovvero ancora da persone sottoposte alla direzione di uno di tali soggetti). Tra i c.d. ‘reati presupposto' della responsabilità amministrativa degli enti rientrano alcune fattispecie contemplate nell'art. 80, comma 1, del Codice (truffa ai danni dello Stato, riciclaggio, delitti di criminalità organizzata o con finalità di terrorismo o di eversione), nonché ulteriori fattispecie di reato sintomatiche dell'inaffidabilità del concorrente (ad esempio, omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, reati ambientali). Sotto un profilo istruttorio, l'eventuale presenza della sanzione interdittiva in esame risulterà alle stazioni appaltanti dalla consultazione del “certificato dell'anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato” di cui all'art. 31 del d.P.R. n. 313/2002. La seconda categoria di sanzioni interdittive espressamente menzionata nella lett. f) del comma 5 dell'art. 80, è quella contemplata dall'art. 14 del d.lgs. n. 81/2008 (Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro). Si tratta di provvedimenti inibitori la cui irrogazione prevede un procedimento estremamente articolato nell'ambito del quale gli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro, in base alle rispettive competenze, possono adottare provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale di un'impresa quando i) riscontrano l'impiego di personale che, dalla documentazione obbligatoria, non risulti in forza all'impresa in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, nonché ii) in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (elencate nell'All. I al d.lgs. n. 81/2008). Il provvedimento di sospensione deve essere comunicato anche all'ANAC, oltre che al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, e la durata dell'interdizione è modulata in ragione della percentuale di lavoratori irregolari presenti sul luogo di lavoro e del tipo di condotta posta in essere o della reiterazione dell'illecito. Infine, il legislatore, come norma di chiusura, ha previsto un rinvio generico ad “altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione”. In questa categoria aperta vi rientrano i reati per cui l'art. 32-quater c.p. prevede, come pena accessoria, il divieto di contrattare con la P.A., tra cui quelli previsti dall'art. 44 del d.lgs. n. 286/1998 (Testo unico in materia di immigrazione), dall'art. 41 del d.lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) e dall'art. 36 della l. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori). Tale causa di esclusione ha natura automatica e comporta che, in presenza di una sanzione interdittiva, la stazione appaltante sia vincolata ad escludere l'operatore dalla procedura, per il periodo di efficacia della sanzione senza compiere una autonoma valutazione (Cons. St. V, n. 386/2021; Cons. St. IV, n. 143/2016). Il divieto di intestazione fiduciariaL'art. 80, comma 5, lett. h) del Codice prevede l'esclusione dalle procedure di gara per gli operatori economici che abbiano violato il divieto di intestazione fiduciaria di cui all'art. 17 della l. n. 55/1990 (il quale, nell'unico comma rimasto vigente, prevede che: “con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del tesoro, d'intesa con il Ministro dei lavori pubblici, sono altresì, definite disposizioni per il controllo sulle composizioni azionarie dei soggetti aggiudicatari di opere pubbliche, ivi compresi i concessionari, e sui relativi mutamenti societari. Con lo stesso decreto sono comunque vietate intestazioni ad interposte persone, di cui deve essere comunque prevista la cessazione entro un termine predeterminato, salvo le intestazioni a società fiduciarie autorizzate ai sensi della l. 23 novembre 1939, n. 1966, a condizione che queste ultime provvedano, entro trenta giorni dalla richiesta effettuata dai soggetti aggiudicatari, a comunicare alle amministrazioni interessate l'identità dei fiducianti; in presenza di violazioni delle disposizioni del presente comma, si procede alla sospensione dall'Albo nazionale dei costruttori o, nei casi di recidiva, alla cancellazione dall'Albo stesso”). La previsione riproduce l'art. 38, comma 1, lett. m) del d.lgs. n. 163/2016, introducendo, tuttavia, un elemento di novità laddove precisa che l'esclusione ha durata di un anno decorrente dall'accertamento definitivo della violazione e che va comunque disposta se la violazione non è stata rimossa. La ratio di tale causa di esclusione è quella di consentire alla stazione appaltante di avere sempre contezza sulla reale identità dei propri interlocutori contrattuali, per prevenire il rischio di infiltrazioni occulte da parte di organizzazioni mafiose nell'esecuzione dei contratti pubblici; di conseguenza, tranne il caso in cui l'intestazione fiduciaria concerna società appositamente autorizzate ai sensi della l. n. 1966/1939 (le quali, a loro volta, abbiano comunicato all'Amministrazione le identità dei fiducianti) l'acclarata intestazione fiduciaria comporta l'esclusione dalle gare. L'ANAC ha evidenziato che “la disciplina in tema di intestazione fiduciaria dei soggetti appaltatori si ricollega all'esigenza di evitare che la stazione appaltante perda il controllo del vero imprenditore che ha partecipato alla gara; sicché, tranne il caso in cui l'intestazione fiduciaria concerna società appositamente autorizzate ai sensi della l. 23 novembre 1939, n. 1966, le quali, a loro volta, abbiano comunicato alla amministrazione l'identità dei fiducianti, l'acclarata intestazione fiduciaria comporta l'esclusione dalla partecipazione alle gare e la preclusione alla stipulazione dei contratti” (A.V.L.P., Determinazione del 5 dicembre 2011, n. 16/23; nonché Determinazione del 15 luglio 2003, n. 13; di recente Delibera n. 518/2020). La violazione del divieto è configurabile quando “nella compagine sociale di chi si renda aggiudicatario di commesse pubbliche figurino azionisti o titolari di quote (nella s.r.l.) o di diritti di voto, che rivestano tale qualità in virtù del trasferimento fiduciario di tali beni o diritti” (Cons. St. V, n. 8946/2010). La giurisprudenza ha chiarito, sia pure con riferimento al precedente Codice (i cui principi sono tuttora validi), che l'esclusione dalle procedure di gara può verificarsi in due ipotesi. Infatti, “l'art. 17, comma 3, l. n. 55/1990, (...), prevede dunque due differenti situazioni: – un divieto assoluto di intestazione fiduciaria per le società non autorizzate, che comporta l'immediata esclusione dalla gara; – un mero obbligo comunicativo per le società autorizzate, susseguente all'aggiudicazione e dunque da assolversi a seguito di essa e prima della stipula del contratto, nel rispetto del termine di legge. L'art. 38, comma 1 lett. d), d.lgs. n. 163/2006, (...), ne recepisce entrambe le previsioni, in tal modo configurando non solo l'interposizione fiduciaria di società non autorizzata, ma anche il mancato assolvimento all'obbligo informativo in caso di società autorizzata, come causa di esclusione dalla gara, sancendo i conseguenti divieti di aggiudicazione e di stipula del contratto (la novella apportata al comma 1, lett. d), dell'art. 38 dal d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106, si limita a circoscrivere temporalmente la durata e la decorrenza della causa di esclusione – a un anno a partire dall'accertamento definitivo della violazione –, senza modificare gli elementi costitutivi della fattispecie escludente). Le due ipotesi si diversificano esclusivamente per la diversa modulazione temporale – preventiva nella prima, e rispettivamente successiva all'aggiudicazione nella seconda – della verifica dei requisiti generali di partecipazione, ma concettualmente rientrano entrambe nel novero delle cause di esclusione per carenza dei requisiti di partecipazione, e dunque ineriscono alla fase di evidenza pubblica e non già a quella dell'esecuzione del contratto” (Cons. St. VI, n. 5279/2012; cfr. T.A.R. Emilia Romagna (Bologna), n. 1012/2012; T.A.R. Lazio (Roma) II, n. 14149/2015). Il rispetto della normativa sul diritto al lavoro dei disabiliL'art. 80, comma 5, lett. i) – riproducendo pedissequamente l'art. 38, comma 1, lett. l) del previgente Codice – prevede l'esclusione dalle gare per gli operatori che non abbiano presentato la certificazione di cui all'art. 17 della l. n. 68/1999 (secondo cui “Le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, pena l'esclusione”) ovvero che non abbiano autocertificato la sussistenza del medesimo requisito. Si tratta di una causa di esclusione non imposta dal legislatore euro-unitario, ma propria del nostro ordinamento, rispondente ad una finalità di ordine sociale, cioè quella di tutelare il diritto al lavoro dei disabili nelle imprese di maggiori dimensioni. L'obiettivo della piena socializzazione dei disabili – perseguito dalla l. n. 68/1999 sul versante dell'inserimento e dell'integrazione lavorativa – viene in rilievo come un valore in sé, direttamente riconducibile a più di un parametro costituzionale (segnatamente, agli artt. 2, 3, 4, 32, 35 e 38 Cost.) ed assume, pertanto, una pregnanza normativa, che travalica i più ristretti confini dell'interesse alla regolarità ed alla convenienza economica delle contrattazioni della pubblica amministrazione, sicché la sua inosservanza non può ritenersi sanabile alla stregua di una mera irregolarità formale (Cons. St. V, n. 7555/2004). La legge, al fine di tutelare il diritto al lavoro dei disabili, impone alle imprese con almeno 15 dipendenti di assumere una determinata percentuale di lavoratori disabili (il 7% dei lavoratori, se l'impresa occupa più di 50 dipendenti; 2 lavoratori, se i dipendenti sono compresi tra 36 e 50; 1 lavoratore se l'impresa occupa da 15 a 35 dipendenti). Peraltro, anche gli operatori economici di minori dimensioni, benché esonerati dal rispetto della l. n. 68/1999, sono comunque tenuti a presentare in sede di gara una dichiarazione espressa di non applicabilità della disposizione. Trattandosi di un requisito di partecipazione, deve essere posseduto dai concorrenti senza soluzione di continuità, non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all'aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell'esecuzione dello stesso; di conseguenza, è onere del concorrente dimostrare di essere in regola con gli obblighi di assunzione dei disabili, anche nel caso di fruizione della sospensione ex art. 3, comma 5, l. n. 68/1999 dell'obbligo di assunzione delle persone disabili (Cons. St. V, n. 7471/2020). Quanto al contenuto dell'onere dichiarativo, si ritiene sufficiente la presentazione di una dichiarazione attestante di essere in regola con la normativa sui disabili, anche se è omesso un espresso richiamo alla l. n. 68/1999. Con riguardo, invece, ai soggetti onerati di tale dichiarazione, la giurisprudenza ha chiarito che anche le imprese con un numero di dipendenti inferiore a 15 (esonerate dall'obbligo di assunzione) sono comunque tenute a rendere una dichiarazione ad hoc con la quale attestano di non essere soggetti alla normativa in questione (T.A.R. Liguria II, n. 1124/2012; Cons. St. V, n. 6240/2011; T.A.R. Campania (Salerno) I, n. 790/2011; T.A.R. Sicilia (Catania) IV, n. 1013/2011; Cons. St., Sez. V, 28 gennaio 2021, n. 860). Circa l'applicabilità alla fattispecie dell'istituto del soccorso istruttorio, la giurisprudenza ha fornito una risposta positiva, ritenendo che non si tratti di un elemento essenziale dell'offerta (T.A.R. Lombardia (Milano) I, n. 2054/2018; T.A.R. Lazio (Roma), I-bis, n. 8449/2017; Cons. St. III, n. 2376/2014). Nello stesso senso si è espressa l'ANAC (Delibera n. 441/2018). L'omessa denuncia da parte di soggetti che siano stati vittima di concussione e/o di estorsioneL'art. 80, comma 5, lett. l) del Codice riproduce quasi integralmente la causa di esclusione precedentemente prevista dall'art. 38, comma 5, lett. m-ter) del d.lgs. n. 163/2006, riferita agli operatori economici che, pur essendo vittime dei reati di concussione o estorsione rispettivamente previsti e puniti dagli artt. 317 e 629 c.p. (aggravati dall'utilizzo del metodo mafioso, ai sensi dell'art. 7 del d.l. n. 152/1991, convertito nella l. n. 203/1991), non risultano avere denunciato i fatti all'autorità giudiziaria. L'unica differenza sostanziale rispetto alla previgente disciplina consiste nel fatto che, in precedenza, l'omessa denuncia assumeva rilevanza solo se ascrivibile ai soggetti che rivestivano una posizione apicale (di cui all'art. 38, comma 1, lett. b: il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; i soci o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico o il socio unico persona fisica, ovvero il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società); invece, la nuova norma non chiarisce espressamente quali qualifiche soggettive sono considerate rilevanti (Greco, Pignatiello, Pietrosanti, Nunziata, Di Iorio, Giuffrè, 891). La causa di esclusione non opera quando ricorrono le scriminanti di cui all'art. 4, comma 1, della l. n. 689/1981, consistenti nell'avere commesso il fatto nell'adempimento di un dovere e nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa. La circostanza dell'omessa denuncia deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell'imputato nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all'ANAC, la quale cura la pubblicazione della comunicazione sul sito dell'Osservatorio. Secondo la dottrina, tale disposizione mira a disincentivare la condotta omertosa delle vittime dei reati di concussione ed estorsione aggravati, finendo per punire la c.d. “mancanza di coraggio”, ritenuta sintomatica della sostanziale inaffidabilità dell'impresa (Napoli, 1413). È stato osservato che tale previsione desta perplessità sia perché colpisce soggetti vittime di reati, sia perché prevede l'esclusione sulla base di elementi indiziari (desumibili dalla richiesta di rinvio a giudizio), senza richiedere un accertamento definitivo (Greco, Pignatiello, Pietrosanti, Nunziata, Di Iorio, Giuffrè, 892). Come precisato dall'ANAC, nella Determinazione n. 1/2010 (da ritenersi tuttora valida a fini interpretativi), è lo stesso P.M. titolare dell'indagine da cui scaturisce la richiesta di rinvio a giudizio che, una volta verificata con esito negativo la sussistenza di una scriminante, provvede a trasmettere all'ANAC l'informativa relativa all'omessa denuncia. L'Autorità, a propria volta, dovrà pubblicare sul casellario informatico la comunicazione della mancata denuncia unitamente al nominativo del soggetto che ha omesso di denunciare. Di tale pubblicazione sarà data informazione al soggetto stesso al fine di evitare che l'operatore economico incorra nella falsa dichiarazione in merito al requisito. Il Consiglio di Stato ha chiarito che è la Procura della Repubblica “più idonea a valutare la consistenza dei fatti contestati, a qualificarli sotto il profilo giuridico e a verificare l'esclusione di una causa di giustificazione”, onde il fatto che l'omessa denuncia sia stata determinata da una causa di giustificazione “non deve essere oggetto di accertamento da parte dell'Autorità, essendo sufficiente, ai fini dell'iscrizione, che la Procura della Repubblica dichiari l'assenza di una delle predette cause di giustificazione” (Cons. St. VI, n. 591/2014; Id. n. 6379/2012). Il potere dell'Autorità è solo quello di provvedere alla pubblicazione della comunicazione, senza previsione alcuna di un potere di rinnovare la valutazione già svolta dal Procuratore della Repubblica; tuttavia, l'inconfigurabilità di un potere di valutazione “sostanziale” della causa ostativa in capo all'Autorità non esclude che essa debba svolgere un controllo di tipo “formale” sugli adempimenti posti in essere dall'organo inquirente ed, in particolare, se risulti, dalla valutazione da questi compiuta, una esplicita affermazione della mancanza di esimenti (Cons. St. VI, n. 6232/2018). Da ciò discende che “la partecipazione procedimentale del privato non è necessaria (con conseguente inesistenza di un obbligo di dare avviso di avvio del procedimento) laddove la comunicazione della Procura abbia dato conto anche della inesistenza di esimenti. Al contrario, laddove tale accertamento non risulti esternato nella comunicazione inviata dall'Autorità ai fini dell'iscrizione, quest'ultima, nell'osservanza della non obliterabile esigenza di tutela della posizione giuridico-soggettiva del privato, deve consentire la partecipazione procedimentale; tanto non al fine di effettuare essa direttamente la verifica sostanziale del presupposto, propria dell'autorità giudiziaria, ma piuttosto per consentire la completezza e l'adeguatezza dell'istruttoria, anche attraverso la richiesta di chiarimenti ed integrazioni all'organo giurisdizionale” (Cons. St. VI, n. 6232/2018). L'annotazione ad opera dell'AVCP (oggi ANAC) nel casellario informatico delle imprese delle circostanze segnalate dalla Procura della Repubblica ha (nella fattispecie normativa all'esame, come nelle altre ipotesi di annotazioni con effetti restrittivi e interdittivi per le imprese), non già mera valenza di pubblicazione di una determinazione aliunde adottata, ma carattere provvedimentale e lesivo, in quanto da essa deriva il temporaneo effetto inibitorio di cui alla ripetuta lett. m-ter) (oggi lett. l) del comma 5, dell'art. 80). Così intesa, d'altra parte, l'annotazione stessa (conseguentemente procedimentalizzata) si presterebbe anche a recuperare spazi di contraddittorio, ex l. n. 241/1990, eventualmente omessi o carenti nella fase a monte (T.A.R. Lazio (Roma) III, n. 2685/2012). È stato, inoltre, precisato che l'efficacia escludente è limitata ad un anno e decorre dalla richiesta di rinvio a giudizio (ANAC, Determinazione n. 1/2010 e n. 1/2012); non rilevano quindi né il momento in cui è stata posta in essere la condotta omissiva, né la data della comunicazione effettuata dal Procuratore della Repubblica all'ANAC, né la data di pubblicazione della comunicazione sul sito dell'Osservatorio. Situazioni di controllo e collegamento tra imprese concorrentiAi sensi dell'art. 80, comma 5, lett. m) del d.lgs. n. 50/2016 le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura di gara «l'operatore economico [che] si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'art. 2359 del c.c. o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale». La disposizione richiama espressamente le situazioni di controllo previste all'art. 2359 c.c., mentre non fornisce indicazioni con riguardo alle situazioni di collegamento che, tuttavia, appaiono ricomprese nella previsione, tenuto conto di quanto stabilito dallo stesso art. 2359 c.c., a tenore del quale «Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole». L'art. 80, comma 5, lett. m) del d.lgs. n. 50/2016 costituisce attuazione dei principi discendenti dalle previsioni dell'art. 57, par. 4, lett. d) della direttiva 24/2014/UE, ai sensi del quale l'amministrazione aggiudicatrice può procedere all'esclusione del concorrente dalla gara «se dispone di indicazioni sufficientemente plausibili per concludere che l'operatore economico ha sottoscritto accordi con altri operatori economici intesi a falsare la concorrenza». Invero, tale disposizione della direttiva appalti, come si evince dal testo della medesima, non prevede espressamente, quale causa di esclusione dalle procedure di aggiudicazione, la situazione di controllo e collegamento tra imprese concorrenti ma stabilisce che, nel caso in cui possa ravvisarsi l'esigenza di dover escludere un concorrente per potenziali lesioni della libera concorrenza, lo stesso possa offrire la prova contraria in contraddittorio con la stazione appaltante (art. 57 par. 4 e 6 direttiva appalti). Come recentemente osservato nella “Comunicazione sugli strumenti per combattere la collusione negli appalti pubblici e sugli orientamenti riguardanti le modalità di applicazione del relativo motivo di esclusione (2021/C 91/01)” della Commissione Europea (del 18 marzo 2021), l'art. 57, par. 4, lett. d) della direttiva, attribuisce all'amministrazione aggiudicatrice un ampio margine di discrezionalità nel decidere se escludere o meno un concorrente dalla procedura di gara, qualora sussistano delle indicazioni sufficientemente plausibili di accordi con altro concorrente. La norma, tuttavia, non chiarisce espressamente in quali casi e condizioni, possa ritenersi integrata la causa di esclusione, lasciando quindi alla stessa amministrazione la valutazione, caso per caso, della singola fattispecie escludente. Tale discrezionalità, a norma dell'art. 57, par. 6, della direttiva, deve essere esercitata consentendo all'offerente di dimostrare la propria affidabilità e di aver adottato misure correttive sufficienti a porre rimedio alle conseguenze negative dei propri illeciti. Inoltre, la discrezionalità dell'amministrazione aggiudicatrice nell'escludere un operatore economico dalla procedura di aggiudicazione, richiede che la decisione sia accuratamente documentata e adeguatamente motivata. In coerenza con tali principi, l'art. 80, comma 5, lett. m) del d.lgs. n. 50/2016 stabilisce che le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura di gara l'operatore economico che si trovi, rispetto a un altro concorrente, in situazioni di controllo ai sensi dell'art. 2359 c.c. o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, che possano comportare una concertazione delle offerte, in quanto imputabili ad un unico centro decisionale, determinando così una possibile lesione della concorrenza. La disposizione in esame «è volta a evitare che talune relazioni tra imprese partecipanti allo stesso appalto possano condizionare i rispettivi comportamenti e precludere il rapporto concorrenziale che costituisce la stessa ragion d'essere delle procedure di gara. In altri termini, va assicurata l'effettiva ed efficace tutela della regolarità della gara e, in particolare, la par condicio fra tutti i concorrenti, nonché la serietà, compiutezza, completezza ed indipendenza delle offerte, evitando che, attraverso meccanismi di influenza societari, pur non integranti collegamenti o controlli di cui all'art. 2359 cod. civ., possa essere alterata la competizione, mettendo in pericolo l'interesse pubblico alla scelta del giusto contraente» (T.A.R. Basilicata, n. 614/2017). Il riferimento all'unicità del “centro decisionale” contenuto nella norma, rende evidente che la ratio della stessa è quella di evitare il previo accordo tra gli offerenti (appartenenti al medesimo gruppo o centro di interessi economici), che comprometterebbe la segretezza reciproca delle offerte e la serietà del confronto concorrenziale. Il riferimento, poi, alla “medesima procedura di affidamento” conferma che la finalità pro-concorrenziale è, per così dire, “interna” alla singola gara, cioè ad ogni gara che sia finalizzata all'aggiudicazione di un determinato affidamento e quindi di un determinato contratto di appalto (Cons. St., V, n. 2350/2021). La previsione dell'art. 80, comma 5, lett. m) del d.lgs. n. 50/2016 non contempla l'esclusione automatica dei concorrenti in caso di controllo o collegamento, ma la stazione appaltante è tenuta a verificare se in concreto sussista un condizionamento di un operatore economico su un altro nella formulazione delle offerte in gara. Come sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa, «nel sistema normativo anteriore alle modifiche di cui al d.l. 25 settembre 2009, n. 135, conv., con modif., dalla l. 20 novembre 2009, n. 166, la sussistenza di situazioni di controllo rappresentava in modo pressoché automatico ragione di esclusione dalla gara, a prescindere dalla prova in concreto circa il reciproco condizionamento delle offerte (cfr. l'abrogato comma 2 dell'art. 34, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 [...]”). Tale assetto è però mutato per effetto della sentenza della Corte di Giustizia CE, sez. IV, 19 maggio 2009, in C-538/07 dalla quale è scaturita la riformulazione degli artt. 34 e 38, comma 2, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nonché l'inserimento, nell'ambito del comma 1 del citato art. 38, di una nuova lett. m-quater che prevedeva l'esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento dei soggetti “che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'art. 2359 del c.c. o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”). Il complessivo disegno normativo che ne è derivato ha comportato il superamento del pregresso sostanziale automatismo (Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2015, n. 462)» (T.A.R. Sicilia (Catania), n. 950/2020). – La Corte di Giustizia CE nella sentenza citata (decisione del 19 maggio 2009, in C-538/07), infatti, ha affermato (tra l'altro) il principio per cui il controllo societario può integrare una presunzione di unicità del centro decisionale, suscettibile di prova contraria; l'accertamento in questione è basato su una valutazione della stazione appaltante, svolta su una pluralità di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. – In coerenza con tali indicazioni, l'art. 80, comma 5, lett. m) del d.lgs. n. 50/2016, richiede una valutazione in concreto, da parte della stazione appaltante, dell'effettiva imputabilità delle offerte ad un unico centro decisionale, dando al concorrente la possibilità di dimostrare che tale situazione non ha influito sulla corretta formulazione delle offerte. Come chiarito dall'ANAC, infatti, la sussistenza di un rapporto di controllo ai sensi dell'art. 2359 c.c. o di una qualunque forma di collegamento «è condizione necessaria, ma non anche sufficiente perché si possa inferire il reciproco condizionamento fra le offerte formulate», essendo essenziale che sia fornita adeguata prova circa il fatto che «la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili a un unico centro decisionale» (Delibera n. 734/2020). La causa di esclusione prevista dal citato art. 80, comma 5, lett. m) del Codice, presuppone, dunque, l'accertamento dell'esistenza di un collegamento sostanziale tra le imprese partecipanti suscettibile di arrecare un pregiudizio al corretto svolgimento della procedura di gara. Ai fini di tale accertamento, la stazione appaltante può attivare un apposito subprocedimento di verifica in contraddittorio con le concorrenti interessate (Delibera n. 1080/2017). Al riguardo, la giurisprudenza esclude che sussista un incondizionato obbligo della stazione appaltante di attivare il predetto sub-procedimento di verifica circa la riferibilità delle offerte ad un unico centro decisionale. Tale eventualità potrebbe porsi solo laddove l'Amministrazione non sia in grado di individuare degli elementi obiettivi tali da fondare, anche solo in via indiziaria ma pur sempre con connotato di univocità, la probabile sussistenza di un medesimo centro decisionale, pur a fronte di una (formale) pluralità di offerte (Cons. St., V, n. 1753/2018). Ciò in quanto il motivo escludente previsto dall'art. 80, comma 5, lett. m), del Codice deve essere applicato con rigore ed equilibrio, così da scongiurare il rischio di incidere ingiustificatamente – oltre che sulla libertà d'impresa delle concorrenti – sul canone di massima partecipazione alle gare pubbliche (T.A.R. Sicilia (Catania), n. 950/2020). – L'onere della prova del collegamento tra imprese ricade pertanto sulla stazione appaltante o, comunque, sulla parte che ne affermi l'esistenza, al fine dell'esclusione dalla gara; dimostrazione che deve necessariamente fondarsi su elementi di fatto univoci – non suscettibili cioè di letture alternative o dubbie – desumibili sia dalla struttura imprenditoriale dei soggetti coinvolti, sia dal contenuto delle offerte dalle stesse presentate (in tal senso T.A.R. Lazio (Roma), I, n. 1467/2020). La stazione appaltante ha dunque il compito di individuare gli indici dell'esistenza di un unico centro decisionale e non anche la concreta idoneità ad alterare il libero gioco concorrenziale, in quanto la riconducibilità di due o più offerte ad un unico centro decisionale costituisce ex se elemento idoneo a violare i generali principi in tema di par condicio, segretezza e trasparenza delle offerte (ex multis, Cons. St., V, n. 496/2017, Id. n. 1753/2018). La fattispecie del collegamento sostanziale fra concorrenti è infatti qualificabile «come “di ‘pericolo presunto' (con una terminologia di derivazione penalistica), in coerenza con la sua ‘funzione di garanzia di ordine preventivo rispetto al superiore interesse alla genuinità della competizione che si attua mediante le procedure ad evidenza pubblica (...)» (Cons. St., V, n. 2426/2020). Gli indici che possono essere valutati dalla stazione appaltante ai fini della configurabilità della causa di esclusione in esame sono stati individuati dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis, T.A.R. Sicilia (Catania), n. 950/2020, Cons. St., V, n. 1753/2018, V, n. 58/2018; n. 3914/2017; V, n. 169/2017). A tal riguardo è stato osservato, in primo luogo, che secondo un'indagine ispirata a un approccio gradualista e progressivo, «l'accertamento della causa di esclusione in esame passa attraverso un preciso sviluppo istruttorio: a) la verifica della sussistenza di situazione di controllo sostanziale ai sensi dell'art. 2359 c.c.; b) esclusa tale forma di controllo, la verifica dell'esistenza di una relazione tra le imprese, anche di fatto, che possa in astratto aprire la strada ad un reciproco condizionamento nella formulazione delle offerte; c) ove tale relazione sia accertata, la verifica dell'esistenza di un ‘unico centro decisionale' da effettuare ab externo e cioè sulla base di elementi strutturali o funzionali ricavati dagli assetti societari e personali delle società, ovvero, ove per tale via non si pervenga a conclusione positiva, mediante un attento esame del contenuto delle offerte dal quale si possa evincere l'esistenza dell'unicità soggettiva sostanziale”» (Cons. St., V, n. 2426/2020 cit). In secondo luogo, tra gli indici utili per sostenere l'esistenza di un centro decisionale unitario tra le imprese concorrenti (a titolo esemplificativo), il giudice amministrativo ha individuato: i) l'intreccio parentale tra organi rappresentativi o tra soci o direttori tecnici delle imprese concorrenti; la contiguità di sede, le utenze in comune (indici soggettivi), le significative vicinanze cronologiche tra gli attestati SOA o tra le polizze assicurative a garanzia delle offerte (indici oggettivi) (ex multis T.A.R. Sicilia, n. 950/2020); ii) il contestuale versamento del contributo di partecipazione alla gara, documentato dalle rispettive ricevute di versamento e dal contestuale invio delle offerte alla stazione appaltante, comprovato dai timbri di ricezione di quest'ultima e dai numeri immediatamente progressivi ivi apposti da quest'ultima; l'effettuazione del sopralluogo nello stesso giorno da parte dei legali rappresentanti delle imprese (ex multis Cons. St., V, n. 5324/2016); iii) nella predisposizione di buste contenenti offerte identiche; documenti redatti in modo identico; utilizzo degli stessi caratteri formali per la formulazione delle offerte; scarto minimo di prezzo offerto; utilizzo di certificazioni di qualità rilasciate dalla medesima società e ottenute il medesimo giorno; fideiussioni rilasciate dalla medesima banca e autenticate con numero progressivo dello stesso notaio; consegna contemporanea delle offerte ovvero spedizione con lo stesso corriere o dal medesimo ufficio postale (ex multis Cons. St., V, n. 169/2017). La ricorrenza di questi indici, non uno solo di essi, bensì un numero sufficiente legato da nesso oggettivo di gravità precisione e concordanza tale da giustificare la correttezza dello strumento presuntivo, è ritenuta utile a giustificare l'esclusione dalla gara dei concorrenti che si trovino in tale situazione (T.A.R. Sicilia, n. 950/2020 cit.). L'indagine della stazione appaltante, pertanto, deve essere condotta sulla base non soltanto dell'assetto societario delle società concorrenti alla gara, ma anche del contenuto sostanziale delle offerte, al fine di evidenziarne indebiti profili di identità e affinità. Anche l'ANAC, in ordine alla causa esclusione disciplinata dall'art. 80, comma 5, lett. m) del Codice, ha espresso un avviso coerente con quello del giudice amministrativo (ex multis Delibera n. 893/2019; Delibera n. 69/2018; Delibera n. 508/2018; Delibera n. 540/2018), ritenendo utili e condivisibili gli indici rivelatori elaborati dalla giurisprudenza sopra richiamata quali elementi, legati da nesso oggettivo di gravità, precisione e concordanza, tali da giustificare la correttezza dello strumento presuntivo e l'esclusione dalla gara dei concorrenti coinvolti. Può quindi osservarsi come l'avviso giurisprudenziale sul tema e il conforme avviso dell'Autorità, in ordine all'applicazione dell'art. 80, comma 5, lett. m), del Codice, si fondino su un criterio sostanzialistico nell'interpretazione della norma che, al di là delle ipotesi di controllo e collegamento espressamente previste dall'art. 2359 c.c., è volto ad espellere dalle procedure di gara le imprese che abbiano presentato offerte ritenute “concertate”, sulla base delle circostanze del caso concreto. Problemi attuali: le misure di self-cleaningIl c.d. self-cleaning è un istituto di matrice europea, recepito dal legislatore nazionale nell'ambito del nuovo Codice, sulla base di quanto previsto dall'art. 57 par. 6 della direttiva 2014/24/UE. Nella cornice delineata a livello sovranazionale, emerge, in particolare dal Considerando 102 della citata direttiva, che alla base dell'introduzione di tale istituto vi è stata la volontà di consentire agli operatori economici di “adottare misure per garantire l'osservanza degli obblighi volte a porre rimedio alle conseguenze di reati o violazioni e a impedire efficacemente che tali comportamenti scorretti si verifichino di nuovo” ovvero, in altre parole, di assicurare sempre la massima apertura del mercato, evitando per quanto possibile che gli operatori possano essere esclusi sine die dalle commesse pubbliche (Greco, 905). A fronte della regola generale di esclusione dell'operatore per mancanza dei requisiti di cui all'art. 80 del Codice, è stato introdotto un meccanismo in base al quale l'operatore può evitare l'esclusione sulla base di una ratio finalizzata: a) alla dissuasione degli operatori economici dal porre in essere comportamenti scorretti, idonei ad incidere sull'affidabilità dell'impresa nel conseguimento e nella esecuzione delle commesse pubbliche; b) al recupero degli operatori economici che abbiano concretamente manifestato un ravvedimento (Biamonte). L'articolazione di tale istituto riflette, altresì, la medesima ratio di cui al d.lgs. n. 163/2006 nel quale ultimo, pur non essendovi un'autonoma configurazione del self-cleaning, era consentito all'operatore di avvalersi di una misura analoga, ai sensi dell'(allora) art. 38 (A.V.C.P., Determinazione n. 1/2012). Nell'impianto normativo del nuovo Codice, l'istituto è stato collocato nella norma cardine sui motivi di esclusione degli operatori economici, l'art. 80, ai commi 7 ss., ai sensi del quale un operatore economico – o un subappaltatore – che si trovi in una delle situazioni indicate ai commi 1 e 5, è ammesso, seppur con dei limiti specifici, a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti. La valutazione delle specifiche misure intraprese dall'operatore, e quindi l'idoneità delle stesse ad evitare l'esclusione, oggi come allora, spetta esclusivamente alla stazione appaltante. Si rappresenta, inoltre, che nella disamina di tale istituto appaiono fondamentali le Linee Guida ANAC n. 6 – adottate dal legislatore su indicazione di quanto sancito dal comma 13 dell'art. 80 – nelle quali l'Autorità ha fornito rilevanti chiarimenti in ordine al tipo di misure in concreto adottabili dall'operatore per dimostrare la propria affidabilità e integrità nell'esecuzione del concreto oggetto di affidamento (Delibera n. 1293/2016 aggiornata con deliberazione del Consiglio n. 1008/2017). Ambito di applicazione e limiti del c.d. self-cleaning Per quanto concerne l'ambito di applicazione del self-cleaning, il comma 7 dell'art. 80 del Codice consente agli operatori economici di avvalersi di tale misura in relazione ai motivi indicati nei commi 1 e 5, seppur con una differenza sostanziale. In relazione ai motivi di cui al comma 5, infatti, l'operatore può impegnarsi a dimostrare il proprio ravvedimento senza limitazioni di sorta, se non quelle derivanti inevitabilmente dalla valutazione discrezionale rimessa alla stazione appaltante, mentre, al contrario, per i motivi elencati al comma 1, trattandosi di pronunce di condanna riferibili a reati significativi dal punto di vista della riprovevolezza sociale e del pericolo per la stazione appaltante di affidare la commessa a soggetti associati a reati gravi, il legislatore, con maggiore cautela, ha previsto un limite stringente. In particolare, la scelta del legislatore italiano è stata in senso riduttivo rispetto alla previsione della direttiva europea, in quanto mentre quest'ultima non prevede limitazioni di sorta, il comma 7 prevede che in presenza di una sentenza di condanna definitiva per uno dei reati di cui al comma 1, l'operatore può avvalersi del self-cleaning solo qualora la sentenza in questione abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero, a prescindere dalla durata della pena detentiva, abbia riconosciuto l'attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato (Candia, 152). Con riferimento a tale ultimo aspetto – l'attenuante della collaborazione – appare opportuno evidenziare che, mentre nella direttiva 2014/24/UE la collaborazione con le autorità investigative e giudiziarie costituisce uno degli elementi che la stazione appaltante deve valutare al fine di verificare che le misure adottate dall'imprenditore siano sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante la causa di esclusione, nella normativa nazionale la collaborazione con le autorità di polizia costituisce uno dei presupposti per l'applicazione del meccanismo del self-cleaning, con riferimento alle situazioni rilevanti di cui al comma 1 dell'art. 80 (Vinti). Inoltre, come secondo ed ulteriore limite, l'art. 80, comma 9, prevede che un operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto non possa avvalersi della misura del self-cleaning nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza. Tale ipotesi, tuttavia, è meno intuitiva rispetto alla precedente in quanto, come precisato anche dal Consiglio di Stato nel parere reso sul Codice dei contratti pubblici “nel vigente ordinamento penale non è previsto che le condanne fissino il periodo di esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara. È invece prevista la pena accessoria dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-ter c.p.), che ha una portata più ampia” (Cons. St., parere n. 855/2016) sicché è necessario fare riferimento alla pena accessoria ex artt. 32-ter e 32-quater c.p., la cui irrogazione determina l'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione. Inoltre, nel caso specifico in cui la sentenza penale di condanna per uno dei reati di cui all'art. 80, comma 1, non abbia specificato la durata del periodo di interdizione, sovviene il comma 10 dell'art. 80 come modificato dall'art. 1, comma 20, lett. o), n. 5), del d.l. n. 32/2019 (cfr. infra). Profili applicativi e criticità Una prima criticità, in tema di self-cleaning, riguarda il momento a partire dal quale l'operatore può avvalersi di tale misura. La disposizione codicistica, infatti, non precisa se tale opzione debba aver luogo al momento di indizione della procedura di gara, indipendentemente dalla contestazione di un motivo di esclusione da parte della stazione appaltante, ovvero solo in un momento successivo, qualora venga contestata una causa di esclusione. Una rilevante indicazione in tal senso è stata data dall'ANAC, la quale, nel capo VII delle Linee Guida n. 6, ha precisato che “L'adozione delle misure di self-cleaning deve essere intervenuta entro il termine fissato per la presentazione delle offerte o, nel caso di attestazione, entro la data di sottoscrizione del contratto con la SOA. Nel DGUE o nel contratto di attestazione l'operatore economico deve indicare le specifiche misure adottate” (Delibera ANAC n. 1293/2016 aggiornata con deliberazione del Consiglio n. 1008/2017. Per la ratio di siffatta scelta si veda la Relazione AIR del 2016). Anche la giurisprudenza, avallando l'orientamento dell'ANAC, ha sostenuto che “il momento ne ultra quem per l'adozione delle misure di self-cleaning e per la loro allegazione alla stazione appaltante è ancorato al termine di presentazione delle offerte (posto che una facoltà di tardiva implementazione o allegazione si paleserebbe, a tacer d'altro, alterativa della par condicio dei concorrenti)” (ex multis Cons. St. V, n. 478/2020). A sostegno della efficacia solo pro futuro delle misure di self-cleaning la giurisprudenza ha precisato che “risponde a logica, prima che alla normativa vigente in materia di appalto, che le misure di self-cleaning abbiano effetto pro futuro, ovvero per la partecipazione a gare successive all'adozione delle misure stesse, essendo inimmaginabile un loro effetto retroattivo; solo dopo l'adozione delle stesse la stazione appaltante può, infatti, essere ritenuta al riparo dalla ripetizione di pratiche scorrette ad opera degli stessi organi sociali” (T.A.R. Toscana II, n. 77/2021). In tale ottica, la giurisprudenza ha altresì precisato che nel caso di adozione tardiva, da parte dell'operatore, delle misure di self-cleaning, nessun rilievo può essere attribuito agli “stati soggettivi di buona o malafede, di conoscenza o ignoranza della causa di esclusione da parte dell'operatore economico (al quale resta imputabile, quanto meno, la violazione di un obbligo di diligenza)” (Cons. St. V, n. 6016/2018). Inoltre, in relazione agli effetti che tali misure possono riverberare nella gara in corso ovvero per il futuro, è necessario distinguere tra due tipologie di condotte di self-cleaning: 1) un primo caso di self-cleaning è rappresentato dal comportamento dell'operatore economico che, in presenza di un fatto di reato o di una condotta di illecito, dimostri di essersi, per un verso, adoperato per la eliminazione, retrospettiva, del danno cagionato e, per altro verso, di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico ed organizzativo idonei a prevenire, pro futuro, la commissione di ulteriori reati o illeciti; 2) una seconda ipotesi, invece, è rappresentata dalle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese di cui al d.l. n. 90/2014 (convertito in l. n. 114/2014). In riferimento a quest'ultima categoria, è stato sostenuto che “In distinta (ma concorrente) prospettiva operano le Misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell'ambito della prevenzione della corruzione che, in base al d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, il Prefetto, su segnalazione dell'ANAC, può disporre a carico dell'impresa a carico della quale l'autorità giudiziaria proceda per l'accertamento di uno o più dei reati elencati al comma 1. In questo caso, il self-cleaning prefigura, alternativamente: a) la rinnovazione degli organi sociali, mediante la sostituzione del soggetto coinvolto: la quale sostituzione è, ricorrendone le condizioni, idonea ad impedire l'automatismo solutorio delle misure interdittive sui contratti in essere o, quanto meno, a legittimare al commissariamento dell'impresa, con prosecuzione “controllata” dell'esecuzione dei contratti in essere, ed accantonamento cautelativo degli utili in attesa delle determinazioni in ordine alla prospettica confisca (cfr. parere Cons. Stato, comm. spec., 18 giugno 2018, n. 1567): b) il “sostegno e monitoraggio dell'impresa” (comma 8). In questa seconda fattispecie, con ogni evidenza, l'operatività delle misure di self-cleaning può operare solo nella duplice e concorrente direzione: a) della prospettica sterilizzazione delle misure interdittive penali, al fine di prevenire ed evitare l'estromissione dell'impresa dal mercato; b) dell'impedimento della misura di commissariamento, relativamente ai contratti la cui esecuzione sia stata già iniziata (Cons. St. V, n. 598/2019). In tale sentenza i giudici hanno inoltre precisato la differente operatività di tali misure sul piano pratico, in quanto “Nel primo caso, appare chiara l'operatività solo pro futuro delle misure organizzative virtuose. Nel secondo caso, si tratta di una misura specifica, orientata a salvaguardare l'utile esecuzione dei contratti in essere. Ne discende che, mentre deve escludersi che la mera sostituzione degli organi di vertice possa servire, in pendenza di procedura evidenziale, ad impedire l'operatività di una clausola di estromissione (cfr. Cons. Stato, V, 1° settembre 2018, n. 5424), la sostituzione operata prima della partecipazione non può considerarsi irrilevante, sol che se ne accerti l'effettività” (Cons. St. V, n. 598/2019). Le concrete misure di self-cleaning adottabili dall'operatore economico L'art. 80, comma 7, del d.lgs. 50/2016, sulla falsariga dell'art. 57 della direttiva 2014/24/UE, prevede che l'operatore economico “(...) è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti”. Nell'ordinamento interno, un'indicazione rilevante in ordine alle misure di cui l'operatore economico può avvalersi al fine di dimostrare il proprio ravvedimento ed evitare l'esclusione dalla gara è stata fornita dall'ANAC, la quale, nelle Linee Guida n. 6 ha sostenuto che “Possono essere considerati idonei a evitare l'esclusione, oltre alla dimostrazione di aver risarcito o essersi impegnato formalmente e concretamente a risarcire il danno causato dall'illecito: 1) l'adozione di provvedimenti volti a garantire adeguata capacità professionale dei dipendenti, anche attraverso la previsione di specifiche attività formative; 2) l'adozione di misure finalizzate a migliorare la qualità delle prestazioni attraverso interventi di carattere organizzativo, strutturale e/o strumentale; 3) la rinnovazione degli organi societari; 4) l'adozione e l'efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e l'affidamento a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, del compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento; 5) la dimostrazione che il fatto è stato commesso nell'esclusivo interesse dell'agente oppure eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione o che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di controllo” (Delibera n. 1293/2016 aggiornata con deliberazione del Consiglio n. 1008/2017). Una delle principali misure consiste nella rinnovazione degli organi sociali da parte dell'operatore economico, ossia nella sostituzione dei soggetti colpevoli di reati o illeciti, al fine di dimostrare alla stazione appaltante la propria dissociazione con i soggetti in questione. Tale misura, tuttavia, non sempre è sufficiente ad evitare all'operatore l'esclusione atteso che la valutazione dell'effettività delle misure adottate spetta all'amministrazione aggiudicatrice, tenuto conto della gravità del fatto e delle circostanze del reato o dell'illecito commesso. In un caso pratico nel quale l'impresa, nell'adozione delle misure di self-cleaning, aveva inserito nell'organizzazione aziendale una nuova figura di staff (con il compito di curare le relazioni istituzionali, le relazioni esterne, l'etica e la trasparenza) ed erano state cedute le quote del socio incriminato, i giudici hanno rilevato che tali misure “sono state motivatamente ritenute inidonee a rimuovere i profili di violazione già accertati, tanto più che la struttura societaria complessiva e l'organigramma della società successivi alle dette misure risultavano sostanzialmente identiche a quella che si erano rese responsabili delle violazioni riscontrate” (T.A.R. Lazio (Roma) I, n. 1570/2019). Similmente, in altra occasione, i giudici hanno sostenuto che nonostante l'impresa avesse adottato un nome ed un assetto proprietario diversi rispetto all'epoca dei fatti di cui alla sentenza penale subita, e, altresì, una rinnovata compagine aziendale, ciò nonostante, alcune delle persone che al tempo erano state accusate di tale grave illecito, al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara in esame ancora ricoprivano nell'organigramma dell'attuale società posizioni di responsabilità, “non consentendo un sicuro giudizio prognostico favorevole circa la bontà e la perizia tecnica nell'adempimento dei nuovi obblighi contrattuali” (Cons. St. III, n. 879/2019). Più nel dettaglio, l'elemento che in molteplici occasioni conduce ad una valutazione negativa delle misure di self-cleaning consiste nel fatto che il rinnovo degli organi sociali è spesso solo formale (Cons. St. V, n. 1367/2019). Diversamente, nel caso in cui “la proprietà del pacchetto azionario muti integralmente e si concentri su un unico ben individuato soggetto il quale nomina gli amministratori, e provvede a sostituire quelli precedenti, pur a fronte del c.d. “schermo societario” delle persone giuridiche, è evidente che, sotto il profilo sostanziale, l'interlocutore di riferimento è differente rispetto a quello precedente” (T.A.R. Piemonte II, n. 676/2018). Con particolare riferimento alla categoria dei “provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale” numerosi operatori economici hanno fatto riferimento alle indicazioni contenute nel d.lgs. n. 231/2001. Il riferimento alla normativa sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche è contenuto, in primo luogo, nelle Linee Guida ANAC n. 6, sez. II, nella quale si richiamano a titolo esemplificativo taluni reati il cui accertamento può configurare elemento idoneo a far ritenere integrato il grave illecito professionale e tra questi figurano anche “i reati previsti dal d.lgs. 231/2001”. È quindi presente un richiamo indiretto, non esplicito, benché inequivoco nella sostanza, al MOG 231 (Modello organizzativo gestionale) e alle ipotesi esimenti ex d.lgs. n. 231/2001, la cui rilevanza emerge dal fatto che qualora le misure di self-cleaning adottate dall'operatore vengano valutate positivamente dalla stazione appaltante, le stesse sono in grado di evitare all'operatore coinvolto di essere escluso dalla procedura di gara a causa del grave illecito professionale di cui si sia reso responsabile. Infine, i riferimenti al d.lgs. 231/2001 sono contenuti nel medesimo art. 80, comma 5, lett. f) del Codice, quale ipotesi a sé stante di possibile esclusione dalle procedure di gara qualora, a seguito dell'accertamento giudiziale di un reato presupposto, sia stata comminata la specifica sanzione interdittiva di cui all'art. 9, comma 2, lett. c) del d.lgs. n. 231/2001 (Lombardo, Savini, Fezza). Inoltre, in relazione alle misure indicate dalle Linee Guida ANAC n. 6 consistenti nella “adozione di misure finalizzate a migliorare la qualità delle prestazioni attraverso interventi di carattere organizzativo, strutturale e/o strumentale”, il riferimento alla parola “organizzativo” potrebbe riguardare quantomeno l'organigramma dell'ente, posizionando, a titolo esemplificativo, una figura di internal audit, prima assente, e/o una figura deputata al risk management (Lombardo, Savini, Fezza). Le variegate misure adottabili dagli operatori economici per evitare l'esclusione dimostrano la natura fortemente garantista dell'istituto del self-cleaning, il quale, tuttavia, non sempre viene utilizzato probamente dagli operatori, prestandosi talvolta ad essere strumentalizzato per finalità elusive della normativa sui requisiti in materia di contratti pubblici (ex multis Cons. St. III, n. 3945/2020). La valutazione della stazione appaltante Ai sensi dell'art. 80, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016 “Se la stazione appaltante ritiene che le misure di cui al comma 7 sono sufficienti, l'operatore economico non è escluso della procedura d'appalto; viceversa dell'esclusione viene data motivata comunicazione all'operatore economico”. Come precisato dall'ANAC, “la valutazione relativa alla idoneità e alla sufficienza delle misure adottate dall'operatore economico va necessariamente effettuata caso per caso dalla stazione appaltante, previo contraddittorio con l'operatore, e non può essere demandata ad un soggetto diverso né può essere svolta ex ante, ad esempio, ritenendo automaticamente dirimente il fatto che altre Amministrazioni abbiano consentito all'operatore di essere affidatario di nuovi contratti ovvero di continuare a svolgere quelli in essere oppure la circostanza che l'AGCM abbia ritenuto idonei i modelli organizzativi ex d.lgs. n. 231/2001 ai fini del rilascio del rating di legalità. D'altra parte, la ratio della previsione della prerogativa esclusiva della stazione appaltante è ravvisabile nella circostanza che solo quest'ultima è nelle condizioni di valutare i rischi cui potrebbe essere esposta aggiudicando l'appalto ad un concorrente la cui integrità o affidabilità sia dubbia, in quanto le misure adottate non sono considerate sufficienti (in ragione dell'oggetto e delle caratteristiche tecniche dell'affidamento nonché dell'interesse perseguito attraverso quest'ultimo) ai fini dell'ammissione ad una specifica procedura di gara” (Delibera n. 231/2020). La giurisprudenza ha condiviso l'orientamento dell'ANAC, precisando che ove il concorrente si sia «dimostrato leale e trasparente nei confronti della stazione appaltante, rendendola edotta di tutti i suoi precedenti, anche se negativi, ed ha fornito tutte le informazioni necessarie per dimostrare l'attuale insussistenza di rischi sulla sua inaffidabilità o mancata integrità nello svolgimento della sua attività professionale», questi ha diritto al pieno ed effettivo dispiegamento del contraddittorio procedimentale, non potendosi l'amministrazione aggiudicatrice limitare a valutare in solitudine le informazioni dell'interessato, risolvendo direttamente in malam partem i dubbi in ordine alla sufficienza del dettaglio informativo ovvero del corredo documentale ritenuto indispensabile ai fini della valutazione” (T.A.R. Lazio (Roma) III quater, n. 12640/2017). Tuttavia, nel confermare la sussistenza dell'obbligo di attivare il contraddittorio procedimentale nella fase di adozione del provvedimento di esclusione e di valutazione delle misure di self-cleaning, si è sostenuto che “il rispetto del principio di lealtà nei confronti della stazione appaltante, e quindi in caso di dichiarazioni mendaci o reticenti, l'amministrazione aggiudicatrice può prescindervi, disponendo l'immediata esclusione della concorrente” (Cons. St. III, n. 4192/2017). Ne deriva che, in caso di dichiarazioni mendaci o reticenti, l'amministrazione aggiudicatrice può prescindere da qualsiasi valutazione “premiale”, disponendo al contrario l'immediata esclusione del concorrente senza che questi possa invocare alcuno strumento previsto dall'ordinamento per i concorrenti in buona fede (Befani, 64). Pertanto, fatta eccezione per l'ipotesi in cui il concorrente si comporti slealmente con la stazione appaltante, il contraddittorio assurge ad elemento fondamentale nella dinamica del rapporto tra le parti, per meglio consentire alla stazione appaltante di avere a disposizione tutti gli elementi e le informazioni necessarie per una corretta valutazione delle misure in concreto adottate dall'operatore. Il self-cleaning al vaglio della CGUE: sent. Causa C-387/19 Con domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 267 TFUE il Giudice rimettente belga (Raad van State) ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire se il disposto dell'art. 57, par. 4, lett. c) e g), in combinato disposto con i paragrafi 6 e 7 della Direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, debba essere interpretato nel senso che un offerente, escluso da una procedura di gara a causa di un grave illecito professionale, debba denunciare di propria iniziativa possibili gravi illeciti professionali e i provvedimenti di ravvedimento operoso concretamente adottati (c.d. misure di self-cleaning), oppure se l'amministrazione aggiudicatrice debba prevedere una procedura in contraddittorio con l'operatore, dopo aver stabilito che a suo avviso si configura un grave illecito professionale idoneo a determinare l'esclusione dell'offerente e prima di poter procedere all'esclusione in parola. La Corte di Giustizia dell'UE (sent. 14 gennaio 2021, C-387/19) ha precisato che dall'interpretazione letterale, teleologica e sistematica dell'art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24, emerge che tale disposizione non chiarisce, e in tale ottica non è di ostacolo, la possibilità per l'operatore economico di fornire la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso sia di propria iniziativa che su espressa richiesta dell'amministrazione aggiudicatrice e, al contempo, non chiarisce (e a tale soluzione non è di ostacolo) se tale prova vada fornita al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell'offerta ovvero in una fase successiva della procedura d'appalto. Sulla base di questa premessa, i giudici affermano che, rientrando nella discrezionalità degli Stati membri la possibilità di lasciare all'amministrazione aggiudicatrice l'iniziativa in ordine a tali aspetti, tale facoltà può essere esercitata purché tale esercizio avvenga nel rispetto, in particolare, dei principi di parità di trattamento, di trasparenza e di proporzionalità, nonché del principio del rispetto dei diritti della difesa. Ne consegue che, “qualora uno Stato membro preveda che la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso possa essere fornita solo spontaneamente dall'operatore economico al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell'offerta, senza possibilità, per detto operatore, di fornire tale prova in una fase successiva della procedura, i principi di trasparenza e di parità di trattamento richiedono che gli operatori economici siano apertamente informati in via preventiva, in maniera chiara, precisa e univoca, dell'esistenza di un siffatto obbligo, vuoi che tale informazione risulti direttamente dai documenti di gara, vuoi che essa risulti da un rinvio, in tali documenti, alla normativa nazionale pertinente”. Pertanto, la previsione dell'obbligo per gli operatori economici di fornire spontaneamente la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso nella loro domanda di partecipazione o nella loro offerta è conforme al principio di proporzionalità, nei limiti in cui esso non costituisce un ostacolo irragionevole all'esercizio del regime dei provvedimenti di ravvedimento operoso, e purché sia garantito il diritto dell'operatore di essere ascoltato, il quale implica che l'operatore sia posto in grado di manifestare, utilmente ed efficacemente, il proprio punto di vista in tale domanda o in tale offerta. Il limite temporale di rilevanza delle cause di esclusioneUna delle maggiori novità introdotte dall'art. 80 del Codice del 2016 rispetto all'art. 38 del previgente Codice consiste nella previsione di un regime di limitazione temporale di rilevanza delle cause di esclusione. Mentre nel precedente sistema un precedente penale o altro illecito potevano avere rilevanza a fini escludenti anche se risalenti nel tempo, con i commi 10 e 10-bis dell'art. 80 del nuovo Codice, il legislatore ha previsto una durata temporale massima per le cause di esclusione consistenti, rispettivamente, in una condanna penale o in altra fattispecie enunciata nel comma 5 della medesima disposizione. Tali previsioni rappresentano l'attuazione del considerando 101 della direttiva 2014/24/UE, nonché dell'art. 57, par. 7, della medesima direttiva (secondo cui gli Stati membri “determinano il periodo massimo di esclusione nel caso in cui l'operatore economico non adotti nessuna misura di cui al par. 6 per dimostrare la sua affidabilità. Se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al par. 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui al par. 4”). La finalità della norma è quella di soddisfare esigenze di certezza del diritto nonché di garantire il rispetto del principio di proporzionalità, evitando che un motivo di esclusione possa operare per un tempo indefinito, impedendo ad un'impresa di reimmettersi nel mercato. Nella sua versione originaria, l'art. 80, comma 10, del Codice indicava la durata massima di rilevanza delle cause di esclusione solo con riferimento alle condanne penali (fissandola in cinque anni, salvo che la pena principale sia di durata inferiore, in tale caso è pari alla durata della pena principale). Con l'art. 49 del d.lgs. n. 56/2017 (Decreto Correttivo al Codice) è stata completata l'attuazione della direttiva europea, aggiungendo che, per le cause di esclusione “di cui ai commi 4 e 5 ove non sia intervenuta sentenza di condanna” la durata massima dell'esclusione è pari “a tre anni, decorrenti dalla data del suo accertamento definitivo” (la direttiva fissa come dies a quo la “data del fatto”, anziché del suo “accertamento definitivo”). La disposizione in esame è stata totalmente riscritta dall'art. 1, comma 20, lett. o), n. 5) della l. n. 55/2019 (di conversione del d.l. n. 32/2019, c.d. Decreto Sblocca cantieri), allo scopo di allineare il Codice dei contratti pubblici alla c.d. Legge Spazza-corrotti (di cui alla l. n. 3/2019, recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”), che ha ampliato l'ambito applicativo ed inasprito le pene accessorie conseguenti alla condanna per reati contro la P.A. In particolare, il Decreto Sblocca cantieri, modificando il comma 10 dell'art. 80 del Codice, ha previsto che, nel caso in cui la sentenza penale di condanna non fissa la durata della pena accessoria dell'incapacità di contrarre con la P.A., la durata dell'interdizione dalla partecipazione alle gare è: a) “perpetua, nei casi in cui alla condanna consegue di diritto la pena accessoria perpetua, ai sensi dell'art. 317-bis, comma 1, primo periodo, del c.p., salvo che la pena sia dichiarata estinta ai sensi dell'art. 179, comma 7, del c.p.; b) pari a sette anni nei casi previsti dall'art. 317-bis, comma 1, secondo periodo, del c.p., salvo che sia intervenuta riabilitazione; c) pari a cinque anni nei casi diversi da quelli di cui alle lett. a) e b), salvo che sia intervenuta riabilitazione”. Inoltre, sempre con riferimento alle condanne penali, nel primo periodo del comma 10-bis dell'art. 80, è previsto che “nei casi di cui alle lett. b) e c) del comma 10, se la pena principale ha una durata inferiore, rispettivamente, a sette e cinque anni di reclusione, la durata della esclusione è pari alla durata della pena principale”. Per le cause di esclusione diverse dalle condanne penali, contemplate nel quinto comma dell'art. 80, invece, “la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza”. Come norma di chiusura, viene previsto che “nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l'operatore economico che l'abbia commesso”. Si è discusso, in dottrina e in giurisprudenza, sia sull'ambito di applicazione di tali previsioni sia sull'individuazione del dies a quo. Con riferimento all'ambito di applicazione della norma, si registrano due contrapposti orientamenti. Secondo un primo indirizzo (che poteva definirsi maggioritario prima del Decreto Sblocca cantieri), le disposizioni in commento non riguardano la rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali; la limitazione triennale di cui all'art. 80, comma 10, del Codice attiene “alla diversa rilevanza della pena accessoria dell'incapacità a contrarre con la P.A. (limitazione che ben si giustifica con la natura necessariamente temporanea della sanzione afflittiva) e non attiene in alcun modo all'esercizio del potere della P.A. di escludere l'operatore economico, ai sensi del comma 5, lett. c), da una procedura di appalto” (T.A.R. Lazio (Roma) I, n. 4729/2019; cfr. Cons. St. V, n. 1644/2019; Id. n. 1603/2020, che richiama Cons. St. nn. 6529/2018 e 6530/2018). Altro orientamento (oggi prevalente), invece, ha affermato che il limite temporale triennale di cui all'art. 80, comma 10, trova applicazione anche con riferimento ai gravi illeciti professionali; tale delimitazione risponde al principio di proporzionalità che obbliga legislatore ed Amministrazione a imporre ed applicare obblighi, divieti e restrizioni in modo adeguato e ragionevole rispetto alle fattispecie prese in considerazione e agli obiettivi pubblici perseguiti (T.A.R. Lombardia (Milano), n. 705/2017, n. 705; Cons. St. V, n. 6576/2018; Cons. St. V, n. 2895/2019). È stato, inoltre, sottolineato che l'applicazione del limite triennale della rilevanza del fatto alla categoria dei gravi illeciti professionali “è coerente con il richiamo della disposizione ai “casi di cui al comma 5” da intendersi in senso generale e, quindi, comprensivo anche di tutte le ipotesi di “grave illecito professionale” qualunque ne sia la causa. Tale impostazione è, del resto, dettata dall'esigenza di applicare in maniera logica, razionale e conforme al principio di uguaglianza il comma 10-bis dell'art. 80 d.lgs. n. 50/16 risultando ingiustificata, nell'ambito della medesima fattispecie del “grave illecito professionale”, una differenziata rilevanza temporale delle vicende (sentenze di condanna, da una parte, e provvedimenti amministrativi, dall'altra) integranti tale ipotesi escludente. Inoltre, l'opzione ermeneutica condivisa dal Collegio è coerente con i principi generali di proporzionalità dell'azione amministrativa e di massima partecipazione alle gare e, comunque, risulta necessitata alla luce del disposto dell'art. 57 della Direttiva 24/24/UE (...)” (T.A.R. Lazio (Roma) II-ter, n. 4917/2020; cfr. T.A.R. Toscana III, n. 955/2019). Ha aderito a quest'ultimo indirizzo anche l'ANAC ( Delibera n. 490/2020 ) evidenziando che “l'art. 80, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016 non persegue lo scopo di introdurre un'ipotesi di interdizione automatica dalla partecipazione alle gare bensì svolge la funzione di contenere, sotto il profilo temporale, l'efficacia escludente di circostanze pregresse, potenzialmente incidenti sull'affidabilità dell'operatore economico, la cui conoscenza è in nuce non utile per la stazione appaltante, giammai potendo rientrare nel processo decisionale prodromico alla esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c); solo così interpretata, la norma si pone in linea con il divieto del gold plating e con il correlato favore per la semplificazione delle procedure ad evidenza pubblica mostrato dal legislatore eurounitario”; pertanto “il limite temporale triennale dei motivi di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016 trova applicazione con riferimento a tutti i fatti idonei ad integrare un grave illecito professionale, siano essi di natura civile, amministrativa o penale, con la conseguenza che la rilevanza escludente delle sentenze penali di condanna per fattispecie di reato diverse da quelle di cui all'art. 80, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016 resta confinata nel limite del triennio dal giudicato” (si segnala che tale orientamento era stato seguito dall'ANAC anche prima del d.l. Sblocca cantieri, in particolare cfr. Linee guida n. 6, par. V, con riferimento alla rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali). Con riferimento all'individuazione del dies a quo, e alle diverse implicazioni derivanti dalla sua identificazione con la “ data del fatto ” (prevista nella direttiva) oppure della “ data dell'accertamento del fatto ” (prevista nel Correttivo al codice), è stato evidenziato che “la rilevanza temporale di fatti illeciti, pari a tre anni che vengono fatti decorrere dalla data del fatto, anziché dalla data del definitivo accertamento giudiziale, rischiava, avuto riguardo ai tempi per un accertamento giudiziario definitivo o anche solo di primo grado, di vanificare del tutto la rilevanza del fatto illecito. Proprio al fine di non vanificare la rilevanza ostativa del fatto illecito, il decreto correttivo ancora la decorrenza del triennio alla data della condanna o dell'accertamento definitivo del fatto” (De Nictolis, 816). Sotto tale profilo, il Consiglio di Stato, nel parere sullo schema di decreto correttivo (Cons. St. parere n. 782/2017) e nel parere sulla proposta di aggiornamento delle Linee Guida ANAC n. 6 (Cons. St. parere n. 2042/2017) ha rilevato come la novella intenda legare la decorrenza del triennio ad un momento preciso, mentre formule mutuate dal lessico euro-unitario, che facciano riferimento alla “data del fatto”, potrebbero essere intese quale ancoraggio al momento storico di accadimento, e non assicurerebbero parità di trattamento a situazioni che, pur identiche nella loro consistenza, vengano tuttavia alla luce in tempi differenti per fattori del tutto casuali (sul significato della locuzione “accertamento definitivo” ante d.l. Sblocca cantieri, cfr. Cons. St. V, n. 8030/2020; Cons. St. V, n. 2895/2019, secondo cui “il riferimento alla definitività dell'accertamento (...) va inteso nel senso che il termine decorre da quando è stato adottato l'atto definitivo, cioè di conclusione del procedimento di risoluzione”; Cons. St. V, n. 6576/2018; T.A.R. Puglia (Lecce), II, n. 1664/2018). Tali problematiche interpretative sono state parzialmente superate dalla cit. l. n. 55/2019, di conversione del d.l. n. 32/2019, che ha modificato il termine di decorrenza facendolo coincidere con quello della “data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza”. La giurisprudenza che si è occupata del significato da attribuire a quest'ultima espressione (“data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione”) la ha interpretata come data di adozione del provvedimento di accertamento del fatto valutabile a fini escludenti, applicando le stesse coordinate ermeneutiche della dizione precedente (“data dell'accertamento”). È stato, infatti, rilevato che “la risoluzione per inadempimento di un precedente contratto d'appalto può fondare una valutazione di inaffidabilità e non integrità dell'operatore per un periodo che non superi il triennio, assumendo rilevanza, ai fini della decorrenza di siffatto periodo, la data di adozione della determinazione amministrativa di risoluzione unilaterale (C.d.S., Sez. V, 29 ottobre 2020, n. 6635, 5 marzo 2020, n. 1605 e 6 maggio 2019, n. 2895)” (Cons. St. III, n. 7730/2020; si veda, inoltre, T.A.R. Lazio (Roma) II-ter, n. 4917/2020, secondo cui non rileva “che la norma faccia riferimento al solo provvedimento amministrativo o alla sentenza emessa a seguito di contestazione dello stesso”). Tar Napoli, I, 31 marzo 2022, n. 964 ha, da ultimo, rimarcato che il limite temporale di tre anni per far valere la causa di esclusione viene in rilievo anche allorquando un'impresa sia esclusa per grave illecito professionale derivante dalla condanna del suo titolare con sentenza non definitiva (fattispecie atipica perché diversa da quelle tipizzate ex commi 10 e 10 bis con riferimento ai diversi casi della sentenza penale definitiva o all'esclusione disposa con provvedimento amministrativo). Cons. St. IV, 7 ottobre 2022, n. 8611 ha, da ultimo, rilevato che, in assenza di un accertamento definitivo, cristallizzato in una sentenza o in un provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile, il termine triennale, exart. 80, comma 10-bis, del codice dei contratti pubblici, idoneo, perciò solo, ad elidere la rilevanza dei fatti determinanti l'impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione, decorre, non dalla commissione materiale del fatto in sé, bensì dall'accertamento del fatto. Solo quest'ultimo, infatti, vale, in quanto tale, ad ascrivere alla mera situazione fattuale una qualificazione giuridicamente rilevante ai fini dell'operatività delle regole espulsive, nei termini legalmente scanditi. Si aggiunge che la condotta penale rileva, nella sua dimensione fattuale ed extra-penale, exart. 80, comma 5, lett. c), del codice dei contratti pubblici, entro il previsto limite temporale triennale e, anche oltre tale limite, se e in quanto abbia formato oggetto di contestazione in giudizio, ossia allorquando la correlativa azione penale abbia varcato la soglia processuale di instaurazione del giudizio dibattimentale o di una sua forma alternativa per l'emissione di una pronuncia di condanna o di una pronuncia ad essa equiparabile, suscettibile, come tale, di accertare fatti integranti i gravi illeciti professionali. Cons. Stato, sez. III, ord. 4 gennaio 2024, n. 161 , ha rimesso alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
Protocolli di legalità e tassatività delle cause di esclusione: un equilibrio difficileIl C.g.a. 12 gennaio 2022, n. 32 ha affermato, da ultimo, che i protocolli di legalità o di integrità, stipulati ai sensi dell'art. 1, comma 17, l. n. 190 del 2012, configurano specifiche cause di esclusione dalla procedura di gara, essendo idonei (data la base giuridica fondata sulla norma di rango legislativo) a integrare il catalogo tassativo delle cause di esclusione contemplate dal d.lgs. n. 50 del 2016. Le fattispecie escludenti previste dai protocolli di legalità o di integrità anticipano la soglia di tutela dell'interesse all'imparzialità e al buon andamento delle gare pubbliche in quanto non è richiesto alla stazione appaltante valutare l'effettiva incidenza delle condotte sullo svolgimento della gara, conformemente alla disciplina del conflitto di interessi di cui all'ordinamento amministrativo (art. 6-bis, l. n. 241 del 1990) e civile (art. 1394 c.c., seppur con un focus sull'art. 1471 c.c.), salvo il potere della stazione appaltante di valutare, con le regole proprie dell'istruttoria procedimentale (che si differenziano da quelle che informano l'istruttoria processuale), la riferibilità di determinate condotte al perimetro espulsivo ivi previsto e ciò sia in relazione alla regola generale che trova emersione in ambito processuale nell'art. 34, comma 2, c.p.a., sia in quanto l'attività di valutare l'ammissibilità delle domande di partecipazione a gare pubbliche è appannaggio dell'Amministrazione in base alla disciplina di settore anche di derivazione eurounitaria, in presenza di cause di esclusione facoltativa. Ha chiarito anche il C.g.a. che nei patti di integrità, agli obblighi comportamentali che, pur trovando la propria fonte nella clausola di leale collaborazione e nel principio di buona fede, oltre che nella normativa antimafia e dei contratti pubblici, sono circostanziati in modo tale da rendere agevole il relativo accertamento, si ricollegano conseguenze sfavorevoli in caso di violazione degli impegni assunti. L'assunzione volontaria non solo degli specifici doveri comportamentali ivi previsti ma anche della sottoposizione alle conseguenze sfavorevoli ivi indicate consente all'Amministrazione di esercitare con agilità i poteri di accertamento (facilitati dalla tipizzazione degli impegni assunti) e i poteri di irrogazione delle conseguenze sfavorevoli (anche queste specificamente indicate). In tal senso, i protocolli di legalità sono strumenti utili per contrastare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose nelle attività volte a sviluppare la concorrenza per il mercato (quali le procedure a evidenza pubblica), attraverso l'introduzione di clausole “sanzionatorie” (così lo stesso patto di integrità) in caso di violazione degli impegni assunti. A fronte di ciò, invece, i patti di integrità si inseriscono nel rapporto di diritto pubblico che si crea fra la stazione appaltante e il partecipante alla gara, individuando specifiche fattispecie “sanzionatorie” nell'ambito di un procedimento che si sviluppa con le garanzie tipiche del procedimento amministrativo, sicché viene meno la tutela della parte debole (del rapporto contrattuale), atteso che tutta la disciplina del procedimento amministrativo è volta ad assicurare la valorizzazione dei partecipanti al procedimento, così sostituendo la tutela preventiva (e formale) della specifica sottoscrizione con una più pregnante forma di apprezzamento della posizione privata. Ciò è sufficiente a dimostrare l'inapplicabilità al caso de quo della disciplina di cui all'art. 1341 c.c., in ragione del rapporto di diritto pubblico in cui si inseriscono; Ha chiarito, quindi, il C.g.a. che il potere dell'Amministrazione comprende non solo l'accertamento dei presupposti di applicazione della sanzione ma anche la scelta in ordine alla tipologia di sanzione irrogabile. Il C.g.a. si è altresì pronunciato sulla fattispecie escludente di cui all' art. 56, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 (“vi sono prove di corruzione, concussione o abuso di ufficio”) e all'art. 59, d.lgs. n. 50 del 2016 (“sono considerate inammissibili le offerte in relazione alle quali la commissione giudicatrice ritenga sussistenti gli estremi per informativa alla Procura della Repubblica per reati di corruzione o fenomeni collusivi”) nel senso che: a) l'accertamento del concretizzarsi della fattispecie escludente deve essere compiuto dalla stessa Amministrazione, non configurandosi, così come dedotto dalle parti appellanti, un'ipotesi di esclusione automatica (Cons. St., Ad.Plen. n. 16/2020); b) l'Amministrazione è tenuta a valutare in concreto la ricorrenza del presupposto, cioè della condotta corruttiva, concussiva, di abuso o comunque collusiva dei partecipanti alla gara, e il collegamento delle condotte penalmente rilevanti con le offerte presentate e in genere con la gara. In termini analoghi il C.g.a. si è altresì pronunciato sulla fattispecie escludente di cui all'art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016 richiamando, ancora una volta, l'Adunanza plenaria n. 16 del 2020. La condotta di falso materiale deve essere arricchito dall’elemento soggettivo per essere causa di esclusione?Secondo TAR Napoli, Sez. I, 19 febbraio 2024, n. 1179 l’art. 80, comma 5, lett. f-bis)): se essa vada intesa nel senso che l’esclusione debba essere disposta dall’Amministrazione aggiudicatrice all’obiettivo verificarsi della circostanza individuata nella disposizione, senza che assuma rilevanza lo stato soggettivo dell’operatore economico ovvero se la disposizione presupponga un comportamento, da parte dell’operatore economico, doloso o quanto meno colposo, nella forma della negligente ignoranza della falsità della documentazione prodotta. Nel caso di specie l’oggetto della falsità riguardava le garanzie (provvisoria e definitiva) prodotte dalla ricorrente, ma materialmente emesse da un soggetto terzo, per cui secondo la giurisprudenza più recente “la falsità rilevante ai sensi della norma citata avrebbe potuto essere soltanto la falsità materiale, consistente nella contraffazione del documento quanto alla sua provenienza e/o al suo contenuto, imputabile all’operatore economico partecipante alla gara, per averla compiuta od averne consapevolmente approfittato”. 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