Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 145 - (Disciplina comune applicabile ai contratti nel settore dei beni culturali ) 1(Disciplina comune applicabile ai contratti nel settore dei beni culturali )1 [1. Le disposizioni del presente capo dettano la disciplina relativa a contratti pubblici concernenti i beni culturali tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio. 2. Le disposizioni del presente capo si applicano, altresì, all'esecuzione di scavi archeologici, anche subacquei. 3. Per quanto non diversamente disposto nel presente capo, trovano applicazione le pertinenti disposizioni del presente codice.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. InquadramentoL'art. 145 del Codice non trova alcuna corrispondenza nelle direttive Eurounitarie, ma, in attuazione del principio-guida volto ad un complessivo riordino della disciplina dei contratti pubblici legge delega 28 gennaio 2016, n. 11, di cui all'art. 1, comma 1, lett. o) della la ha previsto, apre il CAPO III «Contratti relativi ai beni culturali» del Titolo VI «Regimi particolari di appalto» rimarcando la specialità di tale area applicativa dei contratti pubblici che era già evincibile dal previgente d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (artt. 197-205). Tali norme vanno peraltro lette sistematicamente anche alla luce delle altre disposizioni che si occupano della materia, in altre sezioni del Codice (cfr. in particolare, art. 25, posto nel Titolo III della parte I, sull'archeologia preventiva). Evoluzione storica della disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturaliL'inserimento di una regime speciale nell'ambito della disciplina generale dei contratti pubblici è l'esito di una evoluzione normativa che originariamente era connotata dalla frammentarietà, con la conseguente delicata opera interpretativa volta a ricondurre a «sistema» il comparto. In particolare, fino alla legge "Merloni" del 1994, i contratti aventi ad oggetto «beni culturali» erano disciplinati essenzialmente dalla l. 1° marzo 1975, n. 44 «Misure intese alla protezione del patrimonio archeologico, artistico e storico nazionale», nonché dal d.P.R. 17 maggio 1978, n. 509, recante il Regolamento delle spese da farsi in economia per i servizi dell'amministrazione centrale e periferica del Ministero per i beni culturali e ambientali, i quali attribuivano al Ministero competente amplissimi margini di deroga alla regola generale dell'evidenza pubblica prevista dalla normativa di contabilità generale dello Stato, estendendo gli spazi per gli affidamenti in economia o a trattativa privata, sia per l'esecuzione di lavori, sia per l'acquisto di forniture e servizi. Tale opzione normativa rispondeva ad una logica di astratta prevalenza della tutela dell'interesse pubblico alla «conservazione e manutenzione» dei beni del patrimonio storico-culturale, specie con riguardo al «restauro» soprattutto se riguardante i beni mobili e le superfici decorate, i cui lavori erano di regola eseguiti avvalendosi del sistema di esecuzione in economia a cottimo fiduciario anche per importi rilevanti. La l. n. 109/1994 ha operato un rovesciamento di tale impostazione, riconducendo la disciplina dei contratti ad aventi ad oggetto «lavori» inerenti beni culturali alla regola generale dell'evidenza pubblica, pur riconoscendo aree di specialità (ad esempio in relazione ad appositi capitolati speciali; una categoria speciale per i lavori su beni mobili e superfici decorate fu introdotta peraltro ad opera del d.m. n. 304/1998). Tale inversione di tendenza ha subito successivamente un rallentamento, volto ad ampliare ancora gli spazi derogatori alla regola generale dell'evidenza pubblica, introdotto dalla legge “Merloni-quater” (l. 1° agosto 2002, n. 166), che, con una tecnica normativa che ha suscitato non poche perplessità, ha inserito nel corpo della l. n. 109/1994 diverse norme speciali relative ai lavori sui beni culturali, seppure con particolare riguardo al settore dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici. Successivamente anche il d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 30 – peraltro successivo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 9/2004 che sottolineava il ruolo conservativo dei lavori pubblici aventi ad oggetto beni culturali – aveva introdotto per il settore dei beni culturali un regime derogatorio rispetto alla disciplina generale. Tali contenuti sono stati poi sostanzialmente trasposti negli artt. 197 e ss. del d.lgs. n. 163/2006 relativi al project financing, agli appalti misti, alla qualificazione degli esecutori, all'attività di progettazione e direzioni lavori, ai sistemi di scelta e aggiudicazione dei lavori, la sponsorizzazione. L'esigenza della specialità«La specialità dei contratti relativi ai beni culturali deriva, come è evidente, dalla particolarità del loro oggetto (indiretto o mediato), vale a dire dalla peculiarità materiale e di regime giuridico del bene culturale. La primarietà della funzione di tutela del patrimonio culturale (art. 9 Cost.) non può non condizionare le procedure di selezione e le modalità di esecuzione dei contratti che riguardano i beni culturali, siano essi appalti di lavori o di servizi, contratti di forniture o concessioni di lavori o di servizi (o contratti misti). L'esigenza prevalente, che trascende tutti gli altri interessi e fini pubblici pure sottesi alle procedure di gara, è rappresentata dalla centralità della finalità conservativa (la conservazione programmata prevista dall'art. 29 del codice di settore del 2004), con il corollario della prevalenza dell'esigenza di ridurre al minimo i rischi di perdita o deterioramento del bene rispetto ai profili di ordine economico» (Carpentieri), con la conseguente prevalenza dell'elemento qualitativo, che emerge dalla disciplina sulla qualificazione degli operatori, dai criteri di aggiudicazione e, «a monte» da una maggiore flessibilità della fase progettuale, che, in ragione della finalità conservativa del bene culturale determina la limitata prevedibilità degli effetti dell'intervento La continuità nella esigenza di un regime speciale per i contratti concernenti i beni culturali che sia ispirato a contemperare, accanto agli interessi pubblici e privati tutelati nella materia dei contratti pubblici, anche l'interesse alla tutela del patrimonio storico-artistico, è peraltro connotata da una maggiore semplificazione, come emerge già dalla lettura della norma in commento. Rilevano, in tal senso, sia il comma 1, nel quale si opera un rinvio generale all'intero comparto disciplinare di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (laddove la corrispondente norma del previgente d.lgs. n. 163/2006 faceva riferimento ad oggetti specifici di tutela: beni mobili e immobili, interventi su elementi architettonici e sulle superficie decorate di beni del patrimonio riforma del settore, facendo sorgere la questione della annoverabilità nell'ambito applicativo anche dei beni paesaggistici, non espressamente indicati e appartenenti al più ampio genus di «patrimonio culturale»); sia il comma 3 che, a chiusura della disposizione, contiene un'indicazione di principio, generalizzando le disposizioni comuni del Codice cui, salve le deroghe espressamente previste agli articoli seguenti del medesimo capo (mentre in precedenza veniva effettuato un richiamo più puntuale alle parti del d.lgs. n. 163/2006 applicabili, in quanto non derogate e ove compatibili). BibliografiaAlbissini, Il nuovo codice dei contratti pubblici - i contratti pubblici concernenti i beni culturali, in Giornale Dir. Amm., 2016, 4, 436; Carpentieri, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), in Urbanistica e appalti, 2016, 8-9, 1014. |