Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 176 - (Cessazione, revoca d'ufficio, risoluzione per inadempimento e subentro) 1

Domenico Galli
Adriano Cavina

(Cessazione, revoca d'ufficio, risoluzione per inadempimento e subentro)1

[1. Fermo restando l'esercizio dei poteri di autotutela, la concessione può cessare, in particolare, quando:2

a) il concessionario avrebbe dovuto essere escluso ai sensi dell'articolo 80;

b) la stazione appaltante ha violato con riferimento al procedimento di aggiudicazione, il diritto dell'Unione europea come accertato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

c) la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione ai sensi dell'articolo 175, comma 8.

2. Nelle ipotesi di cui al comma 1, non si applicano i termini previsti dall'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. Nel caso in cui l'annullamento d'ufficio dipenda da vizio non imputabile al concessionario si applica il comma 4.

4. Qualora la concessione sia risolta per inadempimento della amministrazione aggiudicatrice ovvero quest'ultima revochi la concessione per motivi di pubblico interesse spettano al concessionario:

a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;

b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse3;

c) un indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero , nel caso in cui l'opera abbia superato la fase di collaudo, del valore attuale dei ricavi risultanti dal piano economico finanziario allegato alla concessione per gli anni residui di gestione4.

5. Le somme di cui al comma 4 e al comma 7 sono destinate prioritariamente al soddisfacimento dei crediti dei finanziatori del concessionario e dei titolari di titoli emessi ai sensi dell'articolo185, limitatamente alle obbligazioni emesse successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione e sono indisponibili da parte di quest'ultimo fino al completo soddisfacimento di detti crediti5.

5-bis. Senza pregiudizio per il pagamento delle somme di cui al comma 4, in tutti i casi di cessazione del rapporto concessorio diversi dalla risoluzione per inadempimento del concessionario, il concessionario ha il diritto di proseguire nella gestione ordinaria dell'opera, incassandone i ricavi da essa derivanti, sino all'effettivo pagamento delle suddette somme per il tramite del nuovo soggetto subentrante, fatti salvi gli eventuali investimenti improcrastinabili individuati dal concedente unitamente alle modalità di finanziamento dei correlati costi6.

6. L'efficacia della revoca della concessione è sottoposta alla condizione del pagamento da parte dell'amministrazione aggiudicatrice o dell'ente aggiudicatore delle somme previste al comma 4.

7. Qualora la concessione sia risolta per inadempimento del concessionario trova applicazione l'articolo 1453 del codice civile.

8. Nei casi che comporterebbero la risoluzione di una concessione per cause imputabili al concessionario, la stazione appaltante comunica per iscritto al concessionario e agli enti finanziatori l'intenzione di risolvere il rapporto. Gli enti finanziatori, ivi inclusi i titolari di obbligazioni e titoli analoghi emessi dal concessionario, entro novanta giorni dal ricevimento della comunicazione, possono indicare un operatore economico, che subentri nella concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziarie corrispondenti o analoghe a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata affidata, con riguardo allo stato di avanzamento dell'oggetto della concessione alla data del subentro7.

9. L'operatore economico subentrante deve assicurare la ripresa dell'esecuzione della concessione e l'esatto adempimento originariamente richiesto al concessionario sostituito entro il termine indicato dalla stazione appaltante. Il subentro dell'operatore economico ha effetto dal momento in cui la stazione appaltante vi presta il consenso.

10. La stazione appaltante prevede nella documentazione di gara il diritto di subentro degli enti finanziatori di cui al comma 88.

10-bis. Il presente articolo si applica ai contratti di concessione e di partenariato pubblico privato e agli operatori economici titolari di tali contratti9.]

 

[1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo.

Inquadramento

La norma in commento trae origine dall'art. 44 della Direttiva 2014/23/UE, che tiene conto dell'esigenza per amministrazioni aggiudicatrici e soggetti aggiudicatori di disporre di strumenti adeguati per poter disporre, alle condizioni stabilite dalla disciplina nazionale, lo scioglimento di una concessione durante il periodo di validità della stessa (considerando n. 80). La disciplina delle vicende estintive del contratto di concessione si inserisce coerentemente con il mutato approccio della disciplina europea che – nella disciplina in tema di appalti così come in quella in tema di concessioni – ha dettato specifiche disposizioni relative alla fase esecutiva del contratto.

In base alla disposizione della direttiva, gli Stati membri debbono assicurare ad amministrazioni aggiudicatrici ed enti aggiudicatori la possibilità, alle condizioni stabilite dal diritto nazionale applicabile, di porre termine alla concessione in ipotesi espressamente indicate dallo stesso art. 44 e riproposte dalla disciplina nazionale.

L'articolo in commento se, da un lato, riproduce le ipotesi di estinzione anticipata prese in esame dalla direttiva europea, dall'altro, prende in considerazione ipotesi comunemente disciplinate dal diritto civile o da disposizioni di matrice pubblicistica. La disciplina che ne scaturisce è mista, in parte di matrice europea in parte nazionale. Rispetto alla sua originaria formulazione, l'art. 176 ha subito rilevanti modifiche, ad opera del d.lgs. n. 56/2017 (primo decreto correttivo): questo, ad esempio, in linea con la disciplina europea, ha espressamente configurato in termini facoltativi e non automatici la cessazione della concessione in presenza di vizi genetici o sopravvenuti ma comunque incidenti sulla corretta formazione della volontà del soggetto concedente (sostituendo l'espressione «la concessione cessa», con «la concessione può cessare»). Tale impostazione, che potrebbe far residuare margini di discrezionalità in capo al committente, configura in capo ad esso una sorta di potere-dovere, il cui mancato esercizio dovrà essere oggetto di analitica e puntuale motivazione, in relazione alla preminenza dell'interesse pubblico alla prosecuzione del rapporto. Con il decreto correttivo, sono state inoltre fornite indicazioni di natura procedurali, in merito alla gestione dei rapporti tra i diversi attori coinvolti nel caso di estinzione anticipata della concessione.

Nel complesso, la norma – che si differenzia dagli artt. 108 e 109, in tema di appalti, per la sua connotazione schiettamente pubblicistica – individua in tre «macrocategorie» le ipotesi in presenza delle quali è possibile che il rapporto concessorio si estingua anticipatamente.

In una prima categoria vengono ricomprese situazioni che sotto diversi profili configurano o potrebbero configurare violazioni, non di obblighi contrattuali, ma della disciplina pubblicistica in fase di scelta del contraente, configurandosi, in tal caso, la cessazione del rapporto (locuzione fortemente generica e atecnica) come una sorta di autotutela pubblicistica, diretta ad incidere in via principale sul provvedimento di aggiudicazione e, di conseguenza, sul successivo rapporto contrattuale (commi 1, 2 e 3).

Una seconda macrocategoria ricomprende i casi in cui lo scioglimento anticipato della concessione sia riconducibile ad inadempimento della stazione appaltante (risoluzione) ovvero alla sopravvenienza di motivi di pubblico interesse che ne giustifichino la revoca (comma 4).

Infine, vi è il caso in cui la risoluzione sia riconducibile ad inadempimento o a cause comunque imputabili del concessionario (commi 7 e 8).

Viene inoltre dettata una particolare disciplina nel caso di risoluzione per inadempimento del concedente o per il caso di revoca (comma 4), così come per l'istituto del subentro in caso di risoluzione per cause imputabili al concessionario, con l'obiettivo di garantire continuità nell'erogazione dei servizi oggetto di concessione e, soprattutto, a tutelare gli interessi degli enti finanziatori dell'operazione (commi 8, 9 e 10).

Anche per ciò che attiene alla disciplina contenuta all'art. 176 in tema di estinzione anticipata del rapporto concessorio, si rende necessaria una lettura coordinata con la disciplina generale per gli appalti dettata dall'art. 108 del Codice, in ragione del rinvio operato dall'art. 164, comma 2, nei limiti di compatibilità con il modulo concessorio, alla Parte II del Codice e, in particolare, alle «modalità di esecuzione».

In sostanza, si tratta di comprendere da quali disposizioni dell'art. 108 del Codice possa ritenersi integrata la specifica disciplina in tema di concessioni contenuta nell'art. 176 qui in rassegna, tenendo comunque conto delle eventuali differenze tra le due norme (176 e 108).

Così, ad esempio, la disciplina della risoluzione per gravi vizi imputabili al processo di formazione della volontà dettata dall'art. 176, comma 1, per le concessioni è solo apparentemente diversa rispetto a quella contenuta nell'art. 108, comma 1, per gli appalti (v. ad. esempio, comma 1, lett. b). Quest'ultima disposizione, infatti, esplicita, tra le ipotesi di scioglimento, sia il superamento dei limiti alla introduzione di varianti previsti per gli appalti, dall'art. 106, sia il caso delle modifiche sostanziali, mentre la norma in commento prevede, in generale e senza necessità di ulteriori specificazioni, l'estinzione anticipata del contratto in tutti i casi in cui per l'introduzione delle varianti sarebbe stata necessaria, ai sensi dell'art. 175, una nuova procedura di aggiudicazione.

Sempre a titolo esemplificativo, dovrebbe ragionevolmente ritenersi applicabile anche la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 108 relativa alla risoluzione doverosa nel caso in cui nei confronti del contraente sia intervenuta: a) la decadenza dell'attestazione di qualificazione per falsa dichiarazione o documentazione; b) una condanna passata in giudicato per reati di cui all'art. 80 ovvero la applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice antimafia. Quanto all'ambito di applicazione, la disciplina sulle vicende estintive qui in esame trova applicazione tanto alle concessioni quanto agli altri contratti di partenariato pubblico privato (art. 176, comma 10-bis).

La cessazione della concessione per vizi nella formazione della volontà

I primi tre commi della disposizione in commento riproducono la disciplina della «risoluzione» prevista dall'art. 44 della Direttiva 2014/23/UE.

Sul piano terminologico, mentre l'art. 108, comma 1, per gli appalti, si riferisce all'istituto della risoluzione, la corrispondente norma per le concessioni qui in esame (176, commi 1 e 3), si riferisce ai concetti di cessazione della concessione e suo annullamento d'ufficio.

Al di là del profilo nominale, la sostanza è comunque analoga quanto ai presupposti, relativi ai casi in cui:

i) il concessionario avrebbe dovuto essere escluso ai sensi dell'art. 80, per carenza dei requisiti di ordine generale;

ii) nel corso dell'esecuzione, il contenuto della concessione abbia subito una modifica sostanziale che dovrebbe imporre una nuova procedura di aggiudicazione ai sensi dell'art. 175, comma 8. A stretto rigore, nel caso in esame, la cessazione anticipata costituisce conseguenza della disciplina in tema di modifiche contrattuali (cfr. art. 175);

iii) la stazione appaltante abbia violato, con riferimento al procedimento di aggiudicazione, il diritto dell'Unione europea come accertato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'art. 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Con riferimento a questa terza ipotesi (sub iii), mentre la disciplina sugli appalti di cui all'art. 108 – in linea con l'art. 73 della Direttiva 2014/24/UE – attribuisce rilevanza solo a una «grave violazione»; la disposizione qui in commento – in conformità alla corrispondente norma europea di cui all'art. 44 della Direttiva 2014/23/UE – fa generico riferimento a una «violazione» senza connotarla del carattere della gravità. Se, da un lato, tale circostanza non sembra assumere un particolare rilievo dal punto di vista pratico, in quanto costituendo la caducazione del rapporto concessorio una soluzione estrema non sembra si possa prescindere dal rapporto di congruenza tra gravità della violazione e gravità della misura rimediale adottata; dall'altro, la differenza potrebbe essere giustificata nell'ottica di assicurare un controllo più invasivo per le concessioni in ragione della loro generale lunga durata, come tale idonea a sottrarre per un periodo tendenzialmente maggiore (rispetto agli appalti) l'affidamento di determinate prestazioni alle dinamiche concorrenziali di mercato.

Queste tre ipotesi di scioglimento anticipato della concessione sono state ricondotte a «gravi vizi genetici» (De Nictolis, 2052). A ben vedere, se tale inquadramento può, senz'altro, essere considerato corretto per il caso di mancanza ab origine dei requisiti di ordine generale di cui all'art. 80 e per quello in cui l'affidamento abbia avuto luogo in violazione della disciplina europea in materia, non altrettanto sembrerebbe per l'ipotesi in cui sia intervenuta una modifica che ai sensi degli artt. 175 e 176 avrebbe giustificato una nuova procedura (Carullo, Iudica, 1298). In quest'ultimo caso, sembrerebbe maggiormente corretto parlare di una circostanza sopravvenuta (pur potendosi ipotizzare un vizio genetico riferito non alla concessione originaria ma con riguardo all'atto modificativo per la contrattualizzazione della variante). Ad ogni modo, la sussistenza dei presupposti indicati al comma 1 dell'art. 176, nell'ordinamento nazionale, giustifica l'autotutela c.d. pubblicistica nella forma dell'annullamento d'ufficio.

È questa infatti la qualificazione giuridica che, per espressa previsione normativa, viene attribuita alla fattispecie in esame (cfr. art. 176, commi 2 e 3), con l'espressa precisazione che non può trovare applicazione l'art. 21-nonies della l. n. 241/90.

Non coglie nel segno dunque la posizione che, al ricorrere delle suddette condizioni, contesti la scelta dell'ente concedente di seguire la via dell'autotutela in luogo di una azione di annullamento contrattuale ai sensi degli artt. 1427, 1439 e 1441 c.c., sostenendo che nella fase esecutiva del rapporto di concessione di un impianto sportivo l'amministrazione non avrebbe più titolarità di poteri pubblicistici. Difatti, il passaggio dalla fase procedimentale a quella negoziale non consuma tutti i «poteri» autoritativi della amministrazione che quindi potrà esercitarli, al ricorrere di determinati presupposti, in maniera complementare ai propri diritti (soggettivi e/o potestativi) di contraente (T.A.R. Piemonte, II, n. 263/2020).

Il dibattito sul punto è stato ampio e non può dirsi ancora sopito soprattutto dopo alcune novità introdotte, proprio in tema di concessioni, dal Codice del 2016.

In vigenza della precedente codificazione, la più autorevole giurisprudenza è giunta ad affermare che alcuni poteri (segnatamente quello di revoca) non possano più essere esercitati dalla amministrazione nei contratti pubblici di lavori, laddove la legge riconosca alla stessa altre forme di tutela di matrice privatistica (come, ad esempio, il diritto di recesso). È stato affermato che ogni qualvolta è previsto l'esercizio di un potere privatistico si esclude la titolarità di un potere pubblicistico, in considerazione dell'identità dei presupposti a cui tali poteri sono subordinati (Cons. St., Ad. plen., n. 14/2014).

Con il nuovo Codice, soprattutto dopo le modifiche introdotte dal primo decreto correttivo (d.lgs. n. 56/2017), il dibattito si è riacceso sia con riferimento agli appalti che con riferimento alle concessioni di lavori e servizi.

Con riguardo ai primi, si è giunti a riconoscere il divieto di annullamento o revoca in luogo dell'esercizio del diritto di recesso disciplinato all'art. 109, in continuità con quanto già statuito in vigenza della precedente disciplina. In compenso va riconosciuta la natura pubblicistica, a dispetto del nomen iuris, alle ipotesi di risoluzione contrattuale di cui all'art. 108, comma 1 lett. c) e d) (nonché, all'art. 176, comma 1, lett. a) e b)), che disciplinano la possibilità di cessazione del contratto ogni qualvolta si riscontri un difetto genetico dell'aggiudicazione: nella prima ipotesi, individuato nella ricorrenza al momento dell'aggiudicazione di uno dei motivi di esclusione di cui all'art. 80; e, nella seconda ipotesi, in presenza di grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati per cui il contratto non sarebbe dovuto essere aggiudicato (T.A.R. Campania (Napoli), I, n. 1261/2020).

La natura pubblicistica di tali fattispecie e il fatto che si sia in presenza di poteri di autotutela sono confermati dalla previsione del comma 2 dell'art. 176, che prevede che nelle «ipotesi di cui al comma 1 non si applicano i termini previsti dall'art. 21-nonies della l. 7 agosto 1990 n. 241», che vincolano il potere di auto – annullamento al termine massimo di diciotto mesi dall'adozione del provvedimento favorevole di aggiudicazione.

Tale deroga trova ragione nella considerazione per cui, nelle concessioni, la risoluzione per vizi genetici può avvenire anche a distanza di molto tempo da tale momento: è il caso, ad esempio, di una violazione del diritto europeo da parte della stazione appaltante, accertata dalla Corte di giustizia UE, il che implica un giudizio nazionale ed un rinvio pregiudiziale (Grossi, 2571).

Si è parlato quindi di nuove ipotesi di «risoluzione» pubblicistica di derivazione comunitaria per vizi originari dell'aggiudicazione, espressione dell'autotutela esercitata dalle stazioni appaltanti, che devono essere ricondotte al generale paradigma dell'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990. Vedi commento all'art. 108 per lo stato dell'accesso dibattito sulla natura delle risoluzioni di cui al primo comma dell'art. 108.

A conferma del fatto che residuino poteri di intervento autoritativo in capo all'ente concedente anche in corso di esecuzione del rapporto concessorio, è intervenuta anche recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che, sebbene chiamata a decidere in punto di giurisdizione, ha affermato che «[...] resta ferma, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo nei casi in cui l'amministrazione, sia pure successivamente all'aggiudicazione definitiva, intervenga con atti autoritativi incidenti direttamente sulla procedura di affidamento, mediante esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di eventuali altri poteri riconosciuti dalla legge, o comunque adotti atti autoritativi in un procedimento amministrativo disciplinato dalla l. n. 241 del 1990, oltre che nei casi tassativamente previsti – come quello di cui all'art. 133, comma 1, lett. e, n. 2, c.p.a.» (Cass. S.U., n. 32728/2018, indirizzo confermato in Cass. civ., n. 31027/2019).

Da quanto precede si dovrebbe ritenere che anche nel corso di esecuzione di una concessione di servizio l'ente concedente possa intervenire mediante atti autoritativi laddove, per ragioni di interesse pubblico, occorra incidere sul procedimento di affidamento per eliminare vizi di legittimità, anche successivamente riscontrati (T.A.R. Piemonte, II, n. 263/2020).

Quanto agli effetti, ex nunc o ex tunc, di tale particolare forma di risoluzione pubblicistica riconducibile al paradigma dell'annullamento d'ufficio, la disposizione in commento fornisce una risposta solo parziale.

Viene infatti previsto (comma 3) che, nel caso in cui l'annullamento d'ufficio dipenda da vizio non imputabile al concessionario, allo stesso spettano i ristori e gli indennizzi di cui all'art. 176, comma 4 (su cui infra, par. 3), con ciò lasciando dunque intendere l'operatività ex nunc della cessazione del rapporto concessorio al ricorrere delle ipotesi di cui all'art. 176, comma 1, lett. b) e c).

Non è invece del tutto chiaro se, per l'ipotesi di vizio genetico imputabile al concessionario (vale a dire quello previsto dall'art. 176, comma 1, lett. a), per mancanza in capo allo stesso dei requisiti di ordine generale al momento dell'aggiudicazione), gli effetti decorrano sempre ex nunc ovvero ex tunc. A prescindere da ciò, deve comunque ritenersi che in virtù del generale principio relativo al divieto di indebito arricchimento, spettino al concessionario quanto meno le spese per le prestazioni regolarmente eseguite sino al momento della risoluzione.

Risoluzione per inadempimento della stazione appaltante e revoca per motivi di pubblico interesse.

La disposizione in commento (comma 4) disciplina poi le conseguenze patrimoniali nel caso di risoluzione della concessione a seguito di inadempimento della stazione appaltante ovvero in caso di revoca per motivi di pubblico interesse. Essa trova anche applicazione per i casi di annullamento di ufficio qualora lo scioglimento della concessione non sia imputabile al concessionario (si ritiene, pertanto, che questa disposizione non possa essere applicata al caso in cui il concessionario fosse privo dei requisiti di cui all'art. 80).

La risoluzione per inadempimento dell'ente concedente dovrà essere accertata da un giudice o, ove possibile, da un arbitro e la previsione legale delle spettanze del concessionario rappresenta una limitazione forfettaria rispetto al risarcimento che potrebbe essere accertato in via giudiziale o mediante arbitrato (De Nictolis, 2054).

La revoca, essendo espressamente qualificata dall'art. 176 comma 4 in tali termini e agganciata a «motivi di pubblico interesse», appare riconducibile al generale paradigma normativo di cui all'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, fermo restando che, sul piano delle spettanze del concessionario, in luogo dell'indennizzo previsto dalla citata l. n. 241/1990, trova invece applicazione la disciplina dettata dall'art. 176, comma 4. Dal che discende che, mentre negli appalti la revoca è esercitabile solo nella fase pubblicistica antecedente alla stipula del contratto, essendo esperibile nella successiva fase privatistica il solo recesso (Cons. St., Ad. plen., n. 14/2014), nelle concessioni, la revoca pubblicistica risulta operante, per espressa previsione di norma, anche a seguito della stipula del contratto, in corso di esecuzione (De Nictolis, 2054).

Sul piano della quantificazione dei ristori e indennizzi spettanti al concessionario laddove la cessazione anticipata dipenda da causa a lui non imputabile (quali, per l'appunto, l'inadempienza dell'ente concedente ovvero la revoca per motivi di pubblico interesse), vengono forniti precisi parametri di definizione (comma 4).

Spettano infatti al concessionario le somme che di seguito si elencano:

a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;

b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione;

c) un indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno pari al 10% del valore delle opere ancora da eseguire ovvero, nel caso in cui l'opera abbia superato la fase di collaudo, del valore attuale della parte del servizio pari ai costi monetari della gestione operativa previsti nel piano economico finanziario allegato alla concessione.

Tali somme devono prioritariamente essere destinate a soddisfare i crediti dei finanziatori dell'operazione e dei titolari di titoli emessi dalla eventuale società di progetto di cui all'art. 185, limitatamente alle obbligazioni emesse successivamente alla data di entrata in vigore della disposizione in commento (comma 5).

La norma equipara, quindi i casi di scioglimento del vincolo contrattuale per fatto e colpa di un inadempimento del committente a quelli in cui, per motivi di pubblico interesse, sopravvenuti a seguito di circostanze nuove di fatto e di diritto, o a seguito di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, si debba, comunque, procedere all'annullamento in autotutela (Carullo, Iudica).

Sul piano dell'ambito soggettivo di applicazione della disposizione, la stessa fa riferimento esclusivo alle amministrazioni aggiudicatrici e non anche agli enti aggiudicatori. Si dovrebbe tuttavia ritenere che la predefinizione limitata e forfettaria dei rimborsi e indennizzi spettanti al concessionario operi anche con riferimento a questi ultimi, posto che il riferimento espresso solo alle prime dovrebbe essere riconducibile più a una «svista» nella tecnica redazionale legislativa, che a una scelta voluta. Il che trova conferma anche nel tenore letterale del successivo comma 6, il quale, nel dettare la disciplina sugli effetti temporali della revoca regolamentata al precedente comma 4, si riferisce anche agli enti aggiudicatori e non solo alle amministrazioni aggiudicatrici.

Nell'ottica di tutelare gli enti finanziatori, è precisato che l'efficacia della revoca della concessione sia subordinata alla condizione del pagamento da parte del concedente delle suddette somme (comma 6).

Si tratta di previsioni che ricalcano la disciplina già dettata dall'art. 158 dell'abrogato d.lgs. n. 163/2006, seppure in relazione alla sola finanza di progetto.

A queste si aggiunge, la particolare previsione secondo cui, «in tutti i casi di cessazione del rapporto concessorio diversi dalla risoluzione per inadempimento del concessionario», quest'ultimo ha il diritto di proseguire nella gestione ordinaria dell'opera, incassandone i ricavi da essa derivanti, sino all'effettivo pagamento delle somme ad esso spettanti a titolo di ristoro e indennizzo (comma 5-bis). Oltre alla gestione ordinaria e nell'ottica del miglior perseguimento degli interessi pubblici sottesi all'erogazione del servizio, sono comunque fatti salvi gli eventuali investimenti improcrastinabili individuati dal concedente unitamente alle modalità di finanziamento dei correlati costi.

Si tratta di una disposizione che, da un lato, mira a tutelare l'economia dell'ente concedente evitando un aggravio dei costi discendenti dalla cessazione anticipata del rapporto concessorio, ma dall'altro finisce nella sostanza per depotenziarne gli effetti temporali.

Risoluzione per inadempimento del concessionario

In aggiunta alle ipotesi appena esaminate (par. 3), come detto già contemplate dall'art. 158 del previgente codice, viene previsto che, nei casi di risoluzione della concessione inadempimento del concessionario, trovi applicazione il regime civilistico delineato dall'art. 1453 c.c. (comma 7).

Il rinvio alla disciplina civilistica deve quindi intendersi: i) sia con riguardo al procedimento per addivenire alla risoluzione, fatto salvo quanto previsto in tema di possibile subentro di altro concessionario indicato dagli enti finanziatori (infra, par. 5); ii) sia in relazione alla quantificazione del danno.

La valutazione della gravità dell'inadempimento deve esser svolta in modo complessivo, con ciò dovendosi esaminare non solo l'incidenza sull'equilibrio economico dei singoli inadempimenti, ma anche il peso che tali inadempimenti hanno avuto sullo svolgimento del servizio oggetto della concessione (Cons. St., V, n. 2391/2019).

Problemi attuali

Il subentro in caso di cessazione della concessione per cause imputabili al concessionario

Nell'ottica di garantire gli interessi economici degli enti finanziatori dell'operazione al fine di evitare che un eccessivo livello di rischio costituisca un limite all'operatività e all'utilizzo dello strumento concessorio, è prevista la possibilità di subentro di un nuovo contraente nelle ipotesi che comporterebbero «la risoluzione di una concessione per cause imputabili al concessionario» (comma 8).

In tal caso, la stazione appaltante comunica per iscritto al concessionario ed agli enti finanziatori l'intenzione di risolvere il rapporto.

Gli enti finanziatori, inclusi i titolari di obbligazioni e titoli analoghi, entro novanta giorni dal ricevimento della comunicazione, indicano un operatore economico, che subentri nella concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziare corrispondenti e analoghe a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione e stata affidata, con riguardo allo stato di avanzamento dell'oggetto della concessione alla data del subentro.

L'operatore economico subentrante deve assicurare la ripresa dell'esecuzione della concessione e l'esatto adempimento originariamente richiesto al concessionario sostituito entro il termine indicato dalla stazione appaltante. Il subentro dell'operatore economico ha effetto dal momento in cui la stazione appaltante vi presta consenso (comma 9).

Si tratta di una sorta di diritto al subentro riservato, nella sostanza, agli enti finanziatori che, peraltro, deve essere previsto e disciplinato espressamente anche negli atti di gara (comma 10).

Quanto all'ambito di applicazione dell'istituto, si dovrebbe ritenere che esso operi sia in caso di risoluzione civilistica per inadempimento del concessionario di cui al comma 7, che nelle ipotesi di risoluzione pubblicistica per vizi genetici di cui al comma 1, lett. a) (vale a dire per l'ipotesi in cui, al momento dell'aggiudicazione, fosse ipotizzabile in capo al concessionario uno dei motivi di esclusione di cui all'art. 80).

Depone in questo senso il tenore letterale della disposizione, che non si riferisce alla sola fattispecie di risoluzione per «inadempimento» del concessionario ma, più in generale, a qualsiasi risoluzione per cause ad esso imputabili.

Per analoghe ragioni, l'istituto appare applicabile anche nelle ipotesi di risoluzione di cui all'art. 108, comma 2, come detto (supra, par. 1) applicabile anche alle concessioni (De Nictolis, 2056).

Questioni applicative

1) È configurabile nelle concessioni la risoluzione per eccessiva onerosità?

Nel silenzio normativo, è un tema dibattuto: si confrontano la tesi privatistica, che conclude in senso positivo prendendo le mosse dalla natura contrattuale della concessione; e la soluzione opposta, che valorizza la specialità della disciplina esaustiva scolpita dall'art. 176.

Appare preferibile la prima posizione, anche alla luce della natura durevole e continuativa dei rapporti concessori e della riespansione della disciplina civilistica che caratterizza la fase di esecuzione del contratto. In presenza di prestazioni che si rivelino nel tempo eccessivamente onerose in ragione di eventi straordinari e non prevedibili, dovrebbe ritenersi applicabile la disciplina civilistica. In tale ipotesi, che risulta distinta dall'alea che caratterizza il rapporto concessorio, dovrebbe darsi la possibilità all'ente concedente di ricondurre ad equità il contratto per evitare la risoluzione ex art. 1476, comma 2, c.c..

Si tratta di un'ipotesi peculiare, in cui si verifica un intervento esterno che incide gravemente sul profilo economico delle prestazioni, sicché la stessa non rientra nel regime delle modifiche di cui all'art. 175 precedentemente esaminato (Perfetti, 1434).

Bibliografia

Carullo, Iudica, Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici, 2018, Milano; De Nictolis, I nuovi appalti pubblici, Torino, 2017; Garofoli, Ferrari, Codice dei contratti pubblici, Molfetta, 2017; Perfetti, Codice dei contratti pubblici commentato, Vicenza, 2017.

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