Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 208 - (Transazione) 1(Transazione)1 [1. Le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possono essere risolte mediante transazione nel rispetto del codice civile, solo ed esclusivamente nell'ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi all'azione giurisdizionale2. 2. Ove il valore dell'importo oggetto di concessione o rinuncia sia superiore a 100.000 euro, ovvero 200.000 euro in caso di lavori pubblici, è acquisito il parere dell'Avvocatura dello Stato, qualora si tratti di amministrazioni centrali, ovvero di un legale interno alla struttura, o del funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso, ove non esistente il legale interno, qualora si tratti di amministrazioni sub centrali3. 3. La proposta di transazione può essere formulata sia dal soggetto aggiudicatario che dal dirigente competente, sentito il responsabile unico del procedimento. 4. La transazione ha forma scritta a pena di nullità.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Comma modificato dall'articolo 122, comma 1, del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56. [3] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). InquadramentoLa transazione, come l'accordo bonario e il collegio consultivo tecnico, rappresenta uno strumento di deflazione del contenzioso, in quanto volta a risolvere in via stragiudiziale le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici. Il d.lgs. n. 50/2016 disciplina la transazione all'art. 208, ai sensi del quale «1) Le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possono essere risolte mediante transazione nel rispetto del codice civile, solo ed esclusivamente nell'ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi all'azione giurisdizionale. 2) Ove il valore dell'importo oggetto di concessione o rinuncia sia superiore a 100.000 Euro, ovvero 200.000 Euro in caso di lavori pubblici, è acquisito il parere in via legale dell'Avvocatura dello Stato, qualora si tratti di amministrazioni centrali, ovvero di un legale interno alla struttura, o del funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso, ove non esistente il legale interno, qualora si tratti di amministrazioni sub centrali. 3) La proposta di transazione può essere formulata sia dal soggetto aggiudicatario che dal dirigente competente, sentito il responsabile unico del procedimento. 4) La transazione ha forma scritta a pena di nullità». La transazione è uno strumento consensuale di risoluzione delle controversie tra le parti, come può evincersi dalla definizione generale dell'istituto contenuta nell'art. 1965 del c.c.. Tale disposizione stabilisce al comma 1 che «la transazione è il contratto con il quale le parti facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro». Il comma 2 della stessa disposizione aggiunge che «Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti». Dalla disposizione richiamata emerge dunque che la transazione è un contratto a prestazioni corrispettive e a titolo oneroso; le reciproche concessioni tra le parti costituiscono il tratto essenziale del contratto, unitamente alla sussistenza di una lite attuale o potenziale dall'esito incerto e alla necessità che la stessa abbia ad oggetto diritti disponibili delle parti. Le concessioni possono mantenere l'assetto originario del rapporto contrattuale (c.d. transazione conservativa) o modificarlo, dando vita ad un nuovo rapporto che sostituisce il precedente (c.d. transazione novativa). Con la previsione di tale istituto nell'ambito della disciplina in tema di contratti pubblici, il legislatore ha voluto introdurre uno strumento agile di risoluzione delle controversie sorte in fase di esecuzione del contratto. L'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, infatti, secondo le indicazioni contenute nella Relazione illustrativa del Codice, è stato dettato «in aderenza al criterio di delega di cui all'art. 1, comma 1, lett. aaa), della l. 28 gennaio 2016 n. 11, [e] dispone che le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possano essere risolte mediante transazione, nel rispetto del codice civile, solo ed esclusivamente nell'ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi». Il predetto criterio di delega ha previsto (tra l'altro) la «razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto, disciplinando il ricorso alle procedure arbitrali al fine di escludere il ricorso a procedure diverse da quelle amministrate, garantire la trasparenza, la celerità e l'economicità e assicurare il possesso dei requisiti di integrità, imparzialità e responsabilità degli arbitri e degli eventuali ausiliari (...)». L'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, nella versione attualmente in vigore, è frutto delle modifiche apportate, al comma 1, dal d.lgs. n. 56/2017 e, al comma 2, dal Comunicato del 15 luglio 2016. La possibilità di ricorrere alla transazione nell'ambito dei contratti pubblici era già prevista, con disposizione analoga, dal previgente d.lgs. n. 163/2006, all'art. 239. Tuttavia, come ampiamente sottolineato dalla dottrina, mentre ai sensi di tale ultima disposizione, la transazione era liberamente esperibile (il comma 1 dell'art. 239 ammetteva, infatti, il ricorso all'istituto de quo, anche al di fuori dei casi in cui è previsto il procedimento di accordo bonario), nell'attuale disciplina, dettata dal citato art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, la transazione rappresenta un rimedio attivabile in via residuale, come deriva dalle disposizioni del comma 1 a tenore delle quali è possibile ricorrervi «solo ed esclusivamente nell'ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi all'azione giurisdizionale». Indicativa al riguardo appare anche la collocazione della disposizione in esame, dopo la disciplina dell'accordo bonario e del collegio consultivo tecnico (artt. 205, 206 e 207 del Codice), che sembra confermare la scelta del legislatore di prevedere tale rimedio come residuale rispetto agli altri sopra citati. Anche la Relazione illustrativa del d.lgs. n. 50/2016, come evidenziato, chiarisce che la transazione può essere conclusa solo nell'ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi. Nel nuovo Codice, pertanto, la portata residuale dell'istituto, è meglio definita rispetto al previgente art. 239 del d.lgs. n. 163/2006 Come sottolineato dall'ANAC, l'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016 rappresenta una norma di chiusura, che consente di transigere le liti senza formalità, salva la necessità del parere legale dell'organo competente, secondo l'importo previsto nella norma (ANAC, Deliberazione n. 143 del 25 novembre 2015). Si tratta quindi di uno strumento alternativo all'accordo bonario e al ricorso al collegio consultivo tecnico, in tutte le ipotesi in cui tali strumenti non possano avere luogo. La stessa ANAC ha anche chiarito la differenza intercorrente tra la transazione (art. 208) e l'accordo bonario (art. 205-206) affermando (ancorché in relazione alle previsioni del d.lgs. n. 163/2006 ma con considerazioni utili anche in relazione all'assetto normativo in vigore) che la transazione è un istituto mutuato dal codice civile (art. 1965, comma 1) ed è espressione dell'autonomia negoziale della Pubblica Amministrazione, esercitata nel rispetto dello statuto dell'attività contrattuale della stessa, dato non soltanto dal diritto comune ma anche dal diritto speciale che costituisce il risultato del processo normativo di adattamento della disciplina generale del codice civile alle tipiche esigenze afferenti all'azione amministrativa permeata dall'interesse pubblico (ANAC delibera n. 593 del 15 luglio 2020, citando anche il parere dell'Avvocatura dello Stato 7 agosto 2014-410698, al 19442/14, in rassegna n. 3/2014). L'accordo bonario, viceversa, costituisce il risultato di un procedimento normativamente tipizzato ad iniziativa dell'appaltatore che, in quanto titolare di una posizione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento, vincola la committenza pubblica ad attivarsi per promuovere le procedure tutte per addivenire all'eventuale accordo bonario, senza possibilità quindi di sottrarsi alla compulsazione dell'appaltatore medesimo. Ne consegue che quando le riserve iscritte dall'appaltatore raggiungono il valore indicato dal Codice, la committenza è vincolata ad attivarsi per promuovere le procedure per addivenire all'eventuale accordo bonario, senza possibilità quindi di sottrarsi alla compulsazione dell'appaltatore medesimo (delibera n. 593/2020 cit.). Dunque, mentre la transazione è strumento facoltativo di risoluzione delle controversie insorte in relazione all'esecuzione dei contratti pubblici, l'accordo bonario è necessariamente instaurato al verificarsi dei presupposti indicati dalle disposizioni di riferimento. ProcedimentoCon riferimento al procedimento di conclusione della transazione nel settore dei contratti pubblici, la disciplina dettata dall'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016 non apporta significative modifiche rispetto a quanto previsto dal previgente art. 239 del d.lgs. n. 163/2006. Il comma 2 dell'art. 208 citato, prevede infatti che ai fini della percorribilità della transazione in relazione alla singola controversia, ove il valore dell'importo oggetto di concessione o rinuncia sia superiore a 100.000 Euro, ovvero 200.000 Euro in caso di lavori pubblici, è necessaria per l'amministrazione interessata, la previa acquisizione del parere dell'Avvocatura dello Stato per le amministrazioni centrali, ovvero di un legale interno alla struttura, o del funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso, ove non esistente il legale interno, per le amministrazioni sub centrali. La necessità del previo parere legale per il ricorso alla transazione era prevista anche nel previgente d.lgs. n. 163/2006, ancorché in tale assetto normativo lo stesso era richiesto se «l'importo di ciò che detti soggetti concedono o rinunciano in sede di transazione eccede la somma di 100.000 Euro» (art. 239); non si prevedeva pertanto un diverso valore per i lavori pubblici. L'art. 208 specifica inoltre, al comma 3, che la proposta di transazione può essere formulata sia dal soggetto aggiudicatario che dal dirigente competente, sentito il responsabile unico del procedimento e conferma, al comma 4, quanto già previsto nel previgente art. 239 del d.lgs.163/2006, in relazione alla necessaria forma scritta della transazione a pena di nullità. Al riguardo la disposizione è stata adeguata al parere del Consiglio di Stato n. 855/2016 reso sullo schema del Codice dei contratti pubblici, che inizialmente non prevedeva la forma scritta della transazione a pena di nullità. Nel predetto parere, infatti, è stato sottolineato che «Non è più prevista la forma scritta a pena di nullità (comma 4 del citato art. 239), che invece sarebbe opportuno mantenere, quanto meno per le amministrazioni aggiudicatrici, per l'esigenza di rispetto dei principi generali di diritto amministrativo sulla forma dei contratti della pubblica amministrazione». Nell'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016 è stata quindi confermata la nullità della transazione in caso di mancanza della forma scritta. La forma scritta e l'acquisizione preventiva del parere legale sulla transazione, rispondono all'esigenza di garantire lo svolgimento dell'azione amministrativa in tale ambito, secondo i canoni di imparzialità e buon andamento, in coerenza con i principi sanciti dall'art. 97 Cost. La dottrina ha sottolineato al riguardo la natura obbligatoria ma non vincolante del parere. Pertanto, per discostarsi dalle valutazioni contenute nello stesso, è necessaria, da parte dell'amministrazione, una adeguata motivazione. Il parere legale rappresenta quindi uno degli elementi essenziali dell'istruttoria che conduce alla sottoscrizione dell'accordo transattivo, dovendo indicare i rischi connessi al contenzioso in essere o potenziale, la natura delle questioni giuridiche controverse, la sussistenza dei presupposti per la sottoscrizione della transazione. Discende da quanto sopra che la proposta di transazione da parte della stazione appaltante, o l'adesione alla proposta transattiva formulata dal soggetto aggiudicatario, in relazione ad un contratto pubblico, implica il dovere dell'amministrazione di esplicitare le ragioni di interesse pubblico che conducono alla conclusione dell'accordo transattivo. Tra i principali elementi che contraddistinguono la transazione in ambito pubblicistico da quella in ambito civilistico, infatti, va certamente annoverato l'obbligo di fondare la scelta transattiva su una congrua e adeguata motivazione, dalla quale emergano con chiarezza e trasparenza le ragioni di convenienza dell'accordo. Più in dettaglio, la percorribilità di tale accordo, deve essere attentamente valutata sia in relazione all'equilibrio tra le reciproche concessioni tra le parti, sia in relazione all'opportunità di una definizione stragiudiziale della controversia rispetto all'alternativa di una definizione in sede giurisdizionale o arbitrale (delibera ANAC n. 308 del 13 settembre 2001). La giurisprudenza ha sottolineato al riguardo che la scelta di un ente pubblico di addivenire ad una transazione deve essere riconducibile ai canoni di razionalità, convenienza, logica e correttezza gestionale, avendo sempre riguardo ad una imprescindibile valutazione della cura concreta di interessi pubblici. Pertanto, i negozi giuridici conclusi con i privati non possono condizionare l'esercizio del potere dell'Amministrazione pubblica sia rispetto alla miglior cura dell'interesse concreto della comunità amministrata, sia rispetto alla tutela delle posizioni soggettive di terzi, secondo il principio di imparzialità dell'azione amministrativa (Corte dei Conti, sez. regionale di controllo per la Lombardia n. 108/2018PAR e n. 65/2020/PAR). La scelta se proseguire un giudizio o addivenire ad una transazione e la concreta delimitazione dell'oggetto della stessa, spetta all'Amministrazione nell'ambito dello svolgimento della ordinaria attività amministrativa e come tutte le scelte discrezionali non è soggetta a sindacato giurisdizionale, se non nei limiti della rispondenza delle stesse a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento, ai quali deve ispirarsi l'azione amministrativa. La stessa giurisprudenza ha chiarito al riguardo che se a transigere è un soggetto pubblico i parametri valutativi sono decisamente più ristretti e maggiormente, se non quasi esclusivamente, ancorati a risparmi di spesa (sia gestionali che per contenziosi), a tutela delle casse pubbliche e della collettività che vi contribuisce finanziariamente. Un ente pubblico non gode dunque di un arbitrio transattivo, riconoscibile ad un privato, ma deve sempre avere come parametro l'equilibrio di bilancio che impone una attenta e oculata valutazione della transazione. Ciò in considerazione nel necessario rispetto di regole che si pongono a presidio di garanzie costituzionali di buon andamento e di integrità delle finanze pubbliche che esprimono tutela finale dei diritti dei contribuenti e dei cittadini tutti (art. 97 Cost.) (C. conti, sez. giurisd. Lombardia, n. 196/2019 e n. 65/2020/PAR). L'amministrazione competente è dunque chiamata ad una attenta valutazione dell'accordo transattivo, dovendo altresì adeguatamente motivare in ordine alle ragioni di convenienza e opportunità della transazione, rispetto agli interessi pubblici perseguiti mediante la sua stipula. Oggetto e limiti della transazioneL'oggetto della transazione, come può evincersi dall'art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, è rappresentato dalle controversie relative ai diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Il ricorso a tale istituto è quindi escluso con riguardo alla fase dell'evidenza pubblica, nella quale non vengono in rilievo posizioni di diritto soggettivo ma di interesse legittimo. L'ambito oggettivo di applicazione della norma è comunque molto ampio e ricomprende tutte le vicende relative alla posizione giuridica soggettiva dell'esecutore e alla dinamica del rapporto contrattuale. Invero, nella materia dei contratti pubblici, già in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 163/2006, il ricorso alla transazione è stato un argomento ampiamente dibattuto, con particolare riferimento all'oggetto e ai limiti della stessa. Sull'argomento è intervenuta l'ANAC con diverse pronunce, volte a chiarire le condizioni di applicabilità dell'istituto in tale ambito (Parere AG40 del 26 settembre 2013, deliberazioni n. 103 del 5 dicembre 2012, n. 56 del 3 dicembre 2008, n. 10 del 19 marzo 2008, n. 308 del 13 novembre 2001). In particolare, l'Autorità ha chiarito che nel settore dei contratti pubblici la transazione è valida solo se ha ad oggetto diritti disponibili (art. 1965, comma 2, c.c.) e cioè quando le parti hanno il potere di estinguere il diritto in forma negoziale (ANAC Parere AG40/2013 cit.). È nulla, quindi, la transazione nel caso in cui i diritti che formano oggetto della lite sono sottratti alla disponibilità delle parti per loro natura o per espressa disposizione di legge (art. 1966, comma 2 cc); pertanto, la transazione non consente di derogare alle disposizioni cogenti fissate dal Codice dei contratti pubblici (Cons. St., V, n. 445/2010). Ciò in quanto la soluzione concordata si inserisce «nell'esercizio di un potere pubblicistico che non può sottrarsi al quadro delle regole proprie della spendita di detto potere e perciò oggetto di negoziazione e di formalizzazione nel successivo provvedimento non può essere una illimitata gamma di scelte discrezionali da parte dell'amministrazione, ma solo l'individuazione di una fra più soluzioni comunque idonee ad azionare il soddisfacimento dell'interesse pubblico» (deliberazione C.conti, sez. reg. di controllo per la Lombardia 26/2008/PAR). Quanto all'oggetto della transazione nell'ambito dei contratti pubblici, è stato chiarito che l'amministrazione può addivenire ad una transazione con l'appaltatore per dirimere controversie insorte in sede di esecuzione del contratto, fermo restando che la particolare natura giuridica del rapporto instaurato tra le parti, sorto a seguito di procedura di scelta del contraente soggetta al regime pubblicistico, impone precisi limiti alla possibilità di modificare il contenuto delle rispettive prestazioni. La stazione appaltante, pertanto, può concludere una transazione con l'appaltatore per dirimere controversie insorte in sede di esecuzione di un contratto pubblico, ma in tale materia deve ritenersi praticabile esclusivamente la transazione c.d. «semplice», ossia semplicemente modificativa della situazione giuridica dedotta in lite, mentre deve escludersi l'ammissibilità di una transazione «novativa», intesa come accordo mediante il quale si instaura con l'appaltatore un nuovo e diverso rapporto contrattuale, per soddisfare un interesse diverso da quello dedotto nel contratto originario concluso a seguito di una procedura ad evidenza pubblica (ANAC Delibere n. 145/2015, n. 56/2008, n. 10/2008, n. 103/2012, n. 308/2001 e parere AG40 del 26/9/2013). La transazione novativa, infatti quale accordo finalizzato a sostituire una precedente pattuizione tra le parti, non è ammissibile nel settore dei contratti pubblici, nel quale vige il generale divieto di rinegoziazione dei termini stabiliti nella lex specialis di gara, tanto che mediante tale istituto si perverrebbe ad una nuova aggiudicazione (Cons. St., V, n. 6281/2002 e n. 126/2006; Corte giustizia UE causa C-337/98). Pertanto, dalla stipula di una transazione non può mai derivare un nuovo affidamento senza gara di un servizio, lavoro o fornitura, essendo indiscutibile che la transazione deve svolgersi in relazione a diritti disponibili delle parti e non consente di derogare alle disposizioni cogenti fissate dal codice dei contratti (Cons. St. V n. 445/2012; Cons St. VI n. 1778/2015). Consegue da quanto sopra che nell'ambito dei contratti pubblici, è possibile ricorrere alla transazione esclusivamente se la stessa non modifica, negli elementi essenziali, il rapporto contrattuale, che deve quindi mantenere la sua struttura originale. Non è dunque applicabile alla materia dei contratti pubblici una transazione che porti alla realizzazione di un'opera o servizio totalmente diversi da quelli oggetto di aggiudicazione, cosicché la disciplina di detto rapporto non è più rinvenibile nell'originario contratto di appalto, bensì nel successivo negozio giuridico (ANAC delibera n. 308/2001 cit.). Il carattere imperativo ed indisponibile dei sistemi di affidamento degli appalti pubblici preclude quindi la conclusione di accordi transattivi che, alterando l'assetto negoziale definito con l'aggiudicazione, si ponga come fonte nuova del rapporto e si atteggi come un diverso titolo dell'affidamento dell'appalto, in violazione delle disposizioni inderogabili che regolano la scelta del contraente e la definizione del contenuto del contratto. Ciò è stato chiarito anche dalla giurisprudenza comunitaria, secondo la quale «il principio di parità di trattamento e l'obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l'aggiudicazione di un appalto pubblico, l'amministrazione aggiudicatrice e l'aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell'appalto iniziale. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere l'appalto, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l'equilibrio economico contrattuale in favore dell'aggiudicatario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l'aggiudicazione dell'appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un'altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi» (Corte di Giustizia CE sentenza del 19 giugno 2008 causa, C454/06). Sulla base di tali considerazioni il giudice comunitario ha quindi osservato che «dopo l'aggiudicazione di un appalto pubblico, a tale appalto non può essere apportata una modifica sostanziale senza l'avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, anche qualora tale modifica costituisca, obiettivamente, una modalità di composizione transattiva, comportante rinunce reciproche per entrambe le parti, allo scopo di porre fine a una controversia, dall'esito incerto, sorta a causa delle difficoltà incontrate nell'esecuzione di tale appalto. La situazione sarebbe diversa soltanto nel caso in cui i documenti relativi a detto appalto prevedessero la facoltà di adeguare talune sue condizioni, anche importanti, dopo la sua aggiudicazione e fissassero le modalità di applicazione di tale facoltà» (Corte giustizia CE, 7 settembre 2016, causa C-549/14). Conclusivamente, in ambito pubblicistico, i limiti del ricorso all'istituto in esame consistono nel divieto di stipulare la transazione c.d. novativa, intesa come accordo mediante il quale si instaura con l'appaltatore un nuovo e diverso rapporto contrattuale, rispetto a quello definito in sede di aggiudicazione (ANAC, parere sulla normativa AG40 del 26/9/2013 cit.). Pertanto, è possibile ricorrervi solo nella misura in cui il rapporto contrattuale, pur modificato o integrato a seguito delle reciproche concessioni, mantenga la sua struttura originale, e cioè sia tale da non prevedere prestazioni nuove e diverse rispetto a quelle originariamente pattuite. La possibilità di ricorrere alla transazione nell'ambito degli appalti pubblici, incontra dunque dei limiti quanto ad oggetto e finalità, anche in coerenza con le disposizioni del Codice dei contratti pubblici, che non ammettono forme di rinegoziazione dei termini stabiliti nella lex specialis di gara. 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