Violazione da parte del conduttore del divieto contrattuale di sublocazione ad uso non abitativo1. Bussole di inquadramentoAspetti generali sulla sublocazione L' art. 1594, comma 1, c.c. , prevede che il conduttore, salvo patto contrario, ha la facoltà di sublocare la cosa locatagli, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore. Dunque, la sublocazione è una nuova locazione, contratta dal conduttore con il terzo, il quale, è chiamato a godere per un tempo determinato, e mediante corrispettivo, tutta o parte della cosa che il conduttore originario ha in locazione. La nuova locazione è distinta dalla precedente, ma da questa dipende nel senso che, il conduttore originario non può trasferire diritti maggiori di quelli nascenti dal primo contratto. Si ha, invece, cessione, quando il conduttore cede il suo diritto di godimento, sostituendo altri a sé, nei rapporti derivanti dal contratto di locazione. Al riguardo, va osservato che a differenza della locazione (e della cessione del contratto), il nostro ordinamento non conosce una definizione legislativa della sublocazione, ragione per cui il suo significato e valore vanno desunti direttamente dalla realtà di una prassi negoziale, che affonda anch'essa le proprie radici in una antichissima tradizione storica. Si tratta di un'ipotesi particolare di subcontratto, in virtù del quale, il conduttore si impegna a sua volta ad assicurare ad altri, in tutto od in parte, il godimento diretto della cosa locatagli, in cambio di un corrispettivo. Viene così attribuito al subconduttore, e cioè ad un soggetto che risulta del tutto estraneo al rapporto locatizio, un diritto, il cui contenuto corrisponde perfettamente a quello del diritto attribuito al conduttore (a parte ovviamente il profilo quantitativo nell' ipotesi di sublocazione parziale), ferma restando la permanenza in capo a quest'ultimo, della titolarità dei diritti ed obblighi derivanti dal contratto stipulato con il locatore. La sublocazione, è, dunque, quel contratto in virtù del quale, un soggetto (sublocatore) trasmette il godimento del bene, a lui locato, ad un terzo (subconduttore), verso un corrispettivo. La subconduzione comporta la nascita di un rapporto obbligatorio derivato, la cui sorte, dipende da quella del rapporto principale di conduzione. In definitiva, si costituisce un nuovo vincolo contrattuale, collegato, come si evince dal successivo art. 1595 c.c., al primo, in virtù del quale, un soggetto terzo, senza sostituirsi ad alcuna delle parti nella titolarità del rapporto originario, acquista direttamente dal conduttore (che assume, quindi, il ruolo di sublocatore) la facoltà di godere, totalmente od anche solo in parte, del bene. Sublocazione nel contratto ad uso non abitativo Gli istituti della sublocazione e della cessione del contratto, come disciplinati dall' art. 1594 c.c. , trovano applicazione limitatamente ai casi di locazioni disciplinate dal codice civile, giacché, per quanto attiene alle locazioni ad uso abitativo (attualmente ricadenti sotto l'àmbito di operatività della l. n. 431/1998) nonché a quelle ad uso diverso (ancora rientranti nell'orbita della c.d. legge sull'equo canone), trovano applicazione, rispettivamente gli artt. 2 e 36 della l. n. 392/1978. Ebbene, in materia di locazione ad uso diverso, secondo il fermo insegnamento della giurisprudenza, la facoltà di cessione e sublocazione del contratto di locazione, sancita dall'art. 36, non può essere oggetto di esclusione pattizia. Invero, l'art. 36, che consente la sublocazione o la cessione del contratto di locazione di un'immobile adibito all'esercizio di attività commerciale “anche senza il consenso del locatore”, va inteso nel senso che, la sublocazione dell'immobile o la cessione della locazione è sempre permessa, anche nei casi in cui manchi tale consenso, compreso, quindi, quello in cui il consenso stesso risulti escluso da un'apposito patto contrattuale, contenente il divieto di sublocare l'immobile, o di cedere il contratto (Cass. III, n. 4802/2000; Cass. III, n. 1943/1988; Cass. III, n. 623/1983). A sostegno della soluzione che ammette sublocazione e cessione anche in presenza di un patto di esclusione, si è evidenziato che una diversa conclusione non potrebbe essere fondata sul carattere eccezionale della disposizione, posto che nella fattispecie, non viene in discorso l'analogia, ma l'interpretazione estensiva, volta a rendere esplicito ciò che per la norma è implicito. D'altronde, si è aggiunto, se così non fosse, la clausola volta a stabilire la necessità del preventivo consenso diverrebbe una clausola di stile, inserita in ogni contratto, che eliminerebbe, di fatto, la specialità propria dell'istituto. La Suprema Corte ha, però, ritenuto valida la clausola che conferisce al locatore il diritto di prelazione, in caso di cessione o di affitto d'azienda (Cass. III, n. 14495/2004). Al pari del divieto, neppure rileva il consenso preventivo manifestato dal locatore alla cessione e sublocazione. Tuttavia, in presenza di una simile ipotesi, il locatore ceduto non può avvalersi della facoltà, normativamente contemplata, di opposizione alla cessione per gravi motivi, salvo che essi non siano sopravvenuti. In conclusione, anche senza il consenso del locatore, al conduttore è consentito sublocare l'immobile, o cedere la locazione a terzi (insieme alla cessione o locazione di azienda), sussistendo unicamente a suo carico l'obbligo di darne preventivo avviso al proprietario, tramite lettera raccomandata, almeno sei mesi prima. Quest'ultimo, potrà opporsi soltanto per gravi motivi, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, da inviare entro 30 giorni dalla comunicazione di sublocazione o cessione, e nell'ipotesi di subconduttore inadempiente, potrà esercitare le sue pretese nei confronti del locatario originario (art. 36 l. n. 392/1978). Infine, in caso di morte del conduttore, subentreranno coloro che per successione, o per precedente rapporto, risultante da data certa anteriore all'apertura della successione, hanno diritto a continuare l'attività. In caso di separazione legale o consensuale, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il contratto si trasferisce al coniuge, anche se non conduttore, che continui nell'immobile la stessa attività, fino a quel momento esercitata, prima della separazione o divorzio (art. 37 l. n. 392/1978). Sublocazione totale e parziale La sublocazione può essere totale o parziale: essa è parziale quando, oltre all'ipotesi in cui sia trasferito il godimento solo di una parte del bene locato, a) si ceda, dietro corrispettivo, ad un terzo, il diritto di godere dell'immobile insieme al conduttore, oppure, b) si stabilisca un'alternanza tra conduttore e terzo nel godimento dell'immobile, secondo una scansione temporale. Così, sono stati ricondotti alla sublocazione parziale, il contratto con cui il conduttore, consente ad un terzo di godere dell'intero immobile, unitamente a sé (Cass. III, n. 969/1954) oppure quello con cui è consentito al terzo di goderne per determinate ore e giorni (Cass. III, n. 1490/1949). Rapporti tra il locatore e il subconduttore In base all' art. 1595 c.c. , il locatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore, ha, dunque, un'azione diretta contro il subconduttore, per esigere il prezzo della sublocazione, di cui questi sia ancora debitore al momento della domanda giudiziale, e costringerlo ad adempiere tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione. Il legislatore ha dunque previsto per la sublocazione, una disciplina che, coinvolgendo il terzo, per quanto di ragione, nel rapporto obbligatorio principale, dispone una disciplina eccezionale rispetto all'autonomia del subcontratto rispetto al contratto base, derogando al principio di relatività degli effetti del contratto (art. 1372 c.c.). Quanto alla natura dell'azione, con l'accezione “azione diretta”, si intende quell'azione con la quale, un creditore può agire direttamente contro un terzo, con il quale, non ha alcun rapporto giuridico, per vantare un credito verso un suo debitore, che risulta essere a sua volta creditore del terzo. Quanto, poi, all'oggetto dell'azione diretta, nel silenzio della norma, si è anzitutto posta la questione circa la possibilità, per il locatore, di agire per il risarcimento del danno nei confronti del subconduttore, qualora lo stesso non adempia la sua obbligazione di rilasciare l'immobile alla scadenza del contratto, ovvero in caso di ritardata consegna. Al riguardo, si va osservato come la restituzione del bene al locatore, discenda dal contratto di locazione, e non da quello di sublocazione, con la conseguenza che il locatore dovrà necessariamente agire contro il conduttore, al fine di precostituirsi un titolo esecutivo da fare valere contro il subconduttore, ai sensi del comma 3 dell'art. 1595 c.c. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
In caso di violazione da parte del conduttore del divieto contrattuale di sublocazione ad uso non abitativo, il locatore può chiedere giudizialmente la risoluzione del contratto e la restituzione dell'immobile?
Il conduttore può, salvo patto contrario, sublocare la cosa locatagli a prescindere dal consenso del locatore, anche se trattasi di un'immobile destinato all'esercizio di un'impresa In relazione alle locazioni di immobili urbani adibiti a uso non abitativo, l' art. 36 della l. n. 392/1978 , non ha mutato la disciplina della sublocazione di cui all'art. 1594 c.c., con la conseguenza che il conduttore può, salvo patto contrario, sublocare la cosa locatagli, a prescindere dal consenso del locatore, anche quando, trattandosi di immobile destinato all'esercizio di un'impresa, alla sublocazione non si accompagni la cessione o la locazione dell'azienda. Per effetto dell'art. 36 citato, c'è la possibilità per il conduttore, di sublocare l'immobile, anche in presenza di un patto che escluda tale facoltà, qualora sia insieme ceduta o locata l'azienda (Cass. III, n. 1966/2000; Cass. III, n. 8844/1995). Dunque, è legittima la sublocazione dell'immobile adibito ad uso diverso da abitazione, quando venga insieme ceduta (anziché locata) l'azienda, in considerazione sia della formulazione dell'art. 36 della l. n. 392/1978, in cui l'affitto o la cessione dell'azienda non sono indicati in una posizione di necessaria corrispondenza, rispettivamente con le ipotesi della sublocazione o della cessione del contratto di locazione, che della ratio legis, la quale, consiste nell'agevolare il trasferimento delle aziende esercenti la loro attività in immobili condotti in locazione dall'imprenditore, e di tutelare l'avviamento commerciale (Cass. III, n. 685/2010). La violazione del divieto pattizio di sublocazione dell'immobile locato ad uso non abitativo consente la risoluzione del contratto In tema di locazione, in difetto di una valutazione legale tipica della gravità dell'inadempimento, la violazione del divieto pattizio di sublocazione, di cui all' art. 1594, comma 1, c.c. , o di cessione in uso dell'immobile locato ad uso non abitativo, in tanto consente la pronuncia di risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1453 c.c., in quanto l'inadempimento integrato dalla violazione del patto, non abbia, secondo quanto richiesto dalla norma di generale applicazione, posta dall'art. 1455 c.c., scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra parte, da apprezzarsi dal giudice, in base alle circostanze del caso (Cass. III, n. 15763/2000; Cass. III, n. 16111/2010). Ne consegue che, il giudice di merito, chiamato a dichiarare la risoluzione del contratto di locazione di un'immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo, per l'inadempimento consistente nell'avvenuta sublocazione dello stesso, non può limitarsi a ritenere che la sublocazione realizzi, di per sé, un'inadempimento, bensì, accertato che tra le parti, è stato pattuito un divieto di sublocazione, deve verificare la sussistenza di un'inadempimento idoneo a provocare la risoluzione del contratto, per valutare se l'inadempimento in concreto accertato, anche alla luce delle modalità e circostanze del concreto svolgimento del rapporto, comporti una notevole alterazione dell'equilibrio e della complessiva economia del contratto (Cass. III, n. 17348/2011). La mancata comunicazione della sublocazione, o della cessione del contratto, nel caso di immobile destinato ad uso diverso da quello abitativo, rende solo inopponibile l'avvenuta sublocazione, o la cessione al locatore, il quale, peraltro, non può considerare di per sé inadempiente il conduttore, ma solo notificargli la sua opposizione, specificando altresì i gravi motivi che la giustificano, all'accertamento della sussistenza dei quali, resta subordinata la risoluzione del contratto di locazione (Cass. III, n. 10124/2000). Effetti della risoluzione del contratto di locazione nei confronti del subconduttore L' art. 1595, comma 3, c.c. , che permette l'esplicazione degli effetti della risoluzione del contratto di locazione, anche nei confronti del subconduttore, opera indipendentemente dal fatto che, la durata del contratto di sublocazione sia stata programmata dalle parti (o prorogata per legge), in modo da durare oltre la data di cessazione del contratto di locazione (Cass. III, n. 8115/2020). Pertanto, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto, e la condanna al rilascio del bene, nei confronti del conduttore, anche nel caso in cui, al momento della proposizione della domanda, detto bene sia detenuto da un terzo, immessovi dallo stesso conduttore, perché la sentenza di condanna al rilascio, ha effetto anche nei confronti del terzo, il cui titolo presuppone quello del conduttore. D'altro canto, il terzo detentore dell'immobile, per il quale, il locatore ha ottenuto, nei confronti del conduttore, una sentenza di condanna al rilascio, può opporsi o all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., se sostiene di detenere l'immobile in virtù di un titolo autonomo, e perciò, non pregiudicato da detta sentenza, oppure ai sensi dell'art. 404, comma 2, c.p.c., se invece sostiene la derivazione del suo titolo da quello del conduttore, ed essere la sentenza frutto di collusione tra questi ed il locatore, in suo danno (Cass. III, n. 9964/2006). Inoltre, è irrilevante che la parte istante non abbia notificato il titolo di sfratto al terzo detentore, e che costui si trovi a conoscere dell'intrapresa esecuzione solo nel momento dell'accesso dell'ufficiale giudiziario, potendo comunque il terzo, contro il quale, l'esecuzione di fatto si svolge, proporre opposizione all'esecuzione, provando di detenere l'immobile in base ad un titolo autonomo e prevalente rispetto a quello in virtù del quale, è stata pronunciata la sentenza di rilascio posta in esecuzione (Cass. III, n. 9024/2005). In definitiva, la subconduzione comporta la nascita di un rapporto obbligatorio derivato, la cui sorte dipende da quella del rapporto principale di conduzione. A questo principio si ispira l'art. 1595, comma 3, c.c., a termine del quale, la sentenza pronunciata per qualsiasi ragione – nullità, risoluzione, scadenza del termine della locazione, rinuncia del conduttore sublocatore al contratto in corso, ecc. – nei confronti del conduttore esplica nei confronti del subconduttore, ancorché rimasto estraneo al giudizio, e, quindi, non menzionato nel titolo esecutivo, non solo gli effetti della cosa giudicata sostanziale, ma anche l'efficacia del titolo esecutivo per il rilascio (Cass. III, n. 11324/1998; Cass. III, n. 5053/1994). Il subconduttore, peraltro, non potendo vantare diritti di sorta nei confronti del locatore principale, ed avendo un semplice interesse alla continuazione del rapporto locatizio fondamentale, può spiegare nella causa per finita locazione, tra proprietario e conduttore originario, soltanto un intervento adesivo semplice o dipendente, non essendo titolare del diritto di impugnare in via autonoma la sentenza sfavorevole alla parte adiuvata, potendo quindi solo aderire all'impugnazione proposta da quest'ultima (Trib. Cremona 7 febbraio 2019, n. 99). 3. Azioni processualiTutela stragiudiziale Il locatore, a seguito della violazione da parte del conduttore del divieto contrattuale di sublocazione, dell'immobile ad uso non abitativo, lo invita ad addivenire alla risoluzione consensuale del rapporto, con la restituzione del cespite, in modo da evitare il successivo ricorso al giudice. Funzione e natura del giudizio È un ordinario giudizio di cognizione, con il quale, il locatore agisce in giudizio per conseguire nei confronti del conduttore la risoluzione del contratto di locazione ad uso non abitativo, con la restituzione dell'immobile locato, a seguito della violazione del divieto convenzionale di sublocazione. Aspetti preliminari Mediazione Il locatore, il quale, a seguito della violazione del divieto convenzionale di sublocazione, intende esercitare in giudizio, nei confronti del conduttore, l'azione volta a conseguire la risoluzione del contratto di locazione ad uso non abitativo, con la conseguente restituzione del cespite, deve prima esperire il procedimento di mediazione previsto dall' art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010 , quale condizione obbligatoria di procedibilità. Competenza Il giudice competente è quello del luogo in cui è posto l'immobile, perché in tema di locazioni, la competenza territoriale appartiene al giudice del locus rei sitae, come del resto si ricava dagli artt. 21 e 447-bis c.p.c., la quale ha natura inderogabile, con la conseguente invalidità di un'eventuale clausola difforme, rilevabile ex officio anche in sede di regolamento di competenza (Cass. VI, n. 12404/2020). Al riguardo, tra le controversie in materia di locazione, attribuite alla competenza territoriale inderogabile del giudice in cui si trova l'immobile, rientrano quelle comunque collegate alla materia locatizia. Legittimazione Il locatore è il soggetto legittimato attivo, ed il conduttore quello legittimato passivo. Profili di merito Onere della prova Il locatore ha l'onere di allegare la fonte normativa e negoziale del proprio diritto, e la prova della sua ricorrenza, nella fattispecie portata all'attenzione del giudice, al fine di fare accertare giudizialmente il proprio diritto, concernente la richiesta di risoluzione del contratto di locazione ad uso non abitativo, e la restituzione della res locata, proposta nei confronti del conduttore per la violazione del divieto convenzionale di sublocazione. Contenuto del ricorso L'azione si propone con ricorso, nel quale il locatore deve indicare l'autorità competente dinanzi alla quale intende chiamare in giudizio il conduttore, unitamente alle sue generalità ed a quelle del proprio difensore, il quale dovrà avere cura di indicare la propria pec ed il numero di fax per la ricezione delle relative comunicazioni. Inoltre, il locatore deve anche eleggere domicilio nel Comune in cui ha sede lo stesso giudice adito, e, indicate nel ricorso le esatte generalità del conduttore, precisare altresì l'ubicazione dell'immobile locato, con i relativi identificativi catastali, avendo cura di riportare nella narrazione del fatto, le ragioni addotte rispettivamente a fondamento della causa petendi e del petitum richiesto, anche in via mediata, e delle richieste formulate nelle conclusioni dell'atto – azione del locatore per conseguire nei confronti del conduttore la risoluzione del contratto di locazione ad uso non abitativo, con il rilascio del cespite per violazione del divieto pattizio di sublocazione – con la correlata documentazione probatoria che intende offrire a corredo della domanda. Al riguardo, trattandosi di ricorso, occorre indicare subito, a pena di decadenza, tutte le prove che si intendono sottoporre all'attenzione del giudice, come ad esempio, l'interrogatorio formale del conduttore, e le esatte generalità degli eventuali testimoni che si intendono ascoltare sulle posizioni “fattuali” dell'atto introduttivo della controversia, che dunque devono già essere opportunamente “capitolate”, oltre a tutta la relativa documentazione probatoria (contratto di locazione ad uso non abitativo contenente la clausola del divieto di sublocazione, richiesta stragiudiziale rivolta al conduttore per cercare una soluzione della controversia in via stragiudiziale, verbale del procedimento di mediazione conclusosi negativamente). Ciò non toglie però che, nella narrazione del “fatto”, occorre opportunamente soffermarsi sulla concreta posizione assunta nella vicenda dal conduttore, laddove il medesimo – si sia reso responsabile dell'ingiustificato diniego di addivenire ad una soluzione amichevole dell'insorta controversia – e sia rimasto inerte, nonostante la tempestiva conoscenza della relativa questione, comprovata dalla precedente corrispondenza intercorsa, o da un'eventuale diffida ricevuta dal locatore, potendo risultare utile, ai sensi dell' art. 116 c.p.c. , sul piano della valutazione del relativo comportamento, laddove risulti inserito in un contesto fattuale idoneo a farlo ritenere come gravemente inadempiente, sotto il profilo della buona fede, anche all'esito del precedente procedimento di mediazione avviato dal locatore nei confronti del conduttore. Il ricorso deve, quindi, essere sottoscritto dal difensore su atto separato, contenente la procura alla lite, sottoscritta dalla parte rappresentata dal medesimo difensore ed autenticata da quest'ultimo. Richieste istruttorie L'onere di chiedere l'interrogatorio formale del conduttore, sui fatti oggetto di contestazione, riguardanti le circostanze fattuali, ritenute idonee a configurare i presupposti, per l'utile esercizio dell'azione di risoluzione del contratto di locazione ad uso non abitativo, con il rilascio del cespite per violazione del divieto pattizio di sublocazione, grava sul locatore, il quale deve allegare anche la fonte negoziale – copia del contratto di locazione – e normativa del proprio diritto, spettando al conduttore l'onere di allegare la prova contraria. Il locatore ha anche l'onere di formulare una richiesta di prova testimoniale, indicando i relativi capitoli di prova, ed i nominativi dei testimoni, al fine di provare le circostanze fattuali, sulle quali, si basa l'azione di risoluzione del contratto, per violazione del divieto di sublocazione da parte del conduttore. 4. ConclusioniIn base ad un orientamento di legittimità, in difetto di una valutazione legale tipica della gravità dell'inadempimento, la violazione del divieto pattizio, di sublocazione dell'immobile locato ad uso non abitativo, in tanto consente la pronuncia di risoluzione del contratto, ai sensi dell' art. 1453 c.c. in quanto l'inadempimento, integrato dalla violazione del patto, non abbia, secondo quanto richiesto dall'art. 1455 c.c., scarsa importanza avuto riguardo all'interesse dell'altra parte. Pertanto, il locatore, al fine di non incorrere in un rigetto dell'azione di risoluzione proposta nei confronti del conduttore, dovrà preoccuparsi di fornire la relativa prova, atteso che il giudice chiamato a pronunciarsi sull'anzidetta domanda, non può limitarsi a ritenere che la sublocazione realizzi di per sé un inadempimento, in quanto, accertato che tra le parti è stato pattuito un divieto di sublocazione, deve prima verificare la sussistenza di un'inadempimento, idoneo a provocare la risoluzione del contratto, per valutare se, l'inadempimento, in concreto accertato, anche alla luce delle modalità e circostanze del concreto svolgimento del rapporto, comporti o meno una notevole alterazione dell'equilibrio, e della complessiva economia del contratto (Cass. III, n. 17348/2011). Ciò posto, va altresì considerato che l' art. 1595, comma 3, c.c. , laddove permette l'esplicazione degli effetti della risoluzione del contratto di locazione anche nei confronti del sub-conduttore, opera indipendentemente dal fatto che, la durata del contratto di sublocazione sia stata programmata dalle parti o prorogata per legge, in modo da durare oltre la data di cessazione del contratto di locazione (Cass. III, n. 8115/2020). |