Regolamento - 25/06/2019 - n. 1111 art. 51 - Procedimento di esecuzioneProcedimento di esecuzione 1. Fatte salve le disposizioni della presente sezione, il procedimento di esecuzione delle decisioni rese in un altro Stato membro è disciplinato dal diritto dello Stato membro dell'esecuzione. Fatti salvi gli articoli 41, 50, 56 e 57, le decisioni rese in uno Stato membro che sono esecutive nello Stato membro di origine sono eseguite nello Stato membro dell'esecuzione alle stesse condizioni delle decisioni emesse in tale Stato membro. 2. La parte che richiede l'esecuzione di una decisione resa in un altro Stato membro non è obbligata ad avere un recapito postale nello Stato membro dell'esecuzione. La parte è obbligata ad avere un rappresentante autorizzato nello Stato membro dell'esecuzione solo se tale rappresentante è obbligatorio ai sensi del diritto dello Stato membro dell'esecuzione indipendentemente dalla cittadinanza delle parti. InquadramentoA seguito del rilascio del certificato la decisione può essere eseguita, nello Stato membro dell'esecuzione, in conformità alle regole processuali vigenti all'interno del medesimo, alle stesse condizioni previste per le decisioni in esso pronunciate. Sotto altro profilo, occorre effettuare un non semplice coordinamento tra il principio di intangibilità del titolo esecutivo europeo e la proponibilità, nel nostro sistema processuale, delle opposizioni esecutive ed, in particolare, l'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c. Peraltro, occorre evidenziare che, con riferimento ai provvedimenti rispetto ai quali, allo stato, è prevista la possibilità dal Regolamento in esame, di dare corso all'esecuzione forzata in virtù del controllo effettuato, mediante il rilascio della certificazione, dall'autorità giudiziaria dello Stato membro che ha emanato la decisione, ossia i provvedimenti in tema di diritto di visita o sul ritorno dei minori illecitamente sottratti, nel nostro sistema non si ritiene di poter utilizzare alcuna forma di esecuzione forzata diretta tra quelle disciplinate dal terzo libro del codice di procedura civile. Assumo rilevanza forme di esecuzione indiretta come quella dell'art. 614-bis e 709-ter c.p.c. Il principio della lex fori per l’esecuzioneDopo il rilascio del certificato la decisione può essere eseguita, nello Stato membro dell'esecuzione ed in conformità alle regole processuali vigenti all'interno del medesimo, alle stesse condizioni previste per le decisioni in esso pronunciate: si realizza quindi una «riespansione» della lex fori, alla quale occorre pertanto fare riferimento per l'intera fase dell'esecuzione, comprese le eventuali opposizioni (Carratta, 7). Gli atti preliminari all’esecuzionePertanto, in virtù delle norme processuali interne, l'esecuzione del «titolo esecutivo europeo» richiede la previa notifica del titolo e del certificato emesso dall'autorità giudiziaria dello Stato membro nel quale lo stesso si è formato, nonché, anche successivamente, dell'atto di precetto, secondo quanto previsto dall'art. 479 c.p.c. Limiti di proponibilità dell’opposizione all’esecuzioneSotto altro profilo, occorre effettuare un non semplice coordinamento tra il principio di intangibilità del titolo esecutivo europeo e la proponibilità, nel nostro sistema processuale, delle opposizioni esecutive ed, in particolare, l'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c. Su un piano generale, non si può trascurare di ricordare, in questa sede, che, mediante l'art. 615 c.p.c., è possibile la contestazione, in ogni suo momento ed aspetto, del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, in essa dovendosi ravvisare una richiesta di declaratoria di attuale insussistenza, perché originaria o sopravvenuta, del menzionato diritto (Cass. III, n. 20989/2012). Nel nostro sistema processuale, l'art. 161 c.p.c. sancisce il principio della conversione dei vizi di nullità della sentenza in motivi di gravame della stessa, dal quale si evince, comunemente, che detti vizi possano essere denunciati esclusivamente in sede di impugnazione e non anche quando la decisione giudiziaria venga posta in esecuzione con l'opposizione all'esecuzione (salva l'ipotesi-limite dell'inesistenza della sentenza di cui all'art. 161, comma 2, c.p.c.). In giurisprudenza si ritiene, quindi, che nel giudizio di opposizione all'esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l'inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto (o sta avendo) pieno sviluppo ed è stata (od è tuttora) in esame, anche in sede di impugnazione (Cass. III, n. 3277/2015). La violazione della predetta regola da parte dell'opponente costituisce infatti causa di inammissibilità, e non di infondatezza, dell'opposizione, e come tale è rilevabile d'ufficio dal giudice anche in grado d'appello (Cass. III, n. 26948/2014). I principi espressi con riguardo ai limiti entro i quali è ammessa l'opposizione all'esecuzione contro i titoli giudiziali possono applicarsi, per eadem ratio, anche con riferimento ai titoli esecutivi europei dei quali è richiesta l'esecuzione nel nostro ordinamento, in virtù dell'intangibilità degli stessi nello Stato di esecuzione. In sostanza, in detta prospettiva, il titolo esecutivo europeo deve essere considerato alla medesima stregua di un titolo esecutivo di carattere giudiziale rispetto al quale è inibito ogni controllo di merito in ordine ai fatti preesistenti alla formazione dello stesso, da denunciarsi, invero, in sede di impugnazione del titolo dinanzi allo Stato membro nel quale il medesimo è stato emanato. Pertanto, mediante opposizione ex art. 615 c.p.c. potranno essere fatte valere soltanto circostanze successive alla pronuncia del titolo posto in esecuzione (cfr. Carratta, 12; De Cristofaro, 146 ss.). Non sussistono, invece, particolari limitazioni in ordine alla proponibilità, contro il titolo esecutivo formatosi in altro Stato membro, dell'opposizione agli atti esecutivi e dell'opposizione di terzo all'esecuzione. In applicazione del generale principio della lex fori enunciato dal § 1 della disposizione in esame, anche nell'ipotesi in esame, l'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c. e l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., possono essere proposte pure prima dell'inizio dell'esecuzione forzata, dopo la notifica dell'atto di precetto, con atto di citazione al giudice competente per materia o valore. Invero, l'opposizione a precetto, integrando una ipotesi di opposizione soltanto preannunciata, al fine di contestare il diritto della parte istante a procedere in executiviis, dà luogo ad un normale giudizio di cognizione finalizzato alla negazione dell'esistenza stessa del credito fatto valere in sede esecutiva e va proposta, con atto di citazione, dinanzi al giudice competente per materia o per valore e per territorio (Trib. Busto Arsizio, 25 gennaio 2013). Dopo l'inizio dell'esecuzione forzata, le opposizioni esecutive si propongono, invece, con ricorso al giudice dell'esecuzione. Peraltro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno da lungo tempo chiarito che le forme previste dagli artt. 615 comma 2 e 617 comma 2 c.p.c. non sono richieste a pena di nullità e le predette opposizioni possono, pertanto, essere proposte anche oralmente nell'udienza davanti al giudice dell'esecuzione, ovvero mediante deposito, in tale udienza, di una comparsa di risposta, essendo anche tali forme idonee al raggiungimento dello scopo (costituzione del rapporto processuale cognitivo) proprio degli atti predetti; ne consegue che, una volta proposta in uno dei predetti modi l'opposizione, non è necessario un formale atto di costituzione da parte dell'opponente, che deve ritenersi, anche in mancanza di esso, ritualmente presente e costituito nel processo instaurato a norma dell'art. 618 c.p.c. (Cass. S.U., n. 10187/1998). Le opposizioni esecutive proposte dopo l'inizio dell'esecuzione forzata sono state strutturate in modo bifasico, essendo prevista una prima fase sommaria, assoggettata a rito camerale, dinanzi al giudice dell'esecuzione che si limita ad esaminare l'istanza di sospensione e le questioni di competenza ed una seconda fase, meramente eventuale, a cognizione piena ed esauriente di fronte al giudice competente (Canavese, 1088-1089). La giurisprudenza di legittimità più recente sembra ricostruire il procedimento in termini unitari (v., tra le altre, Cass. n. 9352/2017; Cass. n. 9246/2015). Se si accede a questa impostazione, deve anche ritenersi che, proposta la domanda già nella fase sommaria, nel passaggio al rito a cognizione piena la stessa non dovrà essere reiterata, sicché, in definitiva, l'atto introduttivo della fase di merito finirebbe con il configurarsi in termini di atto di riassunzione (Luiso-Sassani, 196). L'art. 616 c.p.c. con riguardo all'opposizione all'esecuzione e l'art. 618 c.p.c. con riferimento all'opposizione agli atti esecutivi stabiliscono che il giudice dell'esecuzione fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'art. 163-bis, o altri se previsti, ridotti della metà (Menchini-Motto, 189). L'utilizzo da parte della norma della locuzione «parte interessata» (in luogo della parte opponente) rende ragione della tesi, espressa in sede applicativa, per la quale l'onere di introdurre il giudizio di merito, successivamente alla sospensione dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 616 è pertanto posto a carico non solo dell'opponente ma anche e soprattutto dell'opposto, pena, per quest'ultimo, l'estinzione del processo esecutivo (Trib. Firenze, 21 marzo 2007, in Il merito 2007, n. 7-8, 19, con nota di Alesii e Nocerino). Sotto altro profilo, la S.C. è intervenuta fornendo importanti chiarimenti sulla non semplice interpretazione della dette norme. In particolare, è stato chiarito che l'art. 616, nel testo sostituito dall'art. 14 l. n. 52/2006 deve essere interpretato nel senso che l'introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione all'esito dell'esaurimento della fase sommaria introdotta a norma dell'art. 615 comma 2, deve avvenire con la forma dell'atto introduttivo richiesta in riferimento al rito con cui l'opposizione deve essere trattata quanto alla fase a cognizione piena e, quindi, con citazione previamente notificata e poi iscritta a suolo se l'opposizione rientra nell'ambito delle controversie soggette al rito ordinario, oppure con ricorso depositato presso l'ufficio cui appartiene quel giudice e poi notificato nel termine successivamente, qualora la materia rientri fra quelle soggette a un rito in cui la causa si introduce con ricorso ed è il giudice a fissare l'udienza (Cass. n. 1201/2012). Laddove il termine per l'introduzione del giudizio di merito non sia rispettato ne conseguirà ex art. 307 l'estinzione immediata dell'intero procedimento in quanto ricostruito in termini unitari (Menchini-Motto, 183). È discusso inoltre in dottrina se il richiamo al procedimento camerale operato dall'art. 185 disp.att. valga solo per l'udienza di comparizione davanti al giudice dell'esecuzione o debba estendersi all'intero procedimento, ma la prima opzione appare più aderente alla ratio legis di contenere la sommarietà del procedimento solo ad una prima fase per poi riservare alla fase di merito l'applicabilità delle norme processuali del procedimento civile di cognizione ordinaria (Capponi, 603). Sulla questione è ormai intervenuta, peraltro, la S.C. chiarendo che in tema di opposizioni in materia esecutiva ai sensi degli art. 615, comma 2, e 619, la previsione, – nell'art. 185 disp. att., novellato dalla l. n. 52/2006 – dell'applicabilità del rito camerale si riferisce esclusivamente alla fase a cognizione sommaria davanti al giudice dell'esecuzione, e sottende che la cognizione non segue le regole della cognizione piena, che si applicano, invece, alla fase di merito, quando abbia luogo sia davanti allo stesso giudice dell'esecuzione, sia se si svolga davanti ad un diverso giudice competente nel merito (Cass. n. 3550/2013). La «difficile» esecuzione dei provvedimenti in materia familiare e gli strumenti di esecuzione indirettaTuttavia, occorre evidenziare che, con riferimento ai provvedimenti rispetto ai quali, allo stato, è prevista la possibilità dal Regolamento in esame, di dare corso all'esecuzione forzata in virtù del controllo effettuato, mediante il rilascio della certificazione, dall'autorità giudiziaria dello Stato membro che ha emanato la decisione, ossia i provvedimenti in tema di diritto di visita o sul ritorno dei minori illecitamente sottratti, nel nostro sistema non si ritiene di poter utilizzare alcuna forma di esecuzione forzata tra quelle disciplinate dal terzo libro del codice di procedura civile. Invero, soltanto nella giurisprudenza di merito più risalente, si era talvolta affermato, ad esempio, che i provvedimenti afferenti l'affidamento dei minori potessero essere, nell'ipotesi di inadempimento dell'obbligato, attuati mediante l'esecuzione per obblighi di fare, pur essendo incoercibile la relativa obbligazione (cfr. Pret. Parma, 3 aprile 1984, in Dir. fam. 1984, 671, per la quale, nel dettare le modalità per l'esecuzione dei provvedimenti di affidamento o di consegna di minori, con provvedimento da adottarsi con le forme previste per il procedimento di attuazione degli obblighi di fare, il giudice dell'esecuzione non deve limitarsi ad individuare le prescrizioni da impartire all'ufficiale giudiziario, ma può servirsi di mezzi diversi, potendo chiedere l'assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondano alle sue funzioni, ed in particolare del servizio sociale della competente USL od anche imporre determinati comportamenti alle parti la cui collaborazione deve essere ricercata). Poiché non rientrano nell'ambito di applicazione del Regolamento le questioni economiche relative al mantenimento dei minori (per le quali occorre invero avere riguardo al Regolamento UE n. 4/2009 in tema di obbligazioni alimentari), inoltre, la situazione non dovrebbe mutare ove fosse approvata la proposta di modifica tesa a consentire la libera circolazione, sul piano esecutivo, anche degli altri provvedimenti in tema di responsabilità genitoriale. Peraltro, quanto all'attuazione degli obblighi contemplati in provvedimenti giudiziari concernenti i figli minori sono intervenute alcune modifiche normative negli ultimi anni che consentono una coercibilità degli stessi almeno sul piano dell'esecuzione indiretta. Più in particolare, l'art. 709-ter c.p.c., introdotto dalla l. n. 54/2006, consente di adire l'autorità giudiziaria per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento, controversie nell'ambito delle quali rientrano senz'altro quelle in ordine al diritto di visita. La norma stabilisce, poi, che, «in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro; 4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende». La portata maggiormente innovativa ascrivibile alla norma in commento è la previsione della possibilità per il giudice adito non soltanto di modificare i provvedimenti in vigore ma, altresì, di adottare, anche congiuntamente, provvedimenti sanzionatori. Pertanto, se non emergono comportamenti definibili, almeno in senso lato, illeciti, il giudice si limiterà a dirimere la controversia, determinando i comportamenti che devono essere tenuti dai genitori, viceversa emanerà i richiamati provvedimenti (Luiso-Sassani, 250). In sede applicativa era dibattuto se le misure sanzionatorie previste dall'art. 709-ter c.p.c. possano essere adottate anche solo per la violazione da parte di un coniuge degli obblighi di natura economica (Trib. Modena II, 20 gennaio 2012, Giur. mer. 2012, n. 3, 600; Trib. Roma 10 giugno 2011, Dir. fam. 2012, n. 1, 298) ovvero se le stesse siano riservate a comportamenti pregiudizievoli rispetto alla disciplina dell'affidamento ed all'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti della prole (App. Caltanissetta, 3 maggio 2012, in Guida dir. 2012, n. 25, 7, con nota di Porracciolo). La fondamentale sentenza n. 145 del 2020 della Corte costituzionale aveva risolto l'interrogativo in quest'ultimo senso proprio sottolineando la funzione strumentale delle misure contemplate dall'art. 709-ter c.p.c. all'attuazione di decisioni incidenti su diritti di carattere non patrimoniale. Vi è peraltro che il d.lgs. n. 149 del 2022, nell'abrogare l'art. 709-ter c.p.c. e sostituendo lo stesso con l'art. 473-bis.39 c.p.c., ha previsto espressamente che le misure coercitive indirette possono essere richieste anche a fronte della violazione di provvedimenti di condanna al pagamento del contributo economico, così superando le conclusioni alla quale era pervenuta la richiamata pronuncia della Corte costituzionale. Le misure che possono essere emanate a fronte del grave inadempimento di uno dei genitori rispetto ai doveri enucleati dal provvedimento relativo all'affidamento della prole o di atti comunque pregiudizievoli per la corretta esplicazione delle modalità di affidamento della stessa, sono indicate, secondo un criterio di progressiva afflittività, sebbene in assenza di una tipizzazione legislativa delle ipotesi nelle quali, a fronte di un determinato inadempimento o comportamento, deve essere adottata una misura piuttosto che l'altra, talché la relativa valutazione è rimessa al potere discrezionale del giudice (Doronzo, in Cipriani-Monteleone, 2007, 625). In generale, è problematica relativa alla qualificazione di tali misure che, per alcuni, sarebbero tutte misure di coercizione indiretta, sul modello delle astreintes del sistema francese, tese a favorire l'adempimento di obbligazioni familiari di carattere non patrimoniale (cfr. Salvaneschi, 2006, 152) mentre, per altri, dovrebbe operarsi una distinzione, in quanto, se sarebbe corretto attribuire natura punitiva alla sanzione amministrativa dell'ammenda, alle medesime conclusioni non potrebbe pervenirsi anche per il risarcimento dei danni a favore dell'altro coniuge o del figlio minore, che seguirebbe ad una canonica forma di responsabilità civile nelle relazioni familiari già teorizzata dalla recente giurisprudenza di legittimità (Rossini in Briguglio - Capponi, 2007, 407 ss.). La prima tesi è stata affermata, in sede di pretoria, da diverse decisioni di merito (cfr., tra le altre, Trib. Messina I, 8 ottobre 2012; Trib. Novara, 21 luglio 2011, in Giur. mer. 2013, n. 5, 1048, con nota di Russo; Trib. Reggio Emilia 27 marzo 2008, Fam. e dir., 2009, n. 2, 189; Trib. Napoli 30 aprile 2008, Fam. e dir. 2008, n. 11, 1024). Peraltro, nella prassi più recente, sta prevalendo l'opposta impostazione interpretativa sul generale assunto in omaggio al quale in tema di controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affidamento, la condanna al risarcimento del danno non può essere ascritta alla categoria del danno punitivo, o pena privata, in quanto, avendo il legislatore differenziato la condanna in considerazione del soggetto danneggiato prevedendo due ipotesi diverse ai nn. 2) e 3) dell'art. 709-ter, non può sostenersi che tale condanna debba essere commisurata alla gravità della condotta posta in essere dal genitore inadempiente, e non al pregiudizio arrecato, secondo i principi generali dell'azione risarcitoria (App. Catania 18 febbraio 2010, in Il civilista 2011, n. 2, 61, con nota di Cimmino). In tale prospettiva, si è affermato, per l'adozione della misura risarcitoria devono sussistere i presupposti tipici del rimedio risarcitorio, e cioè la sussistenza di un concreto pregiudizio, e il nesso di causalità tra la condotta illecita e il pregiudizio stesso, potendo, in mancanza, un determinato comportamento lesivo essere sanzionato attraverso i rimedi dell'ammonizione e della sanzione pecuniaria (Trib. Modena II, 17 settembre 2012, n. 1425; v. anche Trib. Firenze 7 maggio 2012, Foro it. 2012, n. 6, 1941; Trib. Ascoli Piceno 21 maggio 2015). L'ammonimento costituisce una semplice moral suasion nei confronti del genitore inadempiente (Doronzo in Cipriani-Monteleone, 2007, 625). È stata esclusa la sanzione dell'ammonimento ove le controversie tra i genitori riguardino, non tanto inadempienze gravi o reali ostacoli al corretto svolgimento dell'affidamento della prole minorenne, ma piuttosto la gestione minimale della concreta vita di tutti i giorni, che i genitori stessi hanno l'onere di risolvere in autonomia, con l'impegno collaborativo che il regime dell'affidamento condiviso impone loro (Trib. Modena II, 28 marzo 2012, in Giur. mer. 2013, n. 5, 1047, con nota di Russo). Con riguardo alla sanzione amministrativa disposta ai sensi del comma 2 n. 4 della norma in esame, devono trovare applicazione le regole generali dettate dalla l. n. 689/1981. Parte della dottrina ha però dubitato della legittimità costituzionale in parte qua della disposizione in esame per contrasto con il principio di tipicità e determinatezza delle condotte che possono comportare l'applicazione delle sanzioni in questione (Doronzo in Cipriani-Monteleone, 2007, 625-626). Pertanto, stante la disciplina dettata dall'art. 709-ter c.p.c., laddove uno dei genitori sia inadempiente rispetto alle prescrizioni contenute nel provvedimento pronunciato dall'autorità giudiziaria di altro Stato membro in ordine al diritto di visita, l'altro potrà direttamente adire il giudice competente (da individuarsi secondo i criteri previsti dalla medesima norma) richiedendo l'adozione, in ragione della gravità dell'inadempimento dell'obbligato, dei provvedimenti sanzionatori nei confronti dello stesso. Sotto altro e concorrente profilo, occorre tener presente, poi, che la l. n. 69/2009, ha introdotto, mediante l'art. 614-bis c.p.c., in via generale nel nostro sistema processuale, sul modello francese delle astreintes, misure di coercizione indiretta per presidiare l'effettività dei provvedimenti contenenti obblighi di fare (o non fare) di carattere incoercibile. Più in particolare, già nell'ambito del processo di cognizione, la parte interessata può chiedere all'autorità giudiziaria di fissare, con il provvedimento di condanna ad un facere (più di recente, dopo la novella di cui al d.l. n. 83/2015 anche di carattere fungibile), un'astreinte, ossia una penale dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. L'astreinte in quanto anteriore ad un inadempimento solo eventuale nel momento nel quale è emanata si configura, pertanto, come condanna condizionale futura. Un ampio potere discrezionale è demandato all'autorità giudiziaria in ordine alla quantificazione della misura da parte del comma 2 della norma in esame per il quale ciò avviene «tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile». L'astreinte costituisce ex se titolo esecutivo, sicché non è previsto, come nel sistema francese, che il giudice debba verificare l'avvenuto inadempimento dell'obbligato affinché possa iniziare l'esecuzione nei suoi confronti in base alla misura coercitiva indiretta (Merlin, 1553). Pertanto, come evidenziato anche in giurisprudenza, l'esistenza in concreto dei presupposti di effettiva operatività dell'astraente e la sua concreta monetizzazione sono rimesse al creditore vittorioso (Trib. Milano, sez. propr. ind. e intellettuale, 9 giugno 2011). Pertanto, iniziata l'esecuzione nei suoi confronti, sarà onere dell'esecutato dedurre in sede di opposizione all'esecuzione le circostanze che ostano alla stessa (ad esempio, avvenuto adempimento all'obbligo di fare). Si pone, peraltro, un problema di riparto dell'onere probatorio nel giudizio ex art. 615 con riguardo, in particolare, alla violazione dell'obbligo di non fare, problema correlato a quello, di più ampia portata, della difficoltà di dimostrare i fatti negativi. In dottrina si ritiene che, in detta ipotesi, impossibilitato l'obbligato a dimostrare di aver serbato la propria condotta di astensione, tale onere spetti al creditore che ne deduce l'inosservanza (Bove, 791). Tale soluzione è apparsa coerente con il generale principio negativa non sunt probanda (Merlin, 1557). Proprio nella materia dei provvedimenti di affidamento dei minori è copiosa la giurisprudenza sull'art. 614-bis c.p.c. Si è affermato, ad esempio, che, in presenza di una elevata conflittualità di coppia, il comportamento non collaborativo di entrambi i genitori integra inosservanza di un obbligo di fare infungibile, tale da legittimare l'applicazione delle misure di cui all'art. 614-bis, qualora risponda a finalità protettive del minore,sia nella fase istruttoria che nella fase decisoria del giudizio (Trib. Roma, 10 maggio 2013, Giur. mer. 2013, n. 10, 2100, con nota di Serrao). È stato evidenziato, inoltre, che per ogni violazione delle prescrizioni in tema di frequentazione del minore da parte del genitore non collocatario, può essere applicata una sanzione per il caso in cui il primo non vada a scuola nei giorni in cui dovrebbe esserne preso dal padre senza che risulti un impedimento attestato da certificato redatto da pediatra individuato previamente di concerto dai due genitori (Trib. Firenze, 11 novembre 2011, Foro it. 2012, n. 6, 1941). Al contempo, altra giurisprudenza, sempre in sede applicativa, ha precisato che, in presenza di una elevata conflittualità di coppia, il comportamento non collaborativo del genitore collocatario non integra inosservanza di un obbligo di fare infungibile, tale da legittimare l'applicazione delle misure di cui all'art. 614-bis, qualora risponda a finalità protettive del minore, ancorché non giustificate da fatti concreti (Trib. Salerno I, 8 febbraio 2000). La più generale disciplina di coercizione indiretta degli obblighi di fare di carattere infungibile dettata dall'art. 614-bis c.p.c. consente quindi, anche con riferimento ai provvedimenti sul diritto di visita del minore nonché rispetto all'ordine di rientro dei minori oggetto di un trasferimento illecito di carattere transfrontaliero, di richiedere ex ante, ossia già nel procedimento di affidamento ovvero in quello per ottenere il predetto ordine di rientro, che l'eventuale violazione degli obblighi dettati dall'emanando provvedimento sarà presidiata da un'astreinte. Poiché nel nostro sistema processuale siffatta condanna condizionale futura costituisce un titolo esecutivo, laddove debba darsi attuazione dello stesso in altro Stato membro, sarà l'autorità giudiziaria italiana a dover certificare anche a tale fine la decisione emanata, affinché, per l'ipotesi di inosservanza degli obblighi concernenti il diritto di visita o il rientro del minore illecitamente sottratto, la parte interessata possa «indurre» l'altra all'adempimento, richiedendo in sede esecutiva le somme dovute per ogni violazione o inosservanza successiva. Naturalmente l'esecuzione si svolgerà secondo le norme processuali previste dallo Stato membro nel quale il provvedimento deve trovare attuazione in virtù della regola generale espressa dal § 1 della disposizione in esame. Nell'ipotesi speculare di astreinte emessa, ad esempio, dall'autorità giudiziaria francese a presidio di un provvedimento afferente il diritto di visita ovvero il rientro del minore, trattandosi di una condanna di carattere pecuniario, nel nostro sistema processuale il provvedimento troverà attuazione in una delle canoniche forme di espropriazione forzata (mobiliare presso il debitore, mobiliare presso terzi o immobiliare) prevista dagli artt. 491 e ss. c.p.c. Un'impostazione finalizzata a riconoscere, per l'effettiva attuazione dei provvedimenti in tema di responsabilità genitoriale ed, in particolare del diritto di visita, la rilevanza delle astreintes nell'ambito del Regolamento in commento è stata avallata dalla stessa Corte di Giustizia dell'Unione Europea. La domanda di pronuncia pregiudiziale verteva, in particolare, sull'interpretazione degli artt. 1, § 2, e 49 del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU L 12, pag. 1), nonché dell'art. 47, § 1, del regolamento (CE) n. 2201/2003 in commento ed era stata presentata nell'ambito di una controversia avente ad oggetto l'esecuzione in Finlandia di una penalità comminata nella decisione di un giudice belga al fine di garantire il rispetto del diritto di visita concesso al padre riguardo ai suoi figli. La Corte di Giustizia, nel ritenere, rispondendo alla prima questione interpretativa che la materia in questione non rientrasse nell'ambito applicativo del Regolamento n. 44/2001 bensì di quello in esame, ha precisato, per quel che rileva maggiormente in queste sede, che la riscossione di una penalità, comminata dal giudice dello Stato membro di origine che ha statuito nel merito sul diritto di visita al fine di assicurare l'esercizio effettivo di tale diritto, è disciplinata dallo stesso regime di esecuzione che si applica alla decisione sul diritto di visita garantito da detta penalità, e quest'ultima deve essere pertanto dichiarata esecutiva secondo le disposizioni del Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, beneficiando, in sostanza, dello stesso regime di circolazione «privilegiato» che è previsto per le decisioni sul diritto di visita dei minori (Corte Giustizia UE, sez. I, 9 settembre 2015). Nello specifico, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha motivato la soluzione della questione sottolineando che la penalità controversa nel procedimento principale presenta natura meramente accessoria rispetto all'obbligo principale da essa garantito, ossia l'obbligo, per il genitore cui è stato concesso l'affidamento, di collaborare all'attuazione del diritto di visita secondo le regole stabilite dal giudice dello Stato di origine, competente nel merito, osservando che, di conseguenza, «l'esecuzione di tale penalità è pertanto strettamente connessa all'esistenza, da un lato, di tale obbligo principale e, dall'altro, di un inadempimento di quest'ultimo». In sostanza, tenuto conto del nesso tra la decisione sul diritto di visita, l'astreinte comminata non può essere considerata in maniera isolata come costitutiva di un obbligo autonomo, sicché la riscossione di tale penalità deve essere effettuata in base allo stesso regime di esecuzione applicato al diritto di visita da garantire, ossia in virtù delle regole previste agli artt. 28, § 1, e 41, § 1, del Regolamento n. 2201/2003 in commento. Sotto altro e concorrente profilo, inoltre, la Corte di Giustizia osserva che, volendo opinare diversamente, separando il regime di esecuzione della penalità da quello applicabile al diritto di visita per farlo dipendere dal procedimento esecutivo stesso, che, ai sensi dell'art. 47, § 1, del regolamento n. 2201/2003, è disciplinato dal diritto nazionale dello Stato membro dell'esecuzione, equivarrebbe a consentire al giudice di tale Stato di verificare esso stesso l'esistenza di un inadempimento relativo al diritto di visita. Peraltro, tale controllo finirebbe con il comportare una valutazione, da parte del giudice dello Stato richiesto dell'esecuzione, delle circostanze del caso di specie, valutazione che si porrebbe in evidente contrasto con la volontà del legislatore dell'Unione di istituire, per le decisioni emesse in tale settore, un regime di esecuzione uniforme e semplificato, che vieta qualsiasi ingerenza del giudice dell'esecuzione nell'esame del merito e si basa sulla fiducia nel giudice dello Stato di origine designato quale competente ad adottare la decisione sul diritto di visita. Nella medesima decisione resa relativamente al caso Bohez, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea nell'affrontare la quarta questione pregiudiziale si è invece pronunciata negativamente in ordine alla possibilità che la decisione che commina l'astreinte per il mancato rispetto della disciplina in tema di diritto di visita di uno dei genitori possa circolare ed essere eseguita nello Stato membro richiesto ove la penalità non sia stata quantificata dall'autorità dello Stato membro che ha emesso la decisione cui la stessa è accessoria. La Corte di Giustizia motiva tale soluzione ricordando che, proprio in ragione delle difficoltà che potrebbero risultare dalla differenze tra le legislazioni degli Stati membri riguardo a tale questione, l'art. 43 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale sanciva la regola secondo cui le decisioni straniere che comminano una penalità sono esecutive nello Stato membro richiesto solo se la misura di quest'ultima è stata definitivamente fissata dai giudici dello Stato membro di origine, regola confermata dall'art. 49 del Regolamento n. 44/2001 e ripresa dall'art. 55 del vigente Regolamento n. 1215/2012 (invero, il nuovo regolamento non ha recepito la proposta della Commissione circa l'estensione del regime di libera circolazione delle decisioni anche a quelle misure il cui ammontare non fosse ancora stato definitivamente fissato dal giudice di origine: cfr. Payan, 249 ss.). Diversamente, poiché di norma non si occupa (v. anche Commento all'art. 1) delle questioni afferenti profili patrimoniali, il Regolamento in esame non contiene una regola analoga: secondo la Corte di Giustizia dell'Unione europea, tuttavia, «il requisito, nell'ambito del regolamento n. 2201/2003, della liquidazione della penalità previamente alla sua esecuzione, si concilia con il carattere sensibile proprio del diritto di visita». Sul punto, la Corte ribadisce, come già evidenziato nel rispondere alla terza questione pregiudiziale, che il regime di esecuzione delle decisioni sul diritto di visita si fonda sul principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri in ordine al fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali siano in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti a livello dell'Unione, in particolare nella Carta ed esclude ogni forma di modifica della decisione emessa dal giudice dello Stato di origine. Ne deriva che, ove la liquidazione dell'astreinte non sia stata effettuata compiutamente dal detta autorità giudiziaria, sarebbe contrario al sistema istituito dal Regolamento n. 2201/2003 in esame consentire al giudice dello Stato di esecuzione di intervenire nella determinazione dell'importo finale che deve essere versato dalla persona che, avendo in affidamento il minore, era tenuta a collaborare all'attuazione del diritto di visita, poiché tale determinazione comporta un controllo degli inadempimenti dedotti dal titolare del diritto di visita, controllo che è riservato al giudice dello Stato di origine, quale giudice competente nel merito. Una tesi differente è stata invece prospettata in dottrina, sebbene con riguardo alla materia civile e commerciale, sull'assunto per il quale, a seguito della violazione del comando giudiziale, il provvedimento diviene una «mera condanna pecuniaria da usare come titolo esecutivo», sicché le misure pronunciate ex art. 614-bis c.p.c. nel nostro sistema processuale possono circolare anche in assenza del requisito della definitiva quantificazione giudiziale, specie nelle ipotesi in cui il diritto processuale dello Stato richiesto preveda un atto assimilabile al precetto, ovvero un momento anteriore a quello dell'esecuzione propriamente intesa in cui consentire al creditore di quantificare la somma dovutagli, ferma restando la possibilità per il debitore di contestare, mediante opposizione all'esecuzione, la quantificazione operata (D'Alessandro, 1023 ss.). Altra parte della dottrina ritiene, invece, che la soluzione più efficace è quella di ricorrere agli strumenti di coercizione indiretta contemplati nello Stato membro richiesto dell'esecuzione, dove deve essere attuata l'obbligazione o dove è abitualmente residente la persona obbligata (De Cristofaro, 2003-2004, 421). In tale prospettiva, si è evidenziato che, ad esempio, con riguardo ad una decisione francese sul diritto di visita da eseguirsi nei confronti del genitore affidatario residente in Italia, la parte interessata potrebbe richiedere una misura coercitiva indiretta al giudice italiano, di modo che in caso di inadempimento egli potrebbe iniziare l'esecuzione subito dopo la notifica del precetto, senza dover coinvolgere in alcun modo l'autorità giurisdizionale di origine che ha emesso la decisione sul diritto di visita (Finocchiaro-Poli, 538 ss.; Nisi, 688). 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