Regolamento - 25/06/2019 - n. 1111 art. 1 - Ambito d'applicazione

Rosaria Giordano

Ambito d'applicazione

1. Il presente regolamento si applica alle materie civili relative:

a) al divorzio, alla separazione personale e all'annullamento del matrimonio;

b) all'attribuzione, all'esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale.

2. Le materie di cui al paragrafo 1, lettera b), possono comprendere, in particolare:

a) il diritto di affidamento e il diritto di visita;

b) la tutela, la curatela ed altri istituti analoghi;

c) la designazione e le funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano;

d) il collocamento del minore in affidamento presso una famiglia o un istituto;

e) i provvedimenti di protezione del minore legati all'amministrazione, alla conservazione o all'alienazione dei beni del minore.

3. I capi III e VI del presente regolamento si applicano ai casi di trasferimento illecito o mancato ritorno di un minore concernenti più di uno Stato membro, a integrazione della convenzione dell'Aia del 1980. Il capo IV del presente regolamento si applica alle decisioni che dispongono il ritorno del minore in un altro Stato membro ai sensi della convenzione dell'Aia del 1980 e che devono essere eseguite in uno Stato membro diverso da quello in cui sono state rese.

4. Il presente regolamento non si applica:

a) all'accertamento o all'impugnazione della filiazione;

b) alle decisioni relative all'adozione, alle misure che la preparano o all'annullamento o alla revoca dell'adozione;

c) ai nomi e ai cognomi del minore;

d) all'emancipazione;

e) alle obbligazioni alimentari;

f) ai trust e alle successioni;

g) ai provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi da minori.

Inquadramento

La nascita della Comunità Economica Europea era in origine fondata essenzialmente sull'esigenza di favorire, nell'ottica di una sempre più estesa cooperazione commerciale tra i diversi Stati membri, la formazione di un mercato economico interno.

Successivamente, tuttavia, l'aumento di matrimoni “misti” correlato anche al principio di libera circolazione delle persone, è stato alla base di un progressivo interesse della stessa Comunità europea per la materia familiare, soprattutto con riguardo alla disciplina dello scioglimento del vincolo matrimoniale: infatti l'assenza di armonizzazione nel diritto sostanziale o nelle norme di conflitto in materia di rapporti familiari nei singoli Stati membri potrebbe ostacolare la libera circolazione delle persone (Baratta 2004, 144; Magrone, 339).

Gli artt. 61-69 del Trattato di Amsterdam hanno quindi “comunitarizzato” la materia della cooperazione giudiziaria civile. In tale contesto la Comunità ha disciplinato per la prima volta anche la competenza giurisdizionale e il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni relative allo scioglimento del matrimonio con il Regolamento CE n. 1347/2000, avente quale obiettivo principale consentire ai coniugi di ottenere velocemente una decisione di scioglimento del matrimonio, riconoscibile automaticamente negli alti Stati membri (Lupoi, 111).

Il predetto Regolamento è stato tuttavia abrogato dal Regolamento CE n. 2201/2003, entrato in vigore in data 1° gennaio 2005, cd. Bruxelles II-bis, che ha ampliato l'ambito di applicazione della disciplina uniforme che in precedenza riguardava essenzialmente le cause di scioglimento del matrimonio e, solo nell'ipotesi in cui i coniugi avessero avuto figli in comune, i conseguenti provvedimenti sull'affidamento e sul diritto di visita (Baratta, 2002, 456; Fadiga, 5). In particolare, in conformità al considerando n. 5 e al considerando n. 6 del Preambolo, sono state inserite, sin dal Regolamento CE n. 2201/2003, nell'ambito di applicazione del Regolamento le materie relative all'attribuzione, all'esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale (Conti, 291).

Pertanto, è stato abbandonato il previo criterio del nesso di collegamento, caratterizzante il Regolamento n. 1347/2000, tra cause matrimoniali e cause de potestate (Baratta 2002, 457), stante un'evoluzione storica dei modelli familiari rispetto alla famiglia coniugale, dovuta sia alla diffusione delle c.d. “convivenze more uxorio”, sia alla non necessaria coincidenza tra coppia coniugale e coppia genitoriale nel caso delle famiglie c.d. “ricostituite” (Conti, 293-294; Fadiga, 5). Tuttavia ciò per alcuni non comporta un riconoscimento delle famiglie c.d. di fatto in sé e per sé, in quanto è attribuito rilevanza a tali situazioni al più limitato fine di garantire, nell'ambito di una tendenza volta ad ampliare i diritti del minore (Fadiga, 5), una eguale tutela ai figli naturali rispetto a quella assicurata ai figli legittimi. Rimangono infatti escluse dall'ambito di operatività del Regolamento n. 2201/2003 le convivenze, anche registrate secondo la legislazione di alcuni Stati membri (contra Baratta, 156; in senso critico Oberto, 375). Si è invero osservato, in dottrina, che la nuova disciplina è coerente con i principi fondamentali affermati a riguardo dagli artt. 29 e 30 Cost. Tali norme appaiono infatti operare su piani differenti poiché l'una, attribuendo alla famiglia fondata sul matrimonio una rilevanza costituzionale inderogabile, sembra rifiutare modelli familiari diversi e l'altra, equiparando i figli legittimi a quelli naturali quanto al complesso dei diritti – doveri dei genitori nei confronti degli stessi, non riconosce siffatti aggregati parafamiliari distinti dalla famiglia legittima bensì è volta, sancendo la c.d. responsabilità per la procreazione, a tutelare i diritti inviolabili di coloro che nascono fuori dal matrimonio e non possono per questo trovarsi in un rapporto giuridicamente deteriore con i propri genitori (Giacobbe G., 731-732).

In seguito è stata avviata una revisione del Regolamento CE n. 2201/2003, preceduta da una serie di attività preparatorie, consultazioni e studi (cfr. Honorati, 248).

Nel 2014 la Commissione ha elaborato un primo rapporto sull'applicazione del regolamento (COM (2014)225), cui è seguita una consultazione pubblica per accertarne il grado di conoscenza e di applicazione, nonché i profili problematici (in arg. Kruger - Samin, 132 ss.).

Il Regolamento è stato quindi valutato alla luce di una serie di indicatori quantitativi e qualitativi e, al contempo, avviata una raccolta delle decisioni adottate.

All'esito è risultato che le problematiche maggiori riguardano il settore della responsabilità genitoriale specie con riferimento alla sottrazione internazionale dei minori e all'esercizio del diritto di visita nella fase dell'esecuzione delle decisioni “saldamente” nelle mani degli Stati richiesti (cfr. Honorati, 249).

In data 30 giugno 2016, la Commissione europea ha presentato una proposta di revisione del Regolamento (CE) n. 2201/2003 in esame, dopo una lunga fase di studio, nell'ambito della quale è stata prodotta, in particolare, una valutazione d'impatto che ha evidenziato le criticità della disciplina esistente, soprattutto con riguardo alla sottrazione internazionale dei minori. Nella proposta si suggeriva di trasfondere la precedente disciplina in un nuovo regolamento, che manterrebbe sostanzialmente invariate le disposizioni in tema di divorzio, separazione personale e annullamento del matrimonio, introducendo, viceversa, una serie di novità in relazione ai procedimenti in tema di responsabilità genitoriale e di sottrazione internazionale al fine di facilitare la libera circolazione delle decisioni nello spazio giudiziario europeo, mediante un ulteriore rafforzamento dei principi di mutuo riconoscimento, prevedibilità e certezza del diritto, peraltro in una prospettiva di più intensa protezione dell'interesse superiore del minore (Carpaneto, 949).

Il testo risultante dalla prospettata proposta è confluito – dopo un ampio dibattito (anche per la necessità di seguire la speciale procedura legislativa stabilita dall'art. 81, § 3, TUE che prevede il voto unanime dei componenti del Consiglio: Davì - Zanobetti, 749) – nel Regolamento UE n. 1111/2019, c.d. recast (o Bruxelles II ter ), entrato in vigore il 1° agosto 2022 e tiene conto dei numerosi strumenti normativi adottati dall'Unione europea nell'ambito del diritto internazionale privato della famiglia dopo l'elaborazione del regolamento Bruxelles II (in particolare, i regolamenti relativi alle obbligazioni alimentari, alla legge applicabile a separazione e divorzio, nonché, recentemente, ai regimi patrimoniali tra coniugi e agli effetti patrimoniali delle unioni registrate), oltre che della pronunce rese dalla Corte di giustizia per interpretare il regolamento.

Il nuovo atto è molto più ampio di quello precedente, passando da 72 a 105 articoli ed aumentando il numero dei modelli di certificato allegati allo stesso da 4 a 9 (cfr. Davì - Zanobetti, 750-751).

È tuttavia conservata la struttura dei Regolamenti precedenti, salva l'introduzione di una specifica sezione dedicata alla sottrazione internazionale dei minori.

In dottrina si è osservato che la riforma varata dal Regolamento c.d. Bruxelles II ter si è tuttavia limitata a migliorare l'impianto esistente, senza incidere su alcuni cruciali ambiti critici della precedente normativa, specie in materia matrimoniale, ed incidendo soprattutto nel settore della responsabilità genitoriale e della sottrazione internazionale dei minori (Biagioni, 1169).

Per alcuni, anche se ciò avrebbe comportato un'ulteriore frammentazione del diritto internazionale privato di origine europeo, la revisione è stata “un'occasione mancata” per predisporre uno strumento indipendente, dedicato alle sole questioni relative alla responsabilità genitoriale (Carpaneto, 952).

Le controversie in tema di divorzio, separazione personale ed annullamento del matrimonio.

Con riferimento alla materia matrimoniale l'impianto del Regolamento UE n. 1111/2019 è rimasto sostanzialmente invariato rispetto a quelli precedenti, lasciando aperte le problematiche che erano emerse in sede applicativa (Biagioni 2019, 1169 ss.).

La materia matrimoniale disciplinata è esclusivamente quella volta a regolare solo i procedimenti e le decisioni idonee ad incidere, attenuandolo o sciogliendolo, sul vincolo matrimoniale, lasciando fuori dal proprio ambito di applicazione sia gli eventuali altri effetti di carattere personale o di natura patrimoniale (Mosconi, 380; Oberto, 273 - 274), sia le decisioni di rigetto della domanda (Biavati, 1242).

Consegue a tale impostazione, invero, che, anche in presenza di una decisione di rigetto passata in giudicato, la medesima domanda può essere proposta dinanzi ai giudici di un altro Stato membro e, nell'ipotesi di nuovo rigetto, dinanzi a quelli di un terzo Stato membro e così via (Bonomo, 324).

Secondo alcuni tale scelta potrebbe tuttavia essere giustificata anche in ragione delle notevoli differenze che si registrano, attualmente, nelle legislazioni degli Stati membri quanto alle cause di separazione e divorzio. Infatti, l'assenza di norme uniformi in tale materia, potrebbe far sì che le cause che non giustificano, ad es., una pronuncia di divorzio per uno Stato membro, porterebbero all'accoglimento della relativa domanda in un altro Stato membro. Non sarebbe pertanto equo, secondo la dottrina da ultimo richiamata, costringere il coniuge che vuole divorziare a restare vincolato soltanto perché l'altro coniuge, più rapido, ha radicato, grazie all'alternatività tra i criteri di collegamento di cui all'art. 3, la causa in uno Stato nel quale il diritto applicabile è più restrittivo, ottenendo una decisione di rigetto (Bonomi, 324).

Per altro verso, si è osservato che, invece, la scelta operata appare comunque inopportuna con riguardo alle decisioni di rigetto di una domanda di annullamento del matrimonio, poiché in questo caso l'oggetto del giudizio non è la continuazione della vita matrimoniale bensì l'esistenza di un vizio genetico del rapporto la cui ricorrenza o meno dovrebbe essere sempre accertata con efficacia di giudicato (Bonomi, 324).

Il riferimento testuale al “matrimonio” dovrebbe per converso portare ad escludere dall'ambito di applicazione del Regolamento le convivenze, anche quelle che, in accordo con le leggi vigenti negli ordinamenti di alcuni Stati Membri sono regolate dal diritto (Calò, 520; Ferrando - Querci, 189). Di conseguenza non rientrano nella materia matrimoniale le unioni civili disciplinate nel nostro ordinamento dalla legge n. 76/2016 (cfr. Davì - Zanobetti, 755).

È invece tradizionalmente discussa la possibilità di considerare applicabile il Regolamento nelle ipotesi di matrimonio omosessuale, previsto dalle legislazioni di alcuni Stati Membri, quali l'Olanda, il Belgio e la Spagna (Calò, 521; contra Baratta, 156; Conti, 293).

Ad una conclusione nel senso dell'applicabilità del Regolamento anche in questi casi sembrerebbe ostare l'affermazione, che si rinviene anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui “è pacifico che il termine matrimonio, in accordo con la definizione comunemente accolta negli Stati membri, designa un'unione tre due persone di sesso diverso” (CGUE 31 maggio 2001, Racc., 2001, I-4319 e Riv. not., 2002, 1263, con nota di Calò).

Di qui una parte della dottrina ha sottolineato che il Regolamento in commento dovrebbe trovare applicazione anche per le unioni coniugali same-sex, poiché, negli ordinamenti dove le stesse sono consentite, il matrimonio costituisce una figura unitaria (Davì - Zanobetti, 753 ss., i quali ricordano che, tuttavia, la concreta possibilità per i coniugi dello stesso sesso di ottenere la separazione o il divorzio dipenderà dalla legge applicabile nello Stato, come previsto dall'art. 13 del Regolamento n. 1259/2010).

Sotto altro profilo, una decisione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha affermato il principio in virtù del quale l'art. 1, § 1, lett. a), del Regolamento CE n. 2201/2003 deve essere interpretato nel senso che un'azione per l'annullamento del matrimonio proposta da un terzo successivamente al decesso di uno dei coniugi rientra nell'ambito di applicazione dello stesso (CGUE, Sez. II, 13 ottobre 2016, n. 294, in Nuova giur. civ. comm., 2017, n. 3, 354, con nota di Sgubin). La Corte ha invero rilevato, da un lato, che l'azione di annullamento del matrimonio proposta da un terzo dopo la morte di uno o entrambi i coniugi non rientra tra le materie esplicitamente escluse dall'art. 1, § 3, del Regolamento e, da un altro, l'esclusione di tale azione potrebbe essere causa di incertezza del diritto correlata all'assenza di un quadro giuridico uniforme, in contrasto con lo scopo specifico delle norme europee di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quale sia garantita la libera circolazione delle persone.

Segue. Controversie in tema di responsabilità genitoriale.

Già il Regolamento CE n. 2201/2003 aveva esteso, in ciò segnando una differenza fondamentale rispetto al Regolamento n. 1347/2000, le norme in tema di competenza giurisdizionale e riconoscimento delle decisioni a tutte le controversie relative alla responsabilità genitoriale, siano esse collegate o meno a cause matrimoniali (Conti, 295): in sostanza, non è più necessario che i procedimenti relativi alla potestà dei genitori siano instaurati in occasione di quelli di scioglimento del vincolo matrimoniale e riguardino i figli di entrambi i coniugi il cui matrimonio è in crisi (Ferrando - Querci, 188). A fondamento di tale scelta vi è il perseguimento dell'apprezzabile obiettivo di garantire il benessere morale e materiale del minore anche attraverso una procedura semplificata di dichiarazione di esecutività delle decisioni sulla responsabilità genitoriale (Baratta, 580).

Più in particolare rientrano nell'ambito di applicazione del Regolamento, tra quelle connesse alla responsabilità genitoriale, come precisato dal paragrafo secondo della norma in esame, le controversie in tema di: a) diritto di affidamento e il diritto di visita; b) tutela, curatela ed altri istituti analoghi; c) in ordine alle designazione ed alle funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano; d) concernenti la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto; e) relative alle misure di protezione del minore legate all'amministrazione, alla conservazione o all'alienazione dei beni del minore.

Tale elencazione ricalca in gran parte quella degli istituti e delle misure di protezione operata dall'art. 11 della Convenzione dell'Aja del 1996 la cui applicazione è regolata dall'art. 61 del Regolamento in esame (cfr. Salzano, 227). Più in particolare, secondo la predetta Convenzione le misure protettive possono riguardare: a) l'attribuzione, l'esercizio e l'ablazione della responsabilità parentale, oltre che la sua delega a terzi; b) il diritto di affidamento, comprendente il diritto di curare il minore ed, in particolare, quello di stabilire il suo luogo di residenza, oltre che il diritto di visita, incluso quello di condurre il fanciullo in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo; c) la tutela, la curatela e gli istituti analoghi; d) la designazione e le funzioni di qualsiasi persona od organismo incaricati di occuparsi della persona o dei beni del minore, di rappresentarlo o assisterlo; e) la collocazione del fanciullo in una famiglia di accoglienza o in un Istituto, o la sua sistemazione legale per mezzo della kafala o di analogo istituto; f) la soprintendenza, per mezzo delle pubbliche autorità, alle cure elargite al fanciullo da chiunque lo abbia a carico; g) l'amministrazione, la conservazione o gli atti di disposizione dei beni del fanciullo (v., ancora, Salzano, 227, il quale ritiene inopportuna la mancata menzione nella disposizione in commento della kafala sebbene la presenza islamica sia in costante aumento nell'Unione Europea).

Ne deriva che, nei rapporti tra gli Stati membri per i quali trova applicazione il Regolamento, per quanto attiene al riconoscimento ed all'esecuzione delle relative decisioni, il Regolamento prevale rispetto alle altre Convezioni che regolano la materia, fatta eccezione per la Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori (in arg. Dosi, 390; Salzano, 89).

L'art. 1, § 2, lett. a), precisa che rientrano nell'ambito di applicazione del Regolamento, tra quelle in tema di responsabilità genitoriale, in primo luogo le cause relative al diritto di affidamento ed al diritto di visita. Tali materie sono divenute oggetto di interesse da parte della Comunità perché è funzionale alla realizzazione del mercato comune la definizione degli status e delle relazioni familiari in un contesto nel quale sono sempre più frequenti le crisi delle numerose famiglie transnazionali (in arg. Marongiu, 343-345).

Ai sensi dell'art. 1, secondo comma, lett. e), rientrano nell'ambito di applicazione del Regolamento anche le misure di protezione del minore legate all'amministrazione, alla conservazione ed all'alienazione dei beni del minore. Si è a riguardo osservato, argomentando dal considerando n. 9 secondo cui le misure relative ai beni del minore, ma estranee alla protezione dello stesso, sono disciplinate dal Regolamento n. 44/2001, che il Regolamento in esame dovrebbe applicarsi soltanto qualora, ad es., i genitori abbiano una controversia circa l'amministrazione dei beni del minore. Ne consegue che la semplice appartenenza dei beni al minore non comporta l'applicazione del Regolamento in commento, bensì di quello concernente il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Calò, 527- 528).

Per altro verso, non si può trascurare che la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha più volte ribadito – con conclusioni che possono ritenersi operanti anche per il Regolamento in esame – il principio per il quale nella nozione di materia civile ai sensi del Regolamento n. 2201/2003 rientrano anche le decisioni di presa in carico dei minori adottate nell'ambito delle norme di diritto pubblico sulla protezione dei minori (CGUE, sez. III, 2 aprile 2009, n. 523; CGUE, Grande Sezione, 27 novembre 2007, n. 435, in Giust. civ., 2008, n. 11, 2331, con nota di Botti).

A riguardo, invero, in alcuni Stati membri, come la Svezia e la Finlandia, misure a tutela del minore, come la presa in carico da parte dell'autorità pubblica ed il successivo affidamento ad un Istituto o ad una nuova famiglia, costituiscono atti di diritto pubblico (cfr. Botti, 2340).

La Corte di Giustizia ha argomentato la propria decisione evidenziando che le pronunce di presa in carico rientrano nelle misure afferenti la responsabilità genitoriale in quanto i relativi provvedimenti sono correlati, l'uno presupponendo l'altro, e poiché l'elencazione delle materie rientranti nella responsabilità genitoriale di cui all'art. 1, § 2, è meramente esemplificativa. La Corte dell'Unione Europea ha inoltre sottolineato che tale lettura è confermata dalla formulazione estensiva del quinto considerando ove dispone che il Regolamento, per garantire parità di condizioni a tutti i minori, disciplina ogni decisione in tema di responsabilità genitoriale, incluse le misure di protezione del minore, diversamente ponendosi un problema di non discriminazione nel trattamento dei minori e la conseguente uniformità applicativa del regolamento (CGUE, Grande Sezione, 27 novembre 2007, n. 435, cit.).

La stessa Corte di Giustizia dell'Unione europea ha sancito che una decisione di un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro che preveda la collocazione di un minore in un istituto terapeutico e rieducativo di custodia situato in un altro Stato membro e che implichi, per un periodo determinato e per finalità protettive, una privazione della libertà rientra nell'ambito di applicazione ratione materiae del regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (CGUE, 26 aprile 2012, n. 92). La Corte di Giustizia ha motivato il proprio convincimento su tale questione, richiamando le argomentazioni già poste a sostegno della precedente pronuncia della Grande Sezione sull'interpretazione lata della nozione “materia civile” ove riferita alle misure assunte in favore dei minori, sottolineando, in particolare, che la nozione di collocazione in istituto deve essere interpretata nel senso di ricomprendere la collocazione del minore in un istituto di custodia, in quanto “ogni diversa interpretazione priverebbe, infatti, dei benefici del regolamento i minori particolarmente vulnerabili che necessitano di una simile collocazione e contrasterebbe con la finalità del regolamento, esposta al quinto considerando, di garantire pari condizioni a tutti i minori”.

Non trascura per altro verso di osservare la stessa Corte di Giustizia che la lettera g) della disposizione in esame esclude dall'ambito di applicazione del regolamento soltanto i «provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi da minori» e, di conseguenza, le misure detentive volte a sanzionare la commissione di un illecito penale, sicché la collocazione accompagnata da misure di privazione della libertà rientra nell'ambito di applicazione del regolamento allorché detta collocazione sia disposta per proteggere il minore e non a titolo sanzionatorio.

In sostanza, come osservato in dottrina, la Corte di Giustizia è incline ad una lettura aperta del Regolamento e tale da consentire la relativa applicazione in generale a tutta l'attività svolta dalle autorità di uno Stato membro in relazione alla delega o alla revoca della potestà genitoriale. In tale prospettiva, la stessa nozione di giurisdizione assume un carattere aperto ed idoneo a ricomprendere tutti gli organi giurisdizionali interni che, ai sensi del diritto nazionale, sono chiamati ad intervenire in materia, senza che il concetto di diritto civile possa assumere una qualche valenza preclusiva. In sostanza ciò che assume rilevanza è il c.d. petitum mediato, ossia unicamente il bene al quale si aspira attraverso il diritto che si fa valere, i.e. la determinazione della residenza del minore ed il collocamento dello stesso al di fuori della famiglia (cfr. Gozzi, 461).

Materie escluse dall’ambito di applicazione del Regolamento.

Il § 4 dell'art. 1 individua le ipotesi nelle quali è esclusa l'applicazione del Regolamento in esame. Nello specifico, si tratta delle cause relative: a) alla determinazione o all'impugnazione della filiazione; b) alla decisione relativa all'adozione, alle misure che la preparano o all'annullamento o alla revoca dell'adozione; c) ai nomi e ai cognomi del minore; d) all'emancipazione; e) alle obbligazioni alimentari; f) ai trust e alle successioni; g) ai provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi da minori

In particolare, in forza della lettera e) sono escluse dall'ambito di applicazione del Regolamento (come già avveniva per il Reg. CE n. 2201/2003) le cause in tema di obbligazioni alimentari, tra le quali vanno ricomprese le questioni afferenti il mantenimento della prole.

La relativa disciplina si rinviene, invero, nel Regolamento UE sulle obbligazioni alimentari n 4/2009 (Lupoi, § 1).

G Conforta tale tesi l'equiparazione da parte della giurisprudenza di legittimità dei crediti di mantenimento a quelli alimentari (ex multis, Cass. III, n. 10374/2007).

La lettera f) precisa, poi, che non rientrano nell'ambito di applicazione del Regolamento in esame le questioni concernenti trust e successioni. Peraltro, sul punto la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha chiarito che l'approvazione di un accordo di divisione dell'eredità concluso dal curatore di figli minori per loro conto costituisce una misura relativa all'esercizio della responsabilità genitoriale, ai sensi dell'art. 1 §.1 lett. b), ricade pertanto nel suo ambito di applicazione e non in quello delle successioni (art. 1 §.3 lett. f), espressamente escluso (CGUE, sez. III, 6 ottobre 2015, n. 404).

Sono esclusi, in accordo con il terzo comma, lett. g), altresì “tutti i provvedimenti derivanti da illeciti penali” commessi dai minori. A riguardo si è evidenziato che la norma appare scritta per gli Stati membri che non prevedono, a seguito della commissione di un reato da parte del minore, un necessario intervento del giudice penale, attivando in varie forme il sistema dei servizi sociali (Fadiga, 5).

Sotto altro profilo, ossia in materia non espressamente richiamata dalla disposizione in commento, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea è stata chiamata a pronunciarsi su una questione pregiudiziale avente ad oggetto se l'esecuzione di una penalità comminata in una decisione relativa al diritto all'affidamento e al diritto di visita dei minori, diretta a garantire il rispetto di tale diritto, rientra nell'ambito di applicazione del Regolamento n. 44/2001 (applicabile ratione temporis nella fattispecie esaminata in luogo del successivo regolamento n. 1215/2012) ovvero del Regolamento n. 2201/2003 in esame, anch’esso al tempo applicabile in luogo di quello attuale (cfr. Nisi, 688).

Nel rispondere a tale questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha affermato che l'art. 1 del Regolamento n. 44/2001 deve essere interpretato nel senso che tale regolamento non si applica all'esecuzione in uno Stato membro di una penalità comminata in una decisione emessa in un altro Stato membro, relativa al diritto di affidamento ed al diritto di visita, penalità volta a garantire il rispetto di detto diritto di visita da parte del titolare del diritto di affidamento (CGUE, sez. I, 9 settembre 2015). Nel motivare tale decisione, la Corte ha ricordato, in primo luogo, che l'ambito di applicazione del regolamento n. 44/2001 è limitato alla “materia civile e commerciale” ed è determinato in ragione degli elementi che caratterizzano la natura dei rapporti giuridici fra le parti in causa o l'oggetto della lite. Sottolinea, poi, la Corte di Giustizia che, quanto ai provvedimenti provvisori, la loro appartenenza al campo d'applicazione del Regolamento n. 44/2001 è determinata non già dalla loro natura, bensì dalla natura dei diritti che essi devono tutelare. Proprio in ragione di ciò, con riguardo all'esecuzione in uno Stato membro di una condanna al pagamento di un'ammenda, comminata dal giudice di un altro Stato membro allo scopo di far rispettare un divieto dettato in una decisione emessa in tale Stato in materia civile e commerciale, nella stessa giurisprudenza comunitaria era stato già precisato che la natura di tale diritto di esecuzione dipende da quella del diritto soggettivo per la cui violazione è stata disposta l'esecuzione. Pertanto, considerato che nella fattispecie concreta veniva in rilievo una penalità disposta in base all'art. 1385-bis del codice di procedura civile belga, in forza del quale il giudice dello Stato di origine ha stabilito la penalità di cui trattasi nel procedimento principale, risulta che tale misura equivale alla condanna di una parte, su domanda della parte avversa, al pagamento di una somma di denaro nel caso di inosservanza dell'obbligo principale ad essa incombente, sicché la penalità ha un carattere accessorio rispetto all'obbligo principale, la Corte di Giustizia ha evidenziato che poiché l'art. 1, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 44/2001 esclude espressamente dal campo di applicazione di tale regolamento lo stato delle persone fisiche, nozione che comprende l'esercizio della potestà genitoriale su un figlio, e proprio causa di tale esclusione e per colmare tale lacuna sono stati successivamente adottati i regolamenti n. 1347/2000 e n. 2201/2003, i cui rispettivi ambiti di applicazione includono, in particolare, le questioni relative alla responsabilità genitoriale – tra le quali rientrano, come precisato nell'articolo 1, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 2201/2003, quelle relative al diritto di affidamento e al diritto di visita – si deve ritenere che la penalità di cui è chiesta l'esecuzione nel procedimento principale è una misura accessoria volta a garantire la salvaguardia di un diritto che non rientra nell'ambito di applicazione del regolamento n. 44/2001, bensì in quello del Reg. CE n. 2201/2003.

Bibliografia

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