Regolamento - 25/06/2019 - n. 1111 art. 2 - DefinizioniDefinizioni 1. Ai fini del presente regolamento per «decisione» si intende: una decisione di un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro, inclusi un decreto, un'ordinanza o una sentenza, che sancisca il divorzio, la separazione personale dei coniugi, l'annullamento del matrimonio o che riguardi questioni relative alla responsabilità genitoriale. Ai fini del capo IV, il termine «decisione» comprende: a) una decisione resa in uno Stato membro che dispone il ritorno di un minore in un altro Stato membro ai sensi della convenzione dell'Aia del 1980 e che deve essere eseguita in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata resa; b) provvedimenti provvisori, inclusi i provvedimenti cautelari, disposti da un'autorità giurisdizionale che, in virtù del presente regolamento, è competente a conoscere del merito o provvedimenti disposti conformemente all'articolo 27, paragrafo 5, in combinato disposto con l'articolo 15. Ai fini del capo IV, il termine «decisione» non comprende i provvedimenti provvisori, inclusi i provvedimenti cautelari, disposti da una tale autorità giurisdizionale senza che il convenuto sia stato invitato a comparire, a meno che la decisione contenente il provvedimento sia notificata al convenuto prima dell'esecuzione. 2. Ai fini del presente regolamento si applicano le definizioni seguenti: 1) «autorità giurisdizionale»: l'autorità di qualsiasi Stato membro avente competenza giurisdizionale per le materie rientranti nell'ambito di applicazione del presente regolamento; 2) «atto pubblico»: un documento che sia stato formalmente redatto o registrato come atto pubblico in uno Stato membro in relazione alle materie rientranti nell'ambito di applicazione del presente regolamento e la cui autenticità: a) riguardi la firma e il contenuto dell'atto; e b) sia stata attestata da un'autorità pubblica o da altra autorità a tal fine autorizzata. Gli Stati membri comunicano tali autorità alla Commissione conformemente all'articolo 103; 3) «accordo»: ai fini del capo IV, un documento che non è un atto pubblico e che è stato concluso dalle parti in relazione alle materie rientranti nell'ambito di applicazione del presente regolamento e registrato da un'autorità pubblica comunicata alla Commissione dallo Stato membro conformemente all'articolo 103 a tal fine; 4) «Stato membro di origine»: lo Stato membro in cui è stata resa la decisione, è stato formalmente redatto o registrato l'atto pubblico, oppure è stato registrato l'accordo; 5) «Stato membro dell'esecuzione»: lo Stato membro in cui è chiesta l'esecuzione della decisione, dell'atto pubblico o dell'accordo; 6) «minore»: una persona di età inferiore agli anni 18; 7) «responsabilità genitoriale»: i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore, compresi il diritto di affidamento e il diritto di visita; 8) «titolare della responsabilità genitoriale»: la persona, istituzione o altro ente che eserciti la responsabilità di genitore su un minore; 9) «diritto di affidamento»: vi sono inclusi i diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore, e in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza; 10) «diritto di visita»: il diritto di visita nei confronti di un minore, compreso il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo; 11) «trasferimento illecito o mancato ritorno del minore»: il trasferimento o il mancato ritorno di un minore: a) quando tale trasferimento o mancato ritorno avviene in violazione del diritto di affidamento derivante da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base al diritto dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato ritorno; e b) se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato ritorno, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti il trasferimento o il mancato trasferimento. 3. Ai fini degli articoli 3, 6, 10, 12, 13, 51, 59, 75, 94 e 102, la nozione di «domicile» sostituisce quella di «cittadinanza» per Irlanda e Regno Unito, e ha lo stesso significato che ha nei singoli ordinamenti giuridici di detti Stati membri. InquadramentoSul piano definitorio, il Regolamento Bruxelles II bis, recast, riprende, talora “correggendole” sul piano formale, alcune delle definizioni del Regolamento CE n. 2201/2003.L'obiettivo di una norma come quella in esame, dedicata alla specificazione del significatodei i termini giuridici più frequentemente usati, è cercare di prevenire contrasti e dubbi interpretativi che, considerate le significative differenze nell'ambito dei sistemi degli Stati membri, potrebbero ostacolare l'uniforme applicazione delle norme espresse dal Regolamento (Lupoi, in judicium.it, § 3). Per altro verso, la Corte di Giustizia ha chiarito che la nozione di diritto di affidamento deve essere intesa in modo autonomo rispetto ai diritti nazionali (CGUE III, 5 ottobre 2010, n. 400); tuttavia, tale nozione neppure coincide con quella di cui alla Convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (cfr. Salzano, 211). DefinizioniCome già il precedente, anche il Regolamento UE n. 1111/2019, c.d. recast, trova applicazione indipendentemente dalla natura di autorità giurisdizionale adita, poiché, come evidenziato dall'art. 2 n. 1, il concetto di autorità giurisdizionale riguarda tutte le autorità degli Stati membri competenti per le materie rientranti nel campo di applicazione del regolamento. La relativa disciplina si estende così anche ai procedimenti di natura amministrativa eventualmente previsti dalle leggi nazionali nelle materie di riferimento. L'art. 2, n. 1, del Reg. UE n. 1111/2019, ha poi precisato che, ai fini del capo IV (riconoscimento ed esecuzione), il termine «decisione» comprende una decisione di un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro, inclusi un decreto, un'ordinanza o una sentenza, che sancisca il divorzio, la separazione personale dei coniugi, l'annullamento del matrimonio o che riguardi questioni relative alla responsabilità genitoriale. In ogni caso, condizione per la circolazione di una decisione nello spazio giudiziario europeo è il rispetto del fondamentale principio del contraddittorio, nel senso che il convenuto deve essere invitato a comparire nel processo – condizione, quest'ultima, irrilevante qualora la decisione contenente il provvedimento sia notificata al convenuto prima dell'esecuzione (Matteini Chiari, Riconoscimento ed esecuzione, 2021, § 5). Il riconoscimento riguarda le pronunce che sanciscono il divorzio, la separazione personale dei coniugi, l'annullamento del matrimonio o che riguardi questioni relative alla responsabilità genitoriale. Si è ritenuto che tra le decisioni di annullamento dovrebbero rientrare anche quelle di accertamento dell'inesistenza del matrimonio (Baratta, 2004, 192). Non è invece ammesso, come confermato anche dalla Relazione Borrás con riguardo al Regolamento CE n. 1347/2000 e come previsto dal Regolamento CE n. 2201/2003, il riconoscimento della decisione negativa, ossia di rigetto della domanda (Baratta, 2004, 158). Fondamentale è – alla luce del dibattito degli ultimi anni – la precisazione ad opera del Regolamento UE n. 1111/2019, che, ai fini del Capo IV, l'«accordo» è un documento che non è un atto pubblico e che è stato concluso dalle parti in relazione alle materie rientranti nell'ambito di applicazione del presente regolamento e registrato da un'autorità pubblica comunicata alla Commissione dallo Stato membro conformemente all'art. 103. Come è stato rilevato, se nel sistema di cui al Regolamento Bruxelles II bis l'art. 46 prevede che gli atti pubblici formati ed aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro e gli accordi tra le parti aventi efficacia esecutiva nello Stato membro di origine sono riconosciuti ed eseguiti alle stesse condizioni previste per le decisioni, e quindi assoggettati all'exequatur, tale requisito non è più contemplato, per le procedure incardinate dalla data del 1° agosto 2022, in forza dell'art. 65, § 2, del Regolamento UE n. 1111/2019, c.d. recast. Quest'ultima norma (v. anche relativo Commento) stabilisce, infatti, che gli atti pubblici e gli accordi in materia di responsabilità genitoriale aventi effetti giuridici vincolanti e che abbiano efficacia esecutiva nello Stato membro di origine sono riconosciuti ed eseguiti negli altri Stati membri senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività, ossia alle stesse condizioni previste per le decisioni (cfr. Matteini Chiari, Riconoscimento ed esecuzione, § 7). La definizione di responsabilità genitoriale di cui al n. 7 dell'art. 2 del Regolamento CE n. 2201/2003, ripresa dalla corrispondente norma del Regolamento di prossima entrata in vigore, ha un contenuto molto esteso, tale da ricomprendere l'insieme dei diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore, compresi il diritto di affidamento e il diritto di visita. L'ampiezza di tale definizione ha lo scopo di evitare ipotetici effetti discriminatori tra minori correlati all'impossibilità di ricondurre allo spazio applicativo del regolamento alcune situazioni peculiari (Conti, 2004, 294). È inoltre ampliato, per evitare il persistere di dubbi applicativi rispetto alla normativa previgente, il concetto di titolare della responsabilità genitoriale, espressamente esteso dall'art. 2, secondo comma, n. 8, del Regolamento UE n. 1111/2019 anche ad ogni ente o istituzione che eserciti la responsabilità genitoriale sul minore. L'art. 2, secondo comma, n. 9, dello stesso Regolamento in esame precisa, inoltre, che nella nozione di diritti di affidamento sono inclusi i diritti e i doveri concernenti la cura della persona di un minore, ed in particolare il diritto di intervenire nella decisione che riguarda il suo luogo di residenza. Nella vigenza del Regolamento CE n. 2201/2003, la Corte di Giustizia ha chiarito, a riguardo, che la nozione di «diritto di affidamento» è autonoma rispetto alle normative nazionali: infatti, dalla necessità di garantire il principio di eguaglianza e l'applicazione uniforme del diritto dell'Unione discende che il significato di una disposizione dello stesso che non contenga un espresso richiamo al diritto degli Stati membri deve essere oggetto di un'interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e della finalità da essa perseguita. L'illiceità del trasferimento di un minore ai fini dell'applicazione del regolamento dipende, invece, esclusivamente dall'esistenza di un diritto di affidamento conferito dalla normativa dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento (CGUE III, 5 ottobre 2010, n. 400). La medesima nozione di «diritto di affidamento» non equivale a quella prevista dall'art. 5 della Convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, la quale specifica che il diritto di affidamento include quello di decidere con riguardo al luogo di residenza del minore, mentre la norma in commento afferma che nell'affidamento è insito il diritto di intervenire nella decisione sulla residenza. Ne deriva, come evidenziato in dottrina, che è titolare della responsabilità parentale anche il genitore comunitario che, in virtù di specifiche disposizioni legislative o giudiziali, vanti il diritto di essere consultato per la fissazione della residenza della prole minorenne o sia titolare di un potere di veto sulla decisione assunta dall'altro genitore (Salzano, 2011, 226). Il trasferimento transfrontaliero o il mancato rientro di un minore nella sua residenza abituale è considerato illecito, secondo la definizione contenuta dell'art. 2 del Regolamento CE n. 2201/2003, quando avviene in violazione del diritto di affidamento, come definito dalla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del mancato rientro, e quando, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, tale diritto era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, o avrebbe potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze (cfr. Salzano, 2011, 102). Analoga è la definizione riproposta dall'art. 2, secondo comma, n. 11, del Regolamento Bruxelles III bis, cd. recast, salva la precisazione che il diritto di affidamento può derivare, in base alla legislazione dello Stato in cui il minore aveva la sua residenza abituale, dalla legge, da una decisione o da un accordo. L'art. 2, comma secondo, n. 10, del Regolamento in esame definisce il diritto di visita nei confronti di un minore come quello che comprende il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un limitato periodo di tempo. Nella giurisprudenza europea, è stato precisato che la nozione di «diritto di visita» deve essere interpretata nel senso che essa comprende il diritto di visita dei nonni nei confronti dei loro nipoti (CGUE, sez. I, 31 maggio 2018, n. 335). Peraltro, per la ricostruzione della nozione di trasferimento illecito del minore, resta essenziale l'elaborazione compiuta tanto in giurisprudenza quanto in dottrina in relazione alla Convenzione de l'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, cui il Regolamento in esame fa espresso riferimento e che è assolutamente analoga in parte qua. Sotto un distinto profilo, con un'importante pronuncia interpretativa, la Corte di Giustizia ha sancito il principio per il quale Ai sensi dell'art. 2, punto 11, Regolamento (Ce) n. 2201/2003 (Bruxelles II bis), relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale non può costituire un trasferimento illecito o un mancato ritorno illecito, la situazione in cui uno dei genitori, senza il consenso dell'altro genitore, si trova a dover portare il figlio dal suo Stato di residenza abituale in un altro Stato membro in esecuzione di una decisione di trasferimento adottata dal primo Stato membro sulla base del Regolamento (UE) n. 604/2013 (Dublino III), che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, e successivamente a restare nel secondo Stato membro dopo che tale decisione di trasferimento è stata annullata senza, peraltro, che le autorità del primo Stato membro abbiano deciso di riprendere in carico le persone trasferite o di autorizzarne il soggiorno (CGUE, 2 agosto 2021, n. 262, in una fattispecie nella quale la madre si era allontanata insieme al figlio dal padre violento). 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