Riconoscimento del figlio nato al di fuori del matrimonio in caso di opposizione dell'altro genitore1. Bussole di inquadramentoRiconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio Quanto al riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio l'art. 250 c.c. distingue tra l'ipotesi di riconoscimento di figlio che ha compiuto quattordici anni, a quella relativa al minore infraquattordicenne che subordina il riconoscimento al consenso dell'altro genitore che ha già effettuato il riconoscimento, concernente il caso che ci occupa. La disposizione precisa che tale consenso non può essere rifiutato se risponde all'interesse del figlio. La struttura lessicale e sintattica della norma suggerisce una lettura fortemente restrittiva dell'opposizione, ove il giudice deve riveste un ruolo attivo, assumendo eventuali provvedimenti provvisori ed urgenti al fine di instaurare la relazione tra il figlio ed il genitore ricorrente, salvo che l'opposizione non sia palesemente fondata. Da un lato, quindi, vi è una sentenza che tiene luogo del consenso mancante, dall'altro, tale consenso non può essere rifiutato, salvo l'esistenza di motivi gravi ed irreversibili che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, che giustifichi il sacrificio totale del diritto alla genitorialità. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Se l'altro genitore si oppone, il giudice quale criterio deve seguire nell'autorizzare, o meno, il riconoscimento?
Orientamento recente della Corte di Cassazione L'interesse superiore del minore è la “bussola” della decisione e può prevalere, in casi eccezionali, anche sulla verità biologica La Corte di cassazione, a partire dalla sentenza n. 7762/2017, ha evidenziato che il quadro normativo attuale, come interpretato dalla giurisprudenza e dalla dottrina prevalenti, impone un bilanciamento fra l'esigenza di affermare la verità biologica, anche in considerazione delle “avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dall'elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini” (così Corte cost. n. 7/2012) con l'interesse alla stabilità dei rapporti familiari, nell'ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all'identità non necessariamente correlato alla verità biologica, ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all'interno di una famiglia (v., di recente, Cass. I, n. 24718/2021). Tale bilanciamento, riguardato nell'ottica dell'interesse superiore del minore, non può costituire il risultato di una valutazione astratta, ma postula un accertamento in concreto dell'interesse del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all'esigenza di una sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale (Cass., 23 settembre 2015, n. 18817/2015; Cass., n. 25213/2013; Cass., n. 21651/2011; Cass., n. 14840/2006; Cass., n. 4834/1997; Cass., n. 8413/1996). La S.C. nel ribadire tali principi ha anche sottolineato che il diritto, come quello alla vita familiare, stabilito all'art. 8 CEDU, non presenta carattere assoluto ma, al contrario, può essere sacrificato all'esito di un giudizio di bilanciamento con il concreto interesse del minore a non subire per effetto del riconoscimento un grave pregiudizio per il proprio sviluppo psico-fisico. Resta fermo che a tal fine l'accertamento da svolgersi, tuttavia, deve essere rigoroso perché non qualsiasi turbamento può incidere sull'indicato diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto ma solo il pericolo, fondato su un giudizio prognostico concretamente incentrato sulla situazione personale e relazionale del genitore e del minore che abbia ad oggetto la verifica del pericolo per lo sviluppo psico-fisico non traumatico del minore stesso, derivante dal riconoscimento richiesto. In sostanza, poiché la corretta e veritiera rappresentazione della genitorialità costituisce elemento costitutivo dell'identità del minore e del suo equilibrato sviluppo psico-fisico, la sottrazione radicale del rapporto giuridico paterno o materno, conseguente al diniego di riconoscimento ex art. 250 c.c., può essere giustificata soltanto dalla valutazione prognostica di un pregiudizio superiore al disagio psichico indubitabilmente conseguente dalla mancanza e non conoscenza di uno dei genitori, da correlarsi alla pura e semplice attribuzione della genitorialità (Cass. I, n. 24718/2021). Orientamento più risalente della Corte di Cassazione Deve prevalere in ogni caso il diritto alla genitorialità In origine, si muoveva dal diritto alla genitorialità, ovvero alla bigenitorialità, quale necessaria compresenza di ruoli genitoriali che mira a preservare esso stesso l'equilibrio psicofisico del minore, inteso quale vantaggio in astratto ed a prescindere da qualunque indagine in concreto circa il pregiudizio che ne può derivare per lo sviluppo del minore. Sicché, la tutela dell'interesse del minore si evolve in parallelo ed in funzione della tutela alla bigenitorialità, quali interessi giuridici imprescindibilmente connessi, tanto da affermare che Il riconoscimento del figlio naturale minore infrasedicenne costituisce oggetto di un «diritto soggettivo dell'altro genitore, costituzionalmente garantito dall'art. 30 Cost., entro i limiti stabiliti dalla legge (art. 250 c.c.), cui rinvia la Costituzione, che non si pone in termini di contrapposizione con l'interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, che è segnato dal complesso dei diritti che al minore derivano dal riconoscimento e, in particolare, dal diritto all'identità personale, inteso come diritto ad una genitorialità piena e non dimidiata. Sicché, il mancato riscontro di un interesse effettivo e concreto del minore non costituisce ostacolo all'esercizio del diritto del genitore ad ottenere il riconoscimento, nel caso di opposizione del genitore che per primo ha proceduto al riconoscimento, in quanto detto interesse va valutato in termini di attitudine a sacrificare la genitorialità, riscontrabile soltanto qualora si accerti l'esistenza di motivi gravi ed irreversibili che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, che giustifichi il sacrificio totale del diritto alla genitorialità» (Cass. n. 21088/2004). Orientamenti di merito Rapporto con entrambi i genitori e crescita equilibrata del minore La presunta inidoneità del padre a svolgere il compito genitoriale non costituisce impedimento al riconoscimento del figlio che sussiste solo ove sussista un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore (Trib. Torino VII, 9 febbraio 2021, n. 680, fattispecie nella quale si è ritenuto che anche le anomalie comportamentali riferite dalla madre circa contegni inadeguati assunti dal padre nei suoi confronti – reati di minaccia ed ingiuria –, non fossero sufficienti a concretizzare quel pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore, tale da giustificare il sacrificio del diritto alla bigenitorialità). Non costituiscono idonei motivi di opposizione al riconoscimento il sostanziale disinteresse del padre ad esercitare il proprio ruolo della volontà di riconoscere il figlio solo per una forma di possesso che lo stesso avrebbe voluto esercitare e per l'intenzione del padre di far circoncidere il figlio minore, in quanto il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio è collegabile a un diritto primario, di diretta discendenza costituzionale (art. 30 Cost.), cui corrisponde un precipuo interesse del minore ad acquisire uno status familiare, che, nel caso di concepimento all'interno del matrimonio, è soddisfatto ipso iure dall'appartenenza a quella famiglia, mentre, negli altri casi, trova riscontro nel riconoscimento, in genere operato da entrambi i genitori o da uno solo al momento della nascita (Trib. Vicenza II, 8 novembre 2019, n. 2292). L'art. 250 c.c. devolve alla cognizione del giudice una valutazione circa l'interesse primario del figlio al riconoscimento, di guisa che il giudice è chiamato, non solo a ratificare un fatto naturale (quale la procreazione del figlio da parte di un soggetto che si afferma esserne il padre), ma anche a valutare l'interesse del figlio ad avere quel soggetto come padre. L'esame della rispondenza del riconoscimento all'interesse del minore passa attraverso il necessario bilanciamento tra diritti tutti costituzionalmente garantiti, vale a dire, il diritto alla paternità e il diritto del minore ad avere un padre, sia in relazione alla propria identità personale, sia in relazione al fondamentale apporto nella sua crescita psicofisica della presenza di entrambi i genitori. In particolare, se, da un lato, il genitore ha un diritto costituzionalmente garantito al riconoscimento del figlio, dall'altro lato, tale diritto non è assoluto, ma è controbilanciato dal diritto del minore a non vedere compromesso il proprio sviluppo psico-fisico e anzi è quest'ultimo diritto che, in caso di contrasto, deve essere ritenuto più importante. In tale contesto, il mancato riconoscimento, piuttosto che implicare un vulnus al diritto costituzionalmente garantito del figlio ad avere un genitore, si configura quale unico mezzo di tutela del diritto, anch'esso primario, del minore ad una crescita equilibrata (Trib. Monza, 18 dicembre 2019, n. 2787).
Domanda
Il minore è parte del procedimento?
No, salvo che per la sussistenza di un conflitto di interessi il Tribunale ritenga opportuna la nomina di un curatore speciale Nel procedimento disciplinato dall'art. 250 c.c., come novellato dall'art. 1 della l. n. 219/2012, teso al riconoscimento del figlio che non abbia compiuto i quattordici anni, quest'ultimo non assume la qualità di parte, per cui la nomina di un curatore speciale è necessaria solo ove il giudice lo ritenga opportuno in considerazione del profilarsi, in concreto, di una situazione di conflitto di interessi (Cass., n. 275/2020). 3. Azioni processualiFunzione e natura del giudizio Ai sensi del comma 4 dell'art. 250 c.c., il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell'altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all'altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l'opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza, che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell'art. 315-bis c.c. e al suo cognome ai sensi dell'art. 262 c.c. Aspetti preliminari Competenza La competenza è demandata al Tribunale del luogo di residenza abituale del minore che decide nell'ambito di un procedimento che segue le forme di quello in camera di consiglio ex art. 77 ss. c.p.c. Legittimazione La legittimazione attiva a proporre il ricorso spetta al genitore che vuole riconoscere il figlio minore a fronte del mancato consenso dell'altro genitore, legittimato passivo, il quale ha effettuato il riconoscimento per primo. Atto introduttivo Contenuto del ricorso Il ricorso deve contenere le generalità del ricorrente e del suo difensore, compresa l'indicazione del codice fiscale di entrambi, e del numero di fax e di posta elettronica certificata del difensore presso cui la parte deve eleggere domicilio, nel Comune ove ha sede il giudice adito, conferendogli con atto separato la procura alla lite, la quale, va sottoscritta dal ricorrente e dal difensore che deve autenticarne la sottoscrizione. Nel ricorso, prima della formulazione delle conclusioni, il ricorrente deve evidenziare l'assenza di circostanze ostative, avendo riguardo al superiore interesse del minore, rispetto al riconoscimento anche da parte di esso genitore istante. Profili di merito Onere della prova e mezzi istruttori Piuttosto che dal principio dell'onere della prova, specie quando il contrasto viene portato anche dinanzi all'autorità giudiziaria poiché alla proposizione del ricorso segue l'opposizione dell'altro genitore che aveva già compiuto il riconoscimento, la decisione sul ricorso si fonda sulla prudente valutazione dell'autorità giudiziaria – che nell'ambito dei giudizi camerali gode ex art. 738, comma 3, c.c. di ampi poteri istruttori officiosi – in ordine alla rispondenza del riconoscimento all'interesse superiore del minore. Particolare rilievo, anche ai fini delle valutazioni dell'autorità giudiziaria nel procedimento in esame, ha l'audizione del minore: come ha sottolineato la S.C., infatti, la necessità dell'audizione costituisce il portato della priorità, nell'ambito della sempre più affermata esigenza dell'audizione del minore in tutti i provvedimenti che lo riguardano (art. 155-sexies c.c.), dell'interesse del figlio minore che non abbia compiuto i sedici anni (ora quattordici), nel procedimento previsto dall'art. 250 c.c., comma 4, al riconoscimento della paternità naturale, come complesso dei diritti che a lui derivano dal riconoscimento stesso, ed in particolare, del diritto all'identità personale nella sua precisa ed integrale dimensione psico-fisica (Cass., n. 12984/2009). L'imprescindibilità dell'audizione non solo consente di realizzare la presenza nel giudizio dei figli, in quanto parti “sostanziali” del procedimento (Cass., n. 22238/2009), ma impone certamente che degli esiti di tale ascolto si tenga conto, fermo restando che le valutazioni del giudice, in quanto doverosamente orientate a realizzare l'interesse del minore, che può non coincidere con le opinioni dallo stesso manifestate, potranno in tal caso essere difformi, peraltro con un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore stesso (Cass., n. 7773/2012). Inoltre, se il conflitto tra i genitori è elevato il giudice potrebbe disporre anche accertamenti peritali volti a verificare la possibilità di costruire un percorso di recupero, a seguito del riconoscimento, della genitorialità anche nell'interesse del minore e non in conflitto con esso. 4. ConclusioniQuanto al riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio l'art. 250 c.c. distingue tra l'ipotesi di riconoscimento di figlio che ha compiuto quattordici anni, a quella relativa al minore infraquattordicenne che subordina il riconoscimento al consenso dell'altro genitore che ha già effettuato il riconoscimento, concernente il caso che ci occupa. Nell'ipotesi di dissenso dell'altro genitore, colui il quale intende effettuare il riconoscimento ai sensi del quarto comma dello stesso art. 250 c.c. può adire il Tribunale del luogo di residenza del minore che deciderà, avendo riguardo all'interesse superiore del minore medesimo, come raccolto, se si tratti di minore capace di discernimento, in sede di audizione dello stesso. Tale interesse superiore può prevalere anche sulla verità biologica, ove il riconoscimento determinerebbe gravi conseguenze sull'equilibrio del minore. |