Bancarotta fraudolenta, no alla motivazione solo “formale” della misura “costituzionale” delle pene accessorie fallimentari
12 Maggio 2022
La motivazione utile a sorreggere la valutazione della misura “costituzionale” delle pene accessorie fallimentari non può essere solo “formale”, elusiva dell'obbligo di determinazione in concreto imposto al giudice sulla base dei criteri previsti dagli artt. 132 e 133 c.p., ma deve parametrarsi alla funzione preventiva ed interdittiva delle stesse, tenuto conto della gravità della condotta, nonché di tutti gli elementi fattuali indicativi della capacità a delinquere dell'agente, non potendo essere agganciata al mero richiamo aspecifico all'esistenza di precedenti penali. In applicazione di tale principio, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d'Appello di Milano limitatamente alla durata delle pene accessorie previste dall'art. 216, ultimo comma, l.fall., con rinvio per un nuovo esame sul punto ad altra sezione della stessa Corte d'Appello. Il caso. I fatti come contestati traggono origine dalle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale dei ricorrenti individuati come amministratori di fatto di una s.r.l. fallita che si occupava di gestire autorimesse. La Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, ha confermato le condanne dei ricorrenti in relazione ad alcune condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e ha rideterminato la misura delle pene accessorie fallimentari per il coimputato, nel contesto del fallimento della s.r.l. Contro la decisione della Corte d'Appello ha presentato ricorso per cassazione la difesa degli imputati rimarcando diverse censure. La soluzione giuridica. La Quinta Sezione ha ritenuto fondate le censure dei ricorrenti che deducono la sostanziale carenza motivazionale delle argomentazioni del provvedimento impugnato con le quali si è confermata la misura per le sanzioni fallimentari accessorie in esame. Ma osserva pure come la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 222/2018 - emessa, il giorno successivo a quello della decisione di primo grado del presente processo-, ha dichiarato l'incostituzionalità della durata fissa delle pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, prevista ex lege in dieci anni dall'ultimo comma dell'art. 216 l. fall. in relazione alle ipotesi di condanna relativa ai reati di bancarotta fraudolenta, ed ha rimodulato, con la suddetta sentenza manipolativa sostitutiva, la formula normativa con il disposto "fino a dieci anni". Invero è la stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 222/2018 a tracciarne il solco per un'interpretazione finalizzata all'applicazione dei criteri previsti dall'art. 133 c.p. per la determinazione della misura oramai non più fissa delle pene accessorie della bancarotta fraudolenta. Successivamente le Sezioni Unite, con la sentenza Suraci n. 28910/2019, proprio in relazione al caso delle pene accessorie decennali previste per i reati di bancarotta fraudolenta dichiarate incostituzionali dalla sentenza n. 222/2018 Corte Cost., hanno disposto, risolvendo la questione controversa loro sottoposta, e superando l'indirizzo espresso dalla precedente sentenza Sezione Unite B. n. 6240 del 2014 dep. 2015, che la rideterminazione delle pene accessorie fisse illegali debba essere operata dal giudice, nell'ambito dei limiti edittali risultanti dalla nuova formulazione, in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 c.p. (in dottrina v. Finocchiaro, Le Sezioni unite sulla determinazione delle pene accessorie a seguito dell'intervento della Corte costituzionale in materia di bancarotta fraudolenta, in Dir. pen. cont. on line, 3 luglio 2019; sulla bancarotta fraudolenta v. Carnuccio, I reati fallimentari, Padova 2016). A conclusione del suo percorso argomentativo, la Quinta Sezione ha inteso evidenziare come nel caso di specie, la motivazione che ha confermato la misura decennale delle pene accessorie già inflitte in primo grado con il meccanismo automatico, vigente prima della dichiarazione di incostituzionalità pronunciata nel 2018, ha svilito l'onere di commisurazione specifica della durata non più fissa delle pene stesse, peraltro collocate nel massimo limite previsto, ma non certo più, oramai, imposto, ancorandola ai soli precedenti penali, evocati e neppure specificamente valutati nelle loro ricadute in relazione alla natura delle sanzioni interdittive. Secondo la Corte è stato eluso l'obbligo motivazionale di individualizzazione delle predette pene accessorie fallimentari, ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p. con ciò ponendosi in contrasto con le ragioni profonde che hanno portato ad adottare i principi "individualizzanti" delle sanzioni in esame, stabiliti dalla giurisprudenza costituzionale e dalle Sezioni Unite.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it |