Costituzione della Repubblica - 27/12/1947 - n. 0 art. 95

Alfonso Celotto

[I] Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei ministri.

[II] I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri.

[III] La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri (1).

(1) V. l. 23 agosto 1988, n. 400.

Inquadramento

L'art. 95 Cost. si colloca nella Parte II (Ordinamento della Repubblica), Titolo III (Il Governo), Sezione I (Il Consiglio dei Ministri) e reca la disciplina dei compiti e delle funzioni del Presidente del Consiglio e dei Ministri.

L'articolo si compone di tre commi, che nel complesso determinano l'inquadramento dell'organo Presidenza del Consiglio dei Ministri all'interno del sistema governativo.

In particolare, il comma 1 si riferisce esclusivamente alla figura del Presidente del Consiglio dei Ministri, al quale è devoluto il compito di dirigere la politica generale del Governo, di cui è responsabile; nonché il compito di mantenere l'unità di indirizzo politico e amministrativo mediante la promozione e il coordinamento dell'attività dei Ministri.

Il comma 2 attribuisce collegialmente ai Ministri la responsabilità degli atti del Consiglio dei Ministri, mentre riconosce la responsabilità individuale di ciascuno di essi per gli atti dei rispettivi dicasteri.

Il comma 3 invece introduce una riserva di legge per la disciplina dell'ordinamento della Presidenza del Consiglio, la quale deve indicare il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri.

Va osservato come all'interno dell'intera Carta costituzionale l'art. 95 sia l'unico interamente dedicato all'articolazione del Governo e dei suoi organi interni (invero, ne tratta anche l'art. 92 Cost., ma limitatamente al comma 1).

Le origini della figura del Presidente del Consiglio: l'esperienza statutaria

Sebbene con la promulgazione dello Statuto albertino del 1848 anche l'Italia avesse dato avvio all'esperienza di una monarchia costituzionale sul modello affermatosi in Inghilterra nel XVIII secolo, differentemente dal Gabinetto inglese, l'Organo titolare del potere esecutivo, nel nostro Paese, ha impiegato molti anni a raggiungere una posizione di reale autonomia rispetto al Sovrano, che consentisse l'emersione della figura del Presidente del Consiglio.

Infatti, in epoca statutaria, la figura del Presidente del Consiglio dei Ministri non era espressamente regolamentata, in quanto il potere esecutivo, così come la determinazione dell'indirizzo politico, erano attribuiti direttamente al Re, quale Capo supremo dello Stato. Ai sensi dell'art. 65 dello Statuto, invero, il Re era legato ai suoi ministri da un rapporto diretto, senza intermediari, non conoscendo la Carta originaria né un Consiglio, né un suo Presidente. Tra le varie prerogative regie era inoltre ricompresa anche la nomina e la revoca dei ministri, che avevano il compito di controfirmare gli atti del Re e, assumendosene la responsabilità, «coprivano la Corona».

Va attribuito a Ricasoli il primo tentativo di dare una definizione concettuale del Presidente del Consiglio quale figura unificante rispetto ai ministri. In particolare, il r.d. n. 3629 del 28 aprile 1867 disegnò il Presidente quale rappresentante del Gabinetto, inteso come organo collegiale, che mantiene «l'unità di indirizzo politico e amministrativo di tutti i ministeri e cura l'adempimento degli impegni presi dal governo nel discorso della Corona, nelle sue relazioni con il parlamento e nelle manifestazioni fatte al paese» (art. 5). Sebbene il c.d. decreto Ricasoli rimase in vigore appena un mese – in quanto immediatamente revocato dal subentrante governo Rattazzi –, tale testo segnò comunque un punto di non ritorno nella caratterizzazione del ruolo e delle responsabilità del Presidente del Consiglio, titolare e custode dell'indirizzo politico (Manzella, 2021, 26).

Fu poi il decreto Zanardelli del 1901 a riaffermare il ruolo del Presidente del Consiglio e la vigenza del sistema di gabinetto. Tale testo ha acquisito un importante significato politico-istituzionale, posto che è stato sostanzialmente osservato per lungo tempo, non solo in epoca statutaria, ma anche per i primi quaranta anni della storia repubblicana, ossia fino alla l. n. 400/1988.

Ad ogni modo, significativo per l'evoluzione del sistema verso una forma di governo parlamentare è stato il rapporto di fiducia che legava il Governo alla Camera elettiva, di talché il Re nella scelta dei ministri teneva conto delle maggioranze sussistenti nella Camera. Inoltre, poiché, soprattutto con il progressivo rafforzamento del Parlamento, il ruolo dei ministri acquisiva maggiore rilievo, iniziava a emergere – anche negli atti ufficiali – il riferimento alla figura del Presidente del Consiglio, sebbene non regolamentata. Invero, l'importanza di tale ruolo si andava progressivamente affermando nella prassi, dipendendo anche dall'autorevolezza e dalla personalità del soggetto che rivestiva detta carica, sebbene in epoca statutaria la forte ingerenza della Corona sul potere esecutivo rappresentasse un limite significativo per l'affermazione delle istituzioni italiane.

I lavori dell'Assemblea costituente e la nascita dell'art. 95 Cost.

Alcuni primi tentativi di regolamentazione dell'organizzazione governativa e di valorizzazione del ruolo del Presidente del Consiglio erano stati avanzati già in epoca statutaria (r.d. n. 3629/1867, c.d. decreto Ricasoli; r.d. n. 3289/1876 c.d. decreto Depretis; r.d. n. 466/1901, c.d. decreto Zanardelli) (Catelani, 1837).

Il principio di collegialità su cui tali decreti si soffermavano venne tuttavia soffocato dall'esperienza fascista, in cui il Capo del Governo assumeva invece una posizione di totale primazia rispetto agli altri ministri, i quali infatti erano chiamati a rispondere dei loro atti non soltanto di fronte al Re, ma anche di fronte al Capo del Governo (l. n. 2263/1925; l. n. 100/1926; l. n. 2693/1928). Quest'ultimo, peraltro, era esclusivo responsabile dell'indirizzo generale politico del governo verso il Re, e non più verso il Parlamento.

Con l'avvento del Governo della Repubblica, in seno all'Assemblea costituente venne avvertita l'esigenza di regolamentare il ruolo del Presidente del Consiglio nell'esercizio della funzione di direzione della politica generale. Durante i lavori della II Sottocommissione, il tema principale riguardò la questione della attribuzione di una eventuale posizione di preminenza al Presidente del Consiglio rispetto agli altri ministri: il dibattito oscillava tra coloro che sostenevano il principio monocratico, con la necessità di attribuire un ruolo di primazia al Capo del Governo al fine di garantire l'unità di indirizzo e la stabilità del Governo, senza che ciò comportasse l'esplicazione di una sua politica personale (Lussu, Tosato, Mortati); e i sostenitori del principio di collegialità, i quali non volevano costituzionalizzare tale posizione di preminenza, essendo tutti i ministri collettivamente responsabili della politica generale, di modo che l'eventuale particolare prestigio della figura sarebbe dovuto discendere dalle sue doti personali (Einaudi, La Rocca, Fabbri).

Venne alla fine approvata una soluzione di compromesso, proposta dell'On. Perassi con la formulazione, piuttosto sommaria: «Il Primo Ministro e i Ministri sono collegialmente responsabili della politica generale del Governo e ciascuno di essi degli atti di sua competenza», poi modificata nella seguente formulazione dell'art. 89 Cost.: «Il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo di tutti i Dicasteri, promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri. I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e personalmente degli atti dei loro Dicasteri. La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei Ministeri». Pertanto, nel progetto di Costituzione approvato, il Presidente del Consiglio non era più necessariamente visto come un «primus inter pares, ma un capo, per dirigere e coordinare l'attività di tutti i ministri» (Ruini), ovvero come «il vero comandante della nave dello Stato» (La Rocca).

Il testo dell'art. 95 Cost. coordinato dal Comitato di redazione della votazione finale in Assemblea e distribuito ai Deputati il 20 dicembre 1947 – che prevedeva alcune non sostanziali modifiche alla versione testé riportata (tra le quali la sostituzione dell'espressione «Primo Ministro» con «Presidente del Consiglio») – venne dunque approvato nella formulazione attualmente in vigore.

Il testo licenziato dall'Assemblea costituente non delinea dunque un unico e chiaro principio guida alla base dell'organizzazione di governo. Piuttosto, la sommarietà del dato letterale ha portato la dottrina a individuare tre distinti principi organizzativi (potenzialmente confliggenti) delle funzioni tra gli organi governativi necessari individuati dall'art. 95 Cost., ossia tra Presidente del Consiglio, Consiglio dei Ministri e singoli Ministri: il principio collegiale, che valorizza il ruolo del Consiglio; il principio monocratico, che riconosce una posizione di preminenza al Presidente del Consiglio nei confronti degli altri organi; e il principio della competenza ministeriale, che esalta l'autonomia del singolo Ministro (Modugno, 437). In altre parole, al fine di garantire l'omogeneità e l'unità del Governo, l'art. 95 Cost. fa leva sia sul principio di collegialità, demandando al Consiglio dei Ministri la determinazione della politica generale del Governo; sia sul principio monocratico, attribuendo al Presidente la competenza a dirigere e mantenere l'unità dell'indirizzo politico e amministrativo. La combinazione di tali principi è funzionale a evitare gli eccessi di autonomia dei singoli ministri, i quali, perseguendo interessi particolari, potrebbero minare l'unità dell'azione di governo (Bin, Pitruzzella, 213).

Il Presidente del Consiglio

La nostra Carta costituzionale non delinea specificamente i compiti attribuiti al Presidente del Consiglio, di talché, anche in mancanza di una normativa in ordine al funzionamento del Consiglio dei Ministri, si è rivelato difficile delineare il suo effettivo ruolo all'interno dell'ordinamento.

Pertanto la dottrina ha tentato di individuare le caratteristiche dell'incarico da questi rivestito anche in relazione agli altri articoli costituzionali che allo stesso fanno riferimento, si vuole dire, l'art. 92 Cost., in materia di nomina del Presidente e dei Ministri; l'art. 94 Cost., in ordine all'istituto della fiducia; l'art. 89 Cost., sulla controfirma degli atti del Capo dello Stato; l'art. 96 Cost., in materia di giurisdizione sugli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni. Ad ogni modo, l'estrema difficoltà di ricostruire la sua posizione istituzionale ne ha fatto un organo costituzionale inafferrabile, la cui figura può essere letta soltanto in una prospettiva collegiale, ossia inquadrata all'interno del sistema governativo (Luciani, 253).

Come detto, il primo comma dell'art. 95 Cost. si limita ad affermare che il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del governo, assumendone la responsabilità, in primo luogo nei confronti degli altri organi costituzionali, e mantiene l'unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei singoli ministri. Pertanto, l'individuazione del significato di dette espressioni si rivela funzionale alla comprensione dei compiti che gli sono demandati.

Segnatamente, l'espressione «politica generale del Governo» deve intendersi in senso ampio, in quanto da una parte il Presidente del Consiglio dirige la politica nazionale, anche in qualità di leader di partito o della coalizione di maggioranza; ma lo stesso assume un ruolo attivo anche nella politica parlamentare, grazie al potere di apporre la fiducia. Ad ogni modo, le deliberazioni funzionali alla realizzazione della politica di governo vengono assunte in seno al Consiglio, della cui volontà il Presidente si fa portatore nelle interlocuzioni con gli altri organi costituzionali, escludendosi dunque una sua autonomia decisionale.

Scisso dall'attività di direzione è invece il compito di mantenere l'unità dell'indirizzo politico. La formulazione – che per la prima volta è stata utilizzata già nel decreto c.d. Ricasoli – lascia intendere che l'organo costituzionale in argomento non detiene in esclusiva il potere di determinazione dell'indirizzo politico, il quale infatti viene maturato in Parlamento, e rispetto al quale il Presidente del Consiglio ha l'onere di mantenere la coerenza, al fine di superare le eventuali disomogeneità che possono sorgere nella sede parlamentare. Tale scissione di competenze deve attribuirsi all'intenzione di rendere in chiave democratica una derivazione dell'esperienza fascista, ove infatti era demandata al Capo del Governo la responsabilità dell'indirizzo generale politico (Tripodina, 2).

Oggi la determinazione dell'indirizzo politico non ha rilevanza solo domestica, posto che occorre tenere conto di quanto stabilito dall'attuale art. 15 del TUE, ai sensi del quale il Consiglio europeo «dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali». Pertanto, l'indirizzo politico da delineare sul piano nazionale deve costituire una specificazione di quello europeo. Anche in ragione di detta integrazione tra gli ordinamenti, diventa ancora più preponderante la funzione presidenziale di mantenimento dell'unità dell'indirizzo politico, in quanto l'assetto così delineato presta il fianco a una personalizzazione del Governo.

L'art. 95, comma 1, Cost. prosegue poi specificando che l'unità di indirizzo politico viene mantenuta mediante la promozione e il coordinamento dell'attività dei Ministri. In particolare, il potere di promozione – a differenza delle diverse funzioni di direzione, coordinamento, mantenimento dell'unità – è stato introdotto per la prima volta con la Costituzione repubblicana del 1948, in quanto non era stato contemplato nei precedenti decreti D'Azeglio, Ricasoli, Zanardelli, né tantomeno nella legge del 1925 sul Capo del Governo. Esso consiste nell'emanazione da parte del Presidente del Consiglio di direttive politiche, per l'attuazione del relativo indirizzo e del programma di governo, e di direttive amministrative, per assicurare l'imparzialità, il buon andamento e l'efficienza dei pubblici uffici. Pertanto, è stato interpretato dalla dottrina quale «termine chiave» per indicare il ruolo di superiorità del Presidente, in quanto non si identifica nella mera sommatoria delle competenze dei Ministri e del Consiglio, ma si concretizza quasi in una possibilità permanente di avocazione a sé di ogni altra competenza governativa, per romperne l'eventuale inerzia (Manzella, 2021, 32).

Questa peculiare attribuzione del potere di promozione si esplica nei tre snodi cruciali dell'azione di Governo, i quali dunque si concentrano tutti nelle mani del Presidente: si vuole dire, la politica generale, la politica comunitaria e la politica regionale (cfr. art. 5, comma 2, lett. a) e b), l. n. 400/1988, ai sensi del quale il Presidente promuove «l'attività dei Ministri, in ordine agli atti che riguardano la politica generale del Governo», «l'azione del Governo relativa alle politiche comunitarie» e «l'azione del Governo per quanto attiene ai rapporti con le Regioni»).

Il potere di coordinamento invece consiste nella individuazione e armonizzazione delle proposte ministeriali, propedeutiche alla formazione degli atti normativi sui quali il Consiglio sarà chiamato a deliberare. In altre parole, si tratta di preparare e proporre un punto di coerenza nella complessa attività di Governo (Manzella, 2018, 3).

Alla luce dunque delle funzioni che costituzionalmente gli sono attribuite, parte della dottrina ha osservato come in realtà il ruolo rivestito dal Presidente del Consiglio sia quello di primus inter pares (Modugno, 439).

Tale interpretazione è stata invero confermata anche dalla Corte costituzionale, la quale ha riconosciuto come «le pur significative differenze che esistono sul piano strutturale e funzionale» tra il Presidente del Consiglio e i componenti dell'organo che presiede non sono tali da alterare il complessivo disegno del Costituente, che è quello di attribuire la funzione di indirizzo politico e amministrativo al Governo nel suo complesso. «Non è, infatti, configurabile una preminenza del Presidente del Consiglio dei ministri rispetto ai ministri, perché egli non è il solo titolare della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a mantenerne l'unità, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri e ricopre, perciò, una posizione tradizionalmente definita di primus inter pares» (Corte cost. n. 262/2009).

Invero, detta interpretazione nel senso della inesistenza di un ruolo differenziato del Presidente del Consiglio rispetto ai Ministri non è stata pienamente riscontrata nel contenuto della legge n. 400 del 1988 e del successivo d.lgs. n. 303/1999. Pertanto, altra parte della dottrina ha giustificato tali affermazioni in ragione del periodo storico conflittuale in cui la Corte è stata chiamata a pronunciarsi, che l'ha portata a dare un'interpretazione «forzata» all'art. 95 Cost. (Lupo).

D'altronde, nella prassi, in ragione delle condizioni politiche di volta in volta sussistenti, la genericità del dato letterale dell'art. 95 Cost. ha determinato che vi siano stati taluni Governi in cui il Presidente del Consiglio ha assunto un ruolo di effettiva primazia rispetto ai Ministri, e altri governi – soprattutto quelli di coalizione – in cui invece la sua posizione è stata subordinata alle scelte dei partiti. A titolo esemplificativo, recentemente, con l'esperienza pandemica derivante dalla diffusione del Covid-19, il Presidente del Consiglio ha in un certo senso accresciuto il suo potere mediante il frequente ricorso a uno strumento che ha conosciuto una progressiva espansione nel tempo, ossia il potere di emanazione di decreti propri, noti per l'appunto come decreti del Presidente dei Consiglio dei Ministri.

Le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri

La sommaria formulazione dell'art. 95 Cost. ha consentito di rinviare all'adozione di una successiva legge l'individuazione delle specifiche competenze e attribuzioni del Presidente del Consiglio, così come di quelle del Consiglio medesimo e dei singoli Ministri.

Invero, come si vedrà infra, tale incombenza – espressamente prevista dalla riserva costituzionale di cui all'art. 95, comma 3, Cost. – è rimasta per lungo tempo inattuata, soprattutto a causa delle divisioni delle forze politiche. Soltanto nel 1988, con l'adozione della l. n. 400/1988 (vedi la parte di questo codice dedicata alle fonti), recante «Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri», sono state finalmente delineate in maniera minuziosa le funzioni spettanti al Consiglio dei Ministri e al suo Presidente, nonché la distribuzione delle attribuzioni all'interno dell'esecutivo. La delimitazione delle specifiche attribuzioni mediante un atto legislativo si è rivelata indispensabile all'attività del Presidente, chiamato per l'appunto a dirigere la politica generale del Governo e a promuovere e coordinare l'attività dei Ministri, in quanto consente di evitare che l'azione di governo sia determinata soltanto da interessi e urgenze contingenti e settoriali.

In particolare, sebbene non sussista formalmente un rapporto gerarchico tra Presidente del Consiglio e singoli Ministri, al Presidente vengono riservate specifiche attribuzioni, che gli consentono di esercitare il suo primato politico sugli altri membri del Governo. In particolare, il Presidente è titolare di una molteplicità di poteri, per la gran parte delineati nell'art. 5, l. n. 400/1988, ossia:

- poteri di rappresentanza, in quanto assume determinazioni che impegnano il Governo anche nei rapporti con gli altri organi costituzionali (art. 5, comma 1, lett. a-f);

- poteri di esternazione, in quanto, d'accordo con i Ministri interessati, esterna le pubbliche dichiarazioni che possono impegnare la politica generale del Governo (art. 5 comma 2, lett. d); autorizza altresì la diffusione del comunicato sui lavori del Consiglio dei Ministri, mentre i singoli Ministri non sono autorizzati a rendere note le loro opinioni, neanche in caso di dissenso (art. 8 del regolamento del Consiglio);

- poteri di promozione e coordinamento dell'attività dei Ministri (art. 5, comma 2), che si esplicano in particolare mediante l'emanazione di direttive politiche e amministrative in attuazione delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri; la facoltà di sospendere l'adozione di atti da parte dei Ministri competenti in ordine a questioni politiche e amministrative, per deferirle al Consiglio dei Ministri; la possibilità di investire il Consiglio dei Ministri delle decisioni in ordine a questioni su cui siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti; la facoltà di verificare il funzionamento degli uffici pubblici;

- potere di direzione di organi collegiali, in quanto presiede il Consiglio dei Ministri (e dispone del potere di fissare le date delle riunioni e di determinarne l'ordine del giorni) e la Presidenza del Consiglio; può costituire e presiedere il Consiglio di Gabinetto; può istituire i Comitati dei Ministri e i Comitati interministeriali, di cui assume la presidenza; presiede le Conferenze permanenti per i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie territoriali; detiene altresì la vicepresidenza del Consiglio supremo di difesa.

Inoltre, rilevanti attribuzioni gli sono state riconosciute anche dalla legge 23 agosto 1988, n. 400, in materia di servizi di sicurezza e segreto di Stato (art. 5, comma 2, lett. g), rispetto ai quali è responsabile in via esclusiva e che possono formare oggetto di delega soltanto in favore di un Ministro senza portafoglio ovvero di un Sottosegretario di Stato (artt. 1 e 3, l. 3 agosto 2007, n. 124). Infine, svolge una funzione di particolare importanza anche nei rapporti con le istituzioni europee e con il sistema delle autonomie territoriali (art. 5, comma 3, lett. a e b, l. n. 400/1988).

Invero, al fine di contenere e arginare la tendenza ad attribuire al Presidente del Consiglio una moltitudine eccessiva di funzioni eterogenee, con d.lgs. n. 303/1999, le attribuzioni della Presidenza del Consiglio sono state ampiamente ridotte, nell'intento di circoscriverle alla direzione e ai rapporti con il Governo medesimo; ai rapporti del Governo con gli altri organi costituzionali, le istituzioni europee, il sistema delle autonomie; alla progettazione delle politiche generali e degli indirizzi politici generali; alla supervisione dell'attuazione del programma di governo.

La responsabilità politica del Presidente del Consiglio

L'art. 95, comma 1, Cost. attribuisce al Presidente del Consiglio la responsabilità dell'esercizio della funzione di direzione della politica generale del Governo, sicché questi ne risponde innanzitutto verso i Ministri, ma anche nei confronti del Parlamento, in virtù del rapporto fiduciario che lega i due organi costituzionali.

Tale forma di responsabilità politica si instaura invero anche nei confronti del corpo elettorale sin dal momento delle elezioni che hanno portato alla individuazione delle forze politiche di maggioranza, o della coalizione, all'interno della quale lo stesso è nominato. Invero, nel caso in cui il Presidente del Consiglio sia espressione della maggioranza risultata all'esito delle consultazioni successive alle elezioni, in quanto queste ultime non hanno portato alla vittoria netta di un partito o di una coalizione, la responsabilità del Presidente si indirizzerà soprattutto nei confronti del Parlamento che gli ha accordato la fiducia. Ad ogni modo, tale forma di responsabilità permane per tutto il corso della legislatura, o almeno fintantoché dura il rapporto di fiducia tra la maggioranza parlamentare e il Governo con il suo Presidente (Catelani, 1849).

Si tratta di una responsabilità politica che ha carattere generale e si riferisce dunque a tutti gli atti del Governo. Sebbene non sia sanzionata formalmente – e, pertanto, pur non essendovi un obbligo in tal senso –, la responsabilità del Presidente può portare alle sue dimissioni e, conseguentemente, a quelle di tutti i Ministri, qualora venga meno la fiducia popolare, ovvero si determini una crisi di governo che comporta la perdita del sostegno dei partiti. La possibilità di rassegnare le dimissioni si rivela quindi uno strumento utile per far sì che i Ministri rispettino la direzione della politica generale dettata dal Presidente.

Per quanto invece concerne il profilo della responsabilità penale, dopo la dichiarazione di illegittimità dapprima della l. n. 140/2003, poi della l. n. 124/2008 (c.d. lodo Alfano), che prevedevano nei confronti delle più alte cariche dello Stato – tra cui il Presidente del Consiglio dei Ministri – l'improcedibilità e la sospensione dei processi penali per tutta la durata dell'incarico, non sono più concessi in favore del Presidente del Consiglio (e dei Ministri) speciali privilegi rispetto a quanto in generale previsto per i cittadini o in relazione ai reati ministeriali. Infatti, la Corte ha avuto modo di chiarire come deroghe al regime processuale comune, idonee a creare una prerogativa in favore delle alte cariche dello Stato, si pongono in contrasto con gli artt. 3 e 138 Cost., in quanto è possibile differenziare «la posizione processuale del componente di un organo costituzionale solo per lo stretto necessario, senza alcun meccanismo automatico e generale» (Corte cost. n. 23/2011).

Il Consiglio dei Ministri

Sebbene la Sezione I del Titolo III della Parte II della Costituzione sia intitolata Consiglio dei Ministri, nessuna disposizione costituzionale si sofferma sulle caratteristiche e funzioni di tale organo governativo necessario. Infatti, l'art. 92 Cost. si limita ad affermare che i Ministri e il Presidente compongono il Consiglio dei Ministri; l'art. 95 Cost. invece riconosce collegialmente ai Ministri la responsabilità degli atti del Consiglio.

Ad ogni modo, dalla lettura della Costituzione si evince che il Consiglio dei Ministri è l'organo governativo collegiale, composto dall'insieme di tutti i Ministri e dal Presidente che li ha nominati, ed è titolare di tutte le funzioni che la Costituzione e le leggi costituzionali attribuiscono al Governo.

In particolare, al Consiglio dei ministri è materialmente demandata la funzione di determinazione della politica generale del Governo e, ai fini della sua attuazione, dell'indirizzo generale dell'azione amministrativa (art. 2, comma 1, l. n. 400/1988), di cui il Presidente è tenuto a mantenere l'unità ai sensi dell'art. 95, comma 1, Cost.

Segnatamente, nonostante la laconicità del dato costituzionale, la dottrina ha ritenuto che l'unità di indirizzo politico si esprima per mezzo del programma di Governo, sul quale il Parlamento vota la fiducia, e che rappresenta l'elemento qualificante dell'identità dell'esecutivo (congiuntamente con la sua composizione). Del resto, è stato osservato come la sussistenza di un programma collegiale condiviso ha comportato che al c.d. «rimpasto» – ossia alla modificazione della composizione del Governo in ragione delle dimissioni di singoli Ministri – non faccia generalmente seguito il voto di fiducia da parte del Parlamento (Angiolini, Sei domande ai costituzionalisti provocate dal «caso Mancuso», 4646).

In particolare, tra i principali atti governativi che vengono adottati dal Consiglio ai fini della determinazione dell'indirizzo politico, si ricordano quelli relativi alla definizione della piattaforma politica e programmatica, su cui il Governo chiede la fiducia; gli atti adottati nell'ambito delle relazioni internazionali, quali i trattati e gli accordi internazionali; gli atti relativi alle relazioni con le confessioni religiose per l'attuazione degli artt. 7 e 8 Cost.; gli atti relativi alle relazioni con le organizzazioni rappresentative dei sindacati; gli atti di iniziativa legislativa, tra i quali particolare importanza assume il disegno di legge di approvazione del bilancio preventivo, nonché il potere legislativo delegato e quello esercitato in via d'urgenza.

Inoltre, ai sensi dell'art. 4, comma 3, l. n. 400/1988, la disciplina sul funzionamento del Consiglio dei Ministri è rimessa a un apposito regolamento interno, che è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 novembre 1993, previa deliberazione del Consiglio medesimo.

I Ministri e la responsabilità collegiale

Come detto, il Consiglio dei Ministri è composto dal Presidente del Consiglio e dai singoli Ministri, i quali collegialmente determinano l'indirizzo politico e cooperano alla formazione degli atti di competenza del Consiglio medesimo; singolarmente rappresentano l'organo di vertice di un determinato settore dell'amministrazione, recte del Ministero di cui sono titolari. Infatti, i singoli Ministri dispongono anche dei poteri amministrativi inerenti agli apparati organizzativi cui sono preposti, usufruendo di tutti gli strumenti giuridici funzionali a dirigere l'attività degli uffici da essi dipendenti, e a garantire la conformità dei loro comportamenti alle prescrizioni legislative e regolamentari, oltreché alle sue direttive. Inoltre, generalmente ogni Ministro presiede tutti gli organi collegiali e le Aziende costituite presso il proprio Ministero.

Ai sensi dell'art. 95, comma 3, Cost., il numero dei Ministeri, unitamente con le rispettive attribuzioni e la relativa organizzazione, è determinato con legge dello Stato. Inizialmente, il d.lgs. n. 300/1999 (adottato in base alla legge delega n. 59/1997) ne aveva indicati dodici, ma successivamente tale numero è stato modificato più volte, a seconda dei Governi che si sono susseguiti, e che hanno comportato «spacchettamenti» o assembramenti delle competenze dei Ministeri esistenti. Attualmente, il Governo Draghi ha previsto un numero complessivo di quindici ministeri (aumentato rispetto al Governo precedente in ragione dello scorporo del Ministero del turismo da quello della cultura).

Invero, non necessariamente il numero dei Ministri deve corrispondere al numero dei Ministeri, in quanto ben può verificarsi il caso in cui un Ministro sia preposto ad interim anche a Ministeri ulteriori rispetto a quello cui è stato inizialmente assegnato, ovvero il Presidente del Consiglio può decidere di mantenere la responsabilità diretta di uno o più Ministeri.

Giova ricordare che inizialmente si era dubitato della compatibilità con la Costituzione dei Ministri senza portafoglio – ossia dei Ministri non preposti a Ministeri e che non gestiscono alcuno stato di previsione per la parte di bilancio relativa alle uscite –, in quanto l'art. 95 Cost. non ne faceva alcun riferimento nel testo. Tuttavia, tali dubbi sono stati definitivamente superati con la formale istituzionalizzazione di tale figura per mezzo dell'art. 9 della l. n. 400/1988, che ha riconosciuto ai Ministri senza portafoglio pari dignità giuridica rispetto a tutti gli altri.

L'art. 95, comma 2, Cost. specifica che i Ministri – con e senza portafoglio – sono collegialmente responsabili per tutti gli atti posti in essere dal Consiglio dei Ministri. Tale responsabilità si esprime nei confronti del Parlamento, il quale controlla l'attività di governo e, per mezzo dello strumento della mozione di sfiducia di cui all'art. 94 Cost., può determinarne la caduta.

La responsabilità individuale dei Ministri

Accanto alla responsabilità collegiale, ai sensi dell'art. 95, comma 1, Cost., ogni Ministro è individualmente responsabile per gli atti attinenti al proprio ministero. Infatti, i Ministri assumono la titolarità di tutti gli atti e tutte le attività politiche che pongono in essere in attuazione dell'indirizzo politico collettivamente determinato dal Consiglio; nonché di quelle amministrative, che realizzano quale organo di vertice dell'amministrazione cui sono preposti.

Come detto, infatti, i Ministri devono condividere l'unità di indirizzo politico del Governo e il relativo programma, sul quale il Parlamento pone la propria fiducia. Tuttavia, l'ordinamento non prevede appositi strumenti giuridici per rimuovere i Ministri che minano l'unità dell'indirizzo politico, posto che un potere di revoca da parte del Presidente del Consiglio non è espressamente previsto. Tuttavia, secondo parte della dottrina, la rimozione di un Ministro dissenziente sarebbe di gran lunga il mezzo più idoneo al mantenimento di quella unità di indirizzo politico nel Governo, di cui la Costituzione incarica il Presidente del Consiglio dei Ministri (Bognetti, Sei domande ai Costituzionalisti provocate dal «caso Mancuso»).

Invero, sulla possibilità di revocare il singolo Ministro, giova ricordare il caso dell'ex Ministro di grazia e giustizia Mancuso, il quale sollevò dinanzi alla Corte costituzionale conflitto di attribuzione contro il Senato della Repubblica, per avere quest'ultimo votato la mozione di sfiducia nei suoi confronti, quale responsabile individuale degli atti del proprio dicastero. Il ricorso è stato respinto con sentenza della Corte costituzionale n. 7 del 1996, la quale ha affrontato il tema della ammissibilità, nell'ordinamento costituzionale italiano, dell'istituto della sfiducia individuale quale conseguenza della responsabilità politica dei singoli Ministri. Invero, tale pronuncia è stata anche l'occasione per la Corte di approfondire e chiarire la forma della responsabilità individuale del singolo Ministro, come prevista dall'art. 95 Cost.

Più in particolare, la Consulta rileva come la circostanza che l'istituto della sfiducia individuale non sia stato espressamente previsto in sede di Assemblea costituente non lo esclude dal quadro costituzionale, in quanto in una interpretazione logico-sistematica della Carta costituzionale avrebbe potuto considerarsi elemento intrinseco al disegno tracciato negli artt. 92,94 e 95 Cost.

Segnatamente, «La Costituzione, nel prevedere, all'art. 95, comma 2, la responsabilità collegiale e la responsabilità individuale, conferisce sostanza alla responsabilità politica dei ministri, nella duplice veste di componenti della compagine governativa da un canto e di vertici dei rispettivi dicasteri dall'altro». Tali forme di responsabilità sono strettamente correlate, in quanto l'attività collegiale del Governo e l'attività individuale del singolo Ministro si raccordano all'unitario obiettivo della realizzazione dell'indirizzo politico, alla determinazione del quale concorrono Parlamento e Governo. Pertanto, qualora tale raccordo venga meno, l'esecutivo può risolvere politicamente il conflitto mediante le dimissioni dell'intero Governo ovvero del singolo Ministro; invece, il Parlamento ha a disposizione lo strumento della sfiducia, che può investire tanto il Governo nella sua collegialità, quanto il singolo Ministro, in ragione della responsabilità politica che deriva dall'esercizio dei poteri di cui è titolare.

Ad ogni modo, di fronte a mozioni di sfiducia presentate nei confronti dei singoli Ministri, nulla esclude che il Presidente del Consiglio che ne condivida l'operato trasferisca la questione di fiducia sull'intero Governo, in base alla regola della c.d. solidarietà governativa.

Oltre a rispondere per la responsabilità politica, ogni Ministro è anche individualmente responsabile dal punto civile e amministrativo ex art. 28 Cost., al pari dei funzionari pubblici; nonché, ai sensi dell'art. 96 Cost., come modificato dalla l. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, per cui ogni Ministro è penalmente perseguibile per i c.d. reati ministeriali compiuti nell'esercizio delle rispettive funzioni. Sul punto, la giurisprudenza costituzionale ha infatti precisato che «Non vi è dubbio che la Costituzione abbia inteso riconoscere al Presidente del consiglio dei ministri ed ai ministri stessi una forma di immunità in senso lato, consentendo alla Camera competente di inibire l'esercizio della giurisdizione in presenza degli interessi indicati dall'art. 9, comma 3, della l. cost. n. 1/1989, e dando vita ad uno speciale procedimento che si innesta nell'ambito delle peraltro persistenti attribuzioni dell'autorità giudiziaria. Ma l'unica lettura di questa garanzia ... consiste nel limitarne l'area al capo dei soli reati commessi nell'esercizio delle funzioni». Pertanto, «a fronte di un reato ministeriale, infatti, oggi spetta sempre ad un organo della giurisdizione ordinaria, ovvero al tribunale dei ministri, cumulare funzioni inquirenti e giudicanti, al fine di radicare successivamente, se del caso e previa autorizzazione parlamentare, il giudizio davanti ad un giudice comune, e secondo l'ordinario rito processuale» (Corte cost.n. 87/2012).

La Presidenza del Consiglio dei Ministri: la riserva di legge prevista dall'art. 95, comma 3 Cost.

Per lo svolgimento delle proprie funzioni il Presidente del Consiglio dispone di una apposita struttura amministrativa, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la cui importanza è evidente in quanto deve garantire l'esercizio effettivo da parte del Presidente delle proprie funzioni di direzione della politica generale del Governo e di mantenimento dell'unità di indirizzo politico e amministrativo, nonché deve costituire un adeguato supporto all'attività del Consiglio dei Ministri.

L'art. 95, comma 3, Cost. prevede una espressa riserva di legge, in quanto la norma recita «La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri». La scelta del termine ordinamento denota che la legge non deve limitarsi a descrivere l'organizzazione della Presidenza, ma deve delinearne tanto gli aspetti organizzativi, quanto quelli funzionali.

Tuttavia, per molti anni, tale riserva di legge rimase inattuata e, in mancanza di una disciplina organica e compiuta della struttura della Presidenza del Consiglio, si continuavano ad applicare norme anche antecedenti all'entrata in vigore della Costituzione – quali il r.d. n. 4936/1887, istitutivo di un ufficio di segreteria presso la Presidenza del Consiglio, e il r.d.l. n. 1100/1924, istitutivo del Gabinetto di Presidenza – oltreché una legislazione frammentaria e di varia natura, stratificatasi nel tempo, che istituiva uffici e dipartimenti, e attribuiva alla Presidenza specifiche ed eterogenee competenze. Nonostante nei programmi di governo venisse spesso indicata l'esigenza di approntare una legge attuativa dell'art. 95 Cost., i delicati equilibri politici che hanno caratterizzato i primi decenni della storia repubblicana costituirono un ostacolo all'approvazione di una legge che istituzionalizzasse il Governo come organo costituzionale, cristallizzandone gli assetti interni, per il timore che tale testo avrebbe potuto ostacolare la libera dinamica partitica e parlamentare.

Senonché, dopo circa quarant'anni dalla entrata in vigore della Costituzione e dopo un lungo periodo di gestazione, avviato con i governi Spadolini e Craxi, finalmente il Governo guidato da Ciriaco De Mita approvò la già citata legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri», più volte modificata, in un contesto storico in cui si avvertiva l'esigenza di dotarsi di un ordinamento funzionale all'emersione della preminenza, anche sotto il profilo giuridico, della figura del Presidente del Consiglio rispetto ai Ministri, al fine di porre un argine alla «degenerazione nella ministerialità» (Manzella, La Presidenza del Consiglio dei Ministri e l'art. 95 della Costituzione, 2).

Si tratta di una legge organica, di integrazione della Costituzione e, pertanto, costituzionalmente necessaria. Ciò implica che può essere modificata da leggi successive – come, per l'appunto, avvenne dapprima per mezzo del d.lgs. n. 300/1999, quindi con il tentativo di semplificazione della pubblica amministrazione di cui alla legge n. 124/2015 – o sostituita da altra fonte legislativa primaria, ma non può essere semplicemente abrogata.

Contestualmente, si parla anche di legge di sistema in quanto individua un ordine di interdipendenze che si ramifica dal Presidente del Consiglio verso i Ministeri, gli enti pubblici, le autonomie territoriali e le istituzioni europee.

Come anticipato, in esecuzione delle deleghe contenute della l. n. 59/1997, sono stati adottati i d.lgs. n. 300/1999, recante «Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'art. 11 della l. 15 marzo 1997, n. 59», e 30 luglio 1999, n. 303, recante «Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell'art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59», i quali hanno sostanzialmente completato l'opera di attuazione dell'art. 95 della Costituzione. La circostanza che il rinnovamento della organizzazione amministrativa dello Stato avvenisse mediante una fonte diversa da quella della legge formale era significativa del fatto che doveva essere lo stesso Governo a dotarsi di un nuovo ordinamento.

Il modello organizzativo così delineato non è rimasto tuttavia esente da critiche, in quanto sono state riscontrate problematiche legate a un sovraccarico dei compiti di amministrazione attiva in capo alla Presidenza del Consiglio, che ostacolerebbe l'adempimento delle sue funzioni costituzionali; nonché al rapporto tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Ragioneria Generale dello Stato, la quale, dovendo esaminare tutti i provvedimenti incidenti sulla situazione economica e patrimoniale dello Stato, rischia – si è osservato – di accentrare ogni decisione pubblica di spesa, con forti poteri interdittivi (Luciani).

Tuttavia, sono rimaste sostanzialmente inattuate le deleghe legislative previste dall'art. 8 della l. n. 124/2015 (c.d. Legge Madia), per la modifica della disciplina della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dei Ministeri, delle agenzie governative nazionali e degli enti pubblici non economici nazionali, al fine di razionalizzarne le funzioni. Tale delega era stata in particolare prevista per risolvere le criticità del funzionamento dell'istituzione costituzionale del Presidente del Consiglio e dell'organizzazione della Presidenza del Consiglio, ai fini di aggiornare l'actio finium regundorum compiuta dalla legge n. 400 del 1998, e dalle sue successive modificazioni.

Ad ogni modo, l'organo costituzionale del Governo non può dirsi essere rimasto immutato nel tempo, sebbene le trasformazioni avvenute non siano da attribuirsi alla disciplina posta dalla Carta costituzionale, quanto piuttosto a fattori esterni, ma comunque di rilievo giuridico-costituzionale. Ciò non soltanto in ragione dell'evoluzione del sistema dei partiti, ma soprattutto per le attività che il Governo è chiamato a espletare quale componente del Consiglio europeo e del Consiglio dell'Unione europea (di cui gran parte dei Ministri sono membri), che si riflette sull'assetto e gli equilibri del Governo nazionale; per i mutamenti del sistema elettorale, che concorre a individuare la maggioranza di governo e, all'interno di questa, la figura del Presidente del Consiglio per la legislatura (Lupo).

L'organizzazione interna della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Come detto, con l. n. 400/1988, come modificata dal d.lgs. n. 303/1999, è stata definita e razionalizzata l'organizzazione amministrativa della Presidenza del Consiglio, che si concretizza in una serie di apparati e uffici strumentali allo svolgimento dinamico delle attività cui il Presidente del Consiglio è preposto. In particolare, la delineata architettura governativa si rivela funzionale alla progettazione delle politiche generali e delle decisioni di indirizzo politico generale, al coordinamento delle politiche di settore strategiche e alle attività normative e amministrative del Governo, alla promozione delle innovazioni nel settore pubblico, al coordinamento in materia di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, al coordinamento delle attività di comunicazione istituzionale, alla promozione delle politiche di pari opportunità e contro le discriminazioni, al controllo sullo stato di attuazione del programma di governo e delle politiche settoriali.

In altre parole, nel percorso di razionalizzazione della forma di governo parlamentare, il ruolo del Governo come organo costituzionale risulta rafforzato (Lupo).

La legge in argomento ha previsto espressamente che gli uffici di diretta collaborazione del Presidente del Consiglio siano organizzati nel Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, cui è preposto un Segretario generale nominato con d.P.C.M., il quale è responsabile della efficacia ed efficienza dell'apparato medesimo.

La figura del Sottosegretario di Stato non può dunque essere costretta a quella del Ministro, poiché, in quanto ausiliario del Presidente e persona di stretta fiducia, collabora al processo di formazione degli indirizzi e delle direttive che quest'ultimo adotta.

È poi il Presidente del Consiglio a configurare discrezionalmente gli uffici e le strutture dipendenti dal Segretario generale ovvero da affidare ai Ministri senza portafoglio o ai Sottosegretari alla Presidenza, nonché gli uffici di diretta collaborazione con il Presidente, i Ministri senza portafoglio e i Sottosegretari; e infatti si parla di «personalizzazione» della Presidenza (Manzella, La Presidenza del Consiglio dei Ministri e l'art. 95 della Costituzione, 4).

Il Presidente del Consiglio ha il potere di nomina e di revoca del Segretario generale della Presidenza del Consiglio (e degli eventuali vice-Segretari), dei capi dei Dipartimenti e degli Uffici, dei consulenti e componenti degli eventuali comitati di consulenti o di studio, del personale «di prestito» dalle altre pubbliche amministrazioni; tutti soggetti ai quali è legato da uno stretto rapporto fiduciario. Infatti, insieme con il Governo decadono anche le nomine del Segretario e dei vice-Segretari, nonché il resto del personale nominato se non viene espressamente confermato dal nuovo Presidente del Consiglio.

Sul punto, si è espressa anche la Corte costituzionale, riconoscendo la conformità con i principi costituzionali di disposizioni introduttive di meccanismi di decadenza automatica, per cause esterne alle vicende del proprio ufficio, di incarichi dirigenziali che comportino l'esercizio di funzioni amministrative attuative degli indirizzi politici. Tale tipo di intervento legislativo, infatti, è spesso dovuto a cambiamenti della compagine governativa, ossia degli organi di indirizzo politico nazionali o regionali. La Corte costituzionale ha chiarito che un siffatto meccanismo di decadenza automatica è compatibile con l'art. 97 Cost. solo ve riferito ad addetti ad uffici di diretta collaborazione con l'organo di governo (Corte cost. n. 304/2010) o a figure apicali (Corte cost. n. 34/2010). In tali casi, infatti, causa et ratio della normativa «vanno individuate nella necessità per l'organo di vertice di assicurare, intuitu personae, una migliore fluidità e correntezza di rapporti con diretti collaboratori quali sono i dirigenti apicali e ovviamente il personale di staff, funzionali allo stesso miglior andamento dell'attività amministrativa» (Corte cost. n. 15/2017).

Inoltre, la Presidenza del Consiglio gode di autonomia finanziaria e trasmette i decreti relativi alle regole contabili speciali interne e i bilanci alle Camere.

Invero, la l. n. 400/1988 e il successivo d.lgs. n. 303/1999 non si sono limitati a disciplinare l'organizzazione interna della Presidenza, ma le hanno altresì attribuito rilevanti poteri di conoscenza e stimolo sull'intera amministrazione statale. A titolo esemplificativo, ai sensi dell'art. 4 della legge in argomento, nessuna questione e nessuna proposta concernente disegni di legge, atti normativi o provvedimenti amministrativi generali può essere inserita nell'ordine del giorno del Consiglio dei Ministri se non sono state esaminate nella riunione preparatoria (c.d. preconsiglio).

Bibliografia

Aa.Vv., Sei domande ai costituzionalisti provocate dal «caso Mancuso», in Giur. cost., 6/1995, 4645 ss.; Bin, Pitruzzella, Diritto costituzionale, Torino, 2019; Catelani, Art. 95 Cost., in Bifulco, Celotto, Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, II, Torino, 2006, 1836 ss.; Ciolli, La questione del vertice di Palazzo Chigi. Il Presidente del Consiglio nella Costituzione repubblicana, Napoli, 2018; Crisafulli, Per una teorica giuridica dell'indirizzo politico, in Studi Urbinati, 1939; Luciani, La riforma della Presidenza del Consiglio (e dei Ministeri), in Dir. amm., 3, 2016, 253; Lupo, Il Governo italiano, in Giur. cost., 2/2018, 915 ss.; Manzella, La Presidenza del Consiglio dei Ministri e l'art. 95 della Costituzione, in Rivista AIC, 1/2018; Manzella, Il Presidente del Governo, in Rivista AIC, 3/2021, 24 ss.; Modugno (a cura di), Diritto pubblico, Torino, 2021; Pitruzzella, Il Presidente del Consiglio dei Ministri e l'organizzazione del Governo, Padova, 1986; Rotelli, La Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il problema del coordinamento dell'amministrazione centrale in Italia (1848-1948), Milano, 1972; Tripodina, L'«indirizzo politico» nella dottrina costituzionale al tempo del fascismo, in Rivista AIC, 1/2018.

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