Costituzione della Repubblica - 27/12/1947 - n. 0 art. 113

Alfonso Celotto

[I] Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.

[II] Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

[III] La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.

Inquadramento

L'articolo 113 della Costituzione disegna, insieme ad altre disposizioni, il sistema di tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica Amministrazione.

Sostanzialmente la disposizione prevede, al primo comma, che la natura di interesse legittimo o di diritto soggettivo della situazione incisa dall'Amministrazione con un proprio atto è indifferente rispetto alla loro tutelabilità; al secondo comma, che la tutela non possa essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione e, infine, all'ultimo comma, che non ogni giudice è investito del potere di annullare gli atti della pubblica Amministrazione ma che tale prerogativa è riservata esclusivamente ai giudici determinati dalla legge, con gli effetti e nei casi dalla stessa legge previsti.

Evoluzione storica della tutela nei confronti della pubblica amministrazione.

Come accennato, l'articolo 113 della Costituzione regola, insieme ad altre disposizioni, la giurisdizione nei riguardi della pubblica Amministrazione.

L'art. 113, ma anche il 103 e il 24, concorrono a disegnare un sistema che è frutto di un'evoluzione che, già al momento dell'unità d'Italia, aveva progredito ampiamente.

Con la l. n. 2248/1865 All. E, si adotta una sistema ispirato al principio della giurisdizione unica; sistema che viene realizzato in gran parte – seppure non completamente – abolendo i Tribunali ordinari del contenzioso amministrativo ed estendendo quanto più possibile la giurisdizione del giudice ordinario.

Tuttavia, l'impostazione così data alla giurisdizione scontava il limite imposto dalla divisione dei poteri e, dunque, non poteva consentire che il giudice ordinario si spingesse oltre un certo limite. Restavano, pertanto, attribuite alla funzione di amministrazione attiva le controversie sugli atti e provvedimenti che l'Autorità amministrativa compieva per proprio ufficio e sotto la sua responsabilità al fine di promuovere il pubblico e privato interesse ed incidenti sugli interessi individuali e collettivi degli amministrati, non elevati a dignità di interessi giuridici.

Al fine di superare i problemi del sindacato sugli atti amministrativi, che si erano posti sin dal 1865, fu approvata la l. n. 5992/1889 con la quale venne istituita la Quarta sezione del Consiglio di Stato con il compito di «decidere sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge contro atti e provvedimenti di un'autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse d'individui o di enti morali giuridici, quando i ricorsi medesimi non siano di competenza dell'autorità giudiziaria, ne si tratti di materia spettante alla giurisdizione od alle attribuzioni contenziose di corpi o collegi speciali».

Al nuovo organo fu così devoluta la cognizione sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge contro atti e provvedimenti di un'autorità amministrativa nonché, in via eccezionale e nei casi tassativamente elencati dalla legge, anche sui ricorsi per motivi di merito.

In tal modo, venne superata la carenza di accesso alla tutela giurisdizionale creata con la legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865.

Con l. n. 62/1907, venne riconosciuta la natura giurisdizionale della Quarta sezione del Consiglio di Stato e, al fine di smaltire la mole dei ricorsi proposti dinanzi al Consiglio di Stato, venne istituita una Quinta sezione. Sempre del 1907, è l'adozione del regolamento di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, avvenuta con r.d. n. 227/1907.

La formazione dell'articolo 113 in sede costituente.

Anche in fase costituente, la discussione sulla tutela giurisdizionale nei confronti dell'Amministrazione riguardò principalmente la questione aperta nel 1865, con l'impostazione propugnata da Calamandrei che avrebbe voluto che il cittadino potesse «ricorrere alla autorità giudiziaria ordinaria non soltanto per chiedere la reintegrazione del proprio diritto soggettivo violato da un atto della pubblica amministrazione, ma anche per chiedere l'annullamento per i motivi di legittimità o di merito stabiliti dalla legge, dell'atto amministrativo lesivo del suo interesse» (resoconto della seduta pomeridiana del 10 gennaio 1947, della seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione). Al contrario, Mortati era favorevole al mantenimento del Consiglio di Stato ma anche della libertà per il legislatore di creare nuovi giudici speciali nell'ambito della giurisdizione amministrativa. Nell'Assemblea fu condivisa la critica all'impostazione di Calamandrei e l'on. Ruini sollevò l'argomentazione che «un semplice pretore potrebbe nonché annullare rifare esso decreti e provvedimenti di governo di estrema importanza. Non è troppo?»

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La maggioranza costituente preferì conservare la dualità delle giurisdizioni mantenendo una giustizia amministrativa, rinviando al legislatore ordinario l'individuazione degli organi di giurisdizione dotati del potere di annullare gli atti della pubblica Amministrazione, nei casi e con gli effetti previsti dalla legge.

Continuità e discontinuità con l'ordinamento previgente: unicità e duplicità della tutela.

La dottrina si è a lungo domandata se la previsione costituzionale fosse in linea con la normativa previgente o se, invece, avesse una portata innovativa.

Da una parte, vi si è riconosciuta una continuità con l'idea dell'abrogazione delle differenze di tutela e, quindi, con l'impianto teorico presupposto dalla l. n. 2248/1865. In particolare, Berti ritiene sia «di secondaria importanza agli occhi del costituente che gli atti posti in essere in violazione di diritti o di interessi siano annullati dall'uno o dall'altro dell'ordine dei giudici. Anche il giudice ordinario perciò potrebbe essere legittimato dal legislatore ad annullare provvedimenti dell'autorità amministrativa, e non trovarsi quindi limitato ad una mera disapplicazione quando la sua pronunzia a garanzia di diritti soggettivi trovi per così dire inceppata dalla presenza di un provvedimento dell'autorità, ciò potrebbe voler significare anche che è indifferente, rispetto al giudice, che la difesa sia chiesta per una posizione di diritto o di interesse legittimo. Se non c'è alcuna correlazione fra interesse legittimo e annullamento, non può esserci neppure una differenziazione sostanziale e per così dire necessaria tra diritti e interessi legittimi.

Nell'art. 113 c'è dunque lo spirito della vecchia legge del 1865 e anche un superamento di questa legge, nel solco però del suo principio informatore secondo cui i diritti soggettivi non rappresentavano già una limitazione della difesa del cittadino verso il potere pubblico ma il segno della parificazione della garanzia sia che il contestato fosse un soggetto privato, sia che fosse un soggetto pubblico.»

Tuttavia, è lo stesso Autore a rilevare una «caduta del mito del giudice unico», concezione sottesa alla norma del 1865, e che sia invece ormai acquisito che esistano due giudici generali, oltre ad alcuni giudici speciali come la Corte dei conti o il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche. E ciò in quanto si sarebbe è diffusa la consapevolezza che non sia sufficiente l'unicità del giudice a fornire garanzia di libertà e tutela del cittadino. Afferma Berti che «ci si è forse resi conto che il giudice unico potrebbe dar luogo a una sorta di conversione della garanzia obiettiva del giudizio in un potenziamento soggettivo della giurisdizione come potere, con l'effetto del vanificarsi della sicurezza giuridica. La quale forse si aggiunge meglio attraverso una sorta di equilibrio tra ordini giudiziari differenti, che non mediante il potenziamento di una sola organizzazione giudiziaria».

Altra parte della dottrina è di posizione diametralmente opposta e ritiene che «la storia e soprattutto il buonsenso non giustificano più la sottrazione al giudice ordinario ... della giustizia amministrativa» (Proto Pisani). Si sostiene che il panorama esistente è stato modificato negli ultimi anni, superando il sistema che si fondava sulla differenziazione delle situazioni soggettive a favore dell'allargamento della giurisdizione esclusiva.

La conseguenza sarebbe, allora, un'incoerenza che si sostiene essere in contrasto con le scelte di base che si fondano sulla Costituzione.

Proto Pisani, infatti, afferma che a) la giustizia amministrativa creata nel 1889 è a favore dell'Amministrazione ed è, quindi, in contrasto con l'idea della giurisdizione amministrativa, prevista dalla Costituzione, come giurisdizione a tutela di situazioni soggettive del cittadino; b) il Consiglio di Stato, nella sua doppia natura di organo giurisdizionale e di massimo organo di consulenza amministrativa, non sembra garantire la terzietà e l'imparzialità del giudice oggi proclamata formalmente dal comma 2 dell'art. 111 Cost.; c) la devoluzione della giustizia amministrativa al giudice ordinario aumenterebbe la trasparenza delle motivazioni, la loro controllabilità e le garanzie per il cittadino; d) l'applicabilità da parte del giudice amministrativo di riti cautelari e sommari propri del giudizio civile e il riconoscimento della salvezza degli effetti sostanziali e processuali a fronte della trasmigrazione di un giudizio fra le due giurisdizioni dimostrerebbe che non vi sia ragione per continuare la coesistenza nell'ordinamento di due giurisdizioni che non costituiscono più compartimenti stagni.

In conseguenza di tale ragionamento Proto Pisani si chiede se non sia più ragionevole introdurre anche in Italia un sistema di giurisdizione unica con accesso dei giudici tramite concorso unitario articolato in sezioni civili, penali, amministrative, tributarie del lavoro e previdenziali.

Sulla base di tale impostazione, viene criticata la sentenza Corte cost. n. 204/2004 e – pur riconoscendo le «sacrosante esigenze di concentrazione e di effettività della tutela» – e si rileva che le medesime esigenze «si sarebbero potute assicurare prevedendo l'attribuzione del potere di annullamento al giudice ordinario, senza alcun vulnus al controllo di legittimità della Corte di cassazione sulle sentenze relative a diritti.»

A fronte dell'orientamento dottrinale che auspica l'unificazione delle giurisdizioni a favore dell'autorità giudiziale ordinaria, merita richiamare l'orientamento totalmente avverso di Cerulli Irelli che è invece favorevole a quello che individua come dottrina consolidata della distinzione fra controversie attinenti alle modalità di esercizio del potere, che in quanto concernenti la lesione di interessi legittimi, sono di competenza della giurisdizione amministrativa e controversie attinenti ai diritti soggettivi convolti dall'esistenza del potere che sono, invece, affidati al giudice ordinario.

Cerulli Irelli riduce l'ambito di cognizione del giudice ordinario delle controversie in cui sia coinvolta l'Amministrazione «a ben poca cosa» che divide in quattro gruppi: controversie attinenti gli atti emanati in carenza di potere, laddove il concetto di «carenza di potere» non è chiarissimo; controversie circa l'esercizio di poteri amministrativi del tutto vincolati; controversie circa l'attività materiale della pubblica amministrazione – sul punto la Corte costituzionale ha stabilito che solo «nelle ipotesi in cui i comportamenti causativi di danno ingiusto [...] costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativo [...] sono riconducibili all'esercizio del pubblico potere»– e, infine, controversie circa la lesione di diritti di carattere fondamentale non soggetti a «degradazione», anche se la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire che la giurisdizione amministrativa ben può conoscere anche controversie che coinvolgano diritti fondamentali.

Ovviamente, Cerulli Irelli è adesivo rispetto alla citata sentenza 204/2004 della Corte costituzionale sul riparto della giurisdizione e sull'estensione di quella amministrativa in ordine alla tutela di situazioni soggettive protette che abbiano ad oggetto l'esercizio del potere amministrativo e richiama altresì la pronuncia n. 140/2007 dove è riconosciuta la legittimità di disposizioni legislative «intese a concentrare davanti al giudice amministrativo l'intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica» ritenendo tale giudice «idoneo ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell'esercizio della funzione amministrativa». Prosegue l'Autore affermando che «il sistema di riparto tra le due giurisdizioni ... si fonda sul discrimine dato dall'oggetto della controversia come quello concernente l'esercizio del potere amministrativo: salvi i residui spazi alla giurisdizione ordinaria per tali tipi di controversie limitatamente ai casi che si sono indicati.» Secondo questi «la dizione del testo costituzionale ... laddove fa riferimento alla tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi (art. 103, comma 1) va intesa come tutela nei confronti della pubblica amministrazione (... e i soggetti equiparati) delle situazioni giuridicamente protette che siano state lese dall'esercizio del potere amministrativo; salvi i casi nei quali permane la giurisdizione ordinaria.»

Conclude, poi, Cerulli Irelli auspicando l'abrogazione della legge del 1865 «al fine di evitare equivoci negli operatori e negli interpreti».

La scelta della suddivisione fra giudice ordinario e giudice amministrativo.

Dato conto degli orientamenti dottrinali sul sistema della giurisdizione amministrativa così come tracciato dalla Costituzione, sembra opportuno portare l'attenzione sulla lettera dell'articolo 113, che deve essere necessariamente letto insieme con l'art. 24 e l'art. 103, da cui emerge la pienezza della tutela giurisdizionale, sia dei diritti che degli interessi legittimi, nei confronti alle pubbliche amministrazioni.

Se, infatti, l'art. 24 prevede che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi; l'art. 113 specifica che la tutela contro gli atti della pubblica Amministrazione può aversi sia davanti al giudice amministrativo che a quello ordinario. Sostanzialmente la disposizione prevede che gli atti dell'Amministrazione possono incidere sulle due situazioni soggettivi, diritti e interessi legittimi, ma la natura della situazione incisa è indifferente rispetto alla loro tutelabilità. Sul punto, è stato affermato che in presenza di una medesima tutela sia degli interessi legittimi che dei diritti si finisca per avvicinare i primi ai secondi (Bachelet, 18).

Di certo, l'inserimento nella Costituzione del concetto di interessi legittimi ha avuto senz'altro una sua importanza sulla quale la dottrina ha avuto modo di esprimersi in modo diffuso.

Da una parte vi è chi sostiene che sarebbe meglio abbandonare la dicotomia per definire le situazioni soggettive nei confronti dell'amministrazione come diritti in senso ampio (Ledda, 2218); chi ha ravvisato nella risarcibilità dei danni provocati dalla lesione degli interessi legittimi il motivo per il quale non vi sarebbe più una ragione giustificativa della differenziazione degli interessi legittimi dai diritti soggettivi – anche perché la categoria degli interessi legittimi, non rinvenibile nella legislazione antecedente e successiva alla costituzione, sarebbe frutto della creazione da parte dei costituenti che non avrebbe però avuto esito felice (Romano, 3222) –; chi invece ritiene che la differenziazioni delle due situazioni soggettive sia coerente e funzionale al riparto della giurisdizione con le relative differenti forme di tutela, rilavando che, con l'interesse legittimo, la dottrina e la giurisprudenza italiane hanno posto in essere un sindacato della legittimità dell'atto amministrativo estremamente raffinata che non merita di essere abbandonata (Scoca, 40).

La Costituzione, contemplando entrambe le situazioni giuridiche soggettive ed entrambe le giurisdizioni, determina la possibilità per il legislatore ordinario di prevedere due sistemi di tutela differenti che devono, però, necessariamente garantire tutela senza che vi sia gradazione della sua effettività. Il riferimento alle due situazioni giuridiche soggettive degli artt. 24 e 113 Cost. realizza, quindi, un'equiparazione dal punto di vista del diritto di difesa in sede giurisdizionale nell'interesse dei loro titolari (Bachelet).

Se, dunque, esistono delle differenze tra la tutela azionabile nelle due giurisdizioni, queste differenze sono dovute al particolare rapporto che esiste fra cittadino e pubblica Amministrazione ma l'elemento essenziale che necessariamente permane è la tutela effettiva.

Il contenuto degli artt. 24 e 113 è guidato proprio dal concetto di possibilità di azionare la tutela indipendentemente dal tipo di situazione giuridica dedotta, e ciò a garanzia dell'esercizio del potere in modo conforme alle norme di diritto positivo che attribuiscono e regolano il potere medesimo.

Del resto, tra interessi legittimi e diritti soggettivi non vi sono differenze che giustifichino una tutela di grado inferiore e, infatti, l'art. 113 Cost. tratta «le situazioni stesse nell'ambito di un programma comune che è quello dell'effettività della completezza del sistema di tutela giurisdizionale e, insieme, relativizza il significato della distribuzione della giurisdizione tra i due giudici a regola strumentale alla realizzazione di tale programma» (Police, 2006,18).

Se, dunque, il principio costituzionale dettato dall'art. 113 è quello di una tutela effettiva, allora il riparto fra le giurisdizioni – improntato su interessi legittimi e diritti soggettivi – non deve creare preclusioni o decadenze dovute a tale riparto e la qualificazione della situazione soggettiva dedotta non può impedire o limitare la tutela medesima.

Sul punto, sembra opportuno richiamare quanto esposto nella sentenza204/2004 della Corte cost. dove si afferma la chiara opzione del Costituente in favore del riconoscimento al giudice amministrativo della piena dignità di giudice: riconoscimento per il quale milita, oltre e più che l'apprezzamento, più volte espresso nell'Assemblea costituente, per l'indipendenza con la quale il Consiglio di Stato aveva operato durante il regime fascista, la circostanza che l'art. 24 Cost. assicura agli interessi legittimi – la cui tutela l'art. 103 riserva al giudice amministrativo – le medesime garanzie assicurate ai diritti soggettivi quanto alla possibilità di farli valere davanti al giudice ed alla effettività della tutela che questi deve loro accordare.

Rimandando al commento dell'art. 103 per una brevissima ricostruzione delle due figure degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi, sembra opportuno richiamare l'art. 7 del c.p.a. che ha in gran parte reso positivo il risultato di anni di dialettica dottrinaria e giurisprudenziale. La disposizione prevede che siano «devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico.»

Prosegue poi il medesimo articolo disponendo che «Nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall'articolo 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi.» Mentre «Il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie indicate dalla legge e dall'art. 134. Nell'esercizio di tale giurisdizione il giudice amministrativo può sostituirsi all'amministrazione.»

Lo sforzo profuso nella redazione del c.p.a. ha sicuramente avuto l'effetto di aver portato molta chiarezza nella ripartizione delle giurisdizioni, pur se molte questioni restano tutt'ora aperte.

L'effettività della tutela.

Come già accennato, la Carta costituzionale assicura una tutela effettiva sia ai diritti soggettivi che agli interessi legittimi e, quindi, garantisce sempre la possibilità di tutelarli facendo ricorso alla giurisdizione ordinaria o amministrativa.

Invero, a fronte di una complessa e non sempre comprensibile linea di demarcazione tra interessi legittimi e diritti soggettivi, i costituenti hanno costruito un sistema volto a garantire una piena tutela nei confronti della pubblica Amministrazione a prescindere da tale distinzione.

Ma è stato allorquando si è reso necessario dare veste concreta al principio dell'effettività della tutela che si sono incontrate una serie di questioni che necessariamente dovevano essere risolte.

Il giudice amministrativo, infatti, svolge nella maggioranza dei casi un giudizio sulla legittimità del provvedimento che può comportarne l'annullamento e può altresì emettere provvedimenti cautelari. Sulla tutela cautelare si è espressa la giurisprudenza, sia costituzionale che amministrativa, sottolineando che le misure cautelari sono necessarie per l'effettività della tutela giurisdizionale e costituiscono espressione del principio che la durata del processo non deve andare in danno del cittadino che ha ragione, in attuazione dell'art. 24 della Costituzione (Cons. St., Ad. plen., n.1/2000;Corte cost. n.179/2002).

La tutela accordata, invece, agli interessi pretensivi appare ancora imperfetta.

Tuttavia, l'articolo 113 non ha mancato di chiarire che tutte le situazioni giuridiche devono trovare tutela e, quindi, spetta al legislatore ordinario disciplinarne le forme. La tutela è divenuta assai più ampia con l'apertura al risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo che, recentemente, è stata riconosciuta anche per il danno da ritardo nel termine del procedimento (Cons. St., Ad. plen., n.7/2021).

Del resto, nel caso di ritardo, è prevista la tutela avverso il silenzio dell'Amministrazione dove il giudice, oltre a poterla condannare a pronunciarsi, può nominare un commissario ad acta che la sostituisca. Nel corso di questo genere di giudizio, il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'Amministrazione (art. 31, comma 3, c.p.a.).

Il codice del processo amministrativo ha esplicitato, poi, alcune possibilità che erano state indicate dalla giurisprudenza e dalla dottrina. Il giudice amministrativo può accogliere azioni di condanna al pagamento di una somma di denaro o «all'adozione di misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio» e, quindi, anche per gli interessi legittimi, o, ancora, «disporre misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell'articolo 2058 del codice civile».

Ma, prosegue il codice, nei casi di giurisdizione di merito, il giudice adotta un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello impugnato rendendo, così, piena la tutela.

Per quanto attiene alla tutela esecutiva, il giudice amministrativo può disporre le misure idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l'ottemperanza (art. 34 c.p.a.).

Il codice, però, pone un limite alla tutela laddove chiarisce che in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati.

Un breve cenno merita la tutela in caso di azione di nullità che in via di azione può essere esercitata soltanto entro un termine di 180 giorni mentre la nullità del provvedimento può sempre essere opposta in via di eccezione (art. 31 c.p.a.). Il termine decadenziale posto nei confronti di chi agisce è stato ritenuto costituzionalmente conforme (Corte cost. ord., n. 2013/2005).

Sempre in ossequio al principio dell'effettività della tutela, sono stati rimossi alcuni impedimenti che rendevano più gravoso l'accesso alla giurisdizione.

È stato, infatti, dichiarato l'obbligo di versare una cauzione quale presupposto per impugnare avanti al giudice di pace le contestazioni d'infrazioni al codice della strada (Cortecost. n. 114/2004 che sostanzialmente riprende i principi già esposti nelle precedenti sentenze nn. 67/1960, 21/1961, 79/1961) così come è obbligatorio rilasciare la copia della sentenza in forma esecutiva anche se non è stata pagata l'imposta di registro (Corte cost. n.522/2002).

La definizione degli «atti» nel primo comma dell'art. 113 alla luce del principio dell'effettività della tutela.

La tutela è ammessa contro gli «atti della pubblica amministrazione».

Occorre, quindi, indagare il significato del termine atti in rapporto alla tutela e porre l'attenzione sul loro promanare dalla pubblica Amministrazione.

La prima questione che salta agli occhi è che, nel primo comma dell'art. 113, si parla di tutela dagli atti e si fa riferimento agli interessi legittimi che sono speculari agli atti autoritativi. Sembra, pertanto, che la Costituzione rechi una concezione della tutela della giurisdizione amministrativa come giudizio sostanzialmente demolitorio di annullamento.

Tuttavia, questa impostazione denota in modo evidente il segno dei tempi ed è stata oggetto di un'interpretazione che ha superato, almeno in parte, tale impostazione per comprendervi anche l'attività amministrativa che esula da tali schemi.

La stessa individuazione dell'atto amministrativo come atto che proviene dalla pubblica Amministrazione non deve essere inteso come un limite all'interpretazione perché solo tale attività consente di mantenersi aderenti al dettato costituzionale, pur applicando i principi alle mutate forme di amministrazione.

Del resto, nel tempo la nozione di atto amministrativo si è molto evoluta anche se la posizione onnicomprensiva della tutela formulata dall'art. 24 non lascerebbe comunque priva di garanzia qualsiasi situazione soggettiva. Se, allora, si vorrà aderire alla tesi interpretativa che vede l'atto amministrativo come «quell'atto giuridico che ha per compito la soddisfazione di specifici e concreti interessi pubblici nei modi e termini definiti dalla legge» si avrà come conseguenza che tra la categoria degli atti attribuiti alla giurisdizione del giudice amministrativo, entreranno anche atti provenienti da soggetti non inquadrati nel corpo della pubblica Amministrazione ma che svolgono attività amministrativa, che, ossia, perseguono l'interesse pubblico (Garrone).

Appare, infatti, evidente che l'ampiezza della categoria dell'atto giustiziabile in sede amministrativa è via via sempre maggiore in quanto l'attività di cura dell'interesse pubblico è svolta in alcuni casi da soggetti che non hanno rapporto di incardinazione nell'Amministrazione pubblica. D'altra parte, non è mancato chi abbia criticato l'affermazione «della natura soggettivamente amministrativa degli atti dei privati chiamati a svolgere funzioni amministrative utilizzando la teoria dell'organo indiretto» (Saitta, De Leonardis, 284).

Del resto, deve darsi conto che l'art. 7 del c.p.a. ha chiarito che «per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo».

Tornando, però, alla natura dell'atto, si vuole evidenziare come si esplica la giurisdizione nei confronti dell'inerzia che ha esteso la tutela ai comportamenti omissivi dell'Amministrazione, conferendo l'accesso al giudizio al cittadino che vede – di fatto – negato il proprio interesse pretensivo. L'articolazione della tutela realizzata diparte da un'interpretazione dell'articolo 113 della Costituzione che tiene conto del tempo trascorso e, soprattutto del principio dell'effettività della tutela che, come detto, deriva anche dall'art. 24 Cost. Se, infatti, si garantisce la tutela anche a situazioni che per definizione sono dei non-atti è allora chiaro che il concetto di atto è stato spinto molto oltre la nuda definizione del nomen.

Il precetto contenuto nell'art. 113 ha, quindi, una portata programmatica che è stata necessariamente considerata in modo estensivo, da declinare nei confronti della pubblica Amministrazione in modo ampio e senza che l'assenza di un atto possa costituire un ostacolo per accedere alla tutela.

Appare senz'altro costituzionalmente lecito spingersi alla tutela di situazioni quali i silenzi e i meri comportamenti, garantendo così tutela giurisdizionale agli interessi e ai diritti.

Occorre, allora, dare un significato al termine «atti» anche per differenziarlo da quello «provvedimenti», riconoscendo al primo maggiore ampiezza ed estendendolo in modo che gli interessi dei cittadini abbiano piena tutela e che il bene della vita a cui si aspira possa costituire l'elemento dirimente fra situazioni tutelabili o meno.

Sul tema dell'inerzia, inoltre, «fino alla legge sul procedimento la violazione dell'interesse legittimo poteva costituirsi solo come conseguenza indiretta del dovere di provvedere dell'interesse pubblico, dopo tale legge è perfettamente ravvisabile un dovere di provvedere anche (e direttamente) nell'interesse del privato. La formula della legge è tale da non consentire di ritenere che il dovere sia finalizzato alla soddisfazione del solo interesse pubblico» (Scoca, 246). Quando è l'atto – inteso nel senso di omissione – ad essere capace di ledere l'interesse legittimo ad ottenere un determinato bene della vita, allora l'accesso alla tutela giurisdizionale diviene esplicazione della garanzia costituzionale.

Ma l'atto può essere inteso anche nel senso di azione, e quindi di mero comportamento dell'Amministrazione, perché è soltanto questa l'interpretazione che non pone l'art. 113 in antinomia con l'art. 24.

Del resto, se si seguisse, invece un'interpretazione restrittiva del termine «atti» contenuto nell'art. 113 Cost., si perverrebbe ad una ricostruzione dell'attività giurisdizionale amministrativa soltanto in ottica caducatoria, incapace di fornire una tutela reale ed effettiva nei casi, sopra indicati, dei comportamenti.

In tal senso si è espressa la dottrina, criticando la lettura tradizionale delle norme costituzionali sulla giustizia amministrativa che è stata a lungo portata avanti, pur in aperto contrasto con il principio di effettività della tutela (Satta, 408).

Sembra, allora, potersi concludere che l'art. 24 Cost. definisce un principio generale di garanzia della giustiziabilità della tutela delle situazioni soggettive; principio che nei confronti della pubblica Amministrazione è declinato dall'art. 113 Cost. il quale deve essere interpretato in modo che detta tutela resti piena e che consenta di ottenere in modo effettivo il bene della vita. La tutela giurisdizionale, quindi, deve essere piena e non può arrestarsi ove la lesione delle situazioni giuridiche dedotte in giudizio derivi da un mero comportamento anche omissivo (Nigro).

A tale aspetto, si lega il divieto contenuto nel secondo comma dell'art. 113 di escludere determinate categorie di atti dalla tutela giurisdizionale. Tale principio, che nasce in opposizione all'allargamento delle categorie degli atti sottratti all'esame del giudice amministrativo, ha la vera ratio «di ribadire e confermare che non può essere escluso dalla tutela giurisdizionale alcun atto ritenuto lesivo di un interesse protetto dalle norme che delimitano il potere amministrativo» (Saitta, 2151; Garbone, 197). Sulla casistica specifica delineata dalle pronunce giurisprudenziali, si rinvia al commento dell'art. 103.

Divieto di esclusione dei mezzi di impugnazione

Nel secondo comma dell'articolo 113 è previsto che la tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione.

Tale terminologia è stata ritenuta, dapprima, di dubbia interpretazione ma la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire che la disposizione in argomento esclude qualsiasi limitazione ingiustificata del potere di annullamento degli atti amministrativi in ragione del vizio dedotto in giudizio (Corte cost. n.285/1974).

In pratica, la disposizione implicherebbe la non conformità costituzionale della norma che dovesse limitare l'esperibilità dei motivi ai fini del sindacano circa la legittimità dell'atto impugnato. Pertanto, ove vi sia interesse del soggetto che invoca la tutela, questi potrà proporre tutti i motivi di diritto deducibili.

Su tale aspetto, si è incentrata l'analisi dell'art.21-octies della l. n.241/1990, che prevede non sia annullabile il provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. L'articolo prosegue affermando che il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

La norma non impedisce che il provvedimento venga annullato in generale per violazione delle norme procedimentali ma tale annullamento non può aver luogo qualora l'esito del procedimento sarebbe stato il medesimo anche a fronte del rispetto di dette norme.

Si tratta di una scelta legislativa evidentemente frutto di una logica di risultato, apprezzabile ma che, invero, rischia di apportare un vulnus al principio costituzionalmente garantito di effettività della tutela. Sembra possa fondarsi su tale rischio l'atteggiamento restrittivo e rigoroso adottato dalla giurisprudenza nell'analisi di questo genere di questioni.

Bibliografia

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