Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 35 bis - (Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici) 1(Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici) 1 1. Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale: a) non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l'accesso o la selezione a pubblici impieghi; b) non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonche' alla concessione o all'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati; c) non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonche' per l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere. 2. La disposizione prevista al comma l integra le leggi e regolamenti che disciplinano la formazione di commissioni e la nomina dei relativi segretari. [1] Articolo inserito dall'articolo 1, comma 46, della Legge 6 novembre 2012, n. 190. InquadramentoParte importante della legislazione anticorruzione, introdotta a partire dal 2012, si è focalizzata su limiti, divieti, inconferibilità e incompatibilità riferiti ad incarichi, uffici e funzioni. È in questo filone di intervento che si inserisce la disciplina recata dall'art. 35-bis del d.lgs. n. 165/2001. La norma in esame, introdotta dall'art. 1, comma 46, l. n. 190/2012, statuisce che coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, articoli da 314 a 335-bis) non possono: a) fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l'accesso o la selezione a pubblici impieghi; b) essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o all'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati; c) fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché per l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere. Tale disposizione integra le leggi e regolamenti che disciplinano la formazione di commissioni (e la nomina dei relativi segretari). Il legislatore ha inteso, così, apprestare – in chiave preventiva – uno specifico rimedio interdittivo. Vengono inibiti, nei confronti dei condannati, tanto dirigenti che funzionari, compiti e funzioni relativamente ad aree considerate dalla legge a più elevato rischio di corruzione (cfr. i commi 9 e 16 dell'art. 1, l. n. 190/2012). Ciò è riferito, evidentemente, sia alla ipotesi del conferimento dell'incarico/funzione che a quella del mantenimento dello stesso (cfr. Trib. Brindisi sez. lav., n. 848/2015), configurandosi la condanna – indipendentemente dalla sua gravità – quale “requisito negativo” ai fini della relativa capacità del dipendente. I divieti in commento sono stati configurati dalla legge come permanenti; è quindi escluso che costituiscano misure cautelari, al pari, ad esempio, dei trasferimenti a seguito di rinvio a giudizio, di cui alla l. n. 97/2001 (cfr. l'art. 3). I divieti sono destinati a stabilizzarsi (o a decadere) col passaggio in giudicato della sentenza penale che accerta (o esclude) la responsabilità del dipendente interessato. Dubbi sono stati posti, in dottrina, per i casi di assoluzione nei successivi gradi di giudizio per estinzione del reato e, in specie, per prescrizione (Cimino, 236). Non si tratta di norme di natura sanzionatoria, ma che pongono regole di funzionamento delle P.A.. La disciplina in questione risponde all'esigenza di tutelare la funzione amministrativa rispetto a condotte infedeli del funzionario pubblico, tutela estesa anche all'immagine della amministrazione pubblica (Mattarella, 131). Dall'assenza di qualificazione in senso punitivo-afflittivo consegue l'applicabilità dei divieti in questione anche a fronte di sentenze di condanna emesse prima dell'entrata in vigore dell'art. 35-bis d.lgs. 165/2001. Tali preclusioni rappresentano non un effetto penale o una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto di natura amministrativa, per cui non incorrono nel divieto di retroattività della legge e delle sanzioni penali e amministrative. I casi di sospensione condizionale della pena, decreto di condanna, delitto tentato e patteggiamentoIn considerazione della natura delle misure interdittive in esame, di strumento di prevenzione della corruzione e di garanzia dell'imparzialità dell'amministrazione, non rileva, in caso di condanna per i reati indicati dal legislatore, la concessione della sospensione condizionale della pena. Analogamente, i divieti di cui all'artt. 35-bis del decreto n. 165 scattano anche nel caso in cui il dipendente pubblico risulti destinatario di un decreto penale di condanna per uno dei reati previsti. Secondo la Delibera ANAC n. 447/2019, il riferimento contenuto nella legge ad un'intera categoria di reati – quelli appunto previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale – consente di estendere il divieto anche alle ipotesi di condanna, non definitiva, per le medesime fattispecie penali, ma rimaste allo stadio del tentativo. La norma non elenca, infatti, i singoli reati alla cui commissione è legato il divieto, ma si limita a indicare genericamente un genus di reati, quelli contro la pubblica amministrazione, così ricomprendendo evidentemente tutte le fattispecie che rientrano in tale categoria. In particolare, l'ANAC sottolinea che: – l'inconferibilità rappresenta una condizione soggettiva in cui viene a trovarsi colui che è stato condannato, anche se con condanna non passata in giudicato, già riconosciuta dal legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità, senza che sia rimesso alcun margine di apprezzamento all'amministrazione, la quale non ha il potere di graduare la sanzione in relazione alla diversa gravità dei fatti; – il generale riferimento del testo della norma di cui all'art. 35-bis, pur in assenza della specificazione in ordine a fattispecie consumata piuttosto che a quella tentata, deve essere considerato comprensivo di entrambe le fattispecie di reato; – anche per quanto riguarda il bene giuridico tutelato, non si può in alcun modo distinguere le fattispecie consumate da quelle tentate, essendo in entrambe compromessi l'imparzialità, il buon andamento e la credibilità dell'azione amministrativa (cfr. anche la Massima ANAC 17 aprile 2019, n. 4); – il delitto tentato, pur nascendo dall'incontro delle singole fattispecie di parte speciale con il disposto di cui all'art. 56 c.p., è a tutti gli effetti un delitto «perfetto» e non una sotto-fattispecie del delitto consumato, essendo in esso presenti tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, di qualsivoglia ipotesi di reato; – se non si applicasse l'istituto in esame anche alle fattispecie di delitto tentato si verificherebbe una irrazionale contraddizione sistematica all'interno dell'ordinamento e un vuoto di tutela dell'imparzialità dell'azione della pubblica amministrazione. In tal senso, soccorre anche l'orientamento della giurisprudenza amministrativa in una materia analoga (quella della sospensione dal servizio dei dipendenti pubblici condannati, anche con sentenza non definitiva, per uno dei delitti previsti dall'art. 3, comma 1, della l. n. 97/2001). I magistrati di Palazzo Spada hanno affermato che non può distinguersi, «con riguardo ad ipotesi di reato particolarmente gravi, come la concussione, la fattispecie del delitto tentato da quella del delitto consumato, ai fini dell'applicazione del provvedimento di sospensione dal servizio ex art. 4, comma 1, l. n. 97/2001» (Cons. St. IV, ord. n. 1522/2014), sancendo l'equiparabilità del reato consumato e di quello tentato (Cons. St. IV, ord. n. 5811/2007). L'ANAC ha, così, rivisto e superato un proprio precedente orientamento, laddove aveva prospettato che i divieti in questione presupponessero sempre una condanna penale per reato consumato (cfr. l'Orientamento ANAC n. 68 del 9 settembre 2014). Infine, va evidenziato che alla sentenza di condanna deve ritenersi equiparata la sentenza di applicazione della pena su richiesta (c.d. patteggiamento). La soluzione, accettata anche in ambito disciplinare (cfr. Cortecost. n. 336/2009), deve ritenersi a fortiori legittima al fine dell'operatività dei divieti previsti dall'art. 35-bis del decreto n. 165. L'ambito di applicazione dell'art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001 e il rapporto con l'art. 3 d.lgs. n. 39/2013Il presidio garantito dall'art. 35-bis nello specifico campo inerente commissioni/assegnazioni agli uffici è strettamente legato ad analoga prescrizione rinvenibile nel d.lgs. n. 39/2013. In tale sede, il legislatore ha, infatti, codificato delle presunzioni assolute di conflitto di interessi al ricorrere delle quali taluni incarichi nella pubblica amministrazione sono da considerarsi inconferibili o incompatibili. Tra queste spicca la situazione di inconferibilità individuata nell'art. 3 del d.lgs. 39/2013. Esso prevede al comma 1 che: «a coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale [i medesimi considerati dall'art. 35-bis], non possono essere attribuiti: a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali; b) gli incarichi di amministratore di ente pubblico, di livello nazionale, regionale e locale; c) gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale; d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale, regionale e locale; e) gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali del servizio sanitario nazionale». Il periodo di inconferibilità avrà durata permanente nel caso in cui in sede penale sia stata inflitta la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, ovvero sia intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro a seguito di procedimento disciplinare o la cassazione del rapporto di lavoro autonomo. Nel caso in cui vi sia condanna alla interdizione dai pubblici uffici solo temporanea o la pena accessoria non sia stata comminata, l'inconferibilità avrà durata limitata nel tempo secondo le specifiche indicazioni fornite nell'ultima parte dei commi 2 e 3 dell'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013. Il successivo comma 4 specifica, altresì, che – in ipotesi diverse da quelle in cui sia stata inflitta una interdizione temporanea – durante il previsto periodo di inconferibilità, salve le ipotesi di sospensione o cessazione del rapporto, al dirigente di ruolo possono essere comunque affidati gli incarichi che non comportano l'esercizio di competenze di amministrazione e gestione. È in ogni caso «escluso il conferimento di incarichi relativi ad uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o all'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati, di incarichi che comportano esercizio di vigilanza o controllo». Nel caso in cui l'amministrazione non sia in grado di conferire incarichi compatibili con le citate disposizioni, il dirigente viene posto a disposizione del ruolo senza incarico per il periodo di inconferibilità dell'incarico. L'inconferibilità in questione sospende anche l'efficacia del contratto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo con il quale uno degli incarichi di cui al comma 1 dell'art. 3 sia stato conferito a soggetto esterno all'amministrazione. Su punto è intervenuta la delibera ANAC n. 1201 del 18 dicembre 2019, recante Indicazioni per l'applicazione della disciplina delle inconferibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione – art. 3 d.lgs. n. 39/2013 e art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001. L'ANAC sottolinea che l'art. 35-bis del d.lgs. 165/2001 rappresenta una nuova e diversa fattispecie di inconferibilità, atta a prevenire il discredito, altrimenti derivante all'Amministrazione, dovuto all'affidamento di funzioni sensibili a dipendenti che, a vario titolo, abbiano commesso o siano sospettati di infedeltà. In questo senso, l'art. 35-bis, diversamente dalla disciplina di cui all'art. 3 d.lgs. 39/2013, preclude il conferimento di alcuni uffici o lo svolgimento di specifiche attività ed incarichi particolarmente esposti al rischio corruzione non solo a coloro che esercitano funzioni dirigenziali, ma anche a quanti vengano affidati meri compiti di segreteria ovvero funzioni direttive e non dirigenziali. Più nello specifico, il disposto di cui alla lettera a) dell'art. 35-bis «è da intendersi riferito a tutti i componenti e al personale di supporto, a qualunque titolo, assegnati agli uffici straordinari istituiti per lo svolgimento delle procedure concorsuali finalizzate al reclutamento dall'esterno e, presumibilmente, per l'avanzamento in carriera. Resterebbero, dunque, fuori dal divieto, gli uffici ordinari che gestiscono il personale e tuttavia, ragioni di carattere logico, inducono a ritenere che siano comunque compresi tutti gli incarichi che potrebbero condizionare lo svolgimento delle procedure concorsuali, indipendentemente dalla natura dell'ufficio. Il secondo ambito concerne l'assegnazione, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o all'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati. Infine, l'ultimo ambito, relativo alla partecipazione a commissioni di gara per la scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, o ad altre commissioni ad hoc per la concessione o l'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché per l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere, completa i divieti previsti alla lettera b), così da ricomprendere nella sfera di applicazione della norma sia gli uffici competenti in via ordinaria che gli uffici straordinari, temporanei o costituiti ad hoc. Peraltro, la dottrina ritiene che l'esatta portata dei singoli ambiti debba interpretarsi anche alla luce di quelle attività in cui è più elevato il rischio di corruzione, attività individuate dai singoli piani di prevenzione della corruzione». Dal punto di vista applicativo si è, quindi, posto il problema del rapporto intercorrente tra decreto n. 165 e decreto n. 39, specie con riferimento alla lettera b) del comma primo dell'art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001 che riproduce fedelmente il dettato del comma quarto dell'art. 3 d.lgs. n. 39/2013. L'ANAC ha ritenuto che tale coincidenza nel dettato delle disposizioni indicate rafforzi l'ipotesi di una comune ratio. Ulteriore tratto comune alle due disposizioni in esame è l'anticipazione degli effetti preclusivi al momento in cui la sentenza di condanna non è ancora divenuta definitiva; effetto anticipatorio giustificato alla luce del bilanciamento tra le esigenze di tutela formale e sostanziale della funzione amministrativa e il limitato sacrificio imposto ai soggetti interessati. Tuttavia le disposizioni in esame presentano anche delle differenze dal punto di vista degli effetti e della durata delle preclusioni in esse previste, che ne spiegano la contestuale applicabilità a fronte della ricorrenza nel caso concreto di tutti i presupposti di applicabilità previsti da ciascuna di esse. Difatti, i divieti dell'art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001 riguardano, come accennato, mansioni specifiche, indipendentemente dal fatto che esse attengano ad un incarico dirigenziale o meno. Con riferimento alla durata delle preclusioni, l'art. 3 d.lgs. n. 39/2013 prevede espressamente una differente durata a seconda della pena irrogata e della tipologia di sanzione accessoria interdittiva eventualmente comminata indicando quindi un limite temporale al dispiegarsi degli effetti dell'inconferibilità; l'art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001, appare estendere la sua applicazione sine die , oltre lo spazio temporale di inconferibilità, fino a che non sia intervenuta, per il medesimo reato, una sentenza di assoluzione anche non definitiva, che abbia fatto venir meno la situazione impeditiva (cfr. anche l'Orientamento ANAC, n. 66/2014). L'ANAC, nella delibera n. 1292 del 23 novembre 2016, ha altresì ritenuto in via interpretativa che la sentenza di riabilitazione costituisca causa di estinzione anticipata anche dei divieti di cui all'art. 35-bis del d.lgs. n. 165/2001. Ciò al fine di superare la contraddizione tra il regime di inconferibilità di cui al citato art. 3 d.lgs. n. 39/2013 e il regime di «divieti» che non prevede un termine di durata ancorato al periodo di pena inflitto dal giudice penale. Va, infine, evidenziato che l'ambito di applicazione dell'art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001 è individuato sulla base dell'elencazione contenuta nell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, ove, in relazione agli enti pubblici, si fa riferimento esclusivamente a «tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali». Ne deriva l'esclusione dell'applicabilità per gli enti pubblici economici delle preclusioni di cui all'art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001. Ciò non trova, invece, riscontro nella disciplina dell'art. 3 d.lgs. n. 39/2013, la quale è applicabile a tutti gli enti pubblici indicati quali destinatari di tale normativa, indipendentemente dalla natura economica o meno degli stessi. BibliografiaCimino, I divieti per i condannati, in Mattarella, Pellissero (a cura di), La legge anticorruzione: prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, 235; Mattarella, La prevenzione della corruzione in Italia, in Giornale dir. amm., 2013, 133. |