Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 54 - (Codice di comportamento) 1 2 (A) ( Art. 58-bis del d.lgs n. 29 del 1993 , aggiunto dall' art. 26 del d.lgs n. 546 del 1993 e successivamente sostituito dall' art. 27 del d.lgs n. 80 del 1998 )

Ciro Silvestro

(Codice di comportamento)12(A)

(Art. 58-bis del d.lgs n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 26 del d.lgs n. 546 del 1993 e successivamente sostituito dall'art. 27 del d.lgs n. 80 del 1998)

1. Il Governo definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualita' dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealta', imparzialita' e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico. Il codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite, e comunque prevede per tutti i dipendenti pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilita', in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purche' di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia.

1-bis. Il codice contiene, altresì, una sezione dedicata al corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei mezzi di informazione e social media da parte dei dipendenti pubblici, anche al fine di tutelare l'immagine della pubblica amministrazione 3.

2. Il codice, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata, e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente, che lo sottoscrive all'atto dell'assunzione.

3. La violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all'attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, e' fonte di responsabilita' disciplinare. La violazione dei doveri e' altresi' rilevante ai fini della responsabilita' civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilita' siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. Violazioni gravi o reiterate del codice comportano l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 55-quater, comma 1.

4. Per ciascuna magistratura e per l'Avvocatura dello Stato, gli organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico a cui devono aderire gli appartenenti alla magistratura interessata. In caso di inerzia, il codice e' adottato dall'organo di autogoverno.

5. Ciascuna pubblica amministrazione definisce, con procedura aperta alla partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione, un proprio codice di comportamento che integra e specifica il codice di comportamento di cui al comma 1. Al codice di comportamento di cui al presente comma si applicano le disposizioni del comma 3. A tali fini, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrita' delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) definisce criteri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione.

6. Sull'applicazione dei codici di cui al presente articolo vigilano i dirigenti responsabili di ciascuna struttura, le strutture di controllo interno e gli uffici di disciplina.

7. Le pubbliche amministrazioni verificano annualmente lo stato di applicazione dei codici e organizzano attivita' di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione degli stessi. Le pubbliche amministrazioni prevedono lo svolgimento di un ciclo formativo obbligatorio, sia a seguito di assunzione, sia in ogni caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, nonché di trasferimento del personale, le cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, sui temi dell'etica pubblica e sul comportamento etico"4.

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(A) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare Ministero della Giustizia 19 giugno 2013, n. 545, Circolare del Ministero della Difesa 11 febbraio 2011, n. 9226.

[2] Per il regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma del presente articolo, vedi il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62. Vedi anche l'articolo 4, comma 2 del D.L. 30 aprile 2022, n. 36,convertito con modificazioni dalla Legge 29 giugno 2022, n. 79.

[3] Comma inserito dall'articolo 4, comma 1, lettera a), del D.L. 30 aprile 2022, n. 36,convertito con modificazioni dalla Legge 29 giugno 2022, n. 79.

[4] Comma modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera b), del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla Legge 29 giugno 2022, n. 79.

Inquadramento

L'espressione codice di comportamento identifica, storicamente, il complesso di disposizioni volte al perseguimento di obiettivi di integrità e di trasparenza dell'agere pubblico, ispirate ad un ideale di buona amministrazione, nella prospettiva della costruzione del modello di agente del «buon funzionario».

I codici di comportamento costituiscono strumenti diretti primariamente non già alla repressione, bensì all'indirizzo: l'intento è quello, più che di sanzionare comportamenti difformi, di dirigere e di avviare comportamenti conformi. Essi si collocano a cavallo tra piani diversi, dei quali favoriscono la reciproca connessione e la comunicazione: quello della responsabilità (non solo, ma anzitutto) disciplinare, quello dell'etica pubblica, quello della prevenzione del rischio di corruzione. Leitmotiv della più recente evoluzione della relativa disciplina è stato proprio la sempre più stretta relazione tra deontologia pubblica, integrità ed anticorruzione (cfr. anche il Codice europeo di buona condotta amministrativa adottato dalla Commissione europea nel 2000) (D'Alterio, 213; Carloni).

Nell'esperienza italiana, solo con le riforme amministrative e la privatizzazione del pubblico impiego dei primi anni Novanta il legislatore ha dedicato particolare attenzione alla c.d. «etica pubblica», definendo espressamente alcuni doveri di ordine generale e prevedendo un apposito codice di comportamento dei pubblici dipendenti. Il primo codice di comportamento è stato, pertanto, adottato con decreto del Ministro per la Funzione Pubblica del 31 marzo 1994, rappresentando la prima analitica codificazione di regole di condotta dei funzionari,

successivamente sostituita dal decreto ministeriale 28 novembre 2000.

Per effetto della c.d. «seconda privatizzazione del pubblico impiego» del 1998, è stato sancito che il codice di comportamento dei dipendenti pubblici dovesse essere recepito/coordinato con le previsioni dei contratti collettivi di lavoro, così come il connesso apparato disciplinare, tanto che le regole sino ad allora definite dalle amministrazioni pubbliche in via unilaterale sono state riformulate in sede di contrattazione collettiva, dando tuttavia vita a fattispecie eccessivamente generiche e quasi impalpabili.

Con il d.lgs. n. 150/2009, c.d. riforma Brunetta, il legislatore ha ridisegnato l'istituto, attribuendogli un valore più marcatamente di strumento anche gestionale: secondo tale mutata dimensione finalistica, l'applicazione di regole di comportamento e l'individuazione di obiettivi di trasparenza e di integrità sono orientati ad un migliore e più razionale funzionamento dell'amministrazione pubblica, perseguendo obiettivi di performance, con conseguente prevenzione e riduzione di episodi di cattiva amministrazione.

Infine, la c.d. «legge anticorruzione», la l. n. 190/2012, ha ulteriormente accentuato il carattere dei codici di comportamento quali fondamentali strumenti di prevenzione della corruzione amministrativa, in funzione della diffusione della cultura della legalità, prevedendone l'adozione con d.P.R..

La promozione dell'integrità del pubblico dipendente è, dunque, perseguita attraverso misure volte al rafforzamento del piano «soggettivo» dell'imparzialità, mirando a ridefinire, sotto il piano organizzativo e comportamentale, i processi decisionali all'interno delle pubbliche amministrazioni. Le ultime tappe legislative hanno significativamente mutato l'aspetto antropologico del codice di comportamento, con il tentativo di codificare a livello normativo regole e istituti propri della cd. soft law. Ciò anche alla luce del nuovo impianto relativo ai profili di responsabilità dei pubblici dipendenti conseguenti alla violazione dei codici comportamentali, da mettere in relazione al crescente fenomeno della ri-publicizzazione della materia riguardante la responsabilità disciplinare del pubblico dipendente (Neri).

Da sottolineare, preliminarmente, che fonte primaria della disciplina sui codici di comportamento resta la Costituzione che impone che le funzioni pubbliche siano svolte con imparzialità (art. 97), al servizio esclusivo della Nazione (art. 98) e con «disciplina e onore» (art. 54, comma 2).

I codici di comportamento dopo la legge anticorruzione.

L'art. 1, comma 44, della l. n. 190/2012 ha sostituito l'art. 54 del d.lgs. n. 165/2001, sancendo, accanto alla definizione, da parte del Governo, con d.P.R., di un codice di comportamento, generale e nazionale, dei dipendenti pubblici, l'adozione obbligatoria di un proprio codice da parte di ciascuna amministrazione (con procedura aperta alla partecipazione e previo parere dell'OIV), per integraree specificare il codice generale.

Funzione del codice nazionale è di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico. Il comma 1 dell'art. 54 prosegue precisando che «il codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite (cfr. l'art. 13 del d.P.R. n. 62) e comunque prevede per tutti i dipendenti pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia».

Il decreto legge n. 36/2022 ha poi aggiunto, con il nuovo comma 1-bis, che il codice contiene, altresì, una sezione dedicata al corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei mezzi di informazione e social media da parte dei dipendenti pubblici, anche al fine di tutelare l'immagine della pubblica amministrazione. Il legislatore ha, così, preso formalmente atto dell'esigenza diffusamente sentita dalle pubbliche amministrazioni (e non solo) di introdurre regole comportamentali efficaci volte a evitare un uso – da parte dei propri dipendenti – dei social network che sia potenzialmente lesivo dei propri interessi.

E' stato osservato che nel formulare le norme della sezione del Codice di comportamento annunciata dal decreto-legge, è necessario prendere in debita considerazione, oltre all'interesse delle pubbliche amministrazioni di tutelare la propria immagine, anche gli interessi e i diritti dei dipendenti, che diversamente rischiano di essere compromessi a vantaggio del primo, quali tra tutti il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza, nonché la libertà d'espressione. Non si dimentichi, infatti, che l'utilizzo dei social network è da tempo parte fondamentale della quotidianità dei cittadini italiani, che tra l'altro vi ricorrono in vario modo per comunicare e condividere pensieri, opinioni ed esperienze, anche di natura strettamente personale. E la circostanza che nel decreto-legge sia citata solo la tutela dell'immagine della pubblica amministrazione non deve far relegare in secondo piano i diritti e gli interessi dei lavoratori, che pur devono essere garantiti a seguito di un bilanciamento con gli interessi contrapposti (FERORELLI).

Il vigente codice nazionale è stato emanato con d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, successivamente modificato dal d.P.R. 13 giugno 2023, n. 81, in attuazione del d.l. n. 36/2022, integrando gli elementi costitutivi della Milestone M1C1-56, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) di riforma della Pubblica Amministrazione. Il codice  rafforza rafforza l'effettività dei precetti costituzionali in tema di azione amministrativa, di cui agli artt. 54,97 e 98 Cost., con disposizioni specifiche sulle modalità cui il dipendente pubblico deve ispirare la propria condotta. I principi generali sono improntati, nel rispetto della Costituzione, al servizio della Nazione con disciplina ed onore e all'esercizio imparziale dei propri compiti e funzioni nel perseguimento dell'interesse pubblico senza abuso della posizione o del potere di cui si è titolari (art. 3, comma 1, d.P.R. n. 62/2013). I singoli doveri imposti dal legislatore per il dipendente pubblico negli articoli 4-14 del d.P.R. traducono, poi, i suddetti principi costituzionali in regole e obblighi di condotta che i destinatari del codice sono tenuti ad osservare. Tali doveri consentono di orientare la tipizzazione delle condotte lecite e di quelle illecite e, quindi, di aiutare gli stessi destinatari del codice, oltre a coloro che esercitano la vigilanza, a valutare i comportamenti coerenti o meno rispetto alle previsioni generali.

La nuova centralità delle regole di integrità pubblica è confermata da:

– la particolare veste giuridica assunta del codice: esso ha natura regolamentare ed è adottato con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata. Il codice è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente, che lo sottoscrive all'atto dell'assunzione (comma 2);

– l'attribuzione di specifico rilievo disciplinare alla violazione dei doveri contenuti nei codici, compresi quelli relativi all'attuazione del Piano di prevenzione della corruzione (commi 3 e 5). La legge precisa che: a) La violazione dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti; b) violazioni gravi o reiterate del codice comportano l'applicazione della sanzione del licenziamento disciplinare (cfr. l'art. 55-quater, comma 1, lett. f-bis);

– l'attribuzione all'ANAC del potere di definire «criteri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione ai fini dell'adozione dei singoli codici di comportamento da parte di ciascuna amministrazione» (comma 5);

– il nuovo sistema di controllo sull'applicazione dei codici, demandato alla vigilanza dei dirigenti responsabili di ciascuna struttura, delle strutture di controllo interno e degli uffici di disciplina; le amministrazioni verificano annualmente lo stato di applicazione dei codici e organizzano attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione degli stessi (commi 6 e 7). Il decreto legge n. 36/2022 ha integrato, il comma 7 dell'art. 54 prescrivendo che le amministrazioni prevedono lo svolgimento di un ciclo formativo sui temi dell'etica pubblica e sul comportamento etico, con durata e intensità proporzionate al grado di responsabilità e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente. Tale ciclo di formazione è obbligatorio sia che esso concerne i casi di assunzione, quelli di passaggio a ruoli o a funzioni superiori e quelli di trasferimento. La previsione del ciclo formativo viene introdotta dalla novella in via aggiuntiva rispetto alla norma previgente, in base alla quale le pubbliche amministrazioni devono verificare con cadenza annuale lo stato di applicazione dei suddetti codici di comportamento e organizzare attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione degli stessi codici.

L'ANAC ha definito, con la delibera n. 75 del 24 ottobre 2013, le prime Linee guida in materia, poi sostituite dalla delibera ANAC n. 177 del 19 febbraio 2020. Per quanto riguarda le Linee guida di settore ha, invece, l'ANAC ha adottato quelle per gli enti del servizio sanitario nazionale con delibera n. 358 del 29 marzo 2017.

I codici di comportamento delle singole amministrazioni, nell'integrare e specificare le regole del codice generale, non possono comunque attenuarle e scendere al di sotto dei doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare (Cons. St. sez. atti norm., parere n. 97/2013).

I soggetti tenuti al rispetto dei codici di comportamento.

L'art. 2 del d.P.R. n. 62/2013 individua l'ambito di applicazione del codice di comportamento, statuendo:

a) l'applicazione ai dipendenti pubblici c.d. contrattualizzati (comma 1);

b) le norme contenute nel codice costituiscono principi di comportamento per le categorie di personale in regime di diritto pubblico, in quanto compatibili con le disposizioni dei rispettivi ordinamenti (comma 2). Un distinguo è, però, direttamente operato dal richiamato comma 4 dell'art. 54 del decreto n. 165, secondo cui per ciascuna magistratura (ma anche per l'Avvocatura dello Stato), gli organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico a cui devono aderire gli appartenenti alla magistratura interessata. In caso di inerzia, il codice è adottato dall'organo di autogoverno. L'esclusione in questione è da ricondurre alla peculiare posizione di indipendenza che la Costituzione riconosce ai magistrati (artt. 101 e ss.);

c) le P.A. di cui all'art. 1, comma 2, del decreto n. 165 estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal codice a tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione. A tale fine, negli atti di incarico o nei contratti di acquisizioni delle collaborazioni, delle consulenze o dei servizi, le amministrazioni inseriscono apposite disposizioni o clausole di risoluzione o decadenza del rapporto in caso di violazione degli obblighi derivanti dal presente codice (comma 3). Tale ultima previsione conferisce natura contrattuale all'applicazione degli obblighi del codice a persone esterne alle pubbliche amministrazione, evitando ogni possibile contrasto con la norma primaria.

Infine, il comma 4 dell'art. 2 del d.P.R. n. 62 specifica che le disposizioni del codice si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto delle attribuzioni derivanti dagli statuti speciali e delle relative norme di attuazione, in materia di organizzazione e contrattazione collettiva del proprio personale, di quello dei loro enti funzionali e di quello degli enti locali del rispettivo territorio.

Codice etico e codice di comportamento.

I codici di comportamento non vanno confusi con i codici etici, comunque denominati. I codici etici hanno una dimensione «valoriale» e non disciplinare e sono adottati al fine di fissare doveri, spesso ulteriori e diversi rispetto a quelli definiti nei codici di comportamento, rimessi alla autonoma iniziativa di gruppi, categorie o associazioni di pubblici funzionari. Con tali codici vengono individuate anche sanzioni etico-morali – al di là di conseguenze di altra natura eventualmente previste – che vengono irrogate al di fuori di un procedimento di tipo disciplinare, in quanto fondate essenzialmente sulla riprovazione che i componenti del gruppo esprimono in caso di violazione delle regole autonomamente fissate. I codici di comportamento, invece, come già precisato, fissano doveri di comportamento che hanno una rilevanza giuridica che prescinde dalla personale adesione, di tipo morale, del funzionario ovvero dalla sua personale convinzione sulla bontà del dovere. Essi vanno rispettati in quanto posti dall'ordinamento giuridico e, a prescindere dalla denominazione attribuita da ogni singola amministrazione al proprio codice, ad essi si applica il regime degli effetti e delle responsabilità conseguenti alla violazione delle regole comportamentali previsto dall'art. 54, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001. Da qui la necessità che le amministrazioni tengano ben distinti i codici di comportamento, giuridicamente rilevanti sul piano disciplinare, da eventuali codici etici.

I codici di amministrazione.

Come già evidenziato, il ruolo attribuito dal legislatore ai codici di amministrazione è quello di integrare e specificare i doveri individuati dal codice nazionale, con riferimento alla specifica amministrazione. Con i doveri integrativi si persegue l'obiettivo di completare il quadro dei precetti, allo scopo di meglio conseguire gli obiettivi; con i doveri specificativi, invece, si traducono le prescrizioni generiche in prescrizioni specifiche. Giova ricordare che nell'individuazione dei doveri le amministrazioni non possono regolare ambiti diversi da quelli previsti dal codice nazionale, a pena di sconfinare in aree riservate ad altre fonti, né replicare in maniera acritica i contenuti dello stesso codice nazionale. I codici di comportamento delle amministrazioni è necessario sviluppino un sistema completo di valori fondamentali che siano in grado di rappresentare all'esterno quali sono gli standard che l'amministrazione richiede ai propri dipendenti e collaboratori.

Gli ambiti generali previsti dal codice nazionale.

Gli ambiti generali previsti dal codice nazionale possono essere ricondotti a cinque:

a) prevenzione dei conflitti di interesse, reali e potenziali;

b) rapporti col pubblico;

c) correttezza e buon andamento del servizio;

d) collaborazione attiva dei dipendenti e degli altri soggetti cui si applica il codice per prevenire fenomeni di corruzione e di malamministrazione;

e) comportamento nei rapporti privati.

Nella prospettiva della prevenzione e della emersione dei conflitti di interesse, il codice nazionale dispone, all'art. 6, che i dipendenti pubblici dichiarino per iscritto al proprio dirigente, al momento della assegnazione all'ufficio, i rapporti di collaborazione, diretti o indiretti, in qualunque modo retribuiti, intrattenuti con soggetti privati nel triennio precedente, precisando: a) se in prima persona, o propri parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente, abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui si sono avuti i predetti rapporti di collaborazione; b) se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all'ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate.

Tale obbligo di comunicazione si collega all'obbligo di astensione previsto dallo stesso codice (art. 7).

Anche le prescrizioni contenute all'art. 5 del codice nazionale rubricato «Partecipazione ad associazioni e organizzazioni» possono ricondursi alla categoria delle previsioni volte a prevenire i conflitti di interessi. La disposizione non opera alcuna compressione della libertà di associazione, né introduce regimi autorizzativi, limitandosi a richiedere che il dipendente informi tempestivamente della adesione il responsabile dell'ufficio, indipendentemente dal carattere riservato o meno della associazione, nel caso in cui gli ambiti di interesse della associazione o della organizzazione possano interferire con quelli dell'ufficio. La disciplina è dunque molto scarna e lascia ai codici d'amministrazione il compito di specificarne numerosi e delicati aspetti. È utile, quindi, che i codici di amministrazione individuino gli ambiti di interesse privato che possono interferire con l'attività dell'ufficio, allo scopo di rendere più semplice la identificazione delle adesioni soggette all'obbligo di comunicazione e stabiliscano termini e modi in cui le adesioni devono essere comunicate all'ufficio. Inoltre, le disposizioni integrative contenute nei codici di amministrazione possono collegare il dovere di comunicazione della adesione ad associazioni ed organizzazioni al potere dell'amministrazione d'appartenenza di adottare tutte quelle misure, quali l'assegnazione ad altro ufficio, l'obbligo di astensione, la rotazione, che si rendessero necessarie per prevenire la possibilità che l'adesione all'associazione/organizzazione, in se stessa lecita e libera, possa determinare situazioni di conflitto di interessi reale o potenziale.

Analoga finalità di prevenzione di conflitti di interesse nei contratti e negli atti negoziali è perseguita dall'art. 14 del codice nazionale che dispone: a) il divieto di ricorrere a mediazione di terzi; b) il divieto per il dipendente che nel biennio precedente abbia contrattato a titolo privato con un terzo o abbia ricevuto utilità da un terzo di contrattare con lo stesso soggetto per conto dell'amministrazione o di partecipare alle decisioni ed alle attività relative alla esecuzione del contratto; c) l'obbligo del dipendente che nel biennio abbia contrattato per conto dell'amministrazione con un terzo di comunicare per iscritto al dirigente il fatto di avere concluso accordi e contratti a titolo privato con lo stesso terzo (cfr. anche l'art. 42, «Conflitto di interesse», del d.lgs. n. 50/2016).

Passando alle prescrizioni relative ai rapporti col pubblico, esse si articolano in una serie di precetti eterogenei, raccolti cumulativamente nell'art. 12 del codice, ed ispirati all'intento di favorire un rapporto collaborativo tra amministrazione e cittadini nell'ottica di migliorare la qualità e l'utilità delle prestazioni rese.

Il testo è stato integrato dal d.P.R. n. 81/2023 prevedendo che il comportamento del dipendente debba essere orientato alla soddisfazione dell'utente e, contestualmente, debba essere preclusa ogni dichiarazione pubblica che possa nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale.

Quanto alla correttezza e buon andamento del servizio, in tale ambito rientra l'art. 11 del codice che contiene prescrizioni generiche riguardanti gli adempimenti richiesti dalle norme sul procedimento amministrativo, l'utilizzo corretto della possibilità di essere esonerati dalla prestazione lavorativa, l'uso dei materiali e delle attrezzature dell'ufficio e dei mezzi di trasporto.

Il d.P.R. n. 81/2023 ha poi aggiunto gli art. 11 bis e 11 ter, che sottendono l'esigenza di tutelare l'immagine della pubblica amministrazione da un uso inappropriato di tecnologie e social media. Va, peraltro, osservato che sullo schema originario del decreto il Consiglio di Stato ha osservato che le nuove disposizioni sulla tutela dell'immagine della pubblica amministrazione, correlata all'uso delle tecnologie informatiche, dei mezzi di informazione e dei social media, codificano una pluralità di regole connotate da un elevato dettaglio casistico, ma al contempo da una indeterminatezza delle condotte sanzionabili, favorita anche dall'utilizzo di espressioni linguistiche, molte delle quali tratte dal linguaggio tecnico e lasciate prive di definizioni atte a esplicitarne il significato (parere dalla Sezione consultiva per gli atti normativi, n. 584 del 14 aprile 2023).

Ai sensi dell'art. 11-bis, l'amministrazione, attraverso i propri responsabili di struttura, può svolgere gli accertamenti necessari al fine di garantire la sicurezza e la protezione dei sistemi informatici, delle informazioni e dei dati. Le modalità di svolgimento di tali accertamenti sono stabilite mediante linee guida adottate dall'Agenzia per l'Italia Digitale, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. È, poi, operato un richiamo, in caso di uso di dispositivi elettronici personali, all'articolo 12, comma 3-bis, del D. Lgs. n. 82/2005, che apre, con i giusti correttivi e le previste informative, all'uso del BOYD (Bring Your Own Device) nella PA.

La norma prosegue sancendo che gli account istituzionali possono essere utilizzati unicamente per fini connessi all'attività lavorativa, avendo cura di non pregiudicare la sicurezza o la reputazione dell'amministrazione. Non possono essere utilizzate le caselle di posta elettronica personali per attività o comunicazioni inerenti al servizio, fatti salvi i casi di forza maggiore dovuti a circostanze in cui il dipendente, per qualsiasi ragione, non possa accedere all'account istituzionale. Ciascun impiegato è responsabile del contenuto dei messaggi inviati e deve uniformarsi alle modalità di firma dei messaggi di posta elettronica di servizio fissate dall'amministrazione di appartenenza. Ogni messaggio in uscita deve consentire l'identificazione del dipendente mittente e deve indicare un recapito istituzionale al quale il medesimo è reperibile. Significativa è la possibilità che viene concessa al dipendente di utilizzare gli strumenti informatici dell'amministrazione di appartenenza per assolvere alle incombenze personali senza doversi allontanare dalla sede di servizio, purché l'attività sia contenuta in tempi ristretti (con tutte le difficoltà di definire tale limite) e senza alcun pregiudizio per i compiti istituzionali. È stato, altresì, precisato che non è possibile inviare messaggi di posta elettronica, all'interno o all'esterno dell'amministrazione, quando essi siano oltraggiosi, discriminatori o che possano essere fonte di responsabilità dell'amministrazione.

L'articolo 11 ter disciplina, a sua volta, l'utilizzo dei mezzi di informazione e dei social mediaprescrivendo che il dipendente adotti la necessaria cautela affinché le proprie opinioni o i propri pregiudizi su eventi, cose o persone, non siano, in alcun modo, attribuibili alla pubblica amministrazione di appartenenza e deve anche astenersi da qualsiasi commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine del proprio ufficio o della pubblica amministrazione in generale. Per garantire profili di riservatezza è stato anche stabilito che le comunicazioni riguardanti direttamente o indirettamente il servizio non possono svolgersi, di norma, attraverso conversazioni pubbliche mediante l'utilizzo di piattaforme digitali o social media, escludendo da tale limitazione le attività o le comunicazioni per le quali l'utilizzo dei social media risponde ad una esigenza di carattere istituzionale. Sempre in tema di divieti è stato previsto che il dipendente non possa divulgare o diffondere, per ragioni estranee al suo rapporto di lavoro con l'amministrazione, documenti, anche istruttori, e informazioni di cui abbia la disponibilità. Fortemente innovativa è la possibilità per le amministrazioni di inserire nei codici da loro adottati, ai sensi dell'art. 54, comma 5, del d. lgs. 165/2001una “social media policy” per ciascuna tipologia di piattaforma digitale, al fine di individuare, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni. La norma reca l'indicazione della obbligatoria gradualità delle condotte di danno ipotizzate in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente. Con tale “social media policy” si introduce un codice di condotta finalizzato a regolarizzare la relazione su internet tra l'amministrazione e i suoi dipendenti.

La collaborazione attiva per la prevenzione della corruzione e di fatti, situazioni e condizioni ad essa prodromici, è, invece, l'oggetto di ulteriori prescrizioni riguardanti l'osservanza delle misure contenute nel PTPCT, la collaborazione con il RPCT, l'obbligo di denunciare e di segnalare gli illeciti (art. 8), l'osservanza dei doveri in materia di trasparenza, di pubblicazione, di tracciabilità (art. 9).

Quanto ai comportamento nei rapporti privati, il codice nazionale vieta al dipendente di sfruttare o nominare la mansione che ricopre per ottenere utilità non dovute o comunque di comportarsi in modo da nuocere all'immagine della sua amministrazione (art. 10). Stante la formulazione ampia dell'art. 10, i codici di amministrazione possono utilmente indicare i comportamenti che i propri dipendenti e gli altri soggetti tenuti al rispetto degli stessi devono evitare di porre in essere, anche in ragione delle funzioni proprie di ciascuna amministrazione o di ciascuna carica, allo scopo di chiarire i confini tra consentito e non consentito. Quanto ai rapporti con soggetti privati i codici di amministrazione possono precisare il divieto di anticipare il contenuto e l'esito di procedimenti; avvantaggiare o svantaggiare i competitori; facilitare terzi nel rapporto con il proprio ufficio o con altri uffici; partecipare a incontri e convegni, a titolo personale, aventi ad oggetto l'attività dell'amministrazione di appartenenza, senza averla preventivamente informata.

Infine, va rilevato che una delle novità più significative introdotte dal d.P.R. n. 81/2023 riguarda il contenuto della formazione specifica. “Se il codice di comportamento già prevedeva, al vecchio comma 5 dell'art. 15, la necessità di attività formative sul tema della trasparenza e integrità, il nuovo 5 bis allarga la prospettiva includendo una formazione sul tema dell'etica pubblica e del comportamento etico. Ciò vuol dire che la formazione sul tema dell'integrità (misura obbligatoria di prevenzione della corruzione) non può ridursi a un aggiornamento professionale e nemmeno alla mera conoscenza degli strumenti (la normativa, i vari Piani, i codici di comportamento), ma deve invece andare oltre, per consentire ai dipendenti pubblici di interiorizzare regole e standard di comportamento a presidio dell'integrità delle amministrazioni, in quella che l'ANAC già nel PNA 2013 definiva una formazione con approccio valoriale. D'altronde, anche secondo la Raccomandazione OCSE sull'integrità nel settore pubblico del 2017, scopo della formazione non è solo conoscere le regole, ma rendere i dipendenti pubblici in grado di affrontare correttamente i dilemmi etici e rendere gli standard di integrità pubblica applicabili e significativi nei loro contesti personali. Si tratta, quindi, del passaggio fondamentale dal conoscere al comprendere le regole e interiorizzarle, elaborando delle qualità particolari che permettano di identificare e, soprattutto, decodificare il dilemma etico: ciò vuol dire ripensare in parte la formazione tradizionale, per consentire ai dipendenti pubblici di sviluppare e promuovere le competenze per l'integrità” (RAGONE, DONINI).

I dirigenti nel codice di comportamento generale.

Una delle novità del rinnovato codice di comportamento dei dipendenti pubblici, di cui al d.P.R. n. 62/2013, è la formulazione di un apposito articolo, il 13, dedicato alle disposizioni particolari per i dirigenti poi in parte modificato dal d.P.R. n. 81/2023. Ciò risponde ad una precisa indicazione contenuta nel comma 1 dell'art. 54 del d.lgs. n. 165/2001. Sempre il citato 'art. 54, al comma 6, statuisce direttamente che spetta ai dirigenti di ciascuna struttura la vigilanza sull'applicazione del codice e su quella dei codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni.

Le disposizioni contenute nell'art. 13 del d.P.R. manifestano una matura coscienza della centralità dell'attività dei dirigenti nell'assicurare più efficaci strumenti di tutela dell'integrità delle amministrazioni. Le indicazioni assegnate ai dirigenti fanno leva, infatti, sull'obiettivo di promuovere la lealtà e la collaborazione istituzionale dei dipendenti, di pari passo con l'affermazione di una cultura organizzativa che faccia del rispetto delle regole e dell'etica pubblica il suo punto di forza. Facile rimarcare la valenza di prevenzione anticorruzione di tali prescrizioni, che tendono a togliere al malaffare e alla mala amministrazione l'humus di un ambiente lavorativo negativo, depauperato dai predetti valori (MERLONI, PIRNI, 149).

Si consacra, così, dal punto di vista comportamentale, l'indicazione che i dirigenti svolgono con diligenza le funzioni spettanti in base all'atto di conferimento dell'incarico, perseguono gli obiettivi assegnati e adottano un comportamento organizzativo adeguato all'assolvimento dell'incarico stesso. Prima dell'assunzione delle funzioni, il dirigente è tenuto:

a comunicare all'amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possano porlo in conflitto di interessi con la funzione svolta;

a dichiarare se ha parenti e affini entro il secondo grado, coniuge o convivente che esercitano attività politiche, professionali o economiche che li pongano in contatto frequente con l'ufficio che dovrà dirigere o che siano coinvolti nelle decisioni o nelle attività inerenti all'ufficio. La disposizione, che risponde ad un esigenza di tutela ad ampio spettro, va raccordata con quanto prevede il comma 9, lett. e), dell'art. 1 della l. 190/2012, laddove viene evidenziato che il piano di prevenzione della corruzione deve rispondere anche all'esigenza di “monitorare i rapporti tra l'amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche verificando eventuali relazioni di parentela o affinità sussistenti tra i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i dipendenti dell'amministrazione”.

Il dirigente deve, infine, fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e le dichiarazioni annuali dei redditi.

Il comma 4 dell'art. 13 del codice di comportamento sottolinea che nell'espletamento del suo incarico il dirigente deve assumere atteggiamenti leali e trasparenti, adottando un comportamento esemplare in termini di integrità', imparzialità', buona fede e correttezza, parità di trattamento, equità, inclusione e ragionevolezza, curando che le risorse assegnate all'ufficio vengano utilizzate esclusivamente per finalità istituzionali.

[Data agg. 08/11/2022] Il comma 5 prevede che il dirigente debba curare il benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto e favorire l’instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori come pure di relazioni, interne ed esterne alla struttura, basate su una leale collaborazione e su una reciproca fiducia; inoltre, assume iniziative finalizzate alla circolazione delle informazioni, all'inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere, di età e di condizioni personali. Nella assegnazione dell'istruttoria delle pratiche e nella ripartizione dei carichi di lavoro, poi, il dirigente terrà conto delle capacità, delle attitudini e della professionalità del personale a sua disposizione e seguirà, per quanto possibile, criteri di rotazione nell'assegnazione - in base alla professionalità - degli incarichi aggiuntivi (comma 6).

Specificate anche: a) la necessaria cura da parte del dirigente della crescita professionale dei collaboratori, favorendo le occasioni di formazione e promuovendo opportunità di sviluppo interne ed esterne (comma 4-bis); 2) lo svolgimento della funzione di valutazione del personale assegnato con imparzialità e rispettando le indicazioni ed i tempi prescritti, misurando il raggiungimento dei risultati ed il comportamento organizzativo (comma 7).

Ad ogni dirigente compete di attivarsi per evitare che “notizie non rispondenti al vero quanto all'organizzazione, all'attività e ai dipendenti pubblici possano diffondersi”. Al contempo, deve essere favorita “la diffusione della conoscenza di buone prassi e buoni esempi al fine di rafforzare il senso di fiducia nei confronti dell'amministrazione” (comma 9). In pratica, un richiamo ad un ruolo attivo nel tutelare l'autorevolezza e l'immagine dell'amministrazione.

Qualora, invece, venga a conoscenza di un illecito, il dirigente deve intraprendere tempestivamente le iniziative necessarie, attivando e concludendo il procedimento disciplinare di sua competenza o segnalando all'autorità disciplinare l'illecito; in ogni caso deve prestare la sua collaborazione e inoltrare la denuncia all'autorità giudiziaria penale o la segnalazione alla Corte dei conti. Superata dalla successiva evoluzione legislativa la previsione del comma 8, secondo cui nell'ipotesi in cui riceva, da parte di un dipendente, la segnalazione di un illecito, il dirigente deve  adottare ogni cautela per assicurare la tutela del segnalante (cfr. l’abrogazione dell'art. 54-bis del decreto n. 165 inerente l'istituto del c.d. whistleblowing).

I rapporti con la contrattazione collettiva.

A seguito dell'entrata in vigore della l. n. 190/2012, che ha conferito rilievo disciplinare alle violazioni dei codici di comportamento, è emerso il problema della concorrenza fra le fonti unilaterali di disciplina dei doveri di comportamento (legge, codice di comportamento nazionale e codici di comportamento di amministrazione) e fonti contrattuali, sia a livello nazionale che di settore. La questione si origina dalla previsione della competenza esclusiva della contrattazione collettiva a prevedere nel «codice disciplinare» l'unica fonte abilitata a operare la necessaria corrispondenza fra la violazione dei doveri, compresi, naturalmente, quelli contenuti nel codice di comportamento, e le sanzioni applicabili. La definizione dei comportamenti dovuti, assistiti o assistibili da sanzione disciplinare, è rimessa alla regolamentazione del lavoro privato (art. 2106 c.c.), in parte alla legge (cfr. gli artt. 54, 55-bis, comma 7, 55-quater e 55-sexies del decreto n. 165) e a fonti autorizzate dalla legge, al codice di comportamento nazionale e ai contratti collettivi (art. 40 d.lgs. n. 165/2001). Questa eterogeneità di fonti è riconducibile in via astratta e di sintesi alla peculiare natura e finalità dell'attività svolta nelle pubbliche amministrazioni rispetto ad un ambito di lavoro meramente privato e ai doveri di comportamento che ne conseguono. La genesi e la configurazione di tali doveri sono, in parte, ricollegabili proprio all'esercizio di una funzione nell'amministrazione pubblica, in parte riconducibili a veri e propri «obblighi» di prestazione lavorativa discendenti dal rapporto di lavoro. Si è delineata, quindi, in assenza di un coordinamento, una concorrenza fra codici di comportamento e contratti nella definizione di doveri e obblighi di comportamento, ferma restando la indiscussa fissazione delle sanzioni disciplinari solo nei contratti. Ciò ha anche comportato una consistente presenza di doveri di comportamento anche nei contratti e, talora, una contestuale riduzione del valore dei doveri definiti nel codice nazionale, cui sovente viene fatto rinvio con clausole generali e senza una specifica corrispondenza con la graduazione delle sanzioni del codice disciplinare. Tenuto conto delle disposizioni innovative sul valore dei doveri di comportamento e della loro sanzionabilità disciplinare, l'ANAC, nella delibera n. 177 del 19 febbraio 2020, ha ritenuto che «stante l'attuale situazione e le indubbie incertezze interpretative delle norme rilevanti, ed in particolare degli artt. 40,54 e 55 del d.lgs. n. 165/2001, nella contrattazione collettiva si debbano adeguatamente valutare i rapporti con il codice nazionale, fonte unilaterale autorizzata dalla legge a porre doveri di comportamento, tenuto conto che lo stesso contratto si deve muovere nei «limiti previsti dalla legge». In questa ottica, sarebbe opportuno ripensare ai rapporti fra il codice nazionale e le norme dei contratti collettivi che fissano doveri in capo ai dipendenti in modo da improntarli alla prevalenza della fonte unilaterale e, solo in via residuale o integrativa, della fonte contrattuale. Il codice nazionale, cioè, dovrebbe definire in generale i doveri dei pubblici dipendenti, mentre i contratti collettivi dovrebbero occuparsi di individuare i doveri lasciati alla fonte contrattuale e preoccuparsi della parte disciplinare anche tenendo in debito conto i doveri del codice nazionale. In tal senso l'ANAC auspica che le amministrazioni che hanno competenza sulla contrattazione collettiva, e in particolare DFP e ARAN, si adoperino per le necessarie correzioni ai contratti nazionali di comparto vigenti e promuovano, per i nuovi contratti, criteri che tengano in debito conto l'ambito di competenza del codice di comportamento nazionale nella definizione dei doveri di comportamento. Analogamente, visto l'attuale stato della vigente legislazione che prevede che le sanzioni applicabili in caso di violazioni siano quelle definite dal codice disciplinare dei contratti collettivi (art. 54 del d.lgs. n. 165/2001 e art. 16 d.P.R. N. 62/2013), sarebbe importante valutare una diversa formulazione delle parti dei contratti collettivi che riguardano la corrispondenza fra doveri e sanzioni, al fine di richiamare espressamente anche i doveri del codice nazionale, superando così le attuali clausole generiche di rinvio. Ciò al fine di dare autonoma rilevanza disciplinare sostanziale alle violazioni del codice. L'Autorità si riserva, in ogni caso, di inviare al Governo e al Parlamento una segnalazione per una modifica legislativa che chiarisca, a monte, il criterio che regola la concorrenza fra le due fonti, contrattuale e del codice, nazionale e di amministrazione, sia con riguardo all'individuazione dei doveri di comportamento, sia con riguardo alla intera materia disciplinare».

Bibliografia

Carloni, I codici di comportamento, in lavoropubblicheamministrazioni.it, 2017; Ferorelli, L’utilizzo dei social network da parte dei dipendenti pubblici: verso l’aggiornamento del codice di comportamento, in filodiritto.com;  Merloni, Pirni, Etica per le istituzioni, Roma, 2021, 149; D'Alterio, I codici di comportamento e la responsabilità disciplinare, in Mattarella, Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, 213; Neri, Il rilievo giuridico dei codici di comportamento nel settore pubblico in relazione alle varie forme di responsabilità dei pubblici funzionari, in amministrazioneincammino.luiss.it; Zeman, Principio di imparzialità «interno» e codice di comportamento ai sensi della legge anticorruzione (190 del 2012), in contabilita-pubblica.it.; Ragone, Donini, Dipendenti pubblici: in vigore le modifiche al Codice di Comportamento. Tutte le novità e qualche riflessione, in forumpa.it

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