Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 55 - Responsabilita', infrazioni e sanzioni, procedure conciliative (A) 1Responsabilita', infrazioni e sanzioni, procedure conciliative (A) 1 1. Le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti, fino all'articolo 55-octies, costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, e si applicano ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 2, comma 2, alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2. La violazione dolosa o colposa delle suddette disposizioni costituisce illecito disciplinare in capo ai dipendenti preposti alla loro applicazione2. 2. Ferma la disciplina in materia di responsabilita' civile, amministrativa, penale e contabile, ai rapporti di lavoro di cui al comma 1 si applica l'articolo 2106 del codice civile. Salvo quanto previsto dalle disposizioni del presente Capo, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni e' definita dai contratti collettivi. La pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione del codice disciplinare, recante l'indicazione delle predette infrazioni e relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all'ingresso della sede di lavoro. 3. La contrattazione collettiva non puo' istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari. Resta salva la facolta' di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali e' prevista la sanzione disciplinare del licenziamento, da instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore a trenta giorni dalla contestazione dell'addebito e comunque prima dell'irrogazione della sanzione. La sanzione concordemente determinata all'esito di tali procedure non puo' essere di specie diversa da quella prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l'infrazione per la quale si procede e non e' soggetta ad impugnazione. I termini del procedimento disciplinare restano sospesi dalla data di apertura della procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo. Il contratto collettivo definisce gli atti della procedura conciliativa che ne determinano l'inizio e la conclusione. 4. Fermo quanto previsto nell'articolo 21, per le infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55-bis, comma 7, e 55-sexies, comma 3, si applicano, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al comma 4 del predetto articolo 55-bis, ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di incarico conferito ai sensi dell'articolo 19, comma 3.
--------------- (A) In riferimento al presente articolo, vedi: Circolare del Ministero della Difesa 11 febbraio 2011, n. 9226. [1] Articolo sostituito dall'articolo 68, comma 1, del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. [2] Comma modificato dall'articolo 12, comma 1, del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. InquadramentoIl potere disciplinare può essere definito come la potestà che un soggetto ha di imporre ad altri l'osservanza di un complesso di regole poste per il conseguimento dei fini di una certa istituzione. In particolare, la violazione dei doveri che un impiegato ha verso la p.a. realizza un illecito che comporta l'applicazione nei suoi confronti di sanzioni di natura disciplinare e disciplinari sono, altresì, qualificati l'illecito e la relativa responsabilità. Il potere disciplinare deriva dal rapporto di servizio ed ha la funzione di mantenere l'ordine e la disciplina nello svolgimento di tale rapporto, assicurando l'adempimento dei doveri d'ufficio. Esso è posto a tutela di interessi rappresentati dal «buon andamento» e dall'«imparzialità» dell'attività e dell'organizzazione amministrativa, nel cui ambito sono determinate anche le responsabilità proprie dei funzionari, a norma dell'art. 97 Cost.. A fondamento del potere disciplinare sono stati evocati anche l'art. 98 Cost., il quale stabilisce che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, e l'art. 54 Cost., nella parte in cui è stabilito il dovere di adempiere con fedeltà ed onore le funzioni pubbliche. Nel pubblico impiego, il sistema delle fonti in materia disciplinare è stato profondamente rivisitato dal d.lgs. n. 29/1993, che ha aperto alla contrattualizzazione della responsabilità disciplinare (Tenore; Martucci). I procedimenti disciplinari contemplati dal d.lgs. n. 165 del 2001 non costituiscono, quindi, procedimenti amministrativi essendo condotti dalle pubbliche amministrazioni con i poteri propri del datore di lavoro privato (Cass. sez. lav., n.12245/2015). Sia nel settore pubblico che in quello privato, il potere disciplinare si presenta, così, come uno strumento concretizzantesi nel «potere punitivo dell'organizzatore», necessario per ottenere la effettività della sua azione direttiva nel perseguimento di un interesse pubblico o privato. Quale potere speciale di supremazia giuridica, il potere disciplinare è esercitabile, da parte del datore di lavoro, soltanto in virtù di espressa previsione di legge e di accordi collettivi (Gallitto, 22). Nel pubblico impiego, la relativa disciplina è stata, da ultimo, modificata dagli artt. 12-18 del d.lgs. n. 75/2017, attraverso la novella degli articoli 55 e seguenti del decreto n. 165 del 2001, già oggetto della riforma Brunetta del 2009. L'art. 12 del decreto del 2017 ha integrato lo stesso comma 1 dell'art. 55 del decreto n. 165, norma base in materia per tutti i dipendenti contrattualizzati. Alla enunciazione del principio che le disposizioni degli artt. 55 – 55-octies «costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, comma 2, del codice civile», si è aggiunta la specificazione che la violazione dolosa o colposa delle disposizioni in materia di procedimento e sanzioni disciplinari costituisce a sua volta illecito disciplinare in capo ai dipendenti preposti alla loro applicazione. Tale ultima previsione può essere considerata una norma di chiusura del sistema. Essa responsabilizza il funzionario o il dirigente chiamati direttamente ad attivarsi in relazione all'esercizio dell'azione disciplinare. Il disposto dell'art. 55 prosegue, nei commi successivi, sancendo che: – ferma la disciplina in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile, ai pubblici impiegati contrattualizzati si applica l'art. 2106 c.c. (proporzionalità della sanzione disciplinare). Salvo, poi, «quanto previsto dalle disposizioni del presente Capo, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi». Ciò sottolinea, in realtà, il ruolo ancillare e limitato dalla contrattazione collettiva rispetto alla definizione legislativa della materia. Inoltre, il legislatore ha prescritto che «la pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione del codice disciplinare, recante l'indicazione delle predette infrazioni e relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all'ingresso della sede di lavoro. Appare così superata l'impostazione tassativa e rigida dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori, peraltro, non più richiamato dal nuovo testo dell'art. 55 d.lgs. n. 165/2001. Parte della dottrina evidenzia che l'affissione telematica del codice disciplinare, «si pone nella direzione di un regime di conoscibilità potenziale piuttosto che di conoscenza possibile» (Busico); – la contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari. Resta salva la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento (termine massimo trenta giorni). La sanzione concordemente determinata all'esito di tali procedure non è soggetta ad impugnazione. I termini del procedimento disciplinare restano sospesi dalla data di apertura della procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo; – fermo quanto previsto in tema di responsabilità dirigenziale, per le infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55-bis, comma 7 (rifiuto della collaborazione richiesta dall'Ufficio disciplinare procedente ovvero resa di dichiarazioni false o reticenti), e 55-sexies, comma 3 (mancato esercizio o decadenza dall'azione disciplinare), si applicano, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni procedimentali di cui al comma 4 del predetto art. 55-bis, ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o apicale. Tale disposizione si lega alla esplicita menzione di sanzioni disciplinari conservative (come la sospensione dal servizio) e non solo espulsive (sub specie del licenziamento) applicabili anche alla dirigenza. Il predetto assetto è il risultato della riforma Brunetta del 2009, ispirata alla rilegificazione di alcuni aspetti della materia disciplinare. Ciò si è realizzato affidando alla regolazione legislativa (fonte pubblicistica, eteronoma e unilaterale) le fattispecie più gravi di illeciti disciplinari dei pubblici dipendenti, conseguentemente sottratte all'area di disciplina della contrattazione collettiva. La materia delle sanzioni disciplinari è stata, così, attratta nel novero di quelle per cui la fonte pattizia rimane abilitata solo negli spazi interstiziali, tralasciati – ovvero non diversamente disciplinati – dalle disposizioni di legge (cfr. il comma 1 dell'art. 40 del decreto 165, che espressamente prevede, per questa e altre materie, che «la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge»). È stato, al contempo abrogato, l'art. 56 del d.lgs. n. 165/2001, recante disciplina della «Impugnazione delle sanzioni disciplinari». Altri tratti della recente evoluzione della materia sono: – l'aggravamento delle sanzioni disciplinari, essendosi previsto il licenziamento per una serie ampia di fattispecie tipiche (secondo alcune letture; pur sempre condizionato dall'esito di un procedimento che valuti gravità dell'infrazione e congruità della sanzione, anche sulla base di una giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale in materia di destituzione di diritto); – la più puntuale definizione del procedimento disciplinare e dei rapporti con il procedimento penale. I principi base.La materia disciplinare si fonda su alcuni principi base che costituiscono un minimo comune denominatore: a) obbligatorietà dell'azione disciplinare. A differenza di quello che accade per il lavoro privato, dove la scelta di sanzionare il lavoratore è discrezionale, poiché espressione di prerogative manageriale frutto di una valutazione costi-benefici, nel settore pubblico l'azione disciplinare è obbligatoria poiché rispondente ai principi costituzionali di buon andamento della P.A. e di legittimità dell'azione amministrativa per il cui perseguimento non vengono tollerati fenomeni di impunità; b) proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi. Questa regola è mutuata dall'art. 2106 c.c., espressamene, come evidenziato, richiamato dal comma 2 dell'art. 55, d.lgs. n. 165/2001. La determinazione relativa alla entità della sanzione è espressione di tipica valutazione discrezionale della pubblica amministrazione datrice di lavoro; quanto a eventuali censure di disparità di trattamento, ogni vicenda relativa a comportamenti suscettibili di essere valutati dal punto di vista disciplinare non può non assumere una valenza del tutto propria, difficilmente rapportabile ad altre situazioni personali (Cons. St. IV, n. 1275/2005). c) tempestività dell'azione disciplinare, principio che è volto ad evitare che la difesa del dipendente sia resa più gravosa a causa dell'eccessiva distanza di tempo dal verificarsi dei fatti oggetto di contestazione. La tempestività del procedimento disciplinare è anche volta salvaguardare la certezza del rapporto tra l'impiegato e l'amministrazione, la quale verrebbe inficiata (anche per i profili consequenziali inerenti allo sviluppo di carriera e alle relative valutazioni periodiche) nel caso in cui il dipendente restasse esposto, sine die per ingiustificata inerzia dell'amministrazione stessa, alla qualificazione come infrattivi di determinati comportamenti. Cfr. Cons. St. III, n. 4992 /2015; Cons. St. IV, n. 5672/2012; T.A.R. Lombardia, Milano IV, n. 1836/2014; T.A.R. Lazio, Roma I-ter, n. 1662/2011; d) tipicità e tassatività dell'illecito e delle sanzioni disciplinari. Parimenti a quanto accade in altri rami del diritto punitivo, anche nel sistema disciplinare le misure comminabili al lavoratore costituiscono un numerus cluasus, da applicare nelle fattispecie tipizzate dalle fonti di disciplina, per esigenze di certezza. L'uso «paradisciplinare» ed atipico di misure gestionali, quali il trasferimento per incompatibilità ambientale del lavoratore, si presta, così, a censure; e) gradualità delle sanzioni. Il sistema sanzionatorio disciplinare deve essere ispirato alla progressiva e graduale crescita delle sanzioni comminabile di fronte a comportamenti progressivamente sempre più gravi. Questa forma di ascesa punitiva non deve prevedere salti logici tra una sanzione e l'altra; f) contraddittorio procedimentale; g) trasparenza del procedimento disciplinare. BibliografiaBusico, Gli indirizzi giurisprudenziali in tema di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti contrattualizzati, in lexitalia.it; Gallitto, Il sistema disciplinare: cenni generali, in Aa.Vv., Il sistema disciplinare nel lavoro pubblico, Roma, 2004, 21; Martucci, La responsabilità disciplinare nel pubblico impiego, Milano, 2010; Tenore, Studio sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego, Milano, 2021. |