Decreto legislativo - 19/08/2016 - n. 175 art. 6 - Principi fondamentali sull'organizzazione e sulla gestione delle societa' a controllo pubblicoPrincipi fondamentali sull'organizzazione e sulla gestione delle società a controllo pubblico
1. Le società a controllo pubblico, che svolgano attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, insieme con altre attività svolte in regime di economia di mercato, in deroga all'obbligo di separazione societaria previsto dal comma 2-bis dell'articolo 8 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, adottano sistemi di contabilità separata per le attività oggetto di diritti speciali o esclusivi e per ciascuna attività. 2. Le società a controllo pubblico predispongono specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e ne informano l'assemblea nell'ambito della relazione di cui al comma 4. 3. Fatte salve le funzioni degli organi di controllo previsti a norma di legge e di statuto, le società a controllo pubblico valutano l'opportunità di integrare, in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche organizzative nonché dell'attività svolta, gli strumenti di governo societario con i seguenti: a) regolamenti interni volti a garantire la conformità dell'attività della società alle norme di tutela della concorrenza, comprese quelle in materia di concorrenza sleale, nonché alle norme di tutela della proprietà industriale o intellettuale; b) un ufficio di controllo interno strutturato secondo criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità dell'impresa sociale, che collabora con l'organo di controllo statutario, riscontrando tempestivamente le richieste da questo provenienti, e trasmette periodicamente all'organo di controllo statutario relazioni sulla regolarità e l'efficienza della gestione; c) codici di condotta propri, o adesione a codici di condotta collettivi aventi a oggetto la disciplina dei comportamenti imprenditoriali nei confronti di consumatori, utenti, dipendenti e collaboratori, nonché altri portatori di legittimi interessi coinvolti nell'attività della società; d) programmi di responsabilità sociale d'impresa, in conformità alle raccomandazioni della Commissione dell'Unione europea. 4. Gli strumenti eventualmente adottati ai sensi del comma 3 sono indicati nella relazione sul governo societario che le società controllate predispongono annualmente, a chiusura dell'esercizio sociale e pubblicano contestualmente al bilancio d'esercizio. 5. Qualora le società a controllo pubblico non integrino gli strumenti di governo societario con quelli di cui al comma 3, danno conto delle ragioni all'interno della relazione di cui al comma 4. InquadramentoLa rubrica dell'articolo 6 del d.lgs. n. 175/2016 («Principi fondamentali sull'organizzazione e sulla gestione delle società a controllo pubblico») potrebbe indurre a ritenere che la portata precettiva della norma sia limitata all'elencazione dei principi in materia di organizzazione e gestione delle società a controllo pubblico. Una simile conclusione sarebbe tuttavia erronea. In realtà, l'art. 6 del d.lgs. n. 175/2016 si occupa di molto altro. La disposizione in commento, infatti, reca una serie di precetti che mirano a implementare e caratterizzare l'assetto organizzativo delle società a controllo pubblico (Guerrera, 206). Da qui l'osservazione secondo cui l'art. 6 del TUSP costituirebbe la norma cardine in materia di governance delle società a controllo pubblico (Picardi, 335). In particolare, occorre da subito segnalare che l'ambito soggettivo di applicazione dell'art. 6 del Testo Unico è circoscritto alle sole società a controllo pubblico, così come definite dall'art. 2, comma 1, lett. m) al cui commento si rinvia. Per tale ragione, i principi e gli strumenti elencati nel testo dell'art. 6 del d.lgs. n. 175/2016non possono essere applicati alle società quotate, in assenza di specifico richiamo. Tale divieto è sancito dall'art. 1, comma 5 del medesimo Testo Unico in base al quale «Le disposizioni del presente decreto si applicano, solo se espressamente previsto, alle società quotate, come definite dall'art. 2, comma 1, lett. p), nonché alle società da esse partecipate, salvo che queste ultime siano, non per il tramite di società quotate, controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche». Da ultimo, occorre poi rilevare l'esistenza di un rapporto dialettico fra la disciplina qui in commento e i principi di diritto comune (Picardi, 335). Tale interconnessione emerge in maniera chiara dalla lettura dell'art. 6 del Testo Unico, il quale contiene una serie di obblighi puntuali che trovano la propria ratio nell'esigenza di predeterminare il contenuto, altrimenti lasciato alla discrezionalità degli amministratori, delle scelte concernenti la predisposizione degli assetti organizzativi e contabili (Serafini, 359). Esigenza, quest'ultima, che era già emersa con riferimento alle società per azioni, a seguito della riforma introdotta con il d.lgs. n. 6/2003, ma che è stata ampliata nel TUSP, sia con riferimento al tipo societario che ne è interessato, potendo le società pubbliche essere costituite, oltre che nella forma di società per azioni, anche in quella di società a responsabilità limitata, nonché in cooperative, sia in senso contenutistico, in quanto il legislatore indica in modo analitico gli ambiti nei quali agli amministratori è imposto il rispetto dei principi organizzativi, amministrativi e contabili (Serafini, 359). Infine, dell'adozione, o meno, di tali strumenti l'organo amministrativo dovrà darne conto nell'apposita relazione sul governo societario, che deve essere pubblicata unitamente al bilancio di esercizio. In tale relazione, che svolge la funzione di informativa per il pubblico mercato, si dovrà riferire, inoltre, anche dell'adozione di specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale che devono essere obbligatoriamente adottati dagli organi sociali ai sensi del successivo comma 2. Diritti di esclusiva e separazione contabile.Il comma 1 dell'art. 6 del d.lgs. n. 175/2016 individua e fissa il principio di separazione contabile, introducendo l'obbligo per gli amministratori di adottare «sistemi di contabilità separata» per le società a controllo pubblico che svolgono contemporaneamente «attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, insieme con altre attività svolte in regime di economia di mercato, in deroga all'obbligo di separazione societaria previsto dal comma 2-bis dell'art. 8 della l. n. 287/1990». La disposizione in commento costituisce una deroga all'applicazione dell'art. 8, comma 2-bis della l. n. 287/1990, il quale dispone in via generale che «Le imprese di cui al comma 2, qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui agiscono ai sensi del medesimo comma 2, operano mediante società separate». Pertanto, sulla base della disposizione inserita nell'art. 6, comma 1 del TUSP le società a controllo pubblico, che svolgano attività protette da diritti speciali o esclusivi, se vogliono operare anche in mercati diversi sono esonerate dall'obbligo di separazione societaria, ma devono rispettare il solo obbligo di separazione contabile «per le attività oggetto di diritti speciali ed esclusivi e per ciascuna attività». Tale disposizione è stata oggetto di osservazioni da parte del Consiglio di Stato (parere n. 638/2017), il quale aveva invitato il legislatore delegato a chiarire «l'ambito in cui l'attribuzione di un «diritto speciale o esclusivo» può far sorgere un dovere di attuazione del principio di separazione». Era stata inoltre rilevata l'opportunità di chiarire che il principio di separazione non dovrebbe operare nei casi in cui tali diritti siano stati riconosciuti secondo modalità tali da assegnare ad essi valenza «non di privilegio». In terzo luogo, il Consiglio di Stato aveva segnalato che «l'esigenza di assicurare il rispetto del principio di separazione si pone anche nel caso in cui la società svolga contestualmente attività amministrativa e attività economica». Infine, il Consiglio di Stato aveva suggerito di introdurre, per evitare non ragionevoli differenziazioni di trattamento, una disposizione che prevedesse che il principio di separazione operasse allo stesso modo in presenza di un'attività posta in essere da società private. Si era, pertanto, proposto di modificare il comma 2-bis dell'art. 8 della l. n. 287/1990, nel senso di consentire anche per le società private l'operatività del principio di separazione contabile, fermo restando, da un lato, le specifiche disposizioni di legge che, in relazione a settori particolari, impongono il rispetto del principio di separazione strutturale, dall'altro, il potere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato di segnalare la necessità di un maggiore rigore. Tali rilievi però non sono stati presi in considerazione dal legislatore delegato, il quale ha preferito mantenere distinte la disciplina delle società di diritto privato, da quelle a partecipazione pubblica. Proprio su tale ultimo aspetto, la dottrina ha, comunque, ritenuto sovrapponibili i presupposti della norma in commento con quelli dell'art. 8, comma 2-bis della l. n. 287/1990, osservando che se una società a controllo pubblico opera già in regime di separazione societaria, può anche mantenere tale regime perché esso rappresenta un quid pluris, in termini di trasparenza e tutela della concorrenza (Donativi, 1161; Libertini, 46; Guerrera, 221). Ulteriore problematica, rispetto a quelle sollevate dal Consiglio di Stato nel citato parere, risiede nel fatto che la disposizione in commento sembrerebbe determinare una disparità di trattamento tra imprese pubbliche e imprese private che si trovano nella medesima situazione di mercato. Queste ultime rimangono infatti soggette, nelle situazioni previste dalla legge, all'obbligo di separazione societaria, mentre le imprese pubbliche hanno facoltà di operare anche con un'unica società, adottando soltanto un regime di separazione contabile (Libertini, 5). Per le imprese pubbliche viene dunque prevista una soluzione meno onerosa, che potrebbe favorire situazioni di minore trasparenza nella gestione complessiva delle attività. Risulta difficile a individuare una ratio plausibile della disparità di trattamento a favore delle imprese pubbliche. Infatti, il risparmio di spesa derivante dal venir meno della necessità di mantenere un'organizzazione societaria separata, se può avere maggior peso rispetto alle ragioni di tutela della concorrenza, deve essere messo in conto anche per le imprese private, che hanno a loro volta il dovere e l'interesse di operare con criteri di efficienza produttiva. Se la disparità viene considerata ingiustificata, il problema si sposta sui rimedi esperibili a fronte di questa illegittimità comunitaria (Libertini, 6). La dottrina ha ritenuto difficile evitare il risultato della disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto europeo (Libertini, 6). Tale problematica si pone non soltanto nei confronti dei Giudici, ma anche delle autorità amministrative indipendenti, con la conseguenza che l'AGCM dovrebbe continuare ad applicare l'art. 8, comma 2-bis, l. n. 287/1990 anche alle società in mano pubblica, disapplicando la norma derogatoria qui commentata. In quest'ultimo caso potrebbe anche prospettarsi, in effetti, un'azione di concorrenza sleale da parte di concorrenti che si ritenessero lesi dalla situazione. L'impiego di questo rimedio appare, tuttavia, un'ipotesi remota. In pratica, la sorte della disposizione in esame è rimessa alle scelte che l'AGCM farà in ordine all'esercizio dei poteri ex art. 8, l. n. 287/1990 (Libertini, 6). Si può infine aggiungere che la deroga, in ogni caso, non si estende alla disposizione del comma 2-quater dell'art. 8 della l. n. 287/1990, che impone alle imprese titolari di diritti speciali od esclusivi di dare accesso ai concorrenti sulle risorse di cui dispongano in virtù dell'esercizio delle attività privilegiate (Donativi, 1163). Comunque, e a prescindere dalle considerazioni appena svolte, appare utile soffermarsi brevemente sulla portata applicativa del principio di separazione contabile. La separazione contabile consiste nell'adozione di un modello organizzativo «multi-divisionale» da parte delle società e di un adeguato sistema informativo e di controllo contabile che consenta di individuare in maniera chiara i costi e i ricavi imputabili a ciascun settore e la distinta rendicontazione dei risultati dell'attività (Guerrera, 221). L'adozione del sistema della contabilità separata non può «esaurirsi nella semplice sua adozione formale ma comport[a] una suddivisione delle registrazioni delle operazioni attive e passive, eventualmente ricorrendo per queste ultime, se riferite ad acquisti di utilità promiscua, a fattura interna, secondo le modalità indicate nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 18 del 22 maggio 1981 a commento dell'art. 36 del d.P.R. n. 633/1972» (Trib. Torino VI, n. 98/2021). A ciò si aggiunga che l'obbligo di separazione contabile è istituto già previsto nel codice civile. Si fa riferimento all'art. 2350, comma 2 (per le società che abbiano emesso azioni correlate), all'art. 2447-sexies (società che abbiano istituito patrimoni destinati) e all'art. 2447-decies (società che abbiano contratto un finanziamento destinato a uno specifico affare). In presenza di un'attività prevalente, quale ad esempio quella svolta sulla base di «un diritto speciale o esclusivo», la prassi societaria sembrerebbe prevedere che possano essere svolte ulteriori attività purché siano collegate con l'attività principale da un vincolo di connessione, strumentalità o accessorietà. Nella prassi è frequente rilevare che le società nei propri statuti delineano in modo molto dettagliato l'oggetto sociale senza lasciare margini per la realizzazione di ulteriori attività diverse da quella che deve considerarsi l'attività prevalente. Per tale ragione, considerando che le attività astrattamente realizzabili delle società a controllo pubblico devono rientrare obbligatoriamente in una delle fattispecie di cui all'art. 4, salvo specifiche deroghe, la dottrina ha ipotizzato che le società a controllo pubblico, benché beneficiarie di diritti speciali o esclusivi, non sarebbero obbligate a tenere la contabilità separata in quanto a priori non potrebbero svolgere ulteriori attività di mercato (Cuccurullo, 101; Guerrera, 221). A tal fine anche la Corte dei conti ha ritenuto che «per quanto concerne la previsione di cui all'art. 6, comma 1, del TUSP che dispone l'obbligo per le società soggette a controllo pubblico che svolgono attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi [...] unitamente ad attività in regime di economia di mercato, l'adozione di sistemi di contabilità separata, l'organismo societario nel bilancio di esercizio [deve] esplicita[re] che tali sistemi non si rendono necessari, in quanto risultano «non svolte attività in regime di economia di mercato»» (C. conti, sez. contr. Emilia-Romagna, n. 131/2021). In ogni caso, attesa la complessità dell'istituto in esame, il TUSP, all'art. 15, comma 2, ha previsto che la struttura competente per l'indirizzo, il controllo e il monitoraggio sull'attuazione del decreto in commento fornisca «orientamenti e indicazioni in materia di applicazione del presente decreto e del d.lgs. n. 333/2003, e promuov[a] le migliori pratiche presso le società a partecipazione pubblica, adott[i] nei confronti delle stesse società le direttive sulla separazione contabile e verifica il loro rispetto, ivi compresa la relativa trasparenza». Programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale.L'art. 6, comma 2 del TUSP impone alle società a controllo pubblico di predisporre specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e di informare l'assemblea dei soci nell'ambito della relazione di cui al successivo comma 4. La predisposizione di specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale, secondo la dottrina, costituisce un obbligo incondizionato degli amministratori della società, che si inserisce all'interno dei più ampi programmi di valutazione dell'adeguatezza dell'assetto organizzativo dell'impresa, di cui fa parte anche la pianificazione della società (art. 2381 c.c.) (Guerrera, 208). La predisposizione di tali programmi, aventi lo scopo di prevenire il rischio di crisi aziendale, costituisce compito proprio degli amministratori, ai quali incombe il costante monitoraggio della situazione economico finanziaria, nonché la verifica della continuità aziendale, anche in relazione alla disciplina del bilancio di esercizio (Cuccurullo, 102; Libertini, 50; Donativi, 1165; Guerrera, 208). In particolare, la disciplina di rango primario della relazione sulla gestione del rischio è contenuta nell'art. 2428 c.c., ove si prevede, al comma 1, la predisposizione di un'analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situazione della società e dell'andamento e del risultato della gestione, nel suo complesso e nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti, nonché una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta; e, al successivo comma 3, n. 6-bis la valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell'esercizio in relazione all'uso da parte della società di strumenti finanziari. L'art. 6, comma 2 del TUSP fa riferimento, non soltanto al rischio di crisi dal punto di vista finanziario, ma più in generale alla crisi di tipo aziendale, che investe quindi la struttura e l'organizzazione dell'impresa nel suo complesso (Guerrera, 209; Serafini, 373). In questa prospettiva, quindi, è affidato agli amministratori il compito di redigere un programma appropriato specificando: i) la propensione al rischio dell'impresa; ii) il livello di rischio che la stessa può sopportare; iii) la determinazione dei rischi di allerta, in modo da poter prevedere e disinnescare preventivamente l'eventuale stato di crisi incombente, probabile o imminente; iv) i meccanismi di reazione (Donativi, 1206). Da quanto sopra consegue che tali programmi avranno ad oggetto l'attribuzione a specifici organi sia societari, sia aziendali, di specifiche competenze che attengono all'intero processo di gestione del rischio, che andrà dal censimento di rischi tipici, all'attività di monitoraggio e misurazione, a quella di reporting e per ultimo a quella di reazione. Nei programmi in questione, dunque, spetterà agli amministratori definire le linee di indirizzo nella gestione del rischio aziendale, mentre sarà deputata all'intera struttura societaria e aziendale la loro effettiva attuazione. A ciò si aggiunga che la predisposizione di tali programmi di gestione della crisi aziendale, nel caso di società in cui sia previsto un consiglio di amministrazione al posto dell'amministratore unico, è di competenza proprio dell'organo nella sua collegialità (Serafini, 374). Quanto al contenuto di tali programmi, la dottrina ha ritenuto che vi siano ampi margini di discrezionalità, in quanto compito degli amministratori e/o degli organi societari ad esso deputati è quello di ipotizzare possibili scenari che si potrebbero verificare (Cuccurullo, 103). Da ultimo, occorre segnalare un collegamento del comma qui in commento con l'art. 14, comma 2 del TUSP il quale impone all'organo amministrativo della società a controllo pubblico, qualora emergano, nell'ambito dei programmi di valutazione del rischio di cui all'articolo 6, comma 2, uno o più indicatori di crisi aziendale, di adottare senza indugio i provvedimenti necessari al fine di prevenire l'aggravamento della crisi, nonché di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento. Al verificarsi di questa situazione, pertanto, sarà rimessa alla discrezionalità degli amministratori la scelta di proporre all'assemblea lo scioglimento volontario della società nel caso in cui si ritenga che non vi sia possibilità per ripristinare un equilibrio economico e finanziario dell'impresa, oppure di predisporre un piano per il risanamento dell'impresa, che sia idoneo alla correzione degli effetti della crisi e all'eliminazione delle cause della stessa (Serafini, 375). L'adozione dei piani di risanamento, dunque, appare funzionale a permettere la continuazione dell'attività aziendale, previa ristrutturazione complessiva del finanziamento e dell'organizzazione dell'impresa idonea a eliminare le cause della crisi e a permettere il recupero degli equilibri finanziari, economici e patrimoniali nei limiti previsti dall'art. 14, comma 3 del TUSP. Da ultimo, occorre rilevare che tale previsione costituisce un obbligo per gli amministratori in quanto la mancata adozione di provvedimenti adeguati, da parte dell'organo amministrativo, costituisce grave irregolarità ai sensi dell'art. 2409 c.c. (art. 14, comma 3, TUSP). Strumenti di organizzazione.Il comma 3 dell'art. 6 impone alle società a controllo pubblico, fatte salve le funzioni degli organi di controllo previsti a norma di legge e di statuto, di valutare l'opportunità di integrare, in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche organizzative nonché dell'attività svolta, gli strumenti di governo societario. L'implementazione degli strumenti societari si inserisce nell'ambito di un'attività connotata da ampia discrezionalità nella «valutazione di opportunità» circa l'adozione di tali strumenti (Guerrera, 211; Curucullo, 104; Cancilla, 1409). Tale valutazione discrezionale da parte degli organi di governo della società impone di darne adeguata motivazione nella relazione sul governo societario (Guerrera, 207), tanto che la sua mancanza e/o insufficienza implica un grave inadempimento da parte degli amministratori della società. Gli strumenti elencati, in via esemplificativa, salvo gli ulteriori strumenti realizzati dagli organi di controllo disposti a norma di legge o di statuto, consistono in: i) regolamenti interni volti a garantire la conformità dell'attività della società alle norme di tutela della concorrenza, comprese quelle in materia di concorrenza sleale, nonché alle norme di tutela della proprietà industriale o intellettuale; ii) un ufficio di controllo interno strutturato secondo criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità dell'impresa sociale, che collabora con l'organo di controllo statutario, riscontrando tempestivamente le richieste da questo provenienti, e trasmette periodicamente all'organo di controllo statutario relazioni sulla regolarità e l'efficienza della gestione; iii) codici di condotta propri, o adesione a codici di condotta collettivi aventi a oggetto la disciplina dei comportamenti imprenditoriali nei confronti di consumatori, utenti, dipendenti e collaboratori, nonché altri portatori di legittimi interessi coinvolti nell'attività della società; iv) programmi di responsabilità sociale d'impresa, in conformità alle raccomandazioni della Commissione dell'Unione europea. Tali presidi sono molto diversi tra loro con riguardo sia al contenuto e finalità, sia come genesi e formazione, ferma restando la competenza affidata per la loro adozione dell'organo amministrativo (art. 2380-bis c.c.). L'importanza dell'implementazione degli strumenti elencati all'art. 6, comma 3 è stata riconosciuta anche dalla Corte dei conti, secondo cui, «[p]er quanto concerne gli strumenti di governo societario di cui al comma 3 dell'art. 6 del Tusp, la società [deve indicare] che ha provveduto all'adozione «di un Modello di organizzazione e gestione del rischio exd.lgs. n. 231/2001, integrandolo ai fini della attuazione delle norme in materia di anticorruzione (l. n. 190/2012 e s.m.i.) e trasparenza (d.lgs. n. 33/2013 e s.m.i.) e in conformità alle disposizioni ANAC», del «Piano triennale per la prevenzione della corruzione (PTPC) e del Programma Triennale per la Trasparenza e l'Integrità (PTTI), che formano parte integrante del «Modello 231» e il «Documento programmatico sulla sicurezza (DPS), aggiornato annualmente». Nella relazione sul governo societario [...] la società [deve] informa[re] che «[...] ha aggiornato e continua ad aggiornare il proprio sistema organizzativo a tutela della privacy, secondo quanto stabilito dalla normativa vigente». La società ha un proprio Codice etico pubblicato nel sito web istituzionale» (C. conti, sez. contr. Emilia-Romagna, n. 131/2021). Con riferimento specifico all'ipotesi sub i), viene prevista l'adozione di un regolamento interno volto a garantire il rispetto delle regole in materia di concorrenza e di proprietà industriale o intellettuale. Secondo parte della dottrina, il regolamento in questione dovrà collegarsi ad uno specifico programma di antitrust compliance e dettare peculiari regole di condotta coerenti al settore di attività esercitato, colmando e chiarendo le discipline legali e, più in generale, etero-regolamentari nei campi dell'antitrust, della concorrenza sleale e dello sfruttamento dei diritti di proprietà industriale e intellettuale (Guerrera, 213). L'oggetto del regolamento interno dovrebbe poi avere contenuto procedurale, prevedendo delle particolari procedure idonee a prevenire il rischio della violazione delle regole concorrenziali e del codice della proprietà industriale e intellettuale, mediante l'utilizzo di meccanismi di autovalutazione e di verifica interna, implicando anche la costituzione di uffici e la designazione di responsabile e l'eventuale nomina di consulenti con il compito di valutare la legittimità degli atti, contratti e programmi che possono interferire con la disciplina antitrust (Cancilla, 975). Il secondo strumento integrativo di governo societario – quello sub lett. ii) – è la creazione di un ufficio di controllo interno strutturato secondo criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità dell'impresa sociale, che collabora con l'organo di controllo statutario, riscontrando tempestivamente le richieste da questo provenienti, con l'obbligo di trasmettere periodicamente a quest'ultimo le relazioni sulla regolarità e l'efficienza della gestione. La disposizione in questione non chiarisce la modalità di costituzione dell'ufficio, anche se dall'inciso del comma 3 si desume che la sua istituzione costituisce una facoltà dell'organo amministrativo che, nel caso di mancata adozione di tale strumento, ne deve dare compiuta motivazione nella relazione annuale sul governo societario (art. 6, comma 5 del Testo Unico) (Cancilla, 1411). La facoltà di istituire, pertanto, un ufficio di controllo interno (internal audit) si pone in linea di continuità con l'autonomia organizzativa propria delle società di diritto comune. Dunque, tale previsione integra la disciplina della organizzazione dei controlli interni delle società pubbliche. Si fa riferimento, in particolare, all'art. 2409-octiesdecies, comma 5, lett. b) c.c., il quale già dispone che il comitato per il controllo sulla gestione vigila sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione. In particolare, tale ufficio ha come compito principale quello di redigere la relazione per il collegio sindacale con riferimento alla regolarità e all'efficienza della gestione nel rispetto dei principi di corretta amministrazione (Cancilla, 1412). Il terzo strumento indicato alla lett. iii) consiste nell'adozione di un codice di condotta, avente ad oggetto la disciplina dei comportamenti imprenditoriali nei confronti dei consumatori, utenti, dipendenti e altri portatori di legittimi interessi coinvolti nell'attività. Si tratta di una disposizione connotata da modesta valenza normativa, in quanto la tutela degli interessi e dei diritti degli utenti dei servizi e dei consumatori è già ampiamente garantita dai principi di legge e dalle apposite «carte dei servizi» adottate dagli enti erogatori ai sensi dell'art. 101 del codice sul consumo (d.lgs. n. 206/2005) (Guerrera, 216; Libertini, 57). L'adozione di tali codici, pertanto, può presentare una sua utilità soprattutto nei casi in cui essi sono volti ad integrare e rafforzare, tramite particolari garanzie, i rimedi e strumenti conciliativi, le tutele già operanti secondo la legislazione, gli atti di normazione secondaria e l'autoregolazione collettiva in materia o quando riguardano settori diversi da quelli dei servizi di interesse generale e servizi di interesse economico generale (Guerrera, 216). I medesimi codici, inoltre, laddove facciano riferimento anche ad «altri portatori di legittimi interessi coinvolti nell'attività della società», implicano l'assunzione in capo all'impresa di una responsabilità sociale, anche di tipo contrattuale ai sensi dell'art. 1374 c.c., nei confronti di soggetti anche diversi dai propri clienti e inclusi più ampiamente nella collettività (Cancilla, 1415), ciò in armonia con quanto previsto alla successiva lett. iv ), ovvero con la previsione di programmi di responsabilità sociale d'impresa, in conformità alle raccomandazioni della Commissione dell'Unione europea la cui realizzazione dovrebbe essere inserita nel bilancio sociale. La disposizione da ultimo menzionata, si riferisce solamente a «programmi», la cui adozione non consente di configurare diritti soggettivi nei confronti di soggetti terzi. Ciò nonostante, la loro adozione risulta doverosa in quanto volta a limitare e orientare l'azione dell'organo amministrativo e dei dirigenti dell'impresa (Guerrera, 216; Cancilla, 1415). Tali programmi, dunque, impegnano gli amministratori delle società ad esercitare le loro funzioni cercando, con diligenza professionale di attenersi ai programmi di responsabilità sociale di impresa ufficialmente approvati, e/o a motivare le ragioni per cui si intende discostarsene temporaneamente. Da ultimo si noti che il riferimento alle raccomandazioni dell'Unione europea è stato probabilmente inserito al fine di dare maggiore concretezza all'indicazione normativa, evitando che la stessa si riducesse a mera formula linguistica dai contenuti opinabili (Caringella, Ciaralli, Bottega, 55). Relazione sul governo societario.Agli ultimi due commi dell'art. 6 è prevista la predisposizione annuale della relazione sul governo societario dell'adozione o meno degli strumenti elencati al precedente comma 3. Dalla lettura di queste previsioni si nota come tale relazione venga assimilata alla predisposizione dei documenti di bilancio, in quanto, ha precisato la Corte dei conti, «le società controllate sono tenute a predisporre annualmente, a chiusura dell'esercizio sociale, la relazione in questione che deve essere pubblicata contestualmente al bilancio d'esercizio» (C. conti, sez. contr. Emilia-Romagna, n. 148/2018). I commi 4 e 5 dell'art. 6 impongono che «La relazione sul governo societario deve essere elaborata nel rispetto di quanto disposto dal d.lgs. n. 175/2016 e deve contenere: i) il programma di valutazione del rischio aziendale (art. 6, comma 2); ii) la relazione sul monitoraggio e verifica del rischio di crisi aziendale per l'esercizio di riferimento (art. 14, comma 2); iii) la sezione dedicata agli strumenti integrativi di governo societario (art. 6, comma 3 e 5)» (C. conti, sez. contr. Veneto, n. 19/2020; T.A.R. Bolzano I, n. 139/2020). In particolare, nella relazione sulla gestione devono essere riportate le informazioni riguardanti: i) l'adesione ad un codice di comportamento in materia di governo societario, motivando le ragioni dell'eventuale mancata adesione ad una o più disposizioni, nonché le pratiche di governo societario effettivamente applicate dalla società al di là degli obblighi previsti dalle norme legislative o regolamentari; ii) le principali caratteristiche dei sistemi di gestione dei rischi e di controllo interno esistenti in relazione al processo di informativa finanziaria, anche consolidata, ove applicabile; iii) i meccanismi di funzionamento dell'assemblea degli azionisti, i suoi principali poteri, i diritti degli azionisti e le modalità del loro esercizio, se diversi da quelli previsti dalle disposizioni legislative e regolamentari applicabili in via suppletiva; iv) la composizione e il funzionamento degli organi di amministrazione e controllo e dei loro comitati; v) una descrizione delle politiche in materia di diversità applicate in relazione alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo relativamente ad aspetti quali l'età, la composizione di genere e il percorso formativo e professionale, nonché una descrizione degli obiettivi, delle modalità di attuazione e dei risultati di tali politiche. In linea generale, deve comunque rilevarsi che le informazioni relative all'adozione degli strumenti integrativi adottati dalla società non possono essere apodittiche, ma devono consentire di acquisire piena conoscenza del livello di funzionalità e di efficienza degli apparati di governo e dei sistemi di controllo della società (Picardi, 339). La Corte dei conti ha anche affermato che «[l]a presentazione della [relazione] prescinde dalle risultanze positive o negative in sede di chiusura d'esercizio. Insita nell'attitudine alla sopravvivenza nel mercato, delle società di natura privata, vi è la necessaria elaborazione dei dati che emergono dalle manifestazioni economico-patrimoniali e delle informazioni presenti nei bilanci annuali ed infrannuali, ovvero l'insieme delle informazioni che permettono di avere una descrizione 9 dell'andamento della società, in un determinato momento, della sua esistenza nonché delle sue «capacità e debolezze» rispetto alle dinamiche future» (C. conti, sez. contr. Veneto, n. 19/2020). Dunque, «[l]a mancata presentazione della relazione sulla gestione costituisce violazione di un obbligo di legge da parte dell'organo amministrativo censurabile dal collegio sindacale della società, e rilevabile dall'ente socio nell'ambito delle verifiche ad esso spettanti» (C. conti, sez. contr. Emilia-Romagna, n. 6/2019). Con specifico riferimento all'art. 6, comma 5 del Testo Unico, il legislatore delegato richiede alle società a partecipazione pubblica di dare contezza, nella relazione sul governo societario, delle ragioni della mancata adozione degli strumenti integrativi di cui al precedente comma 3. Si tratta dell'applicazione del principio di origine euro-unitario del comply or explain, già inserito nel nostro ordinamento all'art. 123-bis, comma 2, lett. b) del TUF, che impone alle società quotate di indicare nella loro relazione sulla gestione tutte le informazioni riguardanti l'adesione ad un codice di comportamento in materia di governo societario promosso da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria (comply), motivando le ragioni dell'eventuale mancata adesione ad una o più disposizioni (explain). Nella materia oggetto del TUSP tale principio assume un contenuto più ampio, in quanto la motivazione di cui al comma in oggetto deve estendersi all'indicazione delle ragioni della mancata attuazione di un'ampia e variegata serie di strumenti di governo societario (Picardi, 339), imponendo alle società di illustrare le ragioni poste a fondamento di tale decisione. Al contrario, nel caso in cui la società abbia deciso di integrare gli strumenti di cui all'art. 6, comma 3 del Testo Unico, la relazione sul governo societario dovrà contenere un'analitica descrizione di come tali strumenti abbiano operato nel corso dell'esercizio o, quanto meno, la loro idoneità a conseguire gli obiettivi cui sono preordinati. La relazione sul governo societario costituisce la «prova del corretto operato dell'organo di amministrazione sotto il profilo sia procedimentale, sia della sostanziale congruità e ragionevolezza della valutazione effettuata» (Picardi, 340). Da ultimo deve essere segnalato che ai sensi del successivo art. 15, comma 4 del TUSP la relazione di cui ai commi 4 e 5 del presente articolo deve essere inviata anche alla struttura del Ministero dell'economia e delle finanze per l'indirizzo, il controllo e il monitoraggio sull'attuazione del d.lgs. n. 175/2016 con le modalità e i termini in esso stabiliti. BibliografiaCancilla, Sistemi di controllo interno, efficienza e tutela della concorrenza, in Catricalà, Fimmanò (a cura di), Società pubbliche, Roma, 2016, 965 ss.; Cancilla, Sistemi di controllo interno nelle società, in Catricalà - Fimmanò, Cantone (a cura di), Società pubbliche, Napoli, 2020, 1406 ss.; Caringella, Ciaralli, Bottega, Codice ragionato sulle società pubbliche, Roma, 2018; Cuccurullo, Principi fondamentali sull'organizzazione e sulla gestione delle società a controllo pubblico, in Meo, Nuzzo (diretto da), Il Testo Unico sulle società pubbliche. Commento al d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, Bari, 2016, 100; Donativi, Le società a partecipazione pubblica, Milano, 2016, 1161; Fortunato, Vessia (a cura di), Le società a partecipazione pubblica, Milano, 2017; Guerrera, Principi fondamentali sull'organizzazione e sulla gestione delle società a controllo pubblico, in Morbidelli (a cura di), Codice delle società a partecipazione pubblica, Milano, 2018, 204 ss.; Libertini, I principi fondamentali sull'organizzazione e sulla gestione delle società a controllo pubblico (art. 6, d.lgs. 175/2016), in federalismi.it, 2016; Picardi, L'Amministrazione, in Garofoli, Zoppini (a cura di), Manuale delle società a partecipazione pubblica, Molfetta, 2018, 335 ss.; Serafini, L'Amministrazione, in Garofoli, Zoppini (a cura di), Manuale delle società a partecipazione pubblica, Molfetta, 2018, 359; Strampelli, Il sistema dei controlli interni e l'organismo di vigilanza, in Auletta (a cura di), I controlli nelle società pubbliche, Torino, 2017. |