Decreto legislativo - 19/08/2016 - n. 175 art. 13 - Controllo giudiziario sull'amministrazione di societa' a controllo pubblico

Andrea Zoppini

Controllo giudiziario sull'amministrazione di società a controllo pubblico

 

1. Nelle società a controllo pubblico, in deroga ai limiti minimi di partecipazione previsti dall'articolo 2409 del codice civile, ciascuna amministrazione pubblica socia, indipendentemente dall'entità della partecipazione di cui è titolare, è legittimata a presentare denunzia di gravi irregolarità al tribunale.

2. Il presente articolo si applica anche alle società a controllo pubblico costituite in forma di società a responsabilità limitata.

Inquadramento

L'art. 13 del TUSP detta una specifica disciplina in tema di controllo giudiziario sull'amministrazione di società a controllo pubblico, e a tal proposito: i) al comma 1, dispone che per tali società «ciascuna amministrazione pubblica socia, indipendentemente dall'entità della partecipazione di cui è titolare, è legittimata a presentare denunzia di gravi irregolarità al tribunale»; ii) al comma 2, estende l'applicazione di tale previsione «anche alle società a controllo pubblico costituite in forma di società a responsabilità limitata», anticipando così la soluzione introdotta dall'art. 379 del d.lgs. n. 14/2019, che ha novellato l'art. 2477 c.c., prevedendo espressamente l'applicabilità delle disposizioni dell'art. 2409 c.c. «anche se la società è priva di organo di controllo» e dunque anche al di là del modello azionario (D'Attorre, 262).

La legittimazione a presentare la denunzia.

L'art. 13 del TUSP estende la legittimazione a presentare la denunzia innanzi al tribunale a «ciascuna amministrazione pubblica socia, indipendentemente dall'entità della partecipazione di cui è titolare».

La norma deve essere letta in combinato disposto con l'art. 9, comma 1, del TUSP, il quale individua in concreto i soggetti legittimati all'esercizio di tale potere, ovverosia: i) il Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con altri Ministeri competenti per materia, in caso di società partecipate dallo Stato (art. 9, comma 1, TUSP); ii) i soggetti individuati secondo la disciplina stabilita dalla regione titolare delle partecipazioni, in caso di società partecipate dalle Regioni (art. 9, comma 2, TUSP); iii) il Sindaco, il Presidente o un loro delegato, in caso di società partecipate da enti locali; iv) l'organo amministrativo dell'ente, in tutti i restanti casi (art. 9, comma 4, TUSP).

Ai fini della legittimazione attiva, la qualità di socio, costituendo un presupposto processuale della denunzia, ma non una condizione dell'azione, deve sussistere al momento della proposizione della denunzia, ma non deve essere necessariamente mantenuta per tutto il procedimento (App. L'Aquila 19 gennaio 1990; App. Roma II, 24 settembre 2002), in quanto la finalità specifica del controllo giudiziario è il ripristino della regolarità amministrativa e non la soddisfazione dell'interesse patrimoniale dei soggetti denunzianti; sicché se questi ultimi, nel corso del procedimento, perdono la legittimazione, il procedimento non viene meno se sussistono effettivamente le irregolarità contestate (D'Arrigo, 1639).

Non sono, tuttavia, mancate pronunce di segno opposto che, nell'ambito della disciplina civilistica, hanno ritenuto che la titolarità del decimo del capitale sociale, così come richiesta dall'art. 2409 c.c., deve sussistere non solo al momento della denunzia al tribunale, ma per tutto il corso del procedimento, trattandosi di condizione dell'azione e non di mero presupposto processuale (App. Milano 25 novembre 1998).

I presupposti per l'attivazione del controllo giudiziario.

I presupposti per l'attivazione del controllo giudiziario individuati dall'art. 2409 c.c. sono essenzialmente due: i) l'esistenza di un fondato sospetto che gli amministratori della società abbiano commesso, in violazione dei loro doveri, gravi irregolarità nella gestione; e ii) il carattere grave e dannoso delle irregolarità denunziate.

Riguardo al primo requisito, la giurisprudenza ha chiarito che il fondato sospetto di gravi irregolarità nell'amministrazione non può essere basato su mere supposizioni o su indimostrati rilievi critici, bensì su elementi di sicuro affidamento, che, pur non assurgendo a livello di prova, abbiano tuttavia riscontri obiettivi che vanno al di là del semplice sospetto (App. Lecce 9 luglio 1990; in tal senso anche: Trib. Roma, sez. spec. Impresa, 15 settembre 2020; Trib. Catanzaro 28 febbraio 2020; Trib. Napoli 22 giugno 2004; Trib. Napoli 9 ottobre 2002).

Quanto al secondo presupposto, la norma specifica che le irregolarità commesse dagli amministratori devono essere necessariamente gravi e idonee di arrecare una lesione patrimoniale alla società.

Per essere «gravi» le irregolarità in questione devono, in linea generale, consistere nella violazione di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e di conseguenza agli interessi dei soci e dei creditori sociali o un grave turbamento dell'attività sociale (Trib. Bari 23 marzo 2021; Trib. Roma, sez. spec. Impresa, 21 luglio 2020; App. Salerno, 19 luglio 2005; App. Venezia 23 luglio 2014; App. Milano 29 giugno 2012).

Più nel dettaglio, la giurisprudenza ha considerato «gravi» le irregolarità consistenti, a titolo esemplificativo: nella violazione di regole stabilite da un ente certificatore (Trib. Mantova 15 ottobre 2009); nel tardivo deposito del bilancio nella sede sociale da parte degli amministratori (Trib. Novara 21 maggio 2012); nella mancata convocazione dell'assemblea per la relativa approvazione (Trib. Napoli 8 ottobre 2008); nell'omessa iscrizione a libro soci del trasferimento di partecipazioni (App. Trieste 15 marzo 1999); nel consenso al trasferimento di diritti di usufrutto su partecipazioni senza previa verifica del rispetto della prelazione (Trib. Bologna 3 agosto 1994); nella redazione di bilanci falsi (App. Bologna 19 marzo 1988); nell'omessa pubblicazione del bilancio per più esercizi consecutivi (Trib. Cassino 19 marzo 1988); nell'inclusione in conto economico di ricavi non realizzati (Trib. Como 3 febbraio 1994); nell'omessa esecuzione di delibere assembleari (Trib. Milano 17 luglio 1984); nella mancata adozione dei provvedimenti necessari per far fronte alla diminuzione per perdite di oltre un terzo del capitale sociale (Trib. Ancona 13 gennaio 2009); nella transazione di una lite con un precedente amministratore a condizioni sfavorevoli per la società (Trib. Roma 13 luglio 2000).

Sono state considerate rilevanti ai sensi dell'art. 2409 c.c. anche le condotte suscettibili di arrecare un danno non patrimoniale alla società. Si consideri al riguardo che il Tribunale di Mantova, con sentenza del 15 ottobre 2009, ha considerato rilevante la tenuta irregolare della contabilità aziendale in quanto suscettibile di arrecare un danno non patrimoniale alla società consistente nella perdita di fiducia del mercato.

Inoltre – chiarisce la giurisprudenza – le irregolarità devono involgere l'intera attività della società, non assumendo rilievo l'illegittimità di singoli atti, autonomamente impugnabili (Trib. Bologna, sez. spec. Impresa, 19 maggio 2021; Trib. Bologna, sez. spec. Impresa, 27 luglio 2020; Corte Appello, Palermo, 22 marzo 2002), e devono essere connotate dal requisito dell'attualità, in quanto il controllo giudiziario in questione si colloca temporalmente in una fase in cui le irregolarità gestorie sono ancora in atto (Trib. Catanzaro 28 febbraio 2020; Trib. Napoli 22 giugno 2004; App. Torino 29 maggio 2007, App. Salerno 19 luglio 2005).

Il sindacato del tribunale in ordine alle irregolarità deve involgere profili che attengono alla mera violazione dei doveri, essendo preclusa al giudice ogni valutazione in merito all'opportunità o alla convenienza economica di determinate operazioni compiute dagli amministratori (Trib. Bologna, sez. spec. Impresa, 19 maggio 2021; Trib. Bologna, sez. spec. Impresa, 27 luglio 2020; Trib. Roma, sez. spec. Impresa, 21 luglio 2020; Trib. Venezia, 6 febbraio 2019).

Oltre ai singoli casi di grave irregolarità individuati di volta in volta dalla giurisprudenza civile, nel corpo del TUSP sono rinvenibili alcune previsioni volte a tipizzare specifiche figure di irregolarità rilevanti ai sensi dell'art. 2409 c.c.

Al riguardo, occorre considerare anzitutto l'art. 14, comma 3, del TUSP il quale dispone che in presenza di indici di crisi aziendale, la mancata adozione, da parte dell'organo amministrativo della società a controllo pubblico, di provvedimenti necessari al fine di prevenire l'aggravamento della crisi, ovvero di misure necessarie a correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, costituisce grave irregolarità ai sensi dell'art. 2409 c.c.

Del pari, anche l'art. 16, comma 4, del TUSP, nel disciplinare lo statuto delle società in house, qualifica come grave irregolarità ai sensi dell'art. 2409 c.c. il mancato rispetto del limite quantitativo dell'ottanta per cento del fatturato che le società in house devono conseguire attraverso lo svolgimento dei compiti alle stesse affidate dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci.

Anche l'art. 21, comma 3, del TUSP individua un'altra fattispecie di grave irregolarità consistente nel conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi. L'articolo in questione, specifica che tale circostanza rappresenta una giusta causa ai fini della revoca degli amministratori. La norma, si pone in contrasto con il tradizionale orientamento del giudice civile che preclude qualsivoglia giudizio di merito in ordine all'attività degli amministratori. In questo caso, infatti, la norma si spinge oltre, in quanto considera il bilancio societario come indice sintomatico di mala gestio degli amministratori, suscettibile di assurgere a giusta causa di revoca degli stessi (Ielo, 104).

In ultimo, anche l'art. 25 del TUSP, recante disposizioni transitorie in materia di personale, precisa che «i rapporti di lavoro stipulati in violazione delle disposizioni del presente articolo sono nulli e i relativi provvedimenti costituiscono grave irregolarità ai sensi dell'articolo 2409 del codice civile».

Il procedimento innanzi al tribunale.

Il procedimento di cui all'art. 2409 c.c. consiste in un procedimento di volontaria giurisdizione (Cass. I, n. 23556/2008) che non mira, in quanto tale, a risolvere un conflitto in essere, bensì a ripristinare la regolarità amministrativa dell'ente (Valitutti, 196; Carta, 178). Si tratta, in altre parole, di uno strumento funzionale ad assicurare un intervento immediato sugli amministratori per bloccarne le sospette irregolarità e i relativi pregiudizi patrimoniali (Valensise, 110).

Il procedimento, regolato dagli artt. 737 ss. c.p.c., si instaura con ricorso depositato innanzi al tribunale territorialmente competente, ovverosia quello nel cui distretto ha luogo la sede della società.

Il procedimento non è deferibile ad arbitri (Trib. Salerno 10 novembre 2009).

Successivamente al deposito del ricorso, il presidente nomina il giudice relatore e fissa l'udienza per l'audizione delle parti. Il relativo decreto, congiuntamente al ricorso introduttivo, deve essere notificato alla società e ai soggetti nei cui confronti devono essere adottati i provvedimenti. L'audizione delle parti avviene in camera di consiglio.

In forza del carattere inquisitorio dell'istruttoria, nel corso della stessa il tribunale adito può, d'ufficio, acquisire documenti e informazioni, e in generale pronunciarsi su questioni ulteriori rispetto a quelle oggetto della denunzia, non vigendo in tale procedimento il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Valitutti, 196; Carta, 178).

Può essere disposta, anche d'ufficio, l'ispezione dell'amministrazione della società, e in tal caso, secondo un orientamento, al socio che ha presentato la denunzia è ammessa la possibilità di presenziare, personalmente o attraverso consulenti (App. Roma 14 novembre 1995; Trib. Mantova 15 ottobre 2009; Trib. Trento 4 aprile 2003). Secondo una diversa interpretazione, invece, tale possibilità sarebbe esclusa (Trib. Cassino 20 febbraio 1997).

La dottrina, nel trovare un punto di incontro tra i due orientamenti di segno opposto, ha ritenuto, quantomeno, sussistente il diritto, in capo al socio che ha presentato la denunzia, a conoscere gli esiti dell'ispezione, con la relativa possibilità di estrarre copia della relazione e dei verbali e di presentare osservazioni (Valitutti, 166; Carta 187).

In ogni caso, nel corso dell'ispezione, l'attività della società prosegue regolarmente e al termine delle verifiche, l'ispettore deposita presso la cancelleria del tribunale una relazione.

I provvedimenti del tribunale.

Al termine della fase istruttoria, ove il tribunale ravvisi un difetto di legittimazione dei soci, o non ritenga sussistenti le violazioni denunciate, respinge il ricorso con decreto. Nel diverso caso in cui il tribunale adito ravvisi, invece, le irregolarità lamentate ma ritenga che le stesse siano state rimosse dall'attività dei nuovi amministratori, il procedimento si intende estinto.

Infine, nel caso in cui il tribunale riscontri la sussistenza delle violazioni denunciate e rilevi che le attività compiute dai nuovi amministratori risultino comunque insufficienti a rimuovere le irregolarità, ai sensi dell'art. 2409, comma 4, c.c. lo stesso può disporre gli opportuni provvedimenti provvisori e convocare l'assemblea per le conseguenti deliberazioni.

Il legislatore non specifica quali siano i provvedimenti provvisori che il tribunale può adottare, sicché è da ritenere ammissibile qualsivoglia provvedimento idoneo a sanare le gravi irregolarità riscontrate (Paolucci, 827; Giannelli, 1753). Il carattere di provvisorietà tipico dei provvedimenti adottati dal tribunale enfatizza anche la loro strumentalità rispetto al provvedimento finale che sarà adottato dell'assemblea all'uopo convocata (Nazzicone, 1083). A titolo esemplificativo, le misure che il tribunale potrebbe adottare sono state ritenute: la sospensione dell'assemblea, la limitazione dei poteri degli amministratori, la sospensione di un amministratore o di un sindaco, l'affidamento della tenuta della contabilità ad un esperto (D'Arrigo, 1641).

I provvedimenti adottabili nel procedimento, sia che siano endoprocessuali, sia che siano decisori, rivestono la forma di decreto motivato, non sono idonei a produrre giudicato, e sono sempre modificabili e revocabili, ai sensi dell'art. 742 c.p.c., sia per ragioni di legittimità sia per ragioni di merito. Al riguardo è stato chiarito, infatti, che i provvedimenti resi sulla denunzia di irregolarità nella gestione di una società ex art. 2409 c.c., «ancorché contengano la revoca di amministratori e sindaci nonché la nomina di un ispettore o di un nuovo amministratore, ovvero risolvano questioni in ordine alla regolarità del relativo procedimento, costituiscono atti di volontaria giurisdizione rivolti al riassetto amministrativo e contabile delle società per azioni e non assumono carattere contenzioso. E che detti provvedimenti si esauriscono in misure cautelari e provvisorie, sicché, pur coinvolgendo diritti soggettivi, non pronunciano al riguardo per definire un conflitto tra parti contrapposte con attitudine ad acquistare autorità di giudicato» (Cass. I, n. 6615/2005, che richiama: Cass. n. 10989/2004; Cass. n. 2776/2002; Cass. n. 15173/2000).

Attenzione particolare merita l'ipotesi, contemplata nel menzionato comma 4 dell'art. 2409 c.c., in cui, nei casi di particolare gravità, è ammessa la possibilità per il tribunale di revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e di nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata.

Si tratta di una soluzione di carattere eccezionale adottabile dal tribunale solo a fronte di concrete situazioni di particolare gravità, non risolvibili con misure meno invasive. Secondo la dottrina, i «casi più gravi» cui fa riferimento la norma in questione corrispondono ad illeciti per i quali i rimedi di autotutela dei soci non sono in grado di proteggere la società (Paolucci, 827; Rossi, 282).

Alla revoca degli amministratori consegue la nomina del c.d. amministratore giudiziario, al quale sono conferiti specifici poteri, consistenti principalmente: nell'adozione di atti di ordinaria amministrazione (art. 92, comma 2, disp. att. c.c.), nella rappresentanza processuale della società (art. 92, comma 3, disp. att. c.c.), nell'esercizio dei poteri dell'assemblea, solo se conferiti espressamente e solo in relazione ad atti determinati (art. 92, comma 4, disp. att. c.c.), nella possibilità di proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci (art. 2409, comma 5, c.c.), nella convocazione dell'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale (art. 2409, comma 6, c.c.).

Il termine di durata dell'ufficio dell'amministratore giudiziario ha natura ordinatoria e può essere prorogato dal tribunale prima della scadenza (art. 154 c.p.c.). Prima scadenza del proprio incarico, l'amministratore è tenuto a rendere conto al tribunale che lo ha nominato, predisponendo una relazione sulle attività compiute e i risultati conseguiti.

Quanto al compenso spettante all'amministratore giudiziario, lo stesso è liquidato dal collegio in forza dell'art. 92, comma 5, disp. att. c.c., ed è posto a carico della società, e non di coloro che hanno presentato il ricorso ex art. 2409 c.c., essendo la società l'unico soggetto che si giova dell'attività dell'ausiliario del giudice (Cass. I, n. 27663/2011).

Bibliografia

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