Decreto legislativo - 19/08/2016 - n. 175 art. 16 - Societa' in houseSocietà in house
1. Le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata. 2. Ai fini della realizzazione dell'assetto organizzativo di cui al comma 1: a) gli statuti delle società per azioni possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell'articolo 2380-bis e dell'articolo 2409-novies del codice civile; b) gli statuti delle società a responsabilità limitata possono prevedere l'attribuzione all'ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell'articolo 2468, terzo comma, del codice civile; c) in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali; tali patti possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all'articolo 2341-bis, primo comma, del codice civile. 3. Gli statuti delle società di cui al presente articolo devono prevedere che oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci [e che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società.] 1 3-bis. La produzione ulteriore rispetto al limite di fatturato di cui al comma 3, che può essere rivolta anche a finalità diverse, è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società 2. 4. Il mancato rispetto del limite quantitativo di cui al comma 3 costituisce grave irregolarità ai sensi dell'articolo 2409 del codice civile e dell'articolo 15 del presente decreto. 5. Nel caso di cui al comma 4, la società può sanare l'irregolarità se, entro tre mesi dalla data in cui la stessa si è manifestata, rinunci a una parte dei rapporti [di fornitura] con soggetti terzi, sciogliendo i relativi rapporti contrattuali, ovvero rinunci agli affidamenti diretti da parte dell'ente o degli enti pubblici soci, sciogliendo i relativi rapporti. In quest'ultimo caso le attività precedentemente affidate alla società controllata devono essere riaffidate, dall'ente o dagli enti pubblici soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale. Nelle more dello svolgimento delle procedure di gara i beni o servizi continueranno ad essere forniti dalla stessa società controllata 3. 6. Nel caso di rinuncia agli affidamenti diretti, di cui al comma 5, la società può continuare la propria attività se e in quanto sussistano i requisiti di cui all'articolo 4. A seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo. 7. Le società di cui al presente articolo sono tenute all'acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 5 e 192 del medesimo decreto legislativo n. 50 del 2016 4. [1] Comma modificato dall'articolo 10, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 16 giugno 2017 n. 100. [2] Comma aggiunto dall'articolo 10, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 16 giugno 2017 n. 100. [3] Comma modificato dall'articolo 10, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 16 giugno 2017 n. 100. [4] Comma modificato dall'articolo 10, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 16 giugno 2017 n. 100. InquadramentoL'art. 16 del d.lgs. n. 175/2016 è dedicato alla disciplina della società in house. Il modello della società in house è di derivazione europea ed è stato originariamente delineato nella sua fisionomia e nei suoi requisiti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. L'art. 16 del TUSP rappresenta, dunque, l'esito di una complessa evoluzione giurisprudenziale di cui è necessario in questa sede tenerne conto. L'articolo in commento, in particolare: i) al comma 1, stabilisce che «le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata»; ii) dal comma 2 al comma 6, individua nel dettaglio il contenuto degli statuti delle società in house, nonché le relative conseguenze in caso di mancato rispetto di tali prescrizioni; iii) al comma 7, impone alle società in house il rispetto della disciplina di cui al d.lgs. n. 50/2016 per l'acquisto di lavori, beni e servizi, facendo salvo quanto previsto dagli artt. 5 e 192 del medesimo decreto. L'in house: dalla giurisprudenza euro-unitaria alla normativa nazionale.La figura della società in house si è affermata nell'ordinamento europeo, ed è stata successivamente recepita nell'ordinamento interno, per consentire alle Pubbliche Amministrazioni di porre in essere affidamenti diretti in favore di società dalle medesime controllate ai fini della «autoproduzione» di lavori, servizi e forniture. La società in house, quindi, è un modello organizzativo con una accentuata connotazione «funzionale» che lo pone quale opzione antitetica al «outsourcing» (Cons. St. V, ord. n. 296/2019; Cons. St. I, parere n. 1374/2021). Per questo motivo, il modello della società in house è stato sin dal principio concepito con la finalità di limitare le ipotesi in cui è possibile ricorrere a forme di affidamento diretto di compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla gestione di servizi pubblici. La giurisprudenza europea ha inizialmente indicato, quali requisiti necessari ai fini della configurazione della società in house: i) la partecipazione interamente pubblica; ii) l'esercizio da parte della Pubblica Amministrazione di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; iii) lo svolgimento dell'attività prevalentemente a favore dell'amministrazione controllante (cfr. per tutte: Corte di Giustizia, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal). È solo con le Direttive n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE, concernenti rispettivamente «l'aggiudicazione dei contratti di concessione», gli «appalti pubblichi» e le «procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali», che per la prima volta il modello organizzativo della società in house ha ricevuto una espressa codificazione in un testo normativo. Tuttavia, le Direttive europee del 2014, pur mantenendo ferma la connotazione funzionale di tale modello societario, ne hanno modificato alcuni degli originari tratti distintivi che erano stati individuati dalla giurisprudenza. In particolare, tali direttive: i) hanno ammesso, eccezionalmente, «forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata»; ii) hanno inoltre indicato, in modo puntuale, nel limite quantitativo superiore all'80% l'entità dell'attività che deve essere svolta a favore dell'amministrazione pubblica controllante. L'art. 17 della Direttiva n. 2014/23/UE, l'art. 12 della Direttiva n. 2014/24/UE e l'art. 28 della Direttiva 2014/25/UE dispongono, infatti, che: «Un appalto pubblico [o una concessione] aggiudicato da un'amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell'ambito di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) l'amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi; ii) oltre l'80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e iii) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata». Le Direttive del 2014, inoltre, precisano che il requisito del controllo analogo deve ritenersi sussistente nel caso in cui l'amministrazione aggiudicatrice «eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata» e specificano che «Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione aggiudicatrice». La disciplina europea dell'in house è stata, poi, trasposta nell'ordinamento interno. Ciò è avvenuto, in primo luogo, nel d.lgs. n. 50/2016, che: i) all'art. 5, commi 1 e 2, ha recepito i requisiti delineati dalle Direttive del 2014; e ii) all'art. 192, ha introdotto nuove regole di tipo procedimentale volte a delineare un «regime speciale» per gli affidamenti in house. La disciplina nazionale è stata poi integrata dal d.lgs. n. 175/2016, che ha qualificato la società in house come specifico modello di società a partecipazione pubblica, incidendo notevolmente sulla sua natura giuridica e sulla disciplina applicabile. Le principali norme del TUSP che assumono rilievo ai fini della disciplina dell'in house sono costitute dagli artt. 2, comma 1 lett. o ), 4 e 16. La prima di esse, definisce le società in house come quelle «sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all'art. 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell'attività prevalente di cui all'art. 16, comma 3». Il successivo art. 4 del TUSP prevede, al quarto comma, che le «società in house hanno come oggetto sociale esclusivo una o più delle attività di cui alle lettere a), b), d) ed e) del comma 2» e che le stesse, salvo quanto previsto dall'art. 16 del TUSP, «operano in via prevalente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti». In particolare, le attività cui fa riferimento l'art. 4, consistono: i) nella produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi; ii) nella progettazione e nella realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'art. 193 del d.lgs. n. 50/2016; iii) nell'autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento; e iv) nello svolgimento di servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 3, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016. La giurisprudenza amministrativa ha recentemente precisato che non porta ad escludere la natura di società in house la contestuale partecipazione al capitale sociale di enti pubblici affidanti una delle attività sopraelencate e di enti che non affidano (o non affidano ancora alla società) il medesimo servizio erogato a favore dei primi (Cons. St. V, n. 6460/2020). Sul punto è intervenuta anche la Corte di giustizia. Invero, la possibilità che una società in house sia partecipata contestualmente da soci pubblici affidanti il servizio di interesse generale e soci pubblici non affidatari – e che, dunque, all'interno del suo statuto siano distinte due categorie di soci pubblici, i soci affidanti e i soci non affidanti con il riconoscimento solamente ai primi di strumenti per l'esercizio del controllo analogo – è stata sottoposta al vaglio dei giudici europei, i quali ha fornito risposta con la sentenza 6 febbraio 2020 cause C-89/19 e C-91/19 affermando quanto segue: «l'art. 12, paragrafo 3, della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale che impedisce ad un'amministrazione aggiudicatrice di acquisire partecipazioni al capitale di un ente partecipato da altre amministrazioni aggiudicatrici, qualora tali partecipazioni siano inidonee a garantire il controllo o un potere di veto e qualora detta amministrazione aggiudicatrice intenda acquisire successivamente una posizione di controllo congiunto e di conseguenza la possibilità di procedere ad affidamenti diretti di appalti a favore di tale ente, il cui capitale è detenuto da più amministrazioni aggiudicatrici». La Corte di Giustizia, in continuità con l'indirizzo consolidato, ha esaminato la questione dall'angolo visuale proprio del diritto euro-unitario, quello del rispetto delle regole dell'evidenza pubblica; e, in quest'ottica, ha precisato che quel che interessa è che i soci pubblici affidanti siano in condizione di esercitare il controllo analogo congiunto, per gli altri è rimesso al diritto nazionale se consentire la detenzione di partecipazioni prive dei poteri di controllo; quel che è certo è che non potranno effettuare affidamenti diretti prima di acquisire anch'essi i medesimi poteri gestori dei primi. Infine, l'art. 16 del TUSP, disciplina le condizioni di affidamento diretto dei contratti pubblici nel caso dell'in house e delinea, ancora una volta, i tratti tipici delle società in house, individuando nel dettaglio il contenuto dei loro statuti. La natura giuridica delle società in house.La natura giuridica della società in house è ampiamente discussa in giurisprudenza e in dottrina. Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la società in house è concepita come una mera organizzazione interna della Pubblica Amministrazione titolare della partecipazione pubblica e, dunque, come «organo» dell'ente stesso, con consequenziale applicazione, sia pure con i necessari adattamenti, del regime generale delle Pubbliche Amministrazioni e possibile concorrenza, a seconda dei settori e delle modalità di intervento, dei regimi pubblici e privati (Cass. S.U., n. 26283/2013; Cass.S.U., n. 5491/2014;Cass. S.U., n. 7177/2014; Cass.S.U., n. 15594/2014; Cass.S.U., n. 22609/2014; Cass.S.U., n. 5848/2015; Cass.S.U., n. 19018/2018; Cass.S.U., n. 22712/2019). In tal senso si è posto anche l'orientamento dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui l'affidamento diretto di un servizio pubblico a una società in house «viene consentito tutte le volte in cui un ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una «derivazione», o una longa manus , dell'ente stesso. Da qui, l'espressione in house che richiama, appunto, una gestione in qualche modo riconducibile allo stesso ente affidante o a sue articolazioni. Si è in presenza di un modello di organizzazione meramente interno, qualificabile in termini di delegazione interorganica» (Cons. St., Ad. plen., n. 1/2008). Questa impostazione è stata di recente confermata dal Consiglio di Stato nel parere n. 1374/2021, laddove si legge che «La società in house è una società dotata di autonoma personalità giuridica che presenta connotazioni tali da giustificare la sua equiparazione ad un “ufficio interno” dell'ente pubblico che l'ha costituita, una sorta di longa manus ; non sussiste tra l'ente e la società un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale. Queste caratteristiche della società in house giustificano e legittimano l'affidamento diretto, senza previa gara, per cui un'amministrazione aggiudicatrice è dispensata dall'avviare una procedura di evidenza pubblica per affidare un appalto o una concessione. Ciò in quanto, nella sostanza, non si tratta di un effettivo «ricorso al mercato» (outsourcing), ma di una forma di «autoproduzione» o, comunque, di erogazione di servizi pubblici «direttamente» ad opera dell'amministrazione, attraverso strumenti “propri” (in house providing)» (Cons. St. I, n. 1374/2021; in tal senso anche Cons. St. III, n. 1385/2020; Cons. St. I, n. 1389/2019). L'orientamento al quale si è appena fatto cenno è allo stato prevalente nella giurisprudenza. Tuttavia, è altresì diffusa, soprattutto nella più recente dottrina, l'opinione secondo cui il TUSP ha posto le basi per configurare la società in house quale vero e proprio «sotto-tipo» societario, cui si applicano «le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato» (art. 1, comma 3) con le sole «deroghe» di diritto pubblico espressamente previste dallo stesso d.lgs. n. 50/2016 (nello stesso senso, v. Cons. St. V, n. 6600/2021, secondo cui: «l'art. 1, comma 3 del d.lgs. n. 175/2016 (Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica) ha ribadito la riconducibilità delle società a partecipazione pubblica all'ordinario regime civilistico, altresì precisando che le società in house sono regolate dalla medesima disciplina che disciplina, in generale, le società partecipate, ad eccezione, quanto alle prime, della giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale causato dai loro amministratori e dipendenti»). L'intento perseguito dal legislatore con il Testo Unico è pertanto quello di applicare la disciplina civilistica anche alle società in house, contenendo le deroghe nella misura strettamente necessaria al concreto soddisfacimento dell'interesse pubblico di volta in volta perseguito. Da ciò consegue che, per un verso, le norme espressamente riferite ai soli enti pubblici (e, più in generale, ai soli enti dotati di personalità giuridica di diritto pubblico, quali sono, ad esempio, le norme di contabilità riferite all'ordinamento economico e finanziario degli enti locali) non si applicano anche alle società c.d. in house e, più in generale, alle società a partecipazione pubblica; per altro verso, le deroghe alle norme generali di diritto privato contenute nel TUSP e nelle altre norme speciali espressamente rivolte alle società c.d. in house mantengono ferma la peculiarità organizzativa imposta dal diritto europeo e non consentono di ricondurre questo modello societario, né sul piano organizzativo, né su quello funzionale, a quello ‘generale' disciplinato dal codice civile. Il requisito del controllo analogo.Il requisito del controllo analogo è l'elemento principale che qualifica l'in house providing. Le condizioni necessarie per la configurazione del controllo analogo sono state in origine individuate dalla giurisprudenza europea, nella partecipazione pubblica totalitaria e nell'influenza determinante. Sin dal 2005, la Corte di Giustizia (Corte di Giustizia, 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle; Corte di Giustizia, 21 luglio 2005, C-231/03, Consorzio Coname; Corte di Giustizia, 18 gennaio 2007, C-225/05, Je. Au.) ha, infatti, chiarito che la partecipazione, pur minoritaria, di soggetti privati al capitale di una società, alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi. La partecipazione pubblica totalitaria rappresenta una condizione necessaria, ma non ancora sufficiente, dovendosi ulteriormente verificare la presenza di strumenti di controllo da parte dell'ente pubblico più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile a favore del socio totalitario. L'amministrazione aggiudicatrice, infatti, deve essere in grado di esercitare un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti dell'entità affidataria e il controllo esercitato deve essere effettivo, strutturale e funzionale (in tal senso, Corte di Giustizia UE, 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11, Econord). Tale impostazione, se con riferimento alla partecipazione pubblica totalitaria è stata superata sia dal legislatore europeo che da quello nazionale (sul punto si tornerà infra), con riferimento al concetto di «influenza determinante» è invece accolta in pieno dalla giurisprudenza interna, laddove è stato chiarito che, ai fini della configurazione del requisito del cd. controllo analogo dell'ente pubblico partecipante nei confronti della società in house, quel che rileva è che il primo abbia statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della seconda, i cui organi amministrativi vengono pertanto a trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica, perché il termine ««controllo» non può essere ritenuto sinonimo di un'influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è di regola in grado di esercitare sull'assemblea della società e, di riflesso, sulla scelta degli organi sociali, trattandosi invece di un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell'ente con modalità e con un'intensità non riconducibili ai diritti ed alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure un socio unico) in base alle regole dettate dal Codice Civile, fino al punto che agli organi della società non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale» (cfr. Cons. St., Ad. plen., n. 1/2008; Cons. St. III, n. 6062/2021; T.A.R. Bolzano, n. 139/2020; T. A.R. Abruzzo, n. 357/2018). Il controllo analogo, dunque, non può essere assimilato, né all'attività di direzione e coordinamento disciplinata dagli artt. 2497 ss. c.c.., né tantomeno alla «influenza dominante» tipica degli organismi di diritto pubblico, così come definiti dall'art. 3 del d.lgs. n. 50/2016. Con riferimento all'attività di direzione e coordinamento, occorre rilevare che nei gruppi societari il potere di direzione e coordinamento spettante all'ente capogruppo attiene all'individuazione delle linee strategiche dell'attività di impresa senza annullare del tutto l'autonomia gestionale della società controllata. Gli amministratori di quest'ultima, infatti, pur essendo tenuti ad adeguarsi alle direttive loro impartite, conservano una propria sfera di autonomia decisionale, e questo perché la disciplina della direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 ss. c.c.., è volta a coniugare da un lato, l'unitarietà imprenditoriale della grande impresa, e dall'altro l'autonomia delle singole società del gruppo. Lo stesso non può dirsi con riferimento alle società in house, nelle quali, come ha avuto modo di specificare la giurisprudenza, vi è completa subordinazione dei suoi gestori all'ente pubblico partecipante (Ciaralli, 122). Il controllo analogo si distingue, per ampiezza ed incisività, anche dalla «influenza dominante» che connota gli organismi di diritto pubblico e che, di regola, è esercitata dal titolare della partecipazione maggioritaria, ed ha estensione tale da poter essere equiparabile a un potere di comando, direttamente esercitato sulla gestione dell'ente (Stanizzi, 89). Il controllo analogo, per utilizzare le parole della Corte di Giustizia, deve essere «effettivo, strutturale e funzionale» (Corte di Giustizia UE, 8 maggio 2014, C-15/13). Deve essere effettivo, nel senso che i poteri che ne formano il contenuto non sono soltanto previsti a livello astratto, sulla base di quanto previsto dallo statuto, ma devono essere concretamente esercitati. Deve essere strutturale, nel senso che il controllo deve essere esercitato sugli organi della società in house. Tra gli indici rivelatori del controllo analogo di tipo strutturale vi è il potere di nomina degli organi di amministrazione e di vigilanza, secondo una estensione in grado di garantire la possibilità, per il controllante, di incidere in modo determinante sugli indirizzi strategici e le decisioni più rilevanti della società in house. Deve essere funzionale, nel senso che il controllo deve essere esercitato sugli atti, ovvero sulle azioni e sui comportamenti della società in house. A seconda del numero di soci pubblici partecipanti al capitale della società in house, l'art. 16 del TUSP opera una distinzione tra: i) il controllo analogo individuale, nel caso di socio unico; e ii) il controllo analogo congiunto, in presenza di una pluralità di soci. Questa seconda forma di controllo (i.e. il controllo analogo congiunto) è a sua volta definita dall'art. 2, comma 1, lett. d), come «la situazione in cui l'amministrazione esercita congiuntamente con altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi». Il controllo analogo congiunto identifica una forma di controllo, da tempo riconosciuta dalla Corte di giustizia (Corte di Giustizia CE, C-295/05, Asemfo, punti 56-61; Corte di Giustizia CE, C-324/07, Coditel Brabant S.A., punti 47 e 50; Corte di Giustizia CE, C-573/07, Sea, punti 54-65; Corte di Giustizia CE, C-182/11 e C-183/11, Econord, punti 28-31), codificata anche nella Direttiva n. 2014/24/UE, il cui art. 12, comma 3, dispone che le amministrazioni aggiudicatrici esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto, se ed in quanto siano soddisfatte tutte e tre le condizioni ivi previste: «i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; e iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti» (di analogo tenore risultano le previsioni contenute negli artt. 17 e 28, rispettivamente, della Direttiva 2014/23/UE e della Direttivan. 2014/25/UE). La Corte di Giustizia ha apprezzato quali validi strumenti per l'esercizio del controllo analogo congiunto (unitamente ai patti parasociali, sentenza 29 novembre 2012 nelle cause C-182/11 e 183/11 Econord) organi speciali come i Comitati unitari e i Comitati tecnici (sentenza 10 settembre 2009 nella causa C-573/07 Sea) a condizione che: i) in essi ogni socio pubblico abbia un proprio rappresentante e che le deliberazioni siano assunte con maggioranze formate per unità e ii) siano previsti poteri di controllo e di gestione tali da restringere l'autonomia decisionale del consiglio di amministrazione imponendo indirizzi e prescrizioni, nonché prevedendo poteri consultivi preventivi. La situazione del controllo analogo congiunto, si configura solo al ricorrere delle condizioni di cui all'art. 5, comma 5, d.lgs. n. 50/2016 (Cons. St. IV, n. 7093/2021; Cons. St. VI, n. 7272/2021). Pertanto, devono essere soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti. Infine, l'art. 16 del TUSP, al comma 2, al fine di assicurare la concreta realizzazione del controllo analogo, riconosce ai soci pubblici delle società titolari di affidamenti diretti speciali margini di modulabilità dell'organizzazione societaria (Valzer, 1027). In particolare, alla lett. a), con riferimento alle società per azioni, è prevista la possibilità per gli statuti delle società in house di contenere clausole in deroga agli artt. 2380-bis e 2409-novies c.c., che rispettivamente prevedono il sistema ordinario di amministrazione (basato su un organo amministrativo, quale il consiglio di amministrazione o l'amministratore unico) ed il sistema alternativo di amministrazione dualistico (basato su un consiglio di gestione e un consiglio di sorveglianza). Rispetto alla disciplina codicistica, che attribuisce il pieno potere esecutivo agli amministratori, l'introduzione di clausole statutarie in deroga è volta ad escludere la competenza generale dell'organo amministrativo, dando ampio spazio al socio pubblico, al fine di assicurare la concreta realizzazione del controllo analogo (Fantini, 370). Del pari, anche la successiva lett. b ) dispone che gli statuti delle società a responsabilità limitata possono prevedere l'attribuzione all'ente o agli enti pubblici soci di diritti particolari di governance di cui all'art. 2468, comma 3, c.c., in forza del quale «Resta salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili». Inoltre, la lett. c ) inserisce una clausola di chiusura, stabilendo che la regolamentazione del controllo analogo possa avvenire anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali che, in deroga all'art. 2341-bis c.c., possono avere anche durata superiore a cinque anni. La giurisprudenza ha recentemente affrontato la questione concernente la possibilità, per i soci pubblici, di istituire organi speciali al fine di esercitare il controllo congiunto sulla società in house . Tale questione è stata risolta nel senso che non vi sia divieto di istituire organi speciali per una serie di concorrenti ragioni: i) il divieto è previsto in relazione alle «società a controllo pubblico» disciplinate dall'art. 11 e non è ripetuto nell'art. 16 dedicato proprio alle società in house, la cui disciplina appare, pertanto, speciale e derogatoria; ii) rispetto alle società a controllo pubblico, per le quali, l'art. 2, comma 1, lett. m) d.lgs. n. 175/2016 richiede che il controllo si esplichi nelle forme dell'art. 2359 c.c., le società in house sono sottoposte a quella forma particolare di controllo pubblico che è costituita dal controllo analogo (come chiaramente precisato dall'art. 2, comma 1, lett. o) del TUSP); iii) nell'elaborazione della giurisprudenza europea (seguita in ciò dalla giurisprudenza nazionale) il controllo analogo consiste in una forma di eterodirezione della società, tale per cui i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma al socio pubblico controllante che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni (così sin dalla sentenza 13 ottobre 2005 nella causa C-458/03 Parking Brixen); iv) la logica sottesa al c.d. controllo analogo è opposta a quella del codice civile ove, per l'esigenza di garantire la separazione tra gestione dell'impresa sociale e proprietà della stessa, agli amministratori è riconosciuta la competenza gestoria con carattere generale; essi, pertanto, possono assumere tutti gli atti di gestione dell'impresa, non riservati ad altri organi, reputati necessari al conseguimento dell'oggetto sociale e all'assemblea spetta solo il controllo sulle modalità della gestione (salvo, naturalmente, le decisioni che comportano modifica sostanziale dell'oggetto sociale); v) la possibilità che l'art. 16 comma 2, lett. a) d.lgs. n. 175/2016 assegna agli statuti delle società in house di derogare alle disposizioni dell'art. 2380-bis c.c., relativo ai poteri degli amministratori nel sistema societario ordinario, e dell'art. 2409-nonies c.c., che disciplina i medesimi poteri in caso di sistema dualistico (ove è presente, cioè, un consiglio di gestione e un consiglio di sorveglianza), va intesa quale deroga all'ordinario sistema di gestione della società per azioni incentrata sul rapporto tra consiglio di amministrazione/assemblea sociale; f) nel caso del controllo analogo in forma congiunta occorre tener conto di un aspetto particolare: i soci pubblici hanno necessità di concordare previamente le determinazioni da trasmettere agli organi di amministrazione della società, pertanto, affinché si abbia condivisione del controllo è indispensabile una sedes nella quale la volontà comune possa assumere la forma di determinazioni vincolanti per gli organi amministrativi e che non sia l'assemblea dei soci per la prevalenza che i soci di maggioranza vi esercitano secondo le ordinarie regole deliberative (principio di maggioranza azionaria) e per la predominanza, nelle deliberazioni ivi assunte, dell'interesse al risultato economico della società (Cons. St. V, n. 6460/2020). La giurisprudenza ha altresì recentemente sottolineato come una partecipazione «pulviscolare» sia, in linea di principio, inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di incidere effettivamente sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa in presenza di interessi potenzialmente contrastanti. Tuttavia, in questo caso il Consiglio di Stato ha altresì chiarito «che i soci pubblici ben possono sopperire a detta debolezza stipulando patti parasociali al fine di realizzare un coordinamento tra loro, in modo da assicurare il loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l'attività della società partecipata. Per cui, in difetto di una prova contraria, la mera prospettazione del carattere «pulviscolare» della partecipazione non è in grado di incidere sulla tenuta e validità del modello in house concretamente adoperato (Cons. St. IV, n. 7093/2021. Nello stesso senso, Cons. St. III, n. 1564/2020; Cons. St.V, n. 578/2019). Sulla natura dei patti parasociali, ci si è chiesti se gli stessi possano essere considerati accordi organizzativi ai sensi dell'art. 15 della l. n. 241/1990 o veri e propri contratti di diritto comune. Tra le due soluzioni, la seconda è da ritenersi maggiormente percorribile, perché i patti parasociali in questione, pur essendo volti a disciplinare una collaborazione di attività di interesse comune, proprio come gli accordi organizzativi di cui al menzionato art. 15 della l. n. 241/1990, non sembrano poter essere sottoposti alla legge generale sul procedimento amministrativo, perché il potere organizzativo sotteso agli stessi riveste natura privatistica e non pubblicistica. I patti parasociali, infatti, rinvengono la propria disciplina nel codice civile e il TUSP si limita a chiarirne la funzione e specificare che gli stessi possono soddisfare il requisito del controllo analogo (Bartolini, 110). Il requisito dell'attività prevalente.L'ulteriore requisito dell'in house, previsto dall'art. 5, comma 1, lett. b) del d.lgs. 50/2016, ha ad oggetto l'attività svolta da parte della persona giuridica controllata. Affinché sussista la figura dell'in house è, infatti, necessario che la società controllata svolga oltre l'80% della propria attività nell'assolvimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione controllante. Nelle prime elaborazioni giurisprudenziali, il concetto di attività prevalente presupponeva una valutazione non solo quantitativa (ovverosia il fatturato), ma anche qualitativa dell'attività dell'ente. Ciò è stato espressamente affermato dalla Corte di Giustizia, secondo la quale il giudice competente era tenuto a prendere in considerazione «tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative» (Corte di Giustizia, 13 novembre 2008, C-340/04). Sul piano quantitativo, in particolare, secondo i Giudici europei «il fatturato determinante è rappresentato da quello che l'impresa in questione realizza in virtù delle decisioni di affidamento adottate dall'ente locale controllante, compreso quello ottenuto con gli utenti in attuazione di tali decisioni» (Corte di Giustizia, 13 novembre 2008, C-340/04); mentre sul piano qualitativo, la Corte costituzionale, sulla scia della giurisprudenza euro-unitaria, ha precisato che «tale profilo incide o può incidere sulla natura dei servizi resi e, quindi, sul criterio per ritenere che una attività di impresa sia svolta in modo preponderante per l'ente pubblico conferente e solo marginalmente per il mercato perché, a prescindere dal dato quantitativo del fatturato, tale profilo può – in astratto – riverberare i suoi effetti sulla rilevanza dell'attività svolta dal soggetto al fine di considerare prevalente o solo marginale l'attività «libera» in una prospettiva di futura espansione della stessa nel mercato o in zone del territorio diverse da quelle di competenza del soggetto pubblico conferente» (Corte cost. n. 439/2008). L'impostazione giurisprudenziale sopra illustrata è stata abbandonata dapprima dalle Direttive del 2014 e successivamente, sia dal d.lgs. 50/2016 che dal TUSP, i quali hanno fissato espressamente il limite quantitativo dell'attività prevalente che, come detto, deve essere superiore all'80%. In particolare, l'art. 5 comma 7 del d.lgs. n. 50/2016, individua i meccanismi operativi per la determinazione della menzionata percentuale, prescrivendo che devono essere presi in considerazione il fatturato totale medio, oppure, in mancanza dello specifico dato relativo al fatturato, una idonea misura alternativa basata sull'attività, quale i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto o della concessione. In linea con tale impostazione, si pone l'art. 16 del TUSP, il quale contiene specifiche disposizioni volte a garantire il rispetto del limite in questione. Anzitutto, il comma 3 impone che gli statuti delle società in house di prevedere che oltre l'80% del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci. Il requisito dell'attività prevalente con il socio controllante di cui all'art. 16, comma 3, d.lgs. n. 175 del 2016 è condizione necessaria inter alia per qualificare la società controllata come società in house (Cons. St. V, n. 6460/2020). La norma, letta singolarmente, non appare di facile applicazione perché, non prevedendo uno specifico arco temporale in riferimento al quale effettuare le misurazioni dei ricavi, sembrerebbe richiedere un monitoraggio costante delle fonti di fatturato (Cian, 235). In ragione di ciò, è ragionevole che la disposizione debba essere letta congiuntamente al menzionato art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, così da ritenere applicabile il criterio triennale previsto espressamente da quest'ultima disposizione. Al successivo comma 3- bis, l'art. 16 del TUSP consente alle società in house di destinare la produzione ulteriore rispetto al limite di fatturato dell'80% anche a finalità diverse da quelle affidate dall'amministrazione controllante, purché ciò sia effettuato per conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società. La disposizione, precisa il Consiglio di Stato, lungi dal costituire espressione di un favore del legislatore per una supposta vocazione commerciale della società in house, costituisce invero un ulteriore limite al ricorso all'istituto dell'in house providing introdotto dal TUSP (Cons. St. V, n. 6459/2018; in tal senso cfr. Cons. St., Ad. della Commissione speciale, parere n. 638/2017). Il comma 4 della norma in commento dispone, a sua volta, che il mancato rispetto del limite dell'80% costituisce grave irregolarità ai sensi dell'art. 2409 c.c. e dell'art. 15 del TUSP. Sul punto si rinvia ai commenti dei precedenti artt. 13 e 15 del TUSP. Il comma 5 prevede poi che, nel caso di mancato rispetto del richiamato limite di fatturato, la società in house può sanare l'irregolarità se, entro tre mesi dalla data in cui la stessa si è manifestata, rinuncia a una parte dei rapporti con soggetti terzi, sciogliendo i relativi rapporti contrattuali, ovvero rinuncia agli affidamenti diretti da parte dell'ente o degli enti pubblici soci, sciogliendo i relativi rapporti. In quest'ultimo caso le attività precedentemente affidate alla società controllata devono essere riaffidate, dall'ente o dagli enti pubblici soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale, e nelle more dello svolgimento delle procedure di gara i beni o servizi continueranno ad essere forniti dalla stessa società controllata. Infine, il comma 6 dell'art. 16 specifica che nell'ipotesi di rinuncia agli affidamenti diretti, di cui al comma 5, la società può continuare la propria attività se e in quanto sussistano i requisiti di cui all'art. 4 del TUSP (sul punto di rinvia al commento del precedente art. 4 del TUSP); e precisa che, a seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo. Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che «il superamento del limite di cui all'art. 16 del d.lgs. n. 175/2016 non prevede come sanzione la perdita della capacità di partecipare a gare pubbliche ulteriori (previsione che dovrebbe essere tipica ed espressa essendo appunto una limitazione della capacità generale), e ciò neanche se tale limitazione è stata prevista nello statuto (cfr. Cass. n. 2384/2015)», e che «il d.lgs. 175/2016, quanto alla violazione delle previsioni di statuto di cui all'art. 3 del medesimo art. 16, si esprime in termini di mera irregolarità sanabile (cfr. il comma 5), attraverso l'esercizio una opzione tra la rinuncia a parte di rapporti con soggetti estranei o a tutti gli affidamenti diretti; con una disposizione da intendersi speciale rispetto all'art. 2384 c.c.. Quindi non una incapacità di agire ma una incompatibilità da sciogliere attraverso l'esercizio di un'opzione» (T.A.R. Abruzzo, Pescara, n. 49/2019). La potenziale partecipazione dei privati.La partecipazione di soci privati alle società in house , come chiarito nel precedente § 2, rappresenta un'assoluta novità introdotta dalle Direttive del 2014. Prima di tale intervento, infatti, la giurisprudenza europea si era assestata su posizioni molto rigorose volte ad escludere in termini assoluti la partecipazione dei privati nelle società in house (Corte di Giustizia CE, 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle; Corte di GiustiziaCE, 21 luglio 2005, C-231/03, Consorzio Coname; Corte di Giustizia, 18 gennaio 2007, C-225/05, Je. Au.). Ancor più rigorosa era stata l'impostazione seguita dalla giurisprudenza nazionale che, in modo ancor più categorico, aveva negato la qualifica di società in house ogniqualvolta lo statuto dell'ente avesse contemplato anche solo la mera eventualità della cessione di partecipazioni sociali ai privati (Cass. S.U., n. 968/2017; Cass.S.U., n. 5491/2014; Cass.S.U., n. 7177/2014; Cons. St., Ad. plen. n. 1/2008; Cons. St. VI, n. 2660/2015; Cons. St. V, n. 4253/2015; Garilli, 51). È con l'entrata in vigore delle Direttive del 2014 che viene ammessa, in via del tutto eccezionale, la partecipazione dei privati nel capitale delle società in house, purché tale partecipazione non comporti il controllo o il potere di veto, sia prescritta dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, e non eserciti un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata. La disciplina euro-unitaria è stata recepita, dapprima dall'art. 5del d.lgs. n. 50/2016, il quale esclude in linea generale la partecipazione dei privati, fatta eccezione per le «forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata». Sulla stessa linea si è posto l'art. 16 del TUSP che, tra i requisiti dell'in house, richiede che nel soggetto giuridico controllato non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati «ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata». Le norme nazionali sembrano apparentemente sovrapponibili. Tuttavia, la differenza semantica tre le due disposizioni («previste»/»prescritta») ha indotto a ritenere che l'art. 16 del TUSP abbia operato un rinvio a specifiche disposizioni di legge che «prescrivono» e dunque impongono la partecipazione dei privati e non anche a quelle che genericamente la «prevedono», come invece disposto dall'art. 5 del d.lgs. n. 50/2016. Inoltre, secondo la lettura dell'art. 16 del TUSP operata dalla giurisprudenza, la specifica «prescrizione» «deve attuarsi mediante una chiara esplicitazione delle ragioni che giustificano la partecipazione di privati nella compagine societaria» (cfr. Cons. St., Ad., Commissione speciale, n. 438/2016; Cons. St. I, n. 1389/2019). A fronte del contrasto tra le due norme interne, il Consiglio di Stato ha ritenuto prevalente l'art. 16 del TUSP, non solo perché tale disposizione rappresenta una lex posterior rispetto all'art. 5 del d.lgs. 50/2016, ma anche perché l'espressione semantica dalla medesima utilizzata («prescritta») è esattamente quella contenuta nella direttiva comunitaria (Cons. St. I, 1389/2019; Cons. St. III, n. 1385/2020). In conseguenza di ciò, il Consiglio di Stato ha ritenuto che «l'art. 5, d.lgs. n. 50/2016, è una formulazione che rimanda ad una successiva norma di legge che espressamente prescriva la partecipazione dei privati alla società in house e, soprattutto, che ne stabilisca le modalità di partecipazione e di scelta del socio»; finendo così per concludere che «fino a quando non ci sarà una legge che attui tale previsione, deve ritenersi preclusa ai privati la partecipazione alla società in house dato che, diversamente opinando, non sapremmo né in che percentuale possano partecipare, né come debbano essere scelti. Questo è ciò che porta a distinguere le società in house dalle società miste, per le quali è disciplinata una partecipazione mista di capitale pubblico-privato» (Cons. St. III, n. 1385/2020). Oltre alla specifica «prescrizione» che impone la partecipazione dei privati nell'in house, l'art. 16 del TUSP ritiene ammissibile quest'ultima solo se non sia di maggioranza (ovvero di controllo) o se, pur di minoranza, non si riveli decisiva, attraverso il possibile esercizio di veto. La ratio della norma è quella di evitare che l'aggiudicazione di un affidamento diretto determini un indebito vantaggio in favore degli operatori economici privati titolari della partecipazione, ai danni degli altri operatori privati concorrenti (Stanizzi, 100; Ciaralli, 125). Il rinvio operato all'art. 192 del d.lgs. n. 50/2016L'art. 16 del TUSP si conclude con il comma 7, secondo cui le società in house sono tenute all'acquisto di lavori, beni e servizi nel rispetto della disciplina dettata dal d.lgs. n. 50/2016, fermo restando quanto previsto dagli artt. 5 e 192 del medesimo decreto. Si tratta di una norma generale, che contempla l'ipotesi in cui la società affidataria in house risulti a sua volta affidante (Pettiti, 246), e precisa che in tale ipotesi la stessa è tenuta rispettare la disciplina dei contratti pubblici per gli affidamenti cui intenda procedere, fatto salvo quanto previsto dagli art. 5 e 192 del d.lgs. n. 50/2016. Mentre l'art. 5 del d.lgs. n. 50/2016, come illustrato nei precedenti paragrafi, reca la disciplina sostanziale dell'in house, definendone nel dettaglio i requisiti, il successivo art. 192 introduce specifiche regole procedimentali di portata innovativa che delineano un «regime speciale» per gli affidamenti in house, di cui è opportuno esaminarne il contenuto. Il richiamato art. 192, al comma 1, al fine di assicurare il rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza, prevede l'istituzione presso l'ANAC di un elenco di amministrazioni aggiudicatrici che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. Sul piano procedurale, l'iscrizione deve avvenire previa presentazione di apposita domanda da parte dei soggetti interessanti, e secondo le modalità e i criteri definiti dall'ANAC. Sotto quest'ultimo profilo, il Consiglio di Stato, nel parere reso in merito alle «Linee guida per l'iscrizione nell'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall'art. 192 del d.lgs. n. 50/2016», ha chiarito che le linee guida dell'ANAC non possono comunque integrare i presupposti legittimanti l'in house providing, ma devono limitarsi a una loro prudente esemplificazione, sicché i parametri fissati dall'ANAC, con particolare riferimento al cd. «controllo analogo», «sono esemplificativi e non fissano una griglia esaustiva, che si tradurrebbe in non consentiti precetti integrativi o modificativi delle elastiche regole fissate dalla legge» (Cons. St., parere n. 282/2017). Il Cons. St., nel parere n. 855/2016, ha altresì chiarito che l'iscrizione presso l'elenco ha efficacia dichiarativa e non costitutiva, con la conseguenza che le amministrazioni possono procedere ad affidamenti diretti, sotto la propria responsabilità, purché sussistano i requisiti previsti dall'art. 5 del d.lgs. n. 50/2016, non solo successivamente all'inoltro della domanda e nelle more del perfezionamento dell'iscrizione, ma anche a prescindere dall'inoltro della domanda di iscrizione (Comunicato ANAC 3 agosto 2016). Particolare attenzione merita il comma 2 dell'art. 192 del d.lgs. n. 50/2016, il quale prevede che ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti devono effettuare preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche. La norma, dunque, impone all'amministrazione, che intende procedere ad affidamenti diretti, non solo di dare atto dei motivi di mancato ricorso al mercato, ma anche di svolgere una previa analisi di mercato al fine di verificare che la modalità di gestione prescelta sia effettivamente vantaggiosa per la comunità (Imparato, 290). Sul punto si è pronunciata la Corte di Giustizia che, nella sentenza del 6 febbraio 2020 (C-89/19, C-90/19, C-91/19), ha ritenuto conforme al diritto dell'Unione l'art. 192 del codice dei contratti pubblici, nella parte in cui subordina la conclusione di un contratto in house all'impossibilità di procedere all'aggiudicazione di un appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all'operazione interna, demandando allo Stato membro la definizione di un punto di equilibrio tra i due valori da bilanciare, ovverosia quello della libera autorganizzazione delle pubbliche amministrazioni con quello della concorrenza e del mercato. In particolare, la Corte ha precisato che la direttiva 2014/14 riconosce il principio della libera organizzazione della prestazione dei servizi, per il quale le autorità nazionali possono decidere liberamente quale sia il modo migliore per gestire la prestazione dei servizi al fine di garantire un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, così come la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utenza nei servizi pubblici (par. 36 che richiama la sentenza 3 ottobre 2019 causa C-285/18 Irgita), aggiungendo che tale libertà non è, però, illimitata, in quanto va esercitata nel rispetto delle regole fondamentali del TFUE e, in particolare, della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi (oltre che dei principi che ne derivano come la parità di trattamento, il divieto di discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza, par. 37). La conclusione cui giunge la Corte è, dunque, che gli Stati membri sono autorizzati a subordinare la conclusione di una «operazione interna» per la prestazione di un servizio (tra cui, appunto, l'affidamento in house) «all'impossibilità di indire una gara d'appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificatamente connessi al ricorso all'operazione interna» (par. 41–42). La giurisprudenza amministrativa, a sua volta, ha recentemente precisato che «[a]i fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche»; e che, pertanto, «l'istituto in argomento si pon[e] in posizione subalterna rispetto all'affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica per essere imposto all'amministrazione aggiudicatrice che a quello intenda ricorrere un onere motivazionale rafforzato» (Cons. St. III, n. 3682/2021. Nello stesso senso, Cons. St. IV, n. 7023/2021; V, n. 8028/2020; V, n. 6459/2020). L'art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, quindi, impone che l'affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento dei medesimi servizi (con particolare riguardo alla messa a gara con appalti pubblici e alle forme di cooperazione orizzontale fra amministrazioni): i) la prima, consiste nell'obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l'esclusione del ricorso al mercato. Tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell'affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato fallimento del mercato rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche, cui la società in house invece supplirebbe; ii) la seconda condizione, consiste nell'obbligo di indicare, a quegli stessi propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all'opzione per l'affidamento in house (dimostrazione che non è invece necessario fornire in caso di altre forme di affidamento, con particolare riguardo all'affidamento tramite gare di appalto). Anche qui la previsione dell'ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regìme di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese. In tale contesto è intervenuto di recente il legislatore con l'adozione del d.l. n. 77/2021 sulla «Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza (PNRR) e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure». In particolare, l'art. 10 del d.l. n. 77/2021, recante «Misure per accelerare la realizzazione degli investimenti pubblici» ha ampliato l'applicazione del modello organizzativo dell'in house, prevedendo la possibilità per le amministrazioni interessate di avvalersi, mediante apposite convenzioni, del supporto tecnico-operativo di società in house, qualificate ai sensi dell'art. 38 del d.lgs. n. 50/2016, al fine sostenere la definizione e l'avvio delle procedure di affidamento ed accelerare l'attuazione degli investimenti pubblici, in particolare di quelli previsti dal PNRR e dai cicli di programmazione nazionale e dell'Unione europea 2014-2020 e 2021-2027 (comma 1). La disposizione, inoltre, specifica: i) al comma 2, che l'attività di supporto cui sono preordinate le società in house copre anche le fasi di definizione, attuazione, monitoraggio e valutazione degli interventi e comprende azioni di rafforzamento della capacità amministrativa, anche attraverso la messa a disposizione di esperti particolarmente qualificati; ii) al comma 3, che «Ai fini dell'art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, la valutazione della congruità economica dell'offerta ha riguardo all'oggetto e al valore della prestazione e la motivazione del provvedimento di affidamento dà conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio di tempo e di risorse economiche, mediante comparazione degli standard di riferimento della società Consip S.p.A. e delle centrali di committenza regionali»; iii) al comma 4, che anche le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, per il tramite delle amministrazioni centrali dello Stato, possono avvalersi del supporto tecnico-operativo delle società in house per la promozione e la realizzazione di progetti di sviluppo territoriale finanziati da fondi europei e nazionali; iv) al comma 5, che per le società in house statali, è il Ministero dell'economia e delle finanze a definire i contenuti minimi delle convenzioni per l'attuazione di quanto previsto dal comma 4, e che le Amministrazioni provvedono per i relativi oneri nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente; v) e al comma 6, che le società in house, ai fini dell'espletamento delle attività di supporto, possono provvedere con le risorse interne, con personale esterno, nonché con il ricorso a competenze – di persone fisiche o giuridiche – disponibili sul mercato, nel rispetto di quanto stabilito d.lgs. n. 50/2016 e dal TUSP. È evidente, dunque, come il recente intervento normativo abbia introdotto rilevanti modifiche in tema di società in house, ampliandone l'ambito di applicazione, allo scopo di consentire la più efficace attuazione del Piano nazionale di rilancio e resilienza. Sempre in tale contesto, l'ANAC ha adottato, ai sensi dell'art. 213, comma 2 del d.lgs. n. 50/2016, lo schema di Linee Guida recanti le «Indicazioni in materia di affidamenti in house di contratti aventi ad oggetto lavori, servizi o forniture disponibili sul mercato in regime di concorrenza ai sensi dell'art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i.», con l'obiettivo di fornire indicazioni utili alle stazioni appaltanti per la formulazione della motivazione richiesta dall'art. 192, comma 2, del codice dei contratti pubblici nel caso di affidamento diretto ad organismi in house, ed in particolare allo scopo di orientare l'azione degli enti interessati verso comportamenti conformi alla normativa vigente ed uniformi, favorendo la diffusione di best-practice. Il Consiglio di Stato, tuttavia, con il parere n. 1614 del 7 ottobre 2021, sia pure «nell'ottica di proficua cooperazione instauratasi da tempo» con l'ANAC, ha ritenuto di sospendere la pronuncia del richiesto parere, e di rinviare ogni ulteriore valutazione e considerazione nel merito contenutistico delle proposte Linee Guida all'esito di ulteriori approfondimenti da parte di ANAC. La Sezione Consultiva del Consiglio di Stato, infatti, si è pronunciata (o per meglio dire non si è pronunciata) in tal senso, perché lo schema di Linee Guida proposto dall'Autorità, oltre a non aver considerato il menzionato art. 10 deld.l. n. 77/2021, il quale, come detto, ha «ampliato l'area applicativa del ricorso all'in house providing », non ha neppure tenuto conto, sotto il profilo de jure condendo , del recente disegno di legge AS 2330 di Delega al Governo in materia di contratti pubblici, presentato dal Governo al Senato in data 21 luglio 2021, con l'obiettivo, tra gli altri, di «assicurare il perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee mediante l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse». Secondo il Consiglio di Stato, infatti, pur trattandosi di una questione ancora de jure condendo, «È verosimile che tale riforma modifichi ulteriormente, e in tempi ravvicinati, le prassi amministrative che ci si propone di cambiare con lo schema in oggetto, rinvenendo magari ancora un altro, diverso punto di equilibrio tra le esigenze di speditezza, celerità, efficienza ed efficacia operativa delle pubbliche amministrazioni nella realizzazione degli investimenti pubblici e le esigenze di promozione del mercato e della concorrenza, nonché di garanzia della trasparenza e imparzialità dell'azione amministrativa, assume, pertanto, in questo preciso momento storico, un rilievo del tutto strategico e centrale». In definitiva, a parere del Consiglio di Stato, si tratta di importanti (e ancora in evoluzione) elementi di un contesto normativo che devono essere presi in considerazione per l'esame dello schema delle Linee Guida che, pur di natura non normativa, in quanto non vincolanti, incidono in maniera rilevante sull'assetto e sulla applicazione pratica dell'istituto giuridico dell'in house providing. Questioni applicative1) Il fenomeno dell'in house nella recente giurisprudenza e della Corte di Giustizia e della Corte costituzionale: regola o eccezione? Si discute da sempre se il modello dell'in house rappresenti un fenomeno del tutto eccezionale, da relegare ad ipotesi residuali, previo accertamento del cosiddetto «fallimento del mercato» (in tal senso, la pregressa disciplina di cui all'art. 23-bis del d.l. n. 125/2008 e l'art. 4 del d.l. n. 138/2011, nonché la prevalente giurisprudenza amministrativa – ad esempio: Cons. St., Ad. plen. 3 marzo 2008, n. 1); ovvero se, nell'attuale stadio evolutivo dell'ordinamento UE e nazionale, l'in house rappresenti una modalità di conferimento del tutto legittima e ordinaria rispetto all'affidamento con gara e alle forme di partenariato pubblico privato istituzionalizzato (così T.A.R. Emilia - Romagna, Bologna II, 21 maggio 2019, n. 461; vedi anche Cons. St. I., parere n. 2583/2018, sulla compatibilità con il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni ex art. 117 Cost. di una legge regionale piemontese che prevede lo svolgimento del servizio pubblico di interesse generale, rientrante nelle competenze tipiche dell'ente regionale, mediante una società in house partecipata a pure da soggetti privati. Come si vedrà meglio nell'esame dell'art. 192, il codice dei contratti ha sciolto il dilemma nel senso della collocazione della delegazione inter-organica su un piano di eccezione risetto alla regola del ricorso al mercato. Si può quindi ricorrere a tale paradigma solo laddove venda dimostrato in modo motivato il fallimento del mercato, ossia l'impossibilità di soddisfare in modo adeguato l'interesse pubblico seguendo la dinamica dell'outsourcing. Nel rispondere al quesito pregiudiziale sottoposto sul punto da Cons. St. V, n. 138/2019, la Corte di Giustizia UE, con Ordinanza sez. IX, 6 febbraio 2020, cause riunite da C 89/19 a c 91/2019, ha stabilito che, in virtù del principio euro-unitario di autodeterminazione degli Stati membri sulle proprie scelte gestionali derivante dal considerando § 5 della Direttiva 2014/14, UE è indifferente per l'ordinamento euro-unitario che uno Stato membro introduca delle condizioni stringenti tese alla verifica dell'economicità e dell'efficienza del modello dell'autoproduzione rispetto al ricorso mercato. In questo quadro va ricordata anche la sentenza n. 100/2020 della Corte costituzionale, che ha respinto la questione di legittimità costituzionale sollevata in merito all'art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), sospettata di violazione del divieto di gold plating (divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie), nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti danno conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house, delle ragioni del mancato ricorso al mercato. Secondo i giudici costituzionali, il divieto di gold plating (che è un principio di diritto nazionale e non europeo) deve essere applicato in conformità alla sua ratio, che è di impedire l'introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa unionale, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all'amministrazione e segue una direttrice pro-concorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato. L'obbligo di motivazione sulle ragioni del mancato ricorso al mercato imposto, infatti, risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa oltre che della tutela e della promozione della concorrenza. 2)Il controllo analogo come requisito genetico e funzionale: Il controllo analogo richiesto per configurare l'in house providing si sostanzia in un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società controllata, tale per cui quest'ultima, pur costituendo una persona giuridica distinta dall'ente pubblico partecipante, in realtà ne costituisce una mera articolazione organizzativa priva di effettiva autonomia; pertanto, per gli enti in house pluripartecipati, il c.d. controllo analogo congiunto deve essere esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che sia necessaria una verifica della posizione di ogni singolo ente circa i requisiti necessari per disporre l'affidamento in house (Cons. Stato, VII, 2 novembre 2023, n. 9452). Non é necessario che il controllo analogo sia esplicato nelle forme assolute e gerarchiche previste per gli uffici dell'ente, visto che si tratta di controllo su soggetto esterno e distinto (Cass., Sez. Un., 8 genaio 2024, n. 576, a proposti del controllo dell'Asl di Foggia su una società in house. In base all'art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, devono essere esplicitate in modo chiaro le ragioni dell'affidamento in house, con specifico riferimento alla prospettiva economica, sicché l'amministrazione deve valutare in modo specifico la convenienza dell'affidamento del servizio secondo lo schema dell'in house rispetto all'alternativa costituita dal ricorso al mercato, attraverso una comparazione tra dati da svolgersi mettendo a confronto operatori privati operanti nel medesimo mercato, al fine di dimostrare che quello fornito dalla società in house è il servizio economicamente più conveniente ed in grado di garantire la migliore qualità ed efficienza; e l'importanza della comparazione con le offerte reperibili sul mercato, in termini di convenienza economica, emerge da ultimo anche dall'art. 7, comma 2, del d. lgs. n. 36 del 2023Cons. Stato, VII, 2 novembre 2023, n. 9452) Da quanto fin qui detto si ricava, in definitiva, che, ai fini dell'affidamento dei servizi alla società in house non è necessaria una procedura di gara pubblica poiché manca un'alterità sostanziale tra affidante e affidatario (artt. 17 TUn. 201/2022 e 7 D.Lgs. n. 36/2023). Quindi, mentre ai fini civilistici, il negozio viene in rilievo un contratto inter-soggettivo, ai fini pubblicistici ci sarà un'autoproduzione (c.d. in house providing). Per la stessa ragione se la societ à in house avesse bisogno di un soggetto esterno per lo svolgimento dei servizi essa dovrà svolgere una gara di appalto: non si giustifica, cioè, l'affidamento senza gara di un'esternalizzazione del servizio a un soggetto privato. I requisiti dell'affidamento in house devono sussistere non solo via genetica, ma anche in chiave funzionale in quanto il valore della concorrenza osta a che la gestione di un servizio pubblico possa proseguire da parte di un operatore non più sottoposto a controllo analogo ex art. 12 della direttiva 24/2014 non; infatti, Corte Giust. IV 12 maggio 2022, C-719/20 statuisce che la direttiva 2014/24 osta a che l'esecuzione di un appalto pubblico che sia stato oggetto di affidamento in house, prosegua, senza indizione di gara, qualora l'amministrazione aggiudicatrice ( a seguito della vendita con gara della partecipata) non possieda più alcune partecipazione, neppure indiretta, nell'ente affidatario e non disponga più di alcun controllo su quest'ultimo (e tanto in base a un'interpretazione restrittiva e pro-concorrenziale dei requisiti dell'affidamento diretto secondo cui l'acquisizione privata della società pubblica durante l'appalto integra il cambiamento di una condizione fondamentale del contratto che impedisce l'assimilazione del nuovo ente affidatario ai servizi interni dell'amministrazione aggiudicatrice; non è applicabile, poi, Corte Giust Acoset/2009 sull' affidamento diretto alla società mista con socio operativo selezionato con evidenza pubblica perché nella specie il Comune di Lerici era totalmente estrano alla compagine societaria. Vedi, però, Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2023, n. 9933: il fatto che, successivamente a un'operazione di aggregazione, l'ente comunale che abbia venduto le proprie azioni della società originaria in house non abbia successivamente acquisito le azioni della nuova società aggregatrice, non è elemento idoneo a far venir meno i presupposti per la prosecuzione del servizio (senza soluzione di continuità) da parte dell'operatore economico individuato con gara a doppio oggetto a seguito dell'operazione medesima, atteso che al momento della individuazione della nuova società come soggetto aggregatore l'ente comunale faceva ancora parte della compagine societaria della precedente società in house (e quindi partecipava delle relative decisioni gestionali e organizzative), mentre al momento della dismissione del pacchetto azionario da parte dell'ente comunale, quest'ultimo aveva già perduto la competenza in ordine alla gestione del servizio, che è stata attribuita alla provincia. Più in generale, si deve ritenere, sulla scorta della previsione del dettato dell'art. 16, comma 2, del D.Lgs 201/2022, che ove l' in house venga meno a causa del subentro di un socio provato scelto con gara a doppio oggetto., non viene in rilievo l'ingiustificata procrastinazione di un privilegio diventato anti-competitivo, ma di una trasformazione-novazione dell'affidamento che, pur a fronte della permanenza di un medesimo soggetto, cambia da affidamento in house a esternalizzazione in favore di soggetto scelto con gara; ne deriva, quindi, il carattere virtuoso e pro-concorrenziale del cambiamento. Con Ordinanza n. 1930/2024 sono state rimesse alle Sezioni Unite le questioni relative: a) ai presupposti per l'affidamento in house quale forma di gestione del servizio idrico integrato e all'individuazione dei limiti di esercizio del potere discrezionale degli enti locali ricadenti nell'ambito ottimale; b) al se la relativa scelta è soggetta al rispetto di un necessario obbligo di adeguata e analitica motivazione (col supporto di relazione tecnica e piano economico-finanziario) circa le ragioni di fatto e di convenienza che giustificano l'affidamento diretto in house della gestione del SII rispetto alle altre opzioni, dando conto – perciò - delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività derivanti dalla forma di gestione prescelta, con riferimento agli obiettivi di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché con riguardo all'ottimale impiego delle risorse pubbliche; c) al se la costituzione in forma societaria del soggetto gestore in house o l'acquisto delle partecipazioni (nonché il loro mantenimento), affinché lo stesso sia interamente ed obbligatoriamente partecipato da tutti gli enti locali ricadenti nell'ambito ottimale, debba avvenire nel rispetto delle norme del Tusp (d.lgs. 175/216); d) al se l'assetto organizzativo del soggetto in house gestore del SII debba rispettare le condizioni e requisiti richiesti per il “controllo analogo congiunto” (o pluripartecipato) da parte di tutti gli enti locali soci (quand'anche con partecipazioni di minoranza o minime) e per l' “attività prevalente” (previsti dal Codice dell'ambiente, dal Codice dei contratti pubblici e dal Tusp). 3)La motivazione dell'affidamento in house deve essere ordinaria o rafforzata? L'affidamento in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica è sottoposto a un preciso onere motivazionale a tutela della concorrenza (Corte cost., sent. n. 100/2022), che comporta la necessità per gli enti locali di valutare le possibili alternative, oltre che la congruità economica e i benefici per la collettività (vedi, da ultimo, sull'intensità dell'onere motivazionale, Cons. Stato, V, nn. 243/2024 e 843/2024) . Tale verifica si riverbera sul piano istruttorio «nella attribuzione alla stessa PA della scelta, anch'essa eminentemente discrezionale, in ordine alle modalità più appropriate - salva la verifica del giudice amministrativo circa la loro idoneità a fornire un quadro attendibile ed esaustivo della realtà fattuale rilevante nei sensi illustrati – a cogliere, in relazione alla concreta fattispecie, i dati necessari al fine di compiere, in maniera oggettiva quanto completa, la suddetta valutazione di “preferenza”: metodo che impone coerentemente all'amministrazione di prendere in considerazione sia la soluzione organizzativa e gestionale praticabile attraverso il soggetto in house (al fine, appunto, di enucleare i “benefici per la collettività” da essa attesi), sia la capacità del mercato di offrirne una equivalente, se non maggiormente apprezzabile, sotto i profili della “universalità e socialità, efficienza, economicità, qualità del servizio e ottimale impiego delle risorse pubbliche”» (Cons. Stato, Sez. III, n. 2102/2021). L'onere motivazionale prescritto dal d.lgs. n. 201/2022 e dal d.lgs. n. 175/2016 differisce sotto alcuni aspetti da quello previsto, in linea generale, dal vigente codice dei contratti pubblici. Il primo, attiene all' ambito oggettivo di applicazione: mentre l'art. 7, comma 2 del d.lgs. n. 36/2022 – analogamente al previgente art. 192 del d.lgs. n. 50/2016 – impone alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti adottano di adottare per ciascun affidamento un provvedimento motivato, l'art. 17 del d.lgs. n. 201/2022 impone di corredare l'affidamento in house della qualificata motivazione solo in caso di superamento delle soglie di rilevanza europea. Il secondo, attiene al contenuto dell'obbligo motivazionale, atteso che, l'art. 7, comma 2 del d.lgs. n. 36/2022 – analogamente al previgente art. 192 del d.lgs. n. 50/2016 – richiede che siano fornite le ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento «obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione, celerità del procedimento e razionale impiego di risorse pubbliche», l'art. 17 del d.lgs. 201/2022, con specifico riferimento ai benefici per la collettività, impone all'ente locale di tenere in considerazione molti più fattori, ovverosia: gli investimenti, la qualità del servizio, i costi dei servizi per gli utenti, l'impatto sulla finanza pubblica, gli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell'ambiente e accessibilità dei servizi. 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