Decreto legislativo - 14/03/2013 - n. 33 art. 3 - Pubblicità e diritto alla conoscibilitàPubblicità e diritto alla conoscibilità
1. Tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di accesso civico, ivi compresi quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell'articolo 7 1. 1-bis. L'Autorità nazionale anticorruzione, sentito il Garante per la protezione dei dati personali nel caso in cui siano coinvolti dati personali, con propria delibera adottata, previa consultazione pubblica, in conformità con i principi di proporzionalità e di semplificazione, e all'esclusivo fine di ridurre gli oneri gravanti sui soggetti di cui all'articolo 2-bis, può identificare i dati, le informazioni e i documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della disciplina vigente per i quali la pubblicazione in forma integrale è sostituita con quella di informazioni riassuntive, elaborate per aggregazione. In questi casi, l'accesso ai dati e ai documenti nella loro integrità è disciplinato dall'articolo 5 2. 1-ter. L'Autorità nazionale anticorruzione può, con il Piano nazionale anticorruzione, nel rispetto delle disposizioni del presente decreto, precisare gli obblighi di pubblicazione e le relative modalità di attuazione, in relazione alla natura dei soggetti, alla loro dimensione organizzativa e alle attività svolte, prevedendo in particolare modalità semplificate per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, per gli ordini e collegi professionali 3. [1] Comma modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97. [2] Comma aggiunto dall'articolo 4, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97. [3] Comma aggiunto dall'articolo 4, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97. InquadramentoL'art. 3 del d.lgs. n. 33/2013 stabilisce che tutti i documenti, le informazioni e i dati suscettibili di accesso civico sono pubblici e correla a tale carattere il diritto di tutti i consociati non solo di venirne a conoscenza, ma anche di fruirne gratuitamente, nonché di utilizzarli e riutilizzarli nelle forme e con i modi previsti dall'art. 7 del d.lgs. n. 33/2013. Quest'ultima previsione, in particolare, riguarda i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, i quali devono essere pubblicati o resi disponibili in seguito all'esperimento dell'accesso civico ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013 in formato aperto all'origine, in modo che le pubbliche amministrazioni possano contenere i costi di pubblicazione, garantendone al contempo la massima diffusione in favore della collettività. Per tali dati, inoltre, sono consentite forme di utilizzazione e riutilizzazione da parte dei consociati, nel solo rispetto dell'obbligo di citarne la fonte e rispettare l'integrità delle informazioni apprese. La norma, al fine di ridurre gli oneri gravanti sulle pubbliche amministrazioni e sugli altri soggetti tenuti ad assolvere gli obblighi di trasparenza ai sensi dell'art. 2-bis del d.lgs. n. 33/2013, attribuisce all'ANAC il potere di individuare, facendo applicazione dei principi di proporzionalità e semplificazione, le informazioni e i documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria, per i quali la pubblicazione integrale è sostituita con quella di informazioni riassuntive, elaborate in maniera aggregata. La previsione da parte dell'ANAC di una pubblicazione in forma sintetica, tuttavia, non preclude la conoscibilità integrale di tali informazioni, potendo la stessa avvenire nelle forme dell'accesso civico di cui all'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013. La norma, inoltre, specifica che laddove le informazioni per le quali l'ANAC intende sostituire la pubblicazione in forma integrale con quella in forma sintetica presentino anche dati di carattere personale, allora la delibera che dispone questa forma di pubblicazione andrà adottata non solo previa consultazione pubblica, ma anche dopo aver sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Infine, la norma prevede che l'ANAC, nell'ambito del Piano nazionale anticorruzione, possa precisare gli obblighi di pubblicazione e le relative modalità di attuazione, altresì disponendo modalità semplificate di pubblicazione sia per i Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, sia per gli ordini e collegi professionali. Il principio di pubblicità e la sua relazione con il principio di trasparenza tra complementarità e continenzaL'art. 3 del d.lgs. n. 33/2013, a differenza delle previsioni contenute nell'art. 1 con riguardo al principio generale di trasparenza, non contempla una specifica nozione di pubblicità, né qualifica la stessa come principio generale. Ciò risponde a una precisa e ponderata scelta legislativa, che marca una sostanziale differenza rispetto a quanto previsto dall'art. 1 della l. n. 241/1990 che, con riguardo alla disciplina del procedimento amministrativo, annovera sia la pubblicità che la trasparenza tra i principi generali dell'attività amministrativa. Occorre innanzitutto segnalare che in dottrina non si riscontrano posizioni univoche in ordine al concetto di pubblicità. Invero, alcuni autori ritengono che esso coincida con il principio di trasparenza e che tanto gli obblighi di pubblicazione, quanto il diritto di accesso ne siano concreta applicazione (Clarich, 158; Sandulli, 1 ss.), mentre altri (Cavallaro, 121; Marrama, 419) considerano la pubblicità correlata alla qualità dei singoli atti e in ciò si differenzierebbe dalla trasparenza che, invece, investe l'intera organizzazione dell'apparato amministrativo e il complessivo esercizio dei poteri pubblici. In proposito vale osservare che l'impostazione dottrinale che distingue il principio di trasparenza da quello di pubblicità si è sviluppata prima dell'intervento legislativo del 2016, cioè in un contesto ordinamentale nel quale il principio di trasparenza non era ancora inteso nell'ampia accezione normativa prevista dall'attuale formulazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 33/2013, con la conseguenza che esso, pur essendo annoverato tra i principi generali dell'azione amministrativa – ancorché solo in seguito alle modifiche apportate all'art. 1 della l. n. 241/1990 dall'art. 1, comma 1, lett. a), della l. n. 15/2005 (posto che la legge generale sul procedimento amministrativo, nella sua originaria formulazione, faceva unicamente menzione del principio di pubblicità) – non aveva ancora raggiunto un grado di maturazione tale da consentirne la collocazione tra i principi generali dell'ordinamento giuridico. Pertanto, per circa 15 anni dalla entrata in vigore della legge generale sul procedimento amministrativo, la pubblicità ha costituito l'unico principio, espressamente positivizzato dal legislatore, finalizzato a soddisfare l'esigenza di visibilità dell'operato delle pubbliche amministrazioni. Per tale ragione occorre, dunque, analizzare brevemente la portata e il ruolo del principio di pubblicità in seguito all'entrata in vigore della l. n. 241/1990, in quanto ciò risulta imprescindibile per comprendere il significato che il concetto di pubblicità assume nell'ambito della normativa sulla trasparenza. La dottrina (Caringella, 940 ss.; Cerulli Irelli, 264 ss.) ha osservato che il principio di pubblicità rappresenta una delle innovazioni principali dellal. n.241/1990 e, sostanzialmente, si concretizza nel dovere dell'amministrazione di fornire visibilità esterna e rendere controllabile da parte dei soggetti amministrati la propria attività. Prima della piena affermazione del principio di trasparenza, la pubblicità aveva assunto una valenza precipuamente procedimentale in quanto, consentendo ai soggetti incisi dall'esercizio dei poteri pubblici di conoscere l'esistenza del procedimento e dei suoi atti, risultava funzionale all'esercizio delle facoltà partecipative e, quindi, alla tutela in sede amministrativa delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte nel rapporto giuridico amministrativo. Con l'avvento della legge generale sul procedimento amministrativo il perimetro di operatività del principio di pubblicità venne a coincidere con quello del procedimento amministrativo e, di conseguenza, ne costituirono espressione le previsioni normative relative all'obbligo di motivazione del provvedimento, alla nomina del responsabile del procedimento, all'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento, alla partecipazione dei privati, nonché all'accesso agli atti del procedimento (nonostante l'art. 22, sin dalla originaria formulazione, abbia espressamente indicato i principi di trasparenza e imparzialità dell'azione amministrativa quale fondamento dell'istituto dell'accesso agli atti). In questa fase storica, il principio di pubblicità ha giocato un ruolo fondamentale nel determinare un definitivo cambio di paradigma nel rapporto che viene a instaurarsi tra amministrazione e cittadini in occasione dell'esercizio dei pubblici poteri. Infatti, prima della positivizzazione del principio di pubblicità ad opera della l. n. 241/1990, tale relazione era fortemente influenzata dall'atteggiamento di massimo riserbo mantenuto dall'amministrazione, la cui attività doveva essere necessariamente improntata al principio di segretezza. Invero, la centralità del principio di segretezza discendeva dall'art. 15 del Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. n. 3/1957) che prevedeva che «l'impiegato deve mantenere il segreto d'ufficio e non può dare a chi non ne abbia diritto, anche se non si tratti di atti segreti, informazioni o comunicazioni relative a provvedimenti od operazioni amministrative di qualsiasi natura ed a notizie delle quali sia venuto a conoscenza a causa del suo ufficio, quando possa derivarne danno per l'amministrazione o per i terzi [...]». Tale norma, nonostante venne ampiamente criticata dalla dottrina (Giannini, Diritto amministrativo, 902), che l'aveva definita «una norma incomprensibile per la quale tutto e nulla può essere segreto», per la sua formulazione letterale e la previsione di forme di responsabilità in capo all'impiegato che avesse indebitamente divulgato i c.d. arcana imperii (cioè le informazioni coperte da segreto, secondo la nota espressione utilizzata da Publio Cornelio Tacito negli Annales (II, 36), fu ampiamente invocata dalle pubbliche amministrazioni per giustificare la mancata divulgazione di informazioni inerenti alle modalità di svolgimento dell'agere pubblicistico per finalità di tutela della «ragion di Stato». Il segreto amministrativo d'ufficio (o, più semplicemente, segreto d'ufficio) ha, dunque, costituito un incisivo limite alla conoscibilità dell'azione amministrativa (Carloni, 1468), vincolando tutti i dipendenti pubblici «alla più assoluta riservatezza sulle informazioni conosciute per ragione del loro ufficio» (Arena, 30). Con lal. n.241/1990 è stato ridimensionato l'ambito operativo del segreto d'ufficio, divenuto una mera eccezione al principio di pubblicità in seguito alle modifiche apportate dall'art. 28 della legge generale sul procedimento amministrativo all'art. 15 del d.P.R. n. 3/1957 (quali, in particolare, l'espunzione del danno dagli elementi strutturali della fattispecie e l'eliminazione della discrezionalità del capo del servizio nell'impedire il rilascio di atti non segreti). Con le innovazioni normative apportate dalla disciplina del procedimento amministrativo, il campo di applicazione del segreto d'ufficio si è ridotto fortemente, risultando suscettibile di trovare applicazione solo ove sia necessario tutelare particolari interessi, appositamente individuati dalle previsioni sull'accesso ai documenti amministrativi (art. 24 della l. n. 241/1990). La centralità assegnata al principio di pubblicità dalla l. n. 241/1990 si deve proprio alla volontà del legislatore di depotenziare il principio di segretezza dell'azione amministrativa, in modo da far venir meno una delle principali barriere esistenti tra amministrazione e cittadini e rendere più trasparente l'esercizio dei pubblici poteri. Tuttavia, come si vedrà meglio in seguito analizzando la disciplina dettata dagli artt. 5 e ss. del d.lgs. n. 33/2013, fino all'introduzione dell'istituto dell'accesso civico generalizzato gli obiettivi di trasparenza perseguiti dal legislatore sono stati solo in minima parte raggiunti. Infatti, se è vero che il disegno di legge Nigro aveva individuato nell'accesso ai documenti amministrativi l'istituto più efficace per superare la barriera del segreto d'ufficio e realizzare l'obiettivo di rendere trasparente l'operato delle pubbliche amministrazioni, tuttavia non venne accolta la proposta di configurare tale accesso come un diritto civico di tutti i consociati, sganciato da oneri motivazionali e limiti in punto di legittimazione attiva, in quanto non si optò per il modello statunitense del Freedom of Information Act (FOIA). Di tale proposta è rimasta, per lungo tempo, solo una traccia programmatica nell'art. 22 della l. n. 241/1990, nella parte in cui è previsto che il diritto di accesso tende ad assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa. Invero, il legislatore del 1990 si è limitato a rendere relativamente accessibili, nel corso del procedimento, i documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, restringendo la legittimazione a richiedere l'accesso unicamente ai soggetti coinvolti dall'esercizio dei pubblici poteri. Anche successivamente alla conclusione del procedimento, l'accessibilità dei documenti risultava limitata, in quanto l'esercizio del diritto di accesso difensivo postulava (e tuttora postula) la titolarità di una situazione giuridica soggettiva, incisa negativamente dal potere amministrativo e suscettibile di essere azionata in sede giurisdizionale. In dottrina (Arena, 30 ss.) è stato evidenziato che lal. n.241/1990 si arresta allo stadio della pubblicità (dei documenti amministrativi) e, pur introducendo l'istituto del diritto di accesso, non lo configura come diritto civico, ma solo come un'arma in più per gli amministrati da usare contro l'amministrazione per la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive, tanto in sede amministrativa, quanto in sede giurisdizionale. Ciò trova conferma anche nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n.104/2006), che ha avuto modo di chiarire che «la pubblicità dell'azione amministrativa ha assunto, specie dopo l'entrata in vigore della l. n. 241/1990 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), il valore di un principio generale, che attua sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione (art. 97, comma 1, della Costituzione), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti dell'amministrazione (artt. 24 e 113 della Costituzione)». Vale inoltre osservare che il principio di pubblicità sancito dall'art. 1 della l. n. 241/1990, con riguardo ad alcuni specifici ambiti dell'attività (erogazione di vantaggi economici e scelta del contraente privato per la stipula di contratti pubblici) e dell'organizzazione amministrativa (reclutamento del personale), mira a rendere conoscibili determinati provvedimenti, atti e informazioni amministrative per soddisfare ulteriori interessi pubblici, considerati di primario rilievo in chiave ordinamentale (quale, ad esempio, la concorrenza). In particolare, sono espressione del principio di pubblicità le previsioni dettate dall'art. 12 della l. n. 241/1990 nella misura in cui le stesse impongono alle amministrazioni, in vista della adozione di provvedimenti attributivi di vantaggi economici, non solo l'obbligo di predeterminare criteri e modalità di attribuzione, ma anche quello di darne adeguata pubblicazione. Il principio di pubblicità continua tuttora a trovare applicazione ai procedimenti finalizzati alla concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e altri vantaggi economici, anche se nell'attuale formulazione dell'art. 12 della l. n. 241/1990 (ossia, quella successiva alla modifica intervenuta ad opera dell'art. 52, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013) è stato soppresso il riferimento all'obbligo di pubblicazione; tale obbligo, per ragioni di coerenza sistematica, è ora previsto dall'art. 26 del d.lgs. n. 33/2013, inserito nel Capo relativo agli obblighi di pubblicazione concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni. Sul punto vale segnalare che anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. V, n.1552/2015;T.A.R. Molise, n.934/2008;Cons. St. V, n.2345/2005) pacificamente ritiene che l'attribuzione di vantaggi economici debba essere preceduta dalla predeterminazione e pubblicazione, da parte delle pubbliche amministrazioni procedenti, dei criteri relativi alla determinazione dell'an e del quantum da concedere. Il principio di pubblicità trova ampia applicazione anche nel settore dei contratti pubblici, dove il legislatore nazionale, sin dalla legge di contabilità di Stato (r.d. n. 2440/1923), ha imposto alle pubbliche amministrazioni l'obbligo di selezionare il contraente privato attraverso lo svolgimento di procedimenti ad evidenza pubblica. Anche in questo settore il principio di pubblicità assume, tradizionalmente, una valenza di carattere eminentemente procedimentale, permeando procedimenti amministrativi finalizzati a far conseguire al beneficiario (recte, l'aggiudicatario) una utilitas ampliativa della sua sfera giuridica. La valorizzazione del principio di pubblicità, ancorché inizialmente inteso in un'ottica limitatamente procedimentale, costituisce una conquista giuridica recente, frutto di una evoluzione normativa che affonda le sue radici nel diritto comunitario (da ultimo, le direttive nn. 23, 24 e 25 del 2014). Infatti, sotto la vigenza della legge di contabilità di Stato le procedure ad evidenza pubblica erano essenzialmente preordinate al soddisfacimento dell'interesse economico dell'amministrazione, consistente nell'addivenire alla stipula del contratto economicamente più favorevole. Solo con le direttive nn. 17 e 18 del 2004 (trasposte nel primo e ormai abrogato Codice dei contratti pubblici) e poi con le direttive del 2014, trasposte nel vigente Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016), la positivizzazione del principio di pubblicità ha inteso garantire, con carattere prevalente, la più ampia partecipazione alla gara da parte degli operatori economici interessati alla commessa pubblica. In questo settore, pertanto, il principio di pubblicità è divenuto una precondizione ineludibile per la salvaguardia della concorrenza per il mercato, quale forma di competizione che caratterizza gli affidamenti pubblici (Cons. St., Ad. plen., n.13/2011;T.A.R. Campania, Napoli II, n.706/2016). Sul piano normativo interno, dietro l'impulso del diritto comunitario, la pubblicità degli atti e delle operazioni delle procedure ad evidenza pubblica costituisce uno dei principi che il Codice dei contratti pubblici pone non solo a base dell'aggiudicazione e dell'esecuzione di appalti e concessioni che ricadono nel suo ambito oggettivo di applicazione (art. 30), ma anche a fondamento dei procedimenti finalizzati all'affidamento di contratti pubblici esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione di tale Codice (art. 4). Più in particolare, sotto la vigenza del Codice dei contratti pubblici del 2006 (d.lgs. n. 163/2006), a costituire applicazione del principio di pubblicità erano gli obblighi di pubblicazione degli avvisi e dei bandi di gara sanciti dagli artt. 64 e 66, che prevedevano una disciplina differenziata a seconda che la procedura ad evidenza pubblica fosse di tipo aperto, ristretto o negoziata previo bando (oltre all'obbligo di pubblicazione dell'avviso di preinformazione di cui all'art. 63). Tali obblighi costituivano una forma di pubblicità legale (tuttora prevista dal vigente Codice dei contratti pubblici), il cui assolvimento risultava inderogabile ai fini della validità dell'intera procedura ad evidenza pubblica. La giurisprudenza amministrativa ha da tempo riconosciuto che il principio di pubblicità informa anche i lavori della commissione di gara (Cons. St., Ad. plen., n.13/2011;Cons. St. III, n.4168/2011;Cons. St. V, n.8155/2010) e che, in particolare, in forza di tale principio l'apertura dei plichi contenenti l'offerta tecnica e quella economica deve avvenire in seduta pubblica al fine di tutelare, da un lato, la parità di trattamento dei concorrenti e, dall'altro, l'interesse pubblico alla trasparenza e all'imparzialità dell'azione amministrativa. Il mancato rispetto del principio di pubblicità, invero, non consentirebbe di salvaguardare pienamente gli interessi, pubblici e privati, coinvolti nella procedura ad evidenza pubblica, in quanto sarebbe molto più difficile accertare la violazione di tali principi successivamente alla rottura dei sigilli e all'apertura dei plichi, mancando in tal caso la possibilità di avere un riscontro immediato sulla regolarità formale degli atti prodotti e sull'assenza di indebite alterazioni della documentazione di gara (Cons. St. V, n.70/2016;Cons. St., Ad. plen., n.16/2013;Cons. St., Ad. plen., n.31/2012). Più di recente, la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. III, n.627/2021) ha affermato che il rispetto del principio di pubblicità, con riferimento ai lavori della commissione di gara, va necessariamente verificato in stretta aderenza con il regime delle singole procedure selettive, al fine di verificare se risulta effettivamente sussistente un pericolo di manipolazione delle offerte. Per tale ragione, la modalità telematica di svolgimento della gara, caratterizzata dal caricamento della documentazione su piattaforma informatica, consentendo di tracciare in maniera incontrovertibile i flussi di dati tra i singoli partecipanti e garantendo un'immediata e diretta verifica formale della documentazione e della sua acquisizione, è stata considerata rispettosa del principio di pubblicità (e di quello di trasparenza) anche in assenza di seduta pubblica (Cons. St. n.1700/2021;Cons. St. III,n. 8333/2019). Anche con riguardo ai concorsi pubblici il principio di pubblicità assolve una funzione analoga a quella svolta nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica. In proposito, il giudice amministrativo ha avuto modo di affermare che il rispetto del principio di pubblicità assurge a condizione di validità della procedura selettiva. In particolare, il giudice amministrativo ha stabilito che risponde al principio di pubblicità la previsione dell'obbligo di pubblicazione del bando sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, non ritenendo, di contro, adeguata la sua pubblicazione unicamente sull'albo pretorio della Regione o dell'ente locale (Cons. Giust. Amm. Reg. Siciliana, n. 934/2013;T.A.R.Emilia-Romagna (Bologna) I, n. 145/2013) ovvero sul sito Internet dell'amministrazione (Cons. St. V, n.227/2016). Parimenti, sono espressione del principio di pubblicità le norme che prescrivono che le prove orali di un concorso pubblico debbano svolgersi in un'aula o sala aperta al pubblico. In particolare, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto illegittime le prove orali di un concorso pubblico per il fatto che ad alcuni candidati era stato impedito di assistere al loro svolgimento (Cons. St. III, n.1622/2014). Al principio di pubblicità, quindi, è improntata l'attività procedimentale della pubblica amministrazione e ciò sia quando la conoscenza del procedimento sia funzionale all'esercizio del diritto di difesa, sia laddove la sua conoscenza sia preordinata a garantire la più ampia partecipazione dei privati per ragioni attinenti alla distribuzione di risorse economiche limitate, all'affidamento di commesse pubbliche o al reclutamento delle risorse umane. La disamina delle finalità sottese al principio di pubblicità, tuttavia, non consente di coglierne pienamente la portata, in quanto tale principio non può più essere letto in maniera autonoma e limitatamente alla sua applicazione procedimentale in quanto, alla luce della nuova concezione di trasparenza, risulterebbe riduttivo considerare solo il profilo della sua funzionalizzazione alla salvaguardia di interessi correlati al conseguimento o alla conservazione di una specifica utilitas giuridica da parte dei privati, anche se ciò sia strumentale alla tutela degli interessi pubblici affidati alla cura dell'amministrazione (come nel caso dei procedimenti ad evidenza pubblica). Infatti, l'affermazione di un concetto di trasparenza ad ampio raggio, connesso ai principi fondanti dell'ordinamento giuridico statuale e sovranazionale quale, in primis, quello democratico, deve necessariamente condurre a considerare il principio di pubblicità quale strumento di apertura dell'amministrazione nei confronti della società civile, a prescindere da un coinvolgimento diretto dei privati, interessati a conoscere l'attività e l'organizzazione dell'apparato pubblico, in specifici episodi di esercizio del potere. Inteso in questi termini, il principio di pubblicità può dirsi insito e complementare al principio di trasparenza, formando con esso una endiadi, come osservato da una certa parte della dottrina (Massera, 42 ss.). È grazie alla pubblicità che i consociati possono conoscere l'informazione amministrativa, in quanto è con la pubblicazione e l'accessibilità che essa acquisisce visibilità all'esterno dell'amministrazione: la pubblicità allora diviene, al contempo, strumento di apertura in senso democratico dell'amministrazione e presupposto imprescindibile per la conoscibilità e utilizzabilità delle informazioni amministrative da parte di tutti i consociati, convertendosi in un fattore cardine per l'esercizio delle prerogative partecipative enucleabili dal dettato costituzionale (Merloni, 8). Pubblicità, diritto alla conoscibilità e trasparenzaL'affermazione del principio di pubblicità, in seguito all'entrata in vigore del decreto trasparenza, ha condotto al riconoscimento normativo di un vero e proprio diritto alla conoscibilità dell'informazione amministrativa. Il passaggio da principio a diritto, già posto in luce dalla dottrina soprattutto con riguardo al contesto europeo (Sandulli, Droghini, 405), ha comportato una rilevante conseguenza, consistente nella previsione normativa di strumenti di enforcement che il legislatore ha posto a presidio del suo effettivo esercizio: trattasi, come si vedrà più diffusamente in seguito, dei rimedi dell'accesso civico, esperibile in caso di mancata osservanza degli obblighi di pubblicità previsti dalla legge, e dell'accesso civico generalizzato, per i quali oltre ad essere prevista una specifica forma di tutela giurisdizionale, come sancito dall'art. 50 del decreto trasparenza, è stabilito anche un regime di responsabilità ai sensi dell'art. 46 del d.lgs. n. 33/2013. L'impostazione attualmente impressa dal d.lgs. n. 33/2013 al regime di pubblicità dell'informazione amministrativa costituisce il portato della nuova accezione di trasparenza e degli sviluppi, domestici e sovranazionali, occorsi in merito al contenuto, alla portata e alle finalità di tale principio. Più nello specifico, come osservato in precedenza (supra sub art. 1), nella rinnovata accezione normativa la trasparenza espande il proprio ambito ben oltre le forme di conoscibilità dell'informazione amministrativa interne al rapporto bipolare tradizionale con i cittadini (Cassese, 601; Romano, 83; Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Milano 1950, 71) che, come noto, si basava sulla netta contrapposizione tra autorità e libertà in ragione della posizione di netta supremazia dell'amministrazione la quale, nell'esercizio dei suoi poteri autoritativi, poteva perseguire il soddisfacimento degli interessi pubblici affidati alla sua cura anche contro gli interessi dei privati, rendendo la partecipazione al procedimento non indispensabile per la legittimità del suo operato. In seguito al superamento del rigido sistema bipolare e con l'avvento di un'amministrazione che si caratterizza, in maniera sempre più marcata, per essere un soggetto che eroga prestazioni al servizio della collettività dei consociati in un'ottica di risultato (Cammelli, 561; Iannotta, 57 ss.), la pubblicità, dopo una fase iniziale circoscritta alle informazioni inerenti al procedimento amministrativo, ha visto via via ampliare la sua portata ad un più ampio ventaglio di informazioni amministrative e senza che fosse richiesto il previo esercizio dei poteri pubblici, per poi approdare, con la riforma del 2016, a una dilatazione ancora maggiore dello spettro delle informazioni conoscibili grazie alla previsione dell'istituto dell'accesso civico generalizzato, che mira a fornire risposte alle istanze sottese alla nuova accezione ordinamentale di trasparenza. Un segno tangibile di questo mutamento di approccio normativo in tema di pubblicità si rinviene non tanto nella razionalizzazione degli obblighi di pubblicità – che prima dell'adozione del decreto trasparenza erano contenuti in una serie frammentata di disposizioni normative – quanto nel raffronto diacronico tra il testo dell'art. 3 del d.lgs. n. 33/2013 nella sua originaria formulazione e il testo attualmente vigente, così come modificato dal d.lgs. n. 97/2016. Invero, nell'originaria formulazione di tale articolo il carattere pubblico dell'informazione amministrativa era estremamente più limitato di quello attuale, essendo riferito unicamente ai documenti, alle informazioni e ai dati oggetto di pubblicazione obbligatoria – a nulla rilevando, quanto al perimetro di estensione della portata operativa del principio di pubblicità, la circostanza che sin dall'entrata in vigore del decreto trasparenza fosse stato previsto un vero e proprio diritto alla conoscibilità accompagnato da uno strumento di tutela ad hoc, cioè l'accesso civico, azionabile nel caso di mancata osservanza degli obblighi di pubblicazione da parte dell'amministrazione e degli altri soggetti rientranti nel campo di applicazione soggettivo della normativa sulla trasparenza –. È solo con la novella del 2016 che il legislatore prevede, attraverso le disposizioni del decreto trasparenza, un diritto alla conoscibilità dell'informazione amministrativa ad ampio raggio. Ciò emerge chiaramente dalla nuova formulazione dell'art. 3 del d.lgs. n. 33/2013, nel quale vengono considerati pubblici non solo i documenti, le informazioni e i dati oggetto degli obblighi di pubblicazione, bensì anche le informazioni suscettibili di essere apprese mediante il ricorso all'istituto dell'accesso civico generalizzato di cui all'art. 5, comma 2, del d.lgs. n 33/2013. Di conseguenza, una vasta gamma di informazioni relative all'attività, all'organizzazione e all'utilizzo delle risorse pubbliche diventa conoscibile e fruibile gratuitamente da parte dei consociati. Il novero delle informazioni conoscibili, quindi, non è più solo quello determinato a priori dal legislatore, come avveniva in passato con le informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria, ma si estende, teoricamente a tutte le informazioni in possesso dell'amministrazione. Non si tratta, in ogni caso, di una forma di accesso indiscriminata, in quanto il legislatore ha individuato alcuni limiti all'esercizio del diritto alla conoscibilità dell'informazione amministrativa, che si giustificano alla luce della necessità di salvaguardare ulteriori e specifici interessi, pubblici e privati, il cui apprezzamento è rimesso alla valutazione dei soggetti nei cui confronti viene avanzata la richiesta di accesso. Beninteso, nonostante l'ampliamento delle informazioni assoggettate a un regime di pubblicità legale, il più stretto legame tra tale principio e quello di trasparenza e l'affermazione di un vero e proprio diritto soggettivo alla conoscibilità, la pubblicità continua a mantenere il suo primigenio significato, nel senso che non muta nella sua sostanza di mero stato di fatto di atti, dell'organizzazione e dei procedimenti amministrativi (Manganaro, 3). La dottrina (Arena, 30 ss.), anche di recente, ha osservato che si ha applicazione del principio di pubblicità ogniqualvolta le informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni vengono messe a disposizione dei soggetti che desiderano conoscerle e ciò può avvenire su istanza dell'interessato (come nel caso dell'esercizio del diritto di accesso documentale) o per iniziativa dell'amministrazione in ottemperanza a specifici doveri previsti dalla legge. Ciò, tuttavia, determina unicamente la conoscibilità di tali informazioni, ma non garantisce necessariamente una maggiore trasparenza dell'organizzazione e dell'azione dell'apparato pubblico, in quanto non implica anche una effettiva conoscenza del contenuto dei documenti, imprescindibile per comprendere e valutare l'operato complessivo delle pubbliche amministrazioni. Solo in quest'ultimo caso la trasparenza dell'attività amministrativa è assicurata, poiché solo con la conoscenza e la comprensione delle informazioni in possesso dell'amministrazione i cittadini sono posti in condizione di esercitare pienamente le prerogative partecipative riconosciute dalla Carta costituzionale per attuare il disegno democratico. Pertanto, emerge chiaramente lo scarto concettuale tra pubblicità/conoscibilità e trasparenza/com- prensibilità: la trasparenza presuppone sempre la pubblicità delle informazioni detenute dalla amministrazione, mentre la pubblicità non implica sempre la trasparenza dell'agere amministrativo. Invero, una parte della dottrina (Marrama, 421) ha osservato che, ad esempio, pur potendosi considerare pubblico l'atto regolarmente pubblicato sull'albo pretorio di un ente territoriale o sul sito Internet di un'amministrazione centrale, non per questo la mera pubblicazione costituisce di per sé espressione di trasparenza, potendo avere luogo in un periodo festivo o essere l'atto difficilmente consultabile dai potenziali interessati per ragioni di carattere tecnico, ovvero, pur risultando conoscibile e accessibile, trattarsi comunque di un atto caratterizzato da un contenuto equivoco, non chiaramente intellegibile e pertanto non comprensibile per i soggetti esterni all'amministrazione. Open Data e Open GovernmentNel quadro del decreto trasparenza, lo stretto legame intercorrente tra pubblicità dell'informazione amministrativa e le finalità della trasparenza è alla base delle specificità che caratterizzano le modalità di pubblicazione e fruizione dei dati e documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni. Infatti, come disposto dall'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013, l'informazione amministrativa deve essere non solo conoscibile da chiunque, ma anche fruibile gratuitamente, nonché suscettibile di utilizzazione e riutilizzazione. Affinché tale prescrizione normativa sia rispettata è necessario che i dati pubblici siano resi accessibili in formato aperto (Open Data), seguendo il principio dell'Open by Default sancito dall'art. 52 del Codice dell'amministrazione digitale, obiettivo questo demandato alle singole amministrazioni in quanto il carattere aperto di un dato pubblico non costituisce una sua caratteristica intrinseca, bensì dipende dalle modalità di pubblicazione, nonché dal formato e dagli altri elementi tecnologici che incidono sulla sua diffusione presso la collettività, come previsto dagli artt. da 6 a 9-bis del d.lgs. n. 33/2013. Gli Open Data, allora, possono essere definiti come l'insieme delle informazioni del settore pubblico, liberamente utilizzabili, riutilizzabili e suscettibili di essere ulteriormente fatte circolare, con i soli limiti dati dalla necessità di indicazione della fonte e dell'autore e senza alterarne sostanzialmente il contenuto (Ubaldi, 6). Innanzitutto, per garantire la disponibilità, l'utilizzo, il riutilizzo e la accessibilità universale è necessario che i dati siano completi da un punto di vista tecnologico. È inoltre necessario che i dati siano disaggregati, in modo da poter essere facilmente elaborati con altre informazioni; infatti, quanto più il dato risulta grezzo, più elevate risultano l'accessibilità e le correlate possibilità di riutilizzo. A tal proposito in dottrina è stato di frequente richiamato il contributo di Sir Tim Brenners-Lee intitolato «Is your data 5 star» (Bauèr, Kaltenbök, 17; Lorè, 13), nel quale viene stilata una classifica della qualità dei dati digitali utilizzando come parametro di riferimento il grado di aggregazione degli stessi: in estrema sintesi, all'ultimo posto di tale classifica vengono collocati i dati non strutturati, disponibili online, ma non aperti, cioè insuscettibili di rielaborazione, mentre al primo posto vengono inseriti i c.d. Linked Open Data che consentono il collegamento con altri dati, sia pubblici sia privati, e una piena rielaborazione. Sul punto, infatti, è stato rilevato che i dati aperti devono essere suscettibili di riutilizzazione – fino al punto da essere integrati con altri dati e creare nuove risorse, applicazioni e servizi di pubblica utilità, da parte di associazioni, istituti di ricerca, e la loro possibilità di raccolta in banche dati (Patroni Griffi, 7-8) – nonché essere facilmente identificabili in rete, anche tramite inclusione in cataloghi e archivi indicizzabili dai motori di ricerca. Per essere considerati aperti, i dati pubblici devono anche essere resi disponibili online in modo rapido e immediato, nonché fruibili gratuitamente, cioè senza la necessità di sottoscrivere contratti, ovvero senza che sia previsto il pagamento di fee o l'obbligo di previa registrazione su specifici siti Internet. Infine, essi devono essere leggibili tramite personal computer (machine-readable), distribuiti attraverso l'uso di formati non proprietari (cioè non coperti da copyright), nonché muniti di licenze che ne consentano la piena diffusione e ridistribuzione. La disponibilità e accessibilità di dati aperti costituisce parte del modello, di matrice statunitense, dell'Open Government che ha ispirato la riforma della trasparenza e che, in estrema sintesi, consiste nel coinvolgimento, attivo e collaborativo, dei cittadini alle scelte dei soggetti pubblici (Sarcone, 65 ss.). Più in particolare, l'Open Government rappresenta lo step successivo dell' e-government, ossia di quel processo, iniziato negli anni '90 del secolo scorso, grazie al quale l'amministrazione si è dotata di tecnologie dell'informazione e della comunicazione per trattare in forma digitalizzata la documentazione e gestire con sistemi informatici i procedimenti amministrativi (c.d. Teleamministrazione). L'obiettivo dell'Open Government – che presuppone la digitalizzazione e l'informatizzazione dell'amministrazione ma non si esaurisce sul piano del mero avanzamento tecnologico – di cui gli Open Data rappresentano una componente fondamentale, può essere raggiunto solo a date condizioni, tra le quali spicca l'innalzamento dei livelli di trasparenza della pubblica amministrazione. Invero, posto che la trasparenza mira ad aprire l'amministrazione ai cittadini per consentire un'effettiva partecipazione democratica alle decisioni pubbliche ed accrescere la fiducia dei consociati, ben si comprende come il modello dell'Open Government ruoti intorno alla comunicazione e alla collaborazione con i cittadini (stakeholder), diretta a instaurare forme di dialogo e di confronto partecipato, al fine di coinvolgere gli stessi nei processi decisionali, tanto a livello nazionale, quanto in ambito locale, rendendo l'amministrazione maggiormente responsabile del proprio operato e delle decisioni assunte (accountability). Il modello di Open Government, i cui primi cenni possono essere rinvenuti già nella Raccomandazione n. 19/2001 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa relativa alla «Partecipazione dei cittadini alla vita pubblica a livello locale», è riconducibile a una tendenza trasversale di carattere sovranazionale, di cui l'Open Government Partnership costituisce una chiara espressione. Essa consiste in una iniziativa internazionale alla quale aderiscono 75 Paesi (tra i quali anche l'Italia a partire dal 2011), che mira ad ottenere impegni concreti da parte dei Governi nazionali sul fronte della promozione della trasparenza, del sostegno della partecipazione civica, della lotta alla corruzione e della diffusione, anche internamente alle stesse pubbliche amministrazioni, di nuove tecnologie a sostegno della innovazione. Il richiamo all'Open Government Partnership risulta cruciale nell'analisi del Capo sui principi generali in materia di trasparenza così come dettati dal d.lgs. n. 33/2013, dato che la partecipazione dell'Italia a tale iniziativa multilaterale ha impegnato il nostro Paese ad attivarsi concretamente sul versante della trasparenza e accesso all'informazione amministrativa. Invero, le iniziative intraprese in tali ambiti non solo costituiscono condizioni di ammissibilità alla menzionata iniziativa, ma sono anche oggetto delle azioni che i singoli Stati aderenti devono impegnarsi a realizzare su base triennale attraverso l'adozione di specifici Piani d'azione nazionale, alla stesura dei quali partecipano anche gli stakeholder tramite il meccanismo della consultazione permanente mediante la piattaforma dell' Open Government Forum. Così, ad esempio, nel primo Piano d'azione adottato dall'Italia per il triennio 2012-2014, erano incluse misure per l'integrità, la trasparenza e la partecipazione, nonché misure in materia di Open Data e promozione dell'innovazione e dell'e-government, per un totale di 16 azioni; mentre nel Piano d'adozione relativo al triennio 2014-2016 sono state incluse 6 azioni, inerenti alle aree tematiche della partecipazione, trasparenza, integrità, accountability e innovazione tecnologica. Molto più rilevante risulta, invece, il Piano d'azione per il 2016-2018, contenente 40 azioni, e per la cui attuazione sono state interessate 17 amministrazioni centrali dello Stato. In particolare, tra le azioni di tale Piano giova innanzitutto evidenziare quelle relative al campo degli Open Data, aventi ad oggetto l'Agenda nazionale per il miglioramento dei dati pubblici come strumento di pianificazione e definizione di una strategia in materia di dati aperti, volta a valorizzare il patrimonio informativo pubblico (ad esempio, tramite il c.d. dataset dynamic basket che identifica le banche dati messe a disposizione della società civile dalle amministrazioni), i dati sulla mobilità e i trasporti (con la predisposizione della piattaforma integrata OpenTrasporti, contenente dati quali quelli relativi al parco circolante dei veicoli stradali, navi, treni e aerei, alle emissioni inquinanti per categoria di veicoli, alle licenze di taxi e NCC, al car sharing, ecc.), i dati statistici (tramite lo sviluppo del portale Istat Linked Open Data volto a rendere immediatamente fruibili tale tipologia di dati a utenti non specialisti e a consentire la c.d. interoperabilità semantica tra le istituzioni), l'accesso e il riuso dei dati del sistema educativo, nonché i dati relativi alle scelte e ai progetti di investimento pubblico (tramite lo sviluppo di una anagrafe nazionale dei progetti di investimento pubblico mediante il portale OpenCUP). Altre azioni previste dal Piano hanno riguardato il campo della trasparenza e, tra l'altro, sono consistite nella definizione delle linee guida per l'attuazione dell'accesso civico generalizzato agli atti e ai documenti detenuti dalla pubblica amministrazione (FOIA) – poi effettivamente adottate da parte del Ministero della Semplificazione e della pubblica amministrazione con la circolare n. 2/2017 e da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministro per la Pubblica Amministrazione con la circolare n. 1/2019 – nel monitoraggio della attuazione di tale istituto da parte dei soggetti di cui all'art. 2-bis del d.lgs. n. 33/2013, nonché nell'adozione di ulteriori linee guida per la pubblicazione dei documenti, delle informazioni e dei dati oggetto di pubblicazione obbligatoria nella sezione «Amministrazione trasparente» dei siti Internet istituzionali delle singole amministrazioni e degli enti soggetti alla normativa in materia di anticorruzione e trasparenza (poi effettivamente adottate dall'ANAC con la delibera n. 1310/2016). Tale Piano, inoltre, si caratterizza per il coinvolgimento dei livelli locali di governo, come dimostrano le azioni nei campi degli Open Data e della trasparenza, che hanno interessato anche le Regioni e gli enti locali (si pensi, ad esempio, agli impegni assunti dal Comune di Milano e da Roma Capitale, quali l'avvio di Open Data Lab per la diffusione della cultura e dell'utilizzo dei dati, lo sviluppo di applicazioni per la visualizzazione dei dati sulle pratiche edilizie e dei lavori stradali, nonché la sperimentazione dell'utilizzo del format di Registro). La connessione tra Open Government, Open Data, trasparenza e accesso civico generalizzato, che ha guidato la riforma della trasparenza nel nostro ordinamento, è stata evidenziata nel 2017 dalla allora Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione Marianna Madia proprio in sede di Open Government Partnership (Madia, 1). In particolare, la Ministra Madia ha chiarito che il modello dell'Open Government, proprio in quanto basato sui principi di trasparenza, responsabilità, partecipazione e innovazione, mira ad aumentare la fiducia della società civile nelle istituzioni e a promuoverne forme di collaborazione sempre più intense. Pertanto, è nel contesto dell' Open Government, nel quale l'Italia è pienamente impegnata come dimostra l'adesione all'Open Government Partnership, che va inquadrata l'introduzione dell'istituto dell'accesso civico generalizzato in quanto esso, conferendo a tutti i consociati il diritto di accedere gratuitamente all'informazione amministrativa e senza necessità di giustificarne la richiesta, eleva la trasparenza amministrativa da buona pratica a principio generale dell'agire degli enti pubblici. Al fine di evidenziare come le modifiche introdotte nel 2016 al decreto trasparenza, anche in punto di principi generali, stiano effettivamente conducendo a uno scenario ordinamentale caratterizzato da livelli di trasparenza e pubblicità dell'informazione amministrativa sempre più elevati, vale considerare come – con l'adozione del Piano d'azione relativo al periodo 2019-2021 – l'Italia si sia impegnata a realizzare ulteriori azioni per consolidare le iniziative già intraprese nei campi degli Open Data e della trasparenza con i primi tre Piani adottati nel periodo 2012-2018. Tali azioni, che mettono in luce il carattere immediatamente precettivo dei principi enunciati nel Capo I del d.lgs. n. 33/2013 e il serio percorso intrapreso dal Governo sul fronte della trasparenza amministrativa, per quel che concerne gli Open Data hanno ad oggetto la realizzazione di molteplici iniziative volte a superare le criticità relative alla fruibilità e al riutilizzo dei dati aperti, rese necessarie dalla presenza di barriere legali e tecnologiche che ancora ne ostacolano il pieno sfruttamento. Con il fine di superare il mancato incontro tra domanda e offerta di dati aperti, sono state dunque intraprese iniziative volte ad aumentare la conoscenza della società civile circa l'esistenza, l'accessibilità e il riutilizzo di tali informazioni quali, ad esempio, l'adozione di una unica licenza nazionale, la pubblicazione di Open Dataset di qualità e di alto valore in termini di trasparenza e potenzialità di riutilizzo, nonché la definizione di standard comuni dei dati pubblicati, fermo restando il rispetto dei framework di riferimento, sia a livello europeo sia a livello nazionale, e in particolare degli standard ISO esistenti per la qualità dei dati, già citati dalle Linee guida nazionali per la valorizzazione del patrimonio pubblico. Anche le azioni nel campo della trasparenza mirano a superare gli ostacoli ancora esistenti, riconducibili a scelte operative e a limiti nella gestione di dati e informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni che, da un lato, impattano sull'accessibilità, la qualità e la tempestività dell'informazione e, dall'altro, comportano oneri in capo alle stesse amministrazioni che, soprattutto per quelle di piccole dimensioni, risultano difficilmente sostenibili. A tal fine, quindi, gli impegni assunti riguardano essenzialmente l'elaborazione di una proposta di semplificazione degli obblighi di pubblicazione previsti dal d.lgs. n. 33/2013, nonché la realizzazione e promozione presso cittadini e amministrazioni di servizi web evoluti volti ad agevolare il ricorso all'istituto dell'accesso civico generalizzato e alle altre forme di accesso (quale, ad esempio, quella relativa alle informazioni ambientali), istituendo un unico punto di informazioni sulla natura delle istanze presentante e delle modalità di trattamento – acquisite ad esempio a partire dal Registro degli Accessi FOIA – che consenta di guidare i cittadini nel processo di ricerca e acquisizione di informazioni amministrative e, al contempo, permetta alle stesse pubbliche amministrazioni di gestire in modo più rapido, efficiente ed omogeneo le richieste di accesso. Regime di pubblicità e tutela della riservatezzaLa pubblicità prevista dal decreto trasparenza non costituisce una forma di pubblicità legale richiesta ai fini della legittimità dell'operato delle pubbliche amministrazioni in specifici settori, quale ad esempio quello dei contratti pubblici. La pubblicità alla quale si riferisce il d.lgs. n. 33/2013 persegue unicamente finalità di trasparenza, essendo preordinata ad assicurare la partecipazione e il controllo diffuso della società civile sull'attività, l'organizzazione e l'utilizzo delle risorse pubbliche da parte delle pubbliche amministrazioni in attuazione del principio democratico. Questa prima distinzione tra pubblicità legale e pubblicità per finalità di trasparenza emerge dall'analisi sistematica dell'intero articolato del decreto trasparenza, in quanto in esso sono contenute specifiche disposizioni (ad esempio, l'art. 19 in tema di obblighi di pubblicazione inerenti ai bandi di concorso e l'art. 37 in tema di obblighi di pubblicazione concernenti i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) dalle quali è possibile desumere che la pubblicità per finalità di trasparenza si affianca e non si sostituisce a quella legale, assumendo altresì autonoma valenza giuridica. Sul punto anche la dottrina (Corrado, 4) ha posto in rilievo che la pubblicità per finalità di trasparenza – con particolare riferimento a quella che si realizza tramite la pubblicazione obbligatoria di una serie di informazioni sui siti istituzionali delle amministrazioni, nella sezione denominata «Amministrazione trasparente» (discorso analogo vale anche per le informazioni suscettibili di accesso civico generalizzato) – ha lo scopo di rendere conoscibile l'attività amministrativa per favorire la partecipazione e il controllo dei cittadini. Essa, quindi, va tenuta distinta dalla pubblicità legale, la quale, ancorché venga realizzata per il tramite dei siti Internet istituzionali (ad esempio, con la pubblicazione nella sezione del sito Internet istituzionale dedicata all'albo pretorio online), mira a far sorgere una presunzione di conoscenza degli atti amministrativi nei casi previsti dalla legge, determinando la produzione degli effetti legali ad essa riconnessi (si pensi, ad esempio, alla intervenuta inoppugnabilità di un bando di gara relativo all'affidamento di una commessa pubblica, per inutile decorso del termine decadenziale stabilito dalla legge per la proposizione della domanda giudiziale di annullamento dinanzi al giudice amministrativo, il cui dies a quo va calcolato tenendo in considerazione la tempistica inerente all'adempimento degli obblighi di pubblicità legale da parte dell'ente aggiudicatore). Con specifico riguardo agli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa sulla trasparenza, assume un rilievo particolare il tema del rapporto tra la pubblicazione delle informazioni sulla sezione «Amministrazione trasparente» dei siti Internet istituzionali delle amministrazioni pubbliche e degli altri soggetti onerati e la salvaguardia delle esigenze di riservatezza dei dati personali ivi contenuti (per quel che concerne il rapporto tra privacy e accesso civico generalizzato, infra sub art. 5-bis). Su tale problematica si era già espresso il Garante per la protezione dei dati personali (Garante della privacy) prima dell'entrata in vigore del decreto trasparenza, con la adozione delle linee guida del 2011 relative al «trattamento di dati personali contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato da soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione sul web». In seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013 il Garante della privacy ha più diffusamente affrontato la questione adottando la delibera n. 243/2014, recante «Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati». Con le linee guida del 2014, in particolare, il Garante ha chiarito che gli obblighi di pubblicazione previsti dal decreto trasparenza vanno distinti sia dalle forme di pubblicità legale, sia da altre forme di pubblicità quali, ad esempio, quella integrativa dell'efficacia degli atti amministrativi, la pubblicità dichiarativa e la pubblicità-notizia. Più nel dettaglio, sono riconducibili a queste ulteriori e differenti forme di pubblicità, le pubblicazioni ufficiali dello Stato, le pubblicazioni di deliberazioni, ordinanze e determinazioni sull'albo pretorio online degli enti locali, le pubblicazioni matrimoniali, la pubblicazione degli atti concernenti il cambiamento del nome, la pubblicazione della comunicazione di avviso di deposito delle cartelle esattoriali a persone irreperibili, la pubblicazione dei ruoli annuali tributari dei consorzi di bonifica, la pubblicazione dell'elenco dei giudici popolari di Corte d'Assise, ecc. L'individuazione della forma di pubblicità che trova applicazione alle informazioni detenute dalla Pubblica Amministrazione comporta, secondo l'impostazione del Garante, rilevanti ricadute in punto di disciplina applicabile, in quanto laddove gli obblighi di pubblicazione siano assolti per finalità diverse dalla trasparenza così come definita dall'art. 1 del d.lgs. n. 33/2013, le relative informazioni non saranno assoggettate al regime giuridico previsto da tale corpo normativo e, pertanto, non troveranno applicazione le norme in tema di accesso civico, indicizzazione, riutilizzo dei dati, durata dell'obbligo di pubblicazione e trasposizione dei dati in archivio. Più in generale (Carloni, 122), dalle linee guida del 2014 emerge l'esistenza di una tensione tra alcuni dei principi sui quali si fonda la normativa sulla privacy (in particolare, quelli di finalità, necessità, pertinenza e non eccedenza) e le caratteristiche del modello di Open Government che si basa sulla diffusione di dati pubblici in formato quanto più possibile aperto, rispetto alla quale vengono in rilievo la completezza del dato e il riutilizzo per qualsiasi finalità. Tuttavia, è lo stesso legislatore che, nel 2016, abrogando l'art. 4 del d.lgs. n. 33/2013 rubricato «limiti alla trasparenza» e riproponendone con modifiche il contenuto nel nuovo art. 7-bis, rubricato «riutilizzo dei dati pubblicati», fissa dei vincoli normativi che risultano centrali nella definizione del contrasto tra trasparenza/pubblicità e riservatezza. In particolare, dall'art 7-bis, commi 1 e 4, si ricava che la pubblicazione dei dati pubblici sui siti istituzionali, nonché il loro trattamento secondo modalità che ne consentono la indicizzazione e la rintracciabilità tramite motori di ricerca web ed il loro riutilizzo ai sensi del d.lgs. n. 36/2006, del Codice dell'amministrazione digitale e della normativa sulla privacy, deve avvenire nel rispetto dei principi sul trattamento dei dati personali, il che comporta, in particolare, che le amministrazioni sono tenute a rendere non intellegibili i dati personali non pertinenti o non indispensabili, qualora si tratti di dati sensibili o giudiziari, rispetto alle finalità di trasparenza della pubblicazione. Vale ricordare che, nel 2013, successivamente all'entrata in vigore del decreto trasparenza e all'adozione delle linee guida del 2014 da parte del Garante della privacy, le istituzioni europee hanno adottato il Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (regolamento (UE) n. 679/2016, abbreviato in GDPR). Tale regolamento, al Considerando 4, afferma che «il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità», mentre al Considerando 154 prevede che se la diffusione delle informazioni è prevista dal diritto dell'Unione europea o degli Stati membri è necessario «conciliare l'accesso del pubblico ai documenti ufficiali e il riutilizzo delle informazioni del settore pubblico con il diritto alla protezione dei dati personali». Dai predetti riferimenti normativi emerge che tanto il legislatore nazionale, quanto quello europeo hanno posto in rilievo che, anche laddove la diffusione di dati pubblici avvenga con finalità di trasparenza, risulta necessario rispettare la riservatezza dei dati personali, operando un bilanciamento tra tale diritto (right to be alone) e il diritto di conoscere (right to know), ancorché quest'ultimo risulti funzionale all'esercizio delle prerogative democratiche. La necessità di operare un siffatto bilanciamento, tra l'altro, è stata di recente affermata anche dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n.20/2019), nonché dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE 9 novembre 2010, in cause riunite C-92/09 e C-93/09, Volker und Markus Schecke GbR c. Land Hessen) che, in proposito, ha sottolineato come sia fondamentale ricercare un punto di equilibrio tra raggiungimento degli obiettivi di rilievo pubblicistico sottesi all'ostensione e alla pubblicazione della informazione amministrativa e la tutela della riservatezza dei titolari dei dati personali contenuti nei documenti e nelle informazioni in possesso dell'amministrazione. In particolare, la Corte di Giustizia (CGUE 16 dicembre 2008, in C-73/07, Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia) ha affermato che occorre verificare se le istituzioni europee abbiano effettuato un contemperamento equilibrato tra l'interesse dell'Unione a garantire la trasparenza delle proprie azioni e un utilizzo equilibrato delle finanze pubbliche e la lesione del diritto dei beneficiari, i quali risultano interessati al rispetto della loro vita privata e alla protezione dei loro dati personali, posto che le deroghe e le limitazioni alla protezione dei dati personali devono operare solo ove strettamente necessario. Il Garante della privacy ha chiarito che la diffusione dei dati personali per finalità di trasparenza non implica che gli stessi siano liberamente utilizzabili da chiunque per qualsiasi finalità. In proposito, il Garante della privacy, con il parere n. 239/2015 e con il provvedimento n. 92/2016, ha affermato che l'utilizzo dei dati deve essere consentito senza pregiudicare la riservatezza degli individui, nel rispetto del c.d. principio di finalità. In particolare, il Garante ha osservato che l'ampliamento delle prerogative democratiche dei cittadini, connesso con la riforma della trasparenza, non implica che debbano prevalere, in ogni caso, le esigenze di trasparenza su quelle di protezione dei dati personali e, in questa ottica, va interpretato il riferimento ai dati aperti contenuto nel d.lgs. n. 33/2013, nel senso che tale il formato «aperto» va inteso solo nella sua accezione tecnica, quale mezzo che consente di mettere a disposizione della platea dei consociati l'informazione amministrativa, senza che esso si rifletta anche sullo statuto giuridico applicabile al contenuto dei dati e documenti in possesso dell'amministrazione. Appare, quindi, evidente che nel processo di apertura del patrimonio informativo pubblico ai cittadini, occorre riconoscere un adeguato livello di protezione alla riservatezza dei dati personali contenuti nell'informazione amministrativa, con la conseguenza che laddove la loro diffusione non presenti alcuna utilità rispetto alla partecipazione democratica e al controllo dell'operato dell'amministrazione, essi andranno preservati, come osservato dal Garante della privacy nel suo intervento sullo schema del decreto legislativo correttivo della disciplina in materia di trasparenza amministrativa, 6 aprile 2016, tenutosi presso le Commissioni congiunte Affari costituzionali del Senato e della Camera dei Deputati. A tale ultimo riguardo la dottrina (Patroni Griffi, 9), sulla scorta dei principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza che informano la disciplina a tutela della riservatezza, ha evidenziato la necessità di tarare le modalità di pubblicazione in relazione alla tipologia dei dati da rendere conoscibili (ad esempio, occorrerebbe procedere alla profilazione in forma anonima dei dati inerenti all'erogazione di particolari provvidenze economiche, laddove l'ostensione di tali dati sia idonea a rivelare lo stato di salute o le condizioni economiche dei beneficiari), così come bisognerebbe assicurare l'archiviazione dei dati non più aggiornati, soprattutto con riguardo ai dati informativi inerenti al personale delle pubbliche amministrazioni. Con riferimento ai dati relativi alla salute, alla vita sessuale o all'orientamento sessuale – ai quali si riferisce l'art. 60 del d.lgs. n. 196/2003 (recante Codice in materia di protezione dei dati personali) anche a seguito delle modifiche intervenute con il d.lgs. n. 101/2018 (c.d. decreto di adeguamento al GDPR) – il bilanciamento va operato sulla scorta della regola del «pari rango» (Cons. St. VI, n.1882/2001), nel senso che il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi, è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale. In seguito alle modifiche operate al decreto trasparenza dal d.lgs. n. 97/2016, l'ANAC, d'intesa con il Garante della privacy e sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni, ha adottato la determinazione n. 1309/2016 «Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui all'art. 5 comma 2 del d.lgs. 33/2013», nella quale viene ribadita la precedente impostazione che il Garante della privacy aveva adottato in ordine al bilanciamento tra pubblicità e riservatezza con specifico riferimento all'assolvimento degli obblighi di pubblicità. Le nuove linee guida, in particolare, prevedono che il bilanciamento debba essere operato con riguardo a tutte le ipotesi nelle quali l'informazione amministrativa risulti conoscibile a terzi, quindi sia per quel che concerne l'assolvimento degli obblighi di pubblicazione da parte dell'amministrazione, sia per quel che riguarda l'esercizio dell'accesso civico generalizzato; con la conseguenza che il diritto alla conoscibilità va sempre coniugato con i principi derivanti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali (richiamati dall'art. 7 del d.lgs. n. 33/2013), tra i quali quello di minimizzazione dei dati. Tale principio implica che i dati personali di cui è consentita la diffusione sono solo quelli pertinenti, necessari e proporzionati (art. 5 del regolamento (UE) n. 679/2016) al raggiungimento delle finalità per cui è disposta la pubblicazione/accessibilità del dato, informazione o documento in possesso dell'amministrazione. Pertanto, alla luce del quadro normativo vigente, delle indicazioni della giurisprudenza e delle linee guida dell'ANAC, l'assolvimento degli obblighi di pubblicazione (così come pure l'ostensione di informazioni in risposta a istanze di accesso civico generalizzato) comporta la necessità di operare un bilanciamento tra trasparenza e riservatezza, perseguendo, ove necessario, le finalità pubblicistiche sottese alla normativa sulla trasparenza mediante il ricorso a forme di disclosure (ad esempio attraverso il ricorso all'anonimizzazione) che preservino la riservatezza dei dati personali contenuti nell'informazione amministrativa, laddove la conoscibilità degli stessi non sia rilevante ai fini dell'esercizio delle prerogative partecipative e democratiche dei cittadini, né rilevi ai fini del controllo sull'operato dell'amministrazione. Semplificazione degli obblighi di pubblicazioneTramite il d.lgs. n. 97/2016 all'art. 3 del decreto trasparenza sono stati aggiunti i commi 1-bis e 1-ter, con i quali è stato affidato all'ANAC il compito di provvedere alla semplificazione delle modalità di assolvimento degli obblighi di pubblicazione gravanti sulle pubbliche amministrazioni e sugli altri soggetti di cui all'art. 2-bis del d.lgs. n. 33/2013. In particolare, il legislatore ha previsto due distinti meccanismi di semplificazione. Il primo di tali meccanismi, disciplinato dal comma 1-bis, consiste nell'adozione di delibere ad hoc (sentito il Garante della privacy qualora vengano in gioco dati personali) previa consultazione pubblica, con le quali si individuano le informazioni amministrative per le quali è possibile sostituire la pubblicazione integrale con la pubblicazione di dati aggregati per mezzo di una apposita elaborazione. La semplificazione che si realizza mediante tale meccanismo, tuttavia, non comporta una diminuzione del livello generale di trasparenza, in quanto i dati pubblicati in forma aggregata risultano ancora suscettibili di disclosure integrale attraverso il ricorso all'istituto dell'accesso civico, come espressamente previsto dall'ultima parte del richiamato comma 1-bis dell'art. 3 del decreto trasparenza. Il secondo meccanismo, disciplinato dal comma 2-bis, consiste invece nella possibilità di precisare, all'interno del Piano nazionale anticorruzione, gli obblighi di pubblicazione e le relative modalità di attuazione che devono essere assolti da specifiche categorie di soggetti, in ragione della loro natura, dimensione organizzativa e tipologia di attività svolta. Inoltre, la norma prevede anche la possibilità che l'ANAC disponga particolari modalità semplificate per i Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, nonché per gli ordini e i collegi professionali. Le disposizioni di cui ai commi 1-bis e 1-ter dell'art. 3 del decreto trasparenza mirano, in sostanza, a semplificare gli adempimenti relativi agli obblighi di pubblicazione, al fine di alleggerire gli oneri gravanti sulle pubbliche amministrazioni e sugli altri soggetti rientranti nel campo soggettivo di applicazione della normativa sulla trasparenza. Tali previsioni, invero, rispondono all'esigenza di rendere la normativa dettata dal d.lgs. n. 33/2013 maggiormente compatibile con le specifiche caratteristiche di alcuni dei soggetti onerati, in modo che il percorso di apertura dell'amministrazione si realizzi mantenendo i costi di accessibilità all'informazione amministrativa a un livello sostenibile. Questa esigenza, invero, era già chiaramente emersa in sede di Open Government Partnership, come dimostrano alcuni degli impegni assunti con il Piano d'azione relativo al periodo 2019-2021, che mirano coniugare il principio di trasparenza amministrativa con i costi, anche economici, che comporta la sua attuazione. Con riferimento all'applicazione concreta dei meccanismi di semplificazione previsti dall'art. 3 del decreto trasparenza, giova osservare che l'ANAC, in data 2 agosto 2021, ha adottato uno schema di delibera concernente proposte di semplificazione per l'applicazione della normativa in materia di anticorruzione e trasparenza agli ordini e ai collegi professionali, già sottoposto a consultazione pubblica. In particolare, per quel che riguarda l'applicazione della normativa sulla trasparenza, tale schema di delibera dà conto della necessità di ridurre gli oneri gravanti sugli ordini e collegi territoriali secondo una logica di proporzionalità, in considerazione delle ridotte dimensioni organizzative di tali soggetti rispetto a quelle degli ordini e dei collegi nazionali, demandando, ove possibile, l'adempimento degli obblighi di pubblicazione direttamente agli ordini e collegi di carattere nazionale. Inoltre, con finalità di semplificazione, è stata prospettata la possibilità di ridurre gli obblighi di pubblicazione, e ciò tanto per gli ordini e collegi territoriali, quanto per quelli nazionali. Si tratta di alcuni obblighi previsti dal decreto trasparenza inerenti, segnatamente, alla performance (artt. 10 e 20), ai costi della contrattazione integrativa (art. 21, comma 2), ai servizi erogati (art. 32) e agli interventi straordinari e di emergenza (art. 42). 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