Decreto legislativo - 14/03/2013 - n. 33 art. 5 - Accesso civico a dati e documenti 1Accesso civico a dati e documenti 1
1. L'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione. 2. Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis (A). 3. L'esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L'istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione. L'istanza può essere trasmessa per via telematica secondo le modalità previste dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ed è presentata alternativamente ad uno dei seguenti uffici: a) all'ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti; b) all'Ufficio relazioni con il pubblico; c) ad altro ufficio indicato dall'amministrazione nella sezione "Amministrazione trasparente" del sito istituzionale; d) al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ove l'istanza abbia a oggetto dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto. 4. Il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall'amministrazione per la riproduzione su supporti materiali. 5. Fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l'amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 2, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. A decorrere dalla comunicazione ai controinteressati, il termine di cui al comma 6 è sospeso fino all'eventuale opposizione dei controinteressati. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione. 6. Il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza con la comunicazione al richiedente e agli eventuali controinteressati. In caso di accoglimento, l'amministrazione provvede a trasmettere tempestivamente al richiedente i dati o i documenti richiesti, ovvero, nel caso in cui l'istanza riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto, a pubblicare sul sito i dati, le informazioni o i documenti richiesti e a comunicare al richiedente l'avvenuta pubblicazione dello stesso, indicandogli il relativo collegamento ipertestuale. In caso di accoglimento della richiesta di accesso civico nonostante l'opposizione del controinteressato, salvi i casi di comprovata indifferibilità, l'amministrazione ne dà comunicazione al controinteressato e provvede a trasmettere al richiedente i dati o i documenti richiesti non prima di quindici giorni dalla ricezione della stessa comunicazione da parte del controinteressato. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso devono essere motivati con riferimento ai casi e ai limiti stabiliti dall'articolo 5-bis. Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza può chiedere agli uffici della relativa amministrazione informazioni sull'esito delle istanze. 7. Nei casi di diniego totale o parziale dell'accesso o di mancata risposta entro il termine indicato al comma 6, il richiedente può presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, di cui all'articolo 43, che decide con provvedimento motivato, entro il termine di venti giorni. Se l'accesso è stato negato o differito a tutela degli interessi di cui all'articolo 5-bis, comma 2, lettera a), il suddetto responsabile provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta. A decorrere dalla comunicazione al Garante, il termine per l'adozione del provvedimento da parte del responsabile è sospeso, fino alla ricezione del parere del Garante e comunque per un periodo non superiore ai predetti dieci giorni. Avverso la decisione dell'amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il richiedente può proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell'articolo 116 del Codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (B). 8. Qualora si tratti di atti delle amministrazioni delle regioni o degli enti locali, il richiedente può altresì presentare ricorso al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore. Il ricorso va altresì notificato all'amministrazione interessata. Il difensore civico si pronuncia entro trenta giorni dalla presentazione del ricorso. Se il difensore civico ritiene illegittimo il diniego o il differimento, ne informa il richiedente e lo comunica all'amministrazione competente. Se questa non conferma il diniego o il differimento entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l'accesso è consentito. Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico, il termine di cui all'articolo 116, comma 1, del Codice del processo amministrativo decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico. Se l'accesso è stato negato o differito a tutela degli interessi di cui all'articolo 5-bis, comma 2, lettera a), il difensore civico provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta. A decorrere dalla comunicazione al Garante, il termine per la pronuncia del difensore è sospeso, fino alla ricezione del parere del Garante e comunque per un periodo non superiore ai predetti dieci giorni. 9. Nei casi di accoglimento della richiesta di accesso, il controinteressato può presentare richiesta di riesame ai sensi del comma 7 e presentare ricorso al difensore civico ai sensi del comma 8. 10. Nel caso in cui la richiesta di accesso civico riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto, il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza ha l'obbligo di effettuare la segnalazione di cui all'articolo 43, comma 5. 11. Restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dal Capo II, nonché le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 2412. --------------- (A) In riferimento al presente comma vedi: Parere - Autorità garante per la protezione dei dati personali 15 dicembre 2016. (B) In riferimento a una istanza di accesso civico vedi: Parere Autorità Garante per la Protezione dei dati personali 11/10/2018 n. 9063969 ; Parere Autorità Garante per la Protezione dei dati personali 10/01/2019 n. 9084520; Parere Autorità Garante per la Protezione dei dati personali 07/02/2019 n. 9086500; Parere Autorita Garante per la Protezione dei dati personali 07/02/2019 n. 91178; Parere Autorità Garante per la Protezione dei dati personali 18 dicembre 2019 n. 9232553. [1] Articolo sostituito dall'articolo 6, comma 1, del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97. [2] Per la sospensione delle attività di cui al presente articolo, vedi l'articolo 67, comma 3, del del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27. InquadramentoL'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 è la norma di apertura del Capo I-bis del decreto trasparenza che il legislatore, in seguito alla novella del 2016, ha dedicato alla disciplina del diritto di accesso a dati e documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni e degli altri soggetti che, a norma dell'art. 2-bis, rientrano nel campo soggettivo di applicazione della disciplina sulla trasparenza, ai limiti e alle esclusioni all'accesso civico, nonché all'accesso per fini scientifici ai dati elementari raccolti per finalità statistiche. Ai primi due commi dell'art. 5 sono disciplinati due distinti istituti, ossia l'accesso civico a dati, documenti o informazioni per i quali vige uno specifico obbligo di pubblicazione, esperibile nei casi di omessa pubblicazione (art. 5, comma 1) e l'accesso civico c.d. generalizzato (art. 5, comma 2) che, invece, si inserisce a pieno titolo nella più ampia riforma della trasparenza amministrativa voluta dal legislatore, quale principio generale dell'ordinamento giuridico e diritto civico di tutti i consociati, funzionale a garantire il pieno esercizio delle prerogative partecipative di carattere democratico previste dalla Carta costituzionale, nonché il controllo diffuso sull'attività, l'organizzazione e l'utilizzo delle risorse pubbliche da parte dello Stato-apparato, al fine di stimolare il dibattito pubblico e promuovere la più ampia partecipazione possibile allo stesso. L'introduzione dell'istituto dell'accesso civico generalizzato ha determinato il superamento del precedente regime normativo della trasparenza amministrativa, imperniato essenzialmente sul meno pervasivo principio di pubblicità dell'informazione amministrativa – maggiormente limitato dalla predeterminazione normativa degli specifici dati e documenti oggetto di pubblicazione e, come tali, suscettibili anche di accesso civico in caso di mancata osservanza degli obblighi di legge – inaugurando una nuova stagione della trasparenza, caratterizzata dal riconoscimento del diritto civico di ciascun cittadino alla full disclosure delle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni, in ossequio ai principi del modello statunitense del FOIA, fermo restando il rispetto di specifici limiti connessi all'esigenza di salvaguardare gli interessi, di natura pubblica o privata, espressamente individuati dal legislatore (art. 5-bis, commi 1 e 2), ancorché la valutazione in ordine alla loro concreta sussistenza, nel singolo caso di specie, sia stata rimessa alle Amministrazioni destinatarie delle istanze di accesso civico generalizzato. L'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 contiene, poi, una dettagliata (e comune) disciplina inerente al procedimento di accesso civico della quale giova, in particolare, evidenziare l'assenza di preclusioni in punto di legittimazione soggettiva del richiedente – caratteristica peculiare del diritto civico di accesso configurato quale strumento di partecipazione democratica dei cittadini sulla scorta del modello FOIA – la tutela del diritto di difesa e di contraddittorio procedimentale riconosciuta agli eventuali controinteressati a fronte della presentazione di istanze di accesso civico generalizzato, quale riflesso della necessità di salvaguardare specifici interessi di natura privata (ad esempio, la proprietà intellettuale e i segreti commerciali di una persona fisica o giuridica) anche di rango costituzionale (quale la libertà e la segretezza della corrispondenza), la previsione che il procedimento di accesso civico si concluda con un provvedimento espresso e motivato, nonché la possibilità di presentare istanza di riesame al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, in caso di diniego totale o parziale, ovvero di mancata risposta nel termine di trenta giorni. Il legislatore ha anche previsto che, qualora l'istanza di accesso civico riguardi atti delle amministrazioni delle Regioni o degli enti locali, in caso di diniego o di differimento, il richiedente può presentare ricorso al difensore civico competente per territorio – il quale dovrà previamente sentire il Garante della privacy laddove il diniego o il differimento sia stato disposto per esigenze di salvaguardia di dati personali –. Resta ferma, in ogni caso, la possibilità per il soggetto istante di accedere alla tutela giurisdizionale avverso le determinazioni sfavorevoli dell'amministrazione o, in caso di riesame, del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, sulla scorta di quanto previsto dall'art. 116 del Codice del processo amministrativo di cui al d.lgs. n. 104/2010. Va, infine, evidenziato che ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 il legislatore si è premurato di sottolineare che tanto il rimedio dell'accesso civico, quanto l'istituto dell'accesso civico generalizzato, si aggiungono e non si sostituiscono agli obblighi di pubblicazione già previsti dalla legge, così come al diritto di accesso c.d. documentale disciplinato dalle norme di cui al Capo V della l. n. 241/1990. Il diritto di accesso civico c.d. sempliceL'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013 nel prevedere che gli obblighi di pubblicazione di documenti, informazioni e dati in possesso delle pubbliche amministrazioni sanciti dalla normativa sulla trasparenza comportano il diritto di chiunque di farne richiesta ove ne sia stata omessa la pubblicazione, configura il diritto di accesso civico come un rimedio alla violazione degli obblighi legali di pubblicazione. Il diritto di accesso civico c.d. semplice (per brevità, anche solamente il diritto di accesso civico) risulta, dunque, totalmente correlato al profilo c.d. proattivo della trasparenza (Cons. St., sezione consultiva, n.515/2016), che già nel 2013 aveva trovato la sua piena affermazione nell'ordinamento in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013, quale espressione del principio di pubblicità che, come evidenziato in precedenza (supra sub art. 3), era assurto a criterio rettore dell'azione amministrativa. La scelta «minima» operata nel 2013 dal legislatore in ordine all'istituto dell'accesso civico, che in dottrina (Foà, 73; Marchetti, 3) è stata considerata come una timida apertura alla trasparenza, è stata verosimilmente dettata dalla necessità di approdare gradualmente a un sistema incentrato sulla c.d. reactive disclosure – caratterizzato dal riconoscimento ai consociati di ampie facoltà di ricerca dell'informazione amministrativa a prescindere da quelle che le singole pubbliche amministrazioni hanno, per legge, il dovere di pubblicare sui propri siti Internet istituzionali – in ragione della non sostenibilità dei costi connessi ad una integrale e immediata introduzione di un sistema di trasparenza modellato sul FOIA statunitense (si pensi, in particolare, ai costi connessi alla gestione di un numero di richieste di accesso molto più elevato rispetto a quelle basate sugli artt. 22 e seguenti della legge generale sul procedimento amministrativo, agli aggravi procedimentali correlati con la interlocuzione e il coinvolgimento di eventuali soggetti controinteressati, nonché all'incremento esponenziale del volume di informazioni suscettibile di disclosure, anche solo parziale, con significative ricadute operative sulla preparazione dei dati, delle informazioni e dei documenti da ostendere e sulle successive attività di invio telematico e/o accesso fisico ai medesimi) in un periodo storico segnato da una profonda crisi della finanza pubblica (Savino, 593). Invero, anche in seguito all'introduzione del modello FOIA il legislatore non ha provveduto a stanziare specifiche risorse pubbliche per l'attuazione della riforma della trasparenza amministrativa, optando per una soluzione a risorse invariate come emerge da alcuni dati normativi-spia contenuti nel corpo normativo del decreto trasparenza quali, ad esempio, la permanenza della clausola generale di invarianza finanziaria di cui all'art. 51 (che non è stata espunta neanche in seguito alla novella del 2016), nonché la previsione secondo la quale gli obblighi relativi alla pubblicazione dei dati inerenti all'utilizzo delle risorse pubbliche (art. 4-bis, commi 1 e 2) devono essere assolti ricorrendo alle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente (art. 4-bis, comma 4). Il diritto di accesso civico disciplinato dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013 si caratterizza per una legittimazione ampia in quanto chiunque, senza necessità di motivare la richiesta, può ottenere la disclosure di dati, informazioni e documenti amministrativi che, pur non essendo stati pubblicati, avrebbero dovuto essere resi conoscibili a tutti i consociati attraverso la rete Internet, in ottemperanza a specifici obblighi di pubblicazione sanciti dalla legge. Tale diritto assume una connotazione giuridica peculiare in quanto, oltre a consistere in una situazione giuridica soggettiva dotata di una propria autonomia e di uno specifico apparato rimediale (esperibile anche in sede giurisdizionale), è stato esso stesso configurato alla stregua di un rimedio giuridico, volto a contrastare la violazione degli obblighi di facere (sub specie di obblighi di pubblicazione) gravanti sulle pubbliche amministrazioni e sugli altri soggetti di cui all'art. 2-bis del d.lgs. n. 33/2013 destinatari delle prescrizioni normative in materia di trasparenza. La natura giuridica ancipite di tale tipologia di accesso si giustifica alla luce delle scelte di fondo che il legislatore ha operato in sede di riforma della trasparenza amministrativa. Infatti, dal combinato disposto degli artt. 3 e 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013, nella formulazione normativa vigente prima della novella del 2016, emerge che l'informazione amministrativa soggetta a pubblicazione obbligatoria ha formato sin da subito oggetto del diritto alla conoscibilità, quale declinazione del principio di pubblicità, unico originario architrave del nuovo assetto ordinamentale della trasparenza amministrativa. Il giudizio prognostico del legislatore in ordine al carattere pubblico di un ampio ventaglio di informazioni, dati e documenti in possesso delle amministrazioni – con il quale è stato risolto a monte il contrasto tra pubblicità e segretezza di tale informazione amministrativa – non avrebbe condotto a una effettiva apertura democratica dell'apparato amministrativo laddove si fosse risolto nella mera imposizione di obblighi non sanzionati in capo alle pubbliche amministrazioni. È proprio nell'ottica di rendere cogenti gli obblighi di pubblicazione, funzionali al raggiungimento degli obiettivi perseguiti con la riforma della trasparenza, che il legislatore ha correlativamente riconosciuto ai consociati un diritto civico di accesso che, da un lato, funge da strumento per garantire il pieno godimento delle libertà individuali e collettive, nonché il pieno esercizio dei diritti civili, politici e sociali e, dall'altro, si pone quale argine alle omissioni e all'inerzia dell'amministrazione rispetto all'adempimento degli obblighi di pubblicazione, in quanto tale modus agendi frappone ostacoli alla conoscibilità della organizzazione dell'apparato pubblico e ne rende opaco l'operato. Tale prospettiva di analisi consente di evidenziare come l'accesso ex art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013 costituisca un diritto civico riconosciuto a tutti i consociati uti cives; infatti solo la previsione di una legittimazione attiva ampia, non limitata dalla necessità di dimostrare la titolarità di una posizione differenziata e qualificata incisa dal non corretto esercizio del potere pubblico, è idonea a disincentivare l'amministrazione dal mantenere comportamenti omissivi in ordine alla pubblicazione dell'informazione amministrativa e a compulsarne efficacemente la disclosure nei casi di inadempimento degli obblighi posti dalla normativa sulla trasparenza. La ricostruzione proposta trova conforto nella giurisprudenza amministrativa, che già nelle pronunce rese nei mesi successivi all'entrata in vigore del decreto trasparenza (quindi, in una fase storica nella quale la riforma della trasparenza ruotava interamente intorno all'attuazione del principio di pubblicità tramite il binomio obblighi di pubblicazione-accesso civico), ha evidenziato il carattere strumentale dell'accesso civico rispetto al perseguimento degli obiettivi sottesi alla riforma della trasparenza amministrativa, distaccando inoltre il carattere civico di tale diritto. In particolare, il giudice amministrativo (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila I, n.861/2013) ha affermato che la ratio del decreto trasparenza è quella di garantire «per il tramite della diffusione dei potenziali contributi esterni e la compartecipazione degli amministrati, la più stringente verifica dei conti pubblici, delle spese connesse al funzionamento degli uffici e dei servizi e, in definitiva, dell'effettiva rispondenza dei servizi erogati ai bisogni dei cittadini. Il tutto a condizione, evidentemente, che questi ultimi, facendosi concretamente carico della impegnativa verifica loro attribuita dalla legge, non si atteggino più a meri ‘amministrativi' ma si trasformino, appunto, in ‘cives', come tali responsabili anch'essi della gestione della cosa pubblica». Tuttavia, una parte della dottrina (Cudia, 104-105) si è dimostrata di diverso avviso, ponendo in rilievo che per predicare la piena autonomia del diritto di accesso civico e, più in generale, per assegnare al diritto alla conoscibilità natura di diritto civico, è necessario che il suo esercizio sia sganciato dalla titolarità di una distinta e ulteriore posizione giuridica soggettiva e non sia funzionalizzato al perseguimento di interessi ulteriori e diversi da quelli propri dei titolari. Tale orientamento non appare condivisibile, in quanto la funzionalizzazione del diritto di accesso civico al perseguimento di ulteriori interessi discende direttamente dal dettato normativo del decreto trasparenza che, all'art. 1, pone tanto la tutela dei diritti dei cittadini, quanto la promozione della partecipazione all'attività amministrativa e l'ampliamento di forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, a fondamento della nuova accezione di trasparenza amministrativa, rispetto alla quale il diritto di accesso civico costituisce uno degli strumenti di attuazione. Altra parte della dottrina (Torano, 789), in linea con le precedenti considerazioni, costruisce infatti l'accesso civico come azione popolare correttiva che i consociati sono legittimati ad esperire in vista del perseguimento del pubblico interesse alla trasparenza e all'apertura dell'apparato pubblico alla partecipazione democratica dei cittadini. Anche se l'introduzione dell'istituto dell'accesso civico c.d. semplice ha, di sicuro, condotto a una maggiore apertura dell'amministrazione nei confronti dei cittadini, posto che il suo esercizio non è subordinato a stringenti requisiti di legittimazione e il suo perimetro oggettivo risulta più esteso di quello dell'accesso documentale disciplinato dalla legge generale sul procedimento amministrativo – dal quale esulano le informazioni non tradotte in documenti amministrativi (Cons. St. VI, n.5515/2013; T.A.R. Lombardia, Milano IV, n. 2587/2017) – tuttavia esso permane allo stadio di diritto «riflesso» e non assurge a diritto fondamentale dei consociati, scontando i limiti della mancata introduzione, da parte del legislatore del 2013, del modello FOIA di matrice statunitense. Pertanto, in un sistema di trasparenza essenzialmente incentrato sul principio di pubblicità, l'informazione amministrativa non era suscettibile di essere completamente conosciuta dai consociati (e non avrebbe potuto esserlo per mancanza delle condizioni normative), con la conseguenza che, dell'accesso di seconda generazione (cioè quello civico semplice), finiva col prevalere il profilo rimediale, essendo esso stato configurato come stimolo al corretto adempimento degli obblighi di pubblicazione gravanti sulle pubbliche amministrazioni (Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, 795 ss.). Le forti limitazioni che caratterizzavano (e tuttora caratterizzano) il diritto di accesso civico c.d. semplice, riverberandosi sull'intero impianto normativo della trasparenza (allora più di oggi in ragione delle intervenute modifiche normative apportate al d.lgs. n. 33/2013 dalla novella del 2016), potevano desumersi anche nella giurisprudenza amministrativa che, nel distinguere la suddetta tipologia di accesso dall'accesso c.d. documentale, aveva avuto modo di affermare che «con l'accesso civico si è introdotto il potere di cittadini ed enti di controllare democraticamente se una amministrazione pubblica abbia adempiuto agli obblighi di trasparenza previsti dalla legge, segnatamente se abbia provveduto alla pubblicazione di documenti, informazioni o dati. Ove tale adempimento non vi sia stato, il predetto potere si estrinseca nella facoltà di esercizio dell'accesso civico, ovvero di richiedere all'amministrazione inadempiente i medesimi documenti, informazioni o dati, con l'ulteriore possibilità di accedere alla speciale tutela giudiziale di cui all'art. 116 del c.p.a». Giova infine evidenziare che il diritto di accesso civico c.d. semplice ha in parte perduto il ruolo di preminenza che aveva rivestito nella fase successiva alla sua introduzione nell'ordinamento, avvenuta con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013 nella sua originaria formulazione. Come osservato in precedenza (supra sub art. 3), ciò è dovuto allo spostamento del focus dell'intervento legislativo verso una più marcata valorizzazione del principio di trasparenza, con conseguente estensione del diritto alla conoscibilità anche all'informazione amministrativa non soggetta a specifici obblighi di pubblicazione predeterminati dal legislatore. L'ampliamento di tale diritto che, a sua volta, trova nell'accesso civico generalizzato di cui all'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 uno dei principali meccanismi di attuazione, ha compresso il perimetro applicativo dell'accesso civico c.d. semplice, come è dato evincere anche dall'eliminazione e il ridimensionamento di alcuni obblighi di pubblicazione preesistenti, nonché dall'attività di semplificazione di tali obblighi che il legislatore ha attribuito all'ANAC in vista di una più efficace applicazione della normativa sulla trasparenza. Nella Circolare n. 2/2017 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, avente ad oggetto l'attuazione delle norme sull'accesso civico generalizzato (1ª Circolare FOIA), è stato comunque auspicato un potenziamento delle forme di pubblicazione proattiva. In particolare, al fine di accrescere le possibilità di conoscere e fruire di informazioni di interesse generale, è stato raccomandato alle pubbliche amministrazioni di pubblicare anche informazioni ulteriori (ad esempio, quei dati e documenti che sono stati richiesti per almeno tre volte in un anno da parte di soggetti diversi) rispetto a quelle oggetto degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge, fermo restando il rispetto dei limiti previsti dall'art. 5-bis del decreto trasparenza. Analogamente, le pubbliche amministrazioni dovrebbero valorizzare il dialogo con le comunità di utenti che frequentano i social network (Facebook, Instagram, Twitter, solo per citare quelli che vengono ad oggi maggiormente utilizzati), dato che sugli stessi, sempre più spesso, vengono pubblicate le domande di accesso civico e i documenti oggetto di disclosure. Sul punto, una parte della dottrina (Foà, 82) ha evidenziato che sarebbe preferibile se anche le amministrazioni si servissero dei social network per rendere conoscibili informazioni di interesse generale, perché ciò accelererebbe ancor di più il processo di apertura dell'apparato amministrativo alla società nel suo complesso, consentendo una più rapida fruizione dell'informazione amministrativa e una sua più capillare diffusione nel tessuto sociale. Il diritto di accesso civico generalizzato e il suo fondamentoLa valorizzazione, da parte del legislatore italiano, del principio partecipativo in materia di trasparenza si deve al progressivo superamento del modello c.d. amministrativo o francese (cioè quello ispirato al sistema di trasparenza dell'ordinamento giuridico francese come regolato dalla loi 78-753), che aveva fatto da riferimento alla disciplina sull'accesso documentale contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo (il c.d. accesso documentale), e all'adozione di un sistema ispirato al modello c.d. costituzionale o statunitense del Freedom of Information Act, comportando una vera e propria mutazione genetica della trasparenza (Patroni Griffi, 3). Anche in giurisprudenza, sotto la vigenza dell'originario impianto normativo del d.lgs. n. 33/2013, era stato evidenziato che l'ordinamento italiano si caratterizzava per un sistema nel quale l'accesso era ristretto e non garantiva adeguati standard di tempestività ed efficienza, per la presenza di un numero di casi di conflitti di interessi e di corruzione superiore alla media europea e internazionale e, più in generale, per una disciplina debole sulla trasparenza (T.A.R. Lazio, Roma I-quater, ord. n. 9828/2017). Occorre brevemente ricordare che il modello amministrativo di trasparenza si caratterizza per uno strettissimo collegamento tra il diritto di accesso dell'individuo e l'esercizio della funzione amministrativa, rispetto alla quale l'istante deve dimostrare la sussistenza di un interesse diretto, personale e concreto all'ostensione delle informazioni contenute nei documenti detenuti dalla amministrazione procedente (TarchI, 141 ss.; Marchetti, 15). Per converso, nel modello costituzionale «la trasparenza amministrativa è vista non tanto quale forma di garanzia individuale, ma come modalità di controllo diffuso del cittadino nei confronti dell'attività di governo» (Sandulli, 167); esso si distingue dal modello amministrativo sia per l'oggetto del diritto di accesso – non limitato ai soli documenti detenuti dall'amministrazione, ma riferito a tutte le informazioni in possesso della stessa – sia per la legittimazione all'accesso, riconosciuta a tutti i consociati a prescindere dalla sussistenza di un interesse direttamente inciso dall'esercizio del potere, nonché dallo esercizio attuale di una funzione amministrativa. I caratteri del modello statunitense, pertanto, configurano il diritto di accesso come un aspetto della più generale e ampia libertà di informazione, funzionale a una concezione di trasparenza come Open Government, diametralmente opposta all'originaria impostazione continentale basata sulla segretezza e riservatezza dell'azione amministrativa (Carloni, 84 ss.). Prima delle modifiche apportate al decreto trasparenza dal d.lgs. n. 97/2016 – approvato in esecuzione della delega conferita al Governo dal Parlamento nell'ambito della riforma della pubblica amministrazione (l. n. 124/2015, c.d. legge «Madia») – la realizzazione della trasparenza amministrativa era affidata, da un lato, all'istituto dell'accesso documentale disciplinato dagli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 e, dall'altro, alla previsione di specifici obblighi di pubblicazione online di numerose informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni (da includere in un'apposita sezione del sito Internet istituzionale denominata «Amministrazione trasparente»), alla cui inosservanza era (ed è tuttora) collegata l'esperibilità del rimedio dell'accesso civico (art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013), quale principale strumento di enforcement volto a garantire il controllo diffuso dei consociati sull'osservanza del regime di pubblicità dell'informazione amministrativa. Tuttavia, né l'uno né l'altro binario (Galetta, 15) hanno consentito il raggiungimento dell'obiettivo dell'accessibilità totale alle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione, come programmaticamente enunciato dall'art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 150/2009. Infatti, l'accesso documentale si caratterizza per una legittimazione ristretta – in quanto per interessati si intendono unicamente i soggetti portatori di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento di cui si chiede l'ostensione (art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241/1990) – e il legislatore ha escluso espressamente che possano formularsi istanze preordinate ad un controllo generalizzato sull'operato delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, l. n. 241/1990). Tale istituto risulta perlopiù congeniato quale strumento di garanzia del singolo nei confronti del potere pubblico per esercitare le facoltà partecipative a tutela di posizioni giuridiche differenziate e qualificate (in dottrina, Cognetti, 44; in giurisprudenza, Cons. St. VI, n.727/1996). Parimenti, l'accesso civico semplice costituisce un istituto la cui funzione è limitata a porre rimedio all'inosservanza degli obblighi di pubblicazione gravanti sulle pubbliche amministrazioni e, quindi, la sua attivazione, non determinando un ampliamento del novero delle informazioni accessibili, non consente ai consociati di operare, in maniera davvero penetrante, il controllo diffuso sul perseguimento delle finalità istituzionali degli enti pubblici e sull'utilizzo delle risorse ad essi assegnate, anche in ottica di contrasto e prevenzione della corruzione (ancorché il d.lgs. n. 33/2013 sia stato adottato in attuazione della delega disposta dall'art. 1, comma 35, della legge n. 190/2012, c.d. legge anticorruzione). La giurisprudenza amministrativa (Cons. St. IV, n.5515/2013) in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013, aveva chiaramente stabilito che le disposizioni in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni non risultavano ampliative, né sovrapponibili, a quelle relative all'accesso documentale disciplinato dalla legge generale sul procedimento amministrativo, con la conseguenza che la loro introduzione non determinava alcun ampliamento del novero delle informazioni suscettibili di disclosure. Un sostanziale cambio di passo in tema di trasparenza amministrativa si è avuto con la delega contenuta nell'art. 7 della l. n. 124/2015, che ha conferito al Governo il compito di adottare una serie di decreti legislativi al fine di integrare e correggere le disposizioni del d.lgs. n. 33/2013. In particolare, tra i criteri e principi direttivi contenuti nella legge delega assume rilievo centrale in materia di trasparenza quello di cui all'art. 7, comma 1, lett. h), relativo al «riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche». L'approvazione deld.lgs. n.97/2016 da parte dell'Esecutivo ha poi condotto alla definitiva valorizzazione del principio di trasparenza in funzione democratica attraverso l'introduzione nel nostro ordinamento dell'istituto dell'accesso civico generalizzato (disciplinato dall'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013) che, nel rispetto dei limiti derivanti dall'esigenza di tutelare gli interessi pubblici e privati previsti dal legislatore (cioè quelli previsti dall'art. 5-bis, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 33/2013), conferisce a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni (ulteriori rispetto a quelli che già formano oggetto di specifici obblighi di pubblicità), al fine di favorire forme diffuse di controllo sull'organizzazione, l'operato istituzionale e l'utilizzo delle risorse pubbliche di cui dispongono le pubbliche amministrazioni per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali. L'istituto dell'accesso civico generalizzato va letto alla luce della cornice di principi delineata dall'art. 1del d.lgs. n.33/2013, in quanto la sua introduzione risponde alle finalità di open government sottese alla nuova accezione di trasparenza. La scelta del modello costituzionale del FOIA mira a rendere effettivo il diritto di conoscere e, superando il diritto alla mera conoscibilità proprio del precedente impianto ordinamentale basato sulla centralità del principio di pubblicità (art. 1 della legge n. 241/1990 nella sua originaria formulazione), ne afferma la titolarità in capo a tutti i consociati, quale precondizione imprescindibile per il compiuto esercizio delle prerogative costituzionali della democrazia partecipativa. La piena affermazione del diritto di conoscere – che nei sistemi FOIA costituisce uno dei principali fattori che consente il raggiungimento degli obiettivi di accountability (nel senso di consentire un controllo diffuso sull'operato dell'amministrazione), participation (quale forma di garanzia che favorisce la partecipazione consapevole dei consociati ai processi decisionali pubblici) e legitimacy (in quanto, rendendo trasparente l'operato delle pubbliche amministrazioni, ne rafforza la legittimazione nei confronti degli amministrati), come ampiamente chiarito dalla dottrina (Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, 796; Foà, 71) – si va così ad aggiungere alle altre due declinazioni della libertà di informazione, ossia quella passiva (cioè, il diritto a ricevere informazioni) e quella riflessiva (ossia, il diritto all'informazione), rafforzandone la portata nei confronti della pubblica amministrazione. Il passaggio dal riconoscimento del più tenue bisogno di acquisire informazioni nei confronti dei soggetti pubblici (need to know) a quello del più incisivo diritto di conoscerne l'operato e l'organizzazione (right to know), è stato possibile in quanto l'apparato e l'attività delle pubbliche amministrazioni rispondono a una funzione di servizio pubblico. Ciò, invero, ha consentito al legislatore delegato di configurare, in capo agli enti pubblici, situazioni giuridiche passive di dovere, correlate e serventi rispetto al diritto di accesso civico dei consociati, senza per questo vulnerare la libertà di informazione dei soggetti pubblici, dal momento che la facoltà negativa di non fornire informazioni risulta suscettibile di essere legittimamente compressa a fronte dell'esercizio di prerogative di rango costituzionale (Ponti, 33). Per apprezzare la portata innovativa della nuova accezione di trasparenza, connessa alla introduzione dell'istituto dell'accesso civico generalizzato, occorre nuovamente rimarcare che non vi è alcun esplicito riferimento costituzionale al diritto ad essere informati da e nei confronti dell'amministrazione. Le ragioni storiche della scelta del costituente risiedono nella circostanza che nel 1948 il ruolo attribuito alla collettività nei confronti dei soggetti titolari di pubblici poteri era considerato in un'ottica statica, per cui l'unico strumento di controllo democratico riconosciuto ai cittadini era il diritto di voto, esercitabile solo ciclicamente durante le tornate elettorali e non, invece, su base continua. La consapevolezza del ruolo che l'opinione pubblica può esercitare in chiave democratica è stata raggiunta e teorizzata (su tutti, Habermas, 89 ss.) solo più di recente. Per queste ragioni la ricostruzione del fondamento costituzionale dell'istituto dell'accesso civico generalizzato risulta ancora discussa e vede fronteggiarsi, in buona misura, posizioni analoghe a quelle anticipate in precedenza in merito alla questione della collocazione sistematica del principio di trasparenza amministrativa, in coerenza col fatto che tale istituto costituisce lo strumento principe per rendere pienamente visibile, conoscibile e comprensibile all'esterno l'operato dei soggetti pubblici. Secondo una prima impostazione, essendo tale istituto espressione del diritto di informazione, quale profilo implicito della libertà costituzionale di manifestazione del pensiero (Corte cost. n.112/1993,Corte cost.n 194/1987 eCorte cost.n. 1/1981), esso rinverrebbe il proprio referente costituzionale nell'art. 21. La centralità del diritto di informazione per il perseguimento delle finalità sottese all'intero impianto costituzionale emerge chiaramente anche dall'analisi di alcune pronunce della Corte costituzionale (Corte cost. n.348/1990), nelle quali è stato evidenziato che «l'informazione, nei suoi risvolti attivi e passivi (libertà di informare e diritto ad essere informati) esprime una condizione preliminare (o se vogliamo un presupposto insopprimibile) per l'attuazione ad ogni livello, centrale o locale, della forma propria dello Stato democratico». Ciò, invero, risulterebbe coerente con le osservazioni che, da tempo, una parte della dottrina (Loiodice, 231) ha svolto con riguardo al fondamento costituzionale del diritto di informazione, che non sarebbe da ricercare nel solo art. 21 della Costituzione, ma andrebbe rinvenuto, attraverso un'operazione esegetica, in varie norme dell'impianto costituzionale quali, in particolare, gli artt. 2 e 3, comma 2, della Costituzione. Ciò consentirebbe di apprezzare, ancor meglio, il contenuto del diritto di informazione e le ricadute applicative del suo esercizio, quale strumento che concorre a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese. Tale impostazione, tra l'altro, appare coerente con l'accezione del principio di trasparenza contenuta nell'art. 1 del d.lgs. n. 33/2013. In base a una seconda impostazione, altra parte della dottrina (Gardini, 975; Foà, 74) ha evidenziato che le difficoltà esegetiche relative alla esatta perimetrazione della portata applicativa dell'art. 21 della Costituzione – che, a differenza dell'art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, fa esplicito riferimento al solo profilo attivo della libertà di espressione del pensiero – possono essere superate rinvenendo il fondamento costituzionale dell'istituto dell'accesso civico generalizzato nell'art. 97dellaCostituzione. Per converso, nell'ordinamento dell'Unione europea il diritto di accesso è espressamente previsto dalla normativa primaria, essendo sancito dall'art. 15 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e dall'art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, mentre la sua disciplina operativa è contenuta nel regolamento (CE) n. 1049/2001 (infra sub § 4). Anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. V, n.1370/2015) ha riconosciuto che il diritto di accesso civico risulta collegato a una nuova concezione dell'amministrazione, improntata ai principi di democrazia partecipativa, pubblicità e trasparenza della relativa azione, in attuazione dell'art. 97 della Costituzione, e che tale istituto si inserisce, a livello comunitario, nel più generale diritto dei cittadini ad ottenere le informazioni inerenti all'organizzazione e all'operato delle pubbliche amministrazioni, quale presidio di legalità e strumento di contrasto sociale agli abusi perpetrati dai poteri pubblici. Con riguardo alle ragioni che hanno spinto il legislatore a muoversi in maniera più netta verso l'introduzione nell'ordinamento italiano di un sistema di trasparenza ispirato al modello statunitense del FOIA, in dottrina (Marchetti, 17) è stato posto in rilievo che ciò è essenzialmente dipeso dalla presenza di fattori endogeni al funzionamento delle istituzioni pubbliche e del sistema politico in generale. Infatti, l'individuazione di più efficaci forme di accountability degli organi politici, l'introduzione di strumenti di controllo diffusi sull'utilizzo delle risorse pubbliche e la predisposizione di più pregnanti meccanismi di prevenzione e contrasto alla corruzione, rappresentano gli strumenti con i quali dare attuazione al principio di trasparenza al fine di offrire risposte all'opinione pubblica rispetto a questioni divenute centrali nel dibattito pubblico e a rafforzare la competitività del Paese in un contesto sociale e di mercato di carattere globalizzato. Cenni sul diritto di accesso in ambito sovranazionaleLa dottrina (Chiti, 301 ss.) ha posto in rilievo che il diritto di accesso in ambito comunitario è stato fortemente influenzato dalle esperienze degli ordinamenti nazionali nord-europei, al punto da dar luogo a un processo di osmosi tra diritti amministrativi nazionali e diritto dell'Unione europea (Alberti, 63). Inizialmente il diritto di accesso si è affermato in sede pretoria (CGUE, 13 luglio 1990, in C- 2/88, Zwartveld et al. c. Commissione) ed era inteso dai giudici comunitari in senso strumentale alla partecipazione al procedimento amministrativo e all'esercizio del diritto di difesa da parte di soggetti titolari di situazioni giuridiche sostanziali incise dall'esercizio dei pubblici poteri. Solo successivamente la portata del diritto di accesso si è ampliata ed esso è venuto a costituire uno dei fattori di propulsione del processo di democratizzazione di una Unione europea che si pone l'obiettivo di divenire più aperta e trasparente nei confronti dei cittadini, come si evince dalle prime normative di settore che disciplinano il diritto di accesso quale, ad esempio, la direttiva 1990/313/CE relativa alla conoscibilità dell'informazione di carattere ambientale. Il rinnovato ruolo del diritto di accesso emerge chiaramente dalle previsioni del regolamento (CE) n. 1049/2001 («Regolamento europeo sull'accesso»), nell'ambito del quale il legislatore europeo ne evidenzia il nesso inscindibile con il principio di trasparenza. Infatti, al secondo considerando di tale regolamento comunitario si afferma che la politica di trasparenza «consente una migliore partecipazione dei cittadini al processo decisionale e garantisce una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità dell'amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico. La politica di trasparenza contribuisce a rafforzare i principi di democrazia e di rispetto dei diritti fondamentali sanciti dall'articolo 6 del trattato UE e dalla carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea». Il diritto di accesso viene riconosciuto a livello di diritto primario dell'Unione europea solo con l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (art. 255), pur non risultando immediatamente pacifica la sua natura di diritto fondamentale (De Pretis, 130). Tale collocazione sistematica è confermata anche dal Trattato di Lisbona, posto che con la sua entrata in vigore il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni dell'Unione è previsto dall'art. 15 del TFUE – norma che ha esteso il diritto di accesso a tutti i documenti delle istituzioni, organi e organismi dell'Unione europea, mentre un regime ad hoc è dettato per la Corte di Giustizia, la Banca centrale europea e la Banca europea per gli investimenti, per le quali il diritto di accesso di cui all'art. 15 TFUE si applica solo limitatamente allo svolgimento di funzioni di carattere amministrativo –. Inoltre, esso è sancito anche dall'art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unioneeuropea, che è entrata a far parte del diritto eurounitario di rango primario. La dottrina (Montedoro, 213 ss.; Tommasi, 6) ha evidenziato che anche il Regolamento europeo sull'accesso disciplina, all'art. 2, una forma di trasparenza reattiva, in quanto in forza di tale plesso normativo viene riconosciuto il diritto di accedere all'informazione amministrativa in possesso delle istituzioni comunitarie, a prescindere dalla necessità di tutelare specifiche situazioni giuridiche sostanziali e, quindi, di motivare l'istanza, in modo da dare la massima attuazione a tale diritto ed eliminando le restrizioni al suo esercizio (Considerando 4). Ciò ha condotto ad un aumento del grado di trasparenza delle istituzioni comunitarie in attuazione dell'art. 1 TUE, rendendo l'azione delle stesse più partecipata e democratica. La nuova concezione del diritto di accesso raggiunta nel contesto ordinamentale dell'Unione ha influenzato anche gli ordinamenti degli Stati membri, in quello che è stato definito da alcuni autori (Sgueo, 163 ss.) come un vero e proprio processo di europeizzazione dei sistemi giuridici nazionali, avvenuto senza che le Istituzioni europee avessero una specifica competenza in materia di trasparenza amministrativa. Ciò emerge in maniera evidente dal raffronto tra gli interessi-limite al diritto di accesso europeo, individuati dall'art. 4 del regolamento comunitario n. 1049/2001, e quelli che limitano l'accessibilità dell'informazione amministrativa sul piano interno ai sensi dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013. Da tale raffronto, in particolare, si ricava una sostanziale uniformità di disciplina, interna ed eurounitaria, in relazione alla individuazione degli interessi pubblici e privati che operano in senso limitativo rispetto alle richieste di disclosure di informazioni, dati e documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni (Savino, Il FOIA italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, 598-599). La sostanziale coincidenza degli interessi-limite che, come appena rilevato, accomuna la disciplina eurounitaria e quella interna in materia di accesso, costituisce un dato rilevante per l'analisi del riformato sistema domestico di trasparenza amministrativa, posto che essa tradisce l'influenza esercitata dal diritto dell'Unione europea (grazie, in particolare, al regolamento comunitario n. 1049/2001) sul legislatore italiano in relazione alla scelta delle opzioni di politica legislativa in materia di accesso civico generalizzato. Restano, in ogni caso, importanti divergenze (Carloni, Prime considerazioni a margine dello Schema di Linee guida in materia di accesso civico «generalizzato», 3) tra il sistema di accesso sovranazionale e quello di accesso civico generalizzato introdotto dal legislatore italiano con la novella del 2016, essendo differente l'apprezzamento in concreto della rilevanza degli interessi-limite individuati dalla normativa interna, che fungono da argini alla piena accessibilità dell'informazione amministrativa (infra subart. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013). Diversamente, la Corte europea dei diritti dell'uomo non ha riconosciuto al diritto di accesso una funzione di full disclosure delle informazioni amministrative, secondo il modello costituzionale, con la conseguenza che in sede CEDU il rapporto tra pubblici poteri e cittadini non raggiunge gli standard di trasparenza che, viceversa, caratterizzano gli ordinamenti giuridici dei Paesi che hanno optato per l'introduzione del modello FOIA. La Corte EDU, a partire dalle decisioni relative ai casi Társaság c. Hungary (2009) e Österreichische Vereinigung c. Austria (2013), ha stabilito che il diritto di accesso all'informazione amministrativa costituisce una declinazione della libertà di informazione riconosciuta dall'art. 10 della CEDU, fungendo da strumento che concorre a garantirne la piena attuazione. Tale organo giurisdizionale, tuttavia, in più recenti pronunce – tra le quali può essere menzionata quella resa nel 2016 con riferimento al caso ONG Magyar Helsinki Bizottsàg c. Hungary – ha chiarito che le informazioni accessibili sono solo quelle capaci di alimentare il dibattito pubblico. Da ciò discende che il diritto di accesso ai sensi dell'art. 10 della CEDU è suscettibile di essere tutelato dinanzi alla Corte EDU solo laddove il diniego dell'amministrazione nazionale riguardi informazioni di pubblico interesse – da valutare secondo i canoni del c.d. public interest test (Carpanelli, 10) – e l'istanza di accesso sia stata formulata da soggetti capaci di diffondere pubblicamente tali informazioni (i c.d. public watchdog, quali ad esempio, i giornalisti), considerati gli unici legittimati ad accedere alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, a prescindere dalla circostanza che la loro sfera giuridica sia stata direttamente incisa dall'azione dei pubblici poteri. La disciplina del procedimento di accesso civicoLa disciplina del procedimento amministrativo che si apre con la presentazione di una istanza di accesso civico è dettata, nei suoi tratti principali, dall'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013. Tuttavia, come chiarito dalla 1ª Circolare FOIA e dalla Circolare n. 1/2019 del Ministro per la Pubblica Amministrazione vertente sul medesimo oggetto (2ª Circolare FOIA), avendo il legislatore del 2016 riconosciuto la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni come diritto fondamentale, in conformità all'art. 10 della CEDU, le modalità di attuazione dell'istituto dell'accesso civico generalizzato possono anche essere previste da un regolamento o una circolare. Stante la vigenza di una riserva di legge in materia, la disciplina dettata da fonti secondarie o da provvedimenti amministrativi adottati dalle pubbliche amministrazioni (Foà, 81) può riguardare esclusivamente i profili procedurali e organizzativi di carattere interno, ma non anche i profili di rilevanza esterna che incidono sull'estensione del diritto, come i limiti o le eccezioni al principio di accessibilità: ciò costituisce una ulteriore differenza rispetto all'accesso documentale, per il quale l'art. 24, comma 2, della l. n. 241/1990 stabilisce che le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso. Passando all'analisi della disciplina legislativa, occorre innanzitutto porre in rilievo che l'art. 5, comma 3, del decreto trasparenza prescrive che il diritto di accesso civico, sia semplice sia generalizzato, è a titolarità diffusa e, quindi, può essere esercitato da chiunque. L'istanza di accesso civico, inoltre, non richiede alcuna motivazione, come chiarito anche dall'ANAC nell'Allegato «Guida operativa all'accesso generalizzato» delle c.d. Linee Guida FOIA, adottate con la delibera n. 1309/2016. La non necessarietà della motivazione dell'istanza di accesso civico è altresì confermata dalla 1ª Circolare FOIA, nella quale si evidenzia che le singole pubbliche amministrazioni, nel predisporre i moduli di presentazione della istanza di accesso, possono anche richiedere che l'istante indichi, facoltativamente, se l'esercizio del diritto di accesso è svolto per fini statistici. In ordine alle modalità di presentazione delle istanze di accesso civico, vale evidenziare che le stesse possono anche essere presentate telematicamente, secondo le modalità previste dal Codice dell'amministrazione digitale, e non sono soggette al rispetto di particolari vincoli di forma (così, ad esempio, il mancato utilizzo del modulo messo a disposizione dall'amministrazione alla quale viene indirizzata la richiesta, non causa l'irricevibilità della medesima): ciò risulta funzionale a consentire il più ampio ed effettivo ricorso a tale istituto. Il Consiglio di Stato (Cons. St., sezione consultiva, n.515/2016) aveva suggerito di utilizzare il canale telematico in maniera esclusiva (o almeno preferenziale) e di costituire presso le pubbliche amministrazioni un apposito desk di facile consultazione per i consociati, attraverso il quale essi avrebbero potuto interfacciarsi con l'amministrazione e seguire l'andamento dei procedimenti inerenti alle istanze di accesso civico. Si trattava di una soluzione tesa a eliminare i costi di rimborso a carico dei consociati, rendendo così ancora più accessibile il ricorso all'istituto principe del rinnovato impianto ordinamentale in materia di trasparenza amministrativa; invero, la necessità di sostenere un costo economico per conoscere l'informazione amministrativa risulta suscettibile di disincentivare alcune fasce della popolazione, limitando così, de facto, l'esercizio delle prerogative partecipative e di controllo da parte della collettività. Inoltre, sempre a norma dell'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013, l'istanza di accesso civico può essere presentata alternativamente a differenti uffici e segnatamente: all'ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti; all'ufficio relazioni con il pubblico; all'ufficio all'uopo indicato dall'amministrazione nella sezione «Amministrazione trasparente» del proprio sito Internet istituzionale. La richiesta di accesso civico ex art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013 può altresì essere indirizzata al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. La 1ª Circolare FOIA chiarisce che la competenza a decidere se accogliere o meno una richiesta di accesso civico generalizzato è attribuita all'ufficio che detiene i dati o i documenti richiesti, che dovrebbe coincidere con l'ufficio competente ratione materiae. Nei casi dubbi, si deve privilegiare il criterio fattuale del possesso dei dati o documenti richiesti e, quindi, l'ufficio che ne è in possesso non potrebbe, a rigore, respingere l'istanza per il fatto di non avere competenza nella materia alla quale si riferisce la richiesta. Sebbene il diritto di accesso civico spetti a chiunque, l'identificazione del richiedente è comunque necessaria, in quanto risulta funzionale alla corretta gestione delle richieste – ad esempio, ai fini della trasmissione dei dati e documenti richiesti o della trattazione di una pluralità di domande identiche (seriali) o onerose (vessatorie) da parte di uno stesso soggetto, come chiarito dalla 1ª Circolare FOIA –. Laddove il richiedente non si sia identificato (istanza anonima) ovvero non abbia fornito elementi sufficienti a dipanare l'incertezza sulla sua identità, la domanda di accesso civico dovrà essere considerata irricevibile. Anche in questo caso l'irricevibilità non è automatica, essendo necessario che l'amministrazione contatti, ove possibile, il richiedente per invitarlo a identificarsi; solo nel caso in cui i chiarimenti richiesti non vengano forniti, l'istanza risulterà irricevibile. L'art. 5, comma 4, del decreto trasparenza introduce il principio di gratuità, in forza del quale i documenti, le informazioni e i dati oggetto di accesso civico devono essere resi conoscibili ai consociati senza la imposizione di alcun costo per il loro rilascio, «salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall'amministrazione per la riproduzione su supporti materiali». Ai sensi dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 33/2013, se le informazioni, i dati o i documenti per i quali viene formulata l'istanza di accesso civico interessano anche la posizione di eventuali controinteressati si apre una parentesi procedimentale nella quale l'amministrazione deve consentire a tali soggetti l'esercizio del diritto di difesa e di contraddittorio al fine di salvaguardare le esigenze di cui all'art. 5- bis, comma 2, del decreto trasparenza. Dalla formulazione della norma si evince che ciò riguarda solo le istanze di accesso civico generalizzato in quanto, per espressa previsione di legge, la comunicazione dell'istanza di accesso civico ai controinteressati non ha luogo ogniqualvolta l'istante abbia richiesto la disclosure di informazioni per le quali la legge già impone la pubblicazione obbligatoria. Nella 1ª Circolare FOIA è stato chiarito che rientrano nella categoria dei controinteressati di cui all'art. 5, comma 5, del decreto trasparenza tutti i soggetti (persone fisiche o giuridiche) che, anche se non indicati nei documenti, dati e informazioni oggetto di accesso civico generalizzato, potrebbero soffrire un pregiudizio dall'accoglimento dell'istanza di accesso, consistente nella lesione degli interessi privati annoverati dall'art. 5-bis, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013, ossia: privacy, libertà e segretezza della corrispondenza ed interessi economici e commerciali. La dottrina (Ponti, 50) ha evidenziato che l'individuazione dei controinteressati da parte dell'amministrazione dovrebbe avvenire sulla scorta di una valutazione ipotetica in ordine alla possibile lesione degli interessi privati che l'ordinamento intende salvaguardare. Invero, come si evince dalla lettera dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 e dalla 1ª Circolare FOIA, per la individuazione dei controinteressati l'amministrazione deve sì operare una valutazione prognostica in ordine alle conseguenze dell'accoglimento dell'istanza di accesso civico, ma essa deve anche essere tesa a verificare se da tale accoglimento possa derivare un pregiudizio concreto (e non meramente potenziale) ad alcuno degli specifici interessi privati tutelati dalla legge. La giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lazio, Roma III-quater, n.2174/2020;T.A.R. Lazio, Roma I, n.10994/2020) propende per la medesima lettura della norma, stabilendo che l'amministrazione, in contraddittorio con i controinteressati, deve motivare in modo puntuale in ordine alla sussistenza di un pregiudizio reale e concreto che, dall'accoglimento dell'istanza di accesso civico generalizzato, potrebbe derivare agli interessi-limite di carattere privato. Più in particolare, il giudice amministrativo ha riconosciuto la qualità di controinteressati, tra gli altri, ai seguenti soggetti: un Consorzio universitario in ordine alla disclosure del c.d. codice sorgente ovvero dell'algoritmo di calcolo del software che ha gestito le prove del concorso per la selezione di dirigenti scolastici (Cons. St. VI, n.30/2020), l'amministrazione di uno Stato estero con riferimento a una richiesta di accesso civico generalizzato ai documenti inerenti a una base militare sita in territorio italiano (Cons. St. IV, n.6719/2019), i proprietari di immobili in relazione alla disclosure di atti inerenti a pratiche di natura edilizia (T.A.R. Lombardia, Milano II, n.1065/2018). Al fine di consentire l'esercizio del diritto di difesa e di contraddittorio da parte dei controinteressati e rendere ciò compatibile con l'intero impianto normativo in materia di trasparenza amministrativa, il legislatore ha previsto un periodo di sospensione del termine di conclusione del procedimento di accesso civico per consentire ai controinteressati di opporsi all'ostensione dell'informazione amministrativa richiesta. In particolare, ai sensi dell'art. 5, comma 5, del decreto trasparenza, l'amministrazione procedente deve concedere ai controinteressati un termine di dieci giorni per la presentazione di opposizione motivata, durante la pendenza del quale si sospende il termine di conclusione del procedimento di accesso civico generalizzato, come chiarito dalla predetta norma. Per quel che concerne le modalità di conclusione e la durata del procedimento di accesso civico, l'art. 5, comma 6, del decreto trasparenza stabilisce che esso deve necessariamente concludersi con l'adozione di un provvedimento espresso e motivato, che l'amministrazione non solo deve adottare nel termine di 30 giorni dalla presentazione dell'istanza, ma deve anche comunicare al richiedente e agli eventuali controinteressati. Più nello specifico, tale norma prevede che in caso di accoglimento dell'istanza di accesso civico senza che sia stata sollevata opposizione da parte degli eventuali controinteressati, l'amministrazione è tenuta a trasmettere tempestivamente al richiedente i dati, le informazioni e i documenti richiesti. Nel caso di accoglimento di un'istanza di accesso civico semplice, invece, l'amministrazione deve comunicare al richiedente l'avvenuta pubblicazione dell'informazione amministrativa, unitamente al collegamento ipertestuale necessario per accedere alla sezione del sito Internet istituzionale nel quale la stessa è passibile di consultazione. L'art. 5, comma 6, del decreto trasparenza disciplina anche il caso dell'accoglimento dell'istanza di accesso civico generalizzato in presenza di opposizione dei controinteressati. In particolare, in tal caso l'amministrazione può comunque accogliere l'istanza di accesso agli atti, nella sua interezza o unicamente con riferimento ad alcuni dei dati, informazioni e documenti per i quali è stata formulata l'istanza di accesso ove ritenga fondata l'opposizione. Come chiarito anche dalla 1ª Circolare FOIA, spetta sempre all'amministrazione destinataria della richiesta di accesso civico valutare la probabilità e serietà del pregiudizio lamentato dai controinteressati ai propri interessi privati, bilanciandolo con la rilevanza dell'interesse conoscitivo della collettività (nonché quello del richiedente, ove espressamente indicato) che l'accesso civico mira a perseguire. Il giudice amministrativo (T.A.R. Puglia, Bari I, n.1432/2020), nel dichiarare illegittimo il rigetto parziale di una istanza di accesso civico generalizzato tesa a ottenere atti relativi a procedimenti di autorizzazione per la realizzazione di una residenza sanitaria assistenziale, ha affermato che l'opposizione dei controinteressati non può, di per sé, determinare il rigetto di un'istanza di accesso civico generalizzato. Infatti, a differenza dell'accesso documentale, l'accesso civico può essere negato unicamente in presenza dei limiti e delle esclusioni espressamente individuate dal legislatore all'art. 5-bis del decreto trasparenza. Tra tali limiti non rientra la mera opposizione del controinteressato, salvo che le ragioni su cui essa si fonda non integrino, secondo l'amministrazione procedente, alcuna delle ipotesi di limitazione o esclusione del diritto di accesso civico previste dalla legge. Il legislatore ha dettato una specifica disciplina per le ipotesi di accoglimento delle istanze di accesso civico generalizzato in presenza di opposizione dei controinteressati, disponendo che l'amministrazione debba comunicare la propria determinazione tanto al richiedente, quanto ai controinteressati, ma non possa disporre l'immediata trasmissione dei dati e documenti richiesti, dovendo differirla di quindici giorni, salvi i casi di comprovata indifferibilità. Il termine di differimento mira a consentire al controinteressato l'attivazione degli strumenti di tutela previsti dall'ordinamento per tutelare gli interessi privati individuati dall'art. 5-bis, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013, nelle ipotesi in cui l'amministrazione abbia comunicato l'accoglimento dell'istanza di accesso civico nonostante l'intervenuta opposizione. Nella 1ª Circolare FOIA sono, inoltre, specificamente indicate le ipotesi nelle quali non è legittimamente consentito rigettare l'istanza di accesso civico generalizzato. In primo luogo, non viene considerato legittimo il diniego di accesso motivato sul carattere temporalmente risalente dei dati o documenti richiesti, in quanto il fatto che gli stessi risultano formati in data anteriore alla entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013 o del d.lgs.n. 97/2016 non osta alla piena affermazione del principio di conoscibilità, che non ammette alcun tipo di limitazione di ordine temporale. Tale tipologia di limite, invero, non risulta prevista dal legislatore tra le ipotesi di limitazione o esclusione dell'accesso civico generalizzato di cui all'art. 5-bis del decreto trasparenza e le stesse, come già precisato in precedenza, non sono suscettibili di estensione analogica, di integrazione o ampliamento mediante l'adozione di norme di rango secondario o per il tramite di provvedimenti amministrativi comunque denominati. In secondo luogo, per analoghe ragioni, l'istanza di accesso civico generalizzato non può essere rigettata sulla scorta del fatto che il suo accoglimento possa cagionare un generico pregiudizio all'amministrazione procedente o alla professionalità dei soggetti coinvolti, ovvero per generiche ragioni di confidenzialità delle informazioni o, infine, per motivi di opportunità, derivanti dalla necessità di consultare gli organi di indirizzo politico dell'ente che detiene l'informazione amministrativa richiesta. La fase del riesame e il ricorso al difensore civico L'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 33/2013 disciplina la fase, eventuale, del riesame dell'istanza di accesso civico. In particolare, tale norma dispone che nei casi di diniego totale o parziale dell'accesso o di mancata risposta nel termine di 30 giorni, il richiedente può presentare richiesta di riesame al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), che decide con provvedimento motivato entro il termine di venti giorni – se l'accesso civico è stato negato o differito per ragioni inerenti alla salvaguardia dei dati personali, è necessario che il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza senta il Garante della privacy che, a sua volta, deve pronunciarsi entro dieci giorni dalla richiesta di riesame, termine durante il quale si sospende il termine di venti giorni fissato dal legislatore per l'adozione del provvedimento conclusivo della fase del riesame –. La richiesta di riesame non dà vita ad un nuovo procedimento, ma costituisce solo un'appendice eventuale dell'unico procedimento avviato con l'istanza di accesso civico, limitata alla verifica della correttezza della decisione dell'amministrazione e senza che possano in essa trovare ingresso nuove questioni e prospettazioni delle parti coinvolte. In sede di riesame, tuttavia, il RPCT ha il potere di rivalutare la scelta compiuta dall'amministrazione tanto sotto il profilo della legittimità, quanto sotto quello del merito (Ponti, 52). La dottrina (Ponti, 52-53) ha evidenziato che la disciplina positiva della fase del riesame presenta una disarmonia nella parte in cui non prevede che, in caso di inerzia dell'amministrazione, il RPCT debba richiedere il parere al Garante della privacy. Tale lacuna normativa, infatti, potrebbe causare un vulnus alla tutela dei dati personali contenuti nell'informazione amministrativa di cui si chiede la disclosure, anche laddove nel corso della prima fase del procedimento di accesso civico i soggetti controinteressati abbiano sollevato opposizione all'accesso proprio in ragione della necessità di salvaguardare i propri dati personali. Giova evidenziare che la normativa sulla trasparenza non individua alcun termine per proporre domanda di riesame. Sul punto, pertanto, sono state fornite alcune indicazioni mediante la 2ª Circolare FOIA. In particolare, con tale circolare è stato specificato che la domanda di riesame non può proporsi sine die, in quanto ciò causerebbe una situazione di incertezza circa l'effettiva conclusione della vicenda amministrativa relativa alla disclosure dell'informazione amministrativa oggetto dell'istanza di accesso civico, con sicure ricadute negative sull'applicazione della disciplina dell'accesso civico. Infatti, se fosse consentita la presentazione dell'istanza di riesame a distanza di moltissimo tempo dall'adozione del provvedimento con il quale l'amministrazione si è pronunciata sull'istanza di accesso civico, allora vi sarebbe un sostanziale aggiramento del termine decadenziale di trenta giorni previsto dalla legge per la presentazione del ricorso giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo, così come quello del termine decadenziale entro il quale può essere presentato il ricorso al difensore civico. Per evitare che vengano vanificati gli effetti del regime decadenziale – consistenti, in primis, nel consolidamento degli effetti del provvedimento amministrativo non tempestivamente impugnato – nella 2ª Circolare FOIA viene prospettata la sussistenza di un termine decadenziale pari a trenta giorni per la presentazione dell'istanza di riesame, decorrente (dies a quo) dalla decisione dell'amministrazione sull'istanza di accesso civico. Più nello specifico, tale termine si ricava, in via generale, dalla disciplina dei ricorsi amministrativi (art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 1199/1971), alla quale l'istituto del riesame è riconducibile. Decorso inutilmente tale termine, l'eventuale presentazione dell'istanza di riesame può essere dichiarata irricevibile, fatti salvi i casi in cui la tardività appaia incolpevole o comunque giustificata alla luce delle specifiche motivazioni addotte dall'istante. Per quel che riguarda la posizione dei controinteressati nella fase del riesame, quale fase ulteriore dell'unico procedimento di accesso civico, la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. V, n.4644/2021) ha affermato che non sussiste alcun obbligo di coinvolgere tali soggetti se la loro partecipazione è già stata assicurata nella prima fase procedimentale (cioè, quella antecedente alla pronuncia dell'amministrazione sull'istanza di accesso civico). In tal senso depone anche la 2ª Circolare FOIA, nella parte in cui chiarisce che la partecipazione dei controinteressati alla fase di riesame deve essere assicurata soltanto nel caso in cui venga constatato che essa non sia avvenuta nel corso della prima fase del procedimento per una erronea valutazione circa la sussistenza di un pregiudizio concreto agli interessi di cui all'art. 5-bis, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 (si tratta dell'ipotesi in cui i controinteressati sono stati pretermessi, come chiarito anche dal T.A.R. Lazio, Roma I, n.10994/2020). In questo caso, la partecipazione dei controinteressati al procedimento di riesame deve ritenersi ammissibile, trattandosi dell'ultima possibilità per assicurare al controinteressato l'esercizio del diritto di difesa nell'ambito del procedimento amministrativo. Accedere a una diversa interpretazione determinerebbe un inammissibile aggravio del procedimento di accesso civico, privo di qualsiasi utilità pratica e contrario al principio costituzionale del buon andamento, non essendo ammissibili modifiche all'oggetto e alle ragioni dell'istanza di accesso civico, né alle osservazioni e alle controdeduzioni già svolte nella prima fase. Nella 2ª Circolare FOIA, con riferimento alle facoltà riconosciute ai controinteressati pretermessi, viene chiarito che a tali soggetti, una volta esteso il contraddittorio in fase di riesame, in analogia con quanto previsto dall'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 33/2013, debba essere riconosciuta la possibilità di presentare una motivata opposizione entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione inerente alla presentazione dell'istanza di riesame. In tale ipotesi, si ritiene che il termine di conclusione del procedimento di riesame vada sospeso, ove necessario, fino all'eventuale opposizione dei controinteressati e comunque per non più di dieci giorni, cioè per un lasso di tempo analogo a quello che la legge stabilisce in favore dei controinteressati per la presentazione di eventuali opposizioni nel corso della prima fase del procedimento di accesso civico. L'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 33/2013 stabilisce che il soggetto che presenta un'istanza di accesso civico per accedere a informazioni, dati e documenti in possesso delle Regioni e degli enti locali può presentare ricorso al difensore civico competente per territorio, ove costituito, ovvero a quello immediatamente superiore, ove non costituito. Sotto questo profilo la norma si discosta dalle indicazioni fornite dalla legge delega, che aveva invece individuato un sistema accentrato di tutela in sede amministrativa, prevedendo esplicitamente «procedure di ricorso all'Autorità nazionale anticorruzione in materia di accesso civico e in materia di accesso [generalizzato]» (art. 7, comma 1, lett. h), della l. n. 124/2015). Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il ricorso al difensore civico rientra nel novero dei rimedi amministrativi ed è riconducibile alla categoria del ricorso gerarchico improprio, in quanto rivolto ad un organo non originariamente competente, né legato a quello competente da una relazione organica di sovraordinazione (Cons. St. VI, n.2938/2003). Tale rimedio genera effetti deflattivi del contenzioso, tenuto anche conto degli oneri connessi alla proposizione del ricorso giurisdizionale. Nel silenzio della legge e dato il carattere tassativo del ricorso gerarchico improprio (Travi, 151), non appare ammissibile estendere in via analogica, alla disciplina dell'accesso civico, le previsioni degli artt. 25 e 27 della legge generale sul procedimento amministrativo. Pertanto, nei confronti dei provvedimenti di diniego o di differimento dell'accesso civico adottati dalle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato non è ammissibile il ricorso alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, in quanto non vi è alcuna disposizione normativa del decreto trasparenza che contenga prescrizioni analoghe a quelle dettate dall'art. 25, comma 4, della l. n. 241/1990. Sul piano procedurale, l'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 33/2013 stabilisce che il difensore civico deve pronunciarsi entro il termine di trenta giorni decorrente dalla presentazione del ricorso e, in caso di accoglimento, l'amministrazione resistente (alla quale, unitamente al ricorrente e agli eventuali controinteressati, la decisione deve essere comunicata) ha l'onere di riesaminare la propria precedente decisione entro il termine di trenta giorni. All'esito del riesame, l'amministrazione può adottare un provvedimento confermativo motivato, la cui motivazione non può avere carattere meramente ricognitivo delle ragioni che avevano condotto al precedente diniego, ma deve esplicitare i motivi del mancato allineamento con le argomentazioni contenute nella decisione favorevole all'accesso resa dal difensore civico. Inoltre, nel caso in cui venga in rilievo la necessità di tutelare dati personali, il legislatore ha dettato una disciplina analoga a quella prescritta per la fase del riesame, stabilendo che il difensore civico, se l'accesso è negato o differito a tutela di tali interessi-limite, deve sentire il Garante della privacy (e, nelle more della pronuncia del Garante, il termine di trenta giorni resta sospeso fino alla ricezione del parere e, comunque, per un massimo di dieci giorni). A differenza del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il difensore civico non è competente a pronunciarsi nei casi di inerzia dell'amministrazione. In proposito, la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lombardia, Milano I, n.2024/2018;T.A.R. Firenze II, n.554/2015) ha chiarito che il provvedimento confermativo di un precedente provvedimento di diniego di accesso, reso successivamente alla decisione del difensore civico sul ricorso presentato dal soggetto istante o da un eventuale controinteressato, si configura quale autonoma manifestazione di volontà provvedimentale che si risolve in una nuova reiezione dell'istanza di accesso civico. Il provvedimento confermativo risulta a sua volta impugnabile in sede giurisdizionale, ma non anche dinanzi al difensore civico che, con la sua decisione, si limita a compulsare l'amministrazione a riesaminare compiutamente l'istanza di accesso civico sottoposta alla sua attenzione; diversamente opinando si perverrebbe a una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. L'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 33/2013 prescrive anche che laddove l'amministrazione resistente non emani il provvedimento motivato, confermativo del diniego, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l'accesso è consentito in quanto l'inerzia dell'amministrazione assume valore di silenzio assenso. Il fatto che l'accoglimento del ricorso esperito dinanzi al difensore civico non comporti l'annullamento del provvedimento, ma miri unicamente a sollecitarne il riesame da parte dell'amministrazione, si deve alla circostanza per cui il difensore civico non dispone di poteri coercitivi specifici nei confronti dell'apparato amministrativo. Tale ricorso, dunque, costituisce un rimedio stragiudiziale estremamente limitato, poiché la carenza di tali poteri finisce con l'inficiare l'efficacia della tutela amministrativa in materia di accesso civico. Pertanto, il fatto che il legislatore abbia previsto solamente un potere di carattere sollecitatorio impedisce di considerare il ricorso al difensore civico quale strumento pienamente deflattivo del contenzioso giurisdizionale, come da tempo indicato dalla giurisprudenza amministrativa con riguardo all'ambito dell'accesso documentale (Cons. St. VI, n.2938/2003). Vale, infine, sottolineare che il ricorso al difensore civico non costituisce condizione di procedibilità per l'accesso alla tutela giurisdizionale, in quanto il legislatore, pur optando per la previsione di un sistema giustiziale, non ha comunque inteso rafforzare in misura significativa gli incentivi al ricorso ai rimedi di carattere amministrativo. Nella materia della trasparenza, inoltre, l'introduzione di una condizione di procedibilità nel senso appena delineato non può essere oggetto di alcuna previsione normativa di rango regionale, in ragione del fatto che le disposizioni del d.lgs. n. 33/2013, ai sensi dell'art. 1, integrano l'individuazione del livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, il che impone che gli standard di tutela in materia di accesso civico siano necessariamente uniformi sull'intero territorio nazionale. Tuttavia, la tutela in sede amministrativa e quella in sede contenziosa sono state coordinate dal legislatore il quale, all'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 33/2013, prescrive che il termine di cui all'art. 116 del Codice del processo amministrativo decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, della decisione del difensore civico. La dottrina (Ponti, 55) ha osservato che, in caso di inerzia del difensore civico, la sospensione del termine per l'esperimento del rimedio giudiziale non può perdurare sine die. Pertanto, il termine decadenziale al quale è assoggettata l'azione prevista dall'art. 116 del Codice del processo amministrativo riprenderà in ogni caso a decorrere allo spirare del termine di trenta giorni entro il quale il difensore civico deve rendere la propria decisione ai sensi dell'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 33/2013. La tutela giurisdizionale (rinvio)L'art. 5, comma 7, in fine, del d.lgs. n. 33/2013 stabilisce che avverso il provvedimento con cui l'amministrazione decide sull'istanza di accesso civico ovvero avverso il provvedimento che conclude l'eventuale fase del riesame, è possibile proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo ai sensi dell'art. 116del Codice del processoamministrativo. In caso di accoglimento dell'istanza di accesso civico i controinteressati possono proporre ricorso giurisdizionale ai sensi del citato art. 116 del Codice del processo amministrativo. Per una più diffusa trattazione dei rimedi giurisdizionali avverso i provvedimenti relativi alle istanze di accesso civico, si rinvia all'analisi dell'art. 50 del d.lgs. n. 33/2013, norma relativa alla tutela giurisdizionale per violazione degli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa vigente. I rapporti tra le differenti discipline generali in materia di accessoIn seguito alle modifiche apportate dal decreto trasparenza dalla novella del 2016, l'accesso all'informazione amministrativa si caratterizza per la coesistenza di tre sistemi di portata generale, ciascuno dei quali presenta specifici presupposti, limiti ed eccezioni. Si tratta, in particolare, dell'accesso documentale disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della l. n. 241/1990, dell'accesso civico regolato dal d.lgs. n. 33/2013, nonché dell'accesso civico generalizzato, anch'esso disciplinato dal d.lgs. n. 33/2013 in seguito alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 97/2016. Tra l'altro, proprio con specifico riguardo alle due tipologie di accesso civico, l'ANAC, con la delibera n. 1309/2016 (punto 2.2), sin dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 97/2016 ha chiarito che si tratta di due differenti istituti – ancorché accomunati dal diffuso riconoscimento in capo a chiunque, indipendentemente dalla titolarità di una situazione giuridica soggettiva connessa – destinati a muoversi su binari distinti e che presentano un carattere autonomo e indipendente. L'ANAC, inoltre, ha anche chiarito la distinzione tra accesso civico generalizzato e accesso documentale, affermando che quest'ultimo mira a porre i soggetti interessati dall'esercizio di un potere pubblico in grado di esercitare al meglio le facoltà partecipative, oppositive e difensive che l'ordinamento riconosce a tutela dei titolari di posizioni giuridiche soggettive differenziate e qualificate (delibera n. 1309/2016, punto 2.3). Le differenti finalità sottese alle tre tipologie generali di accesso e il non coincidente perimetro operativo hanno consentito, in primis alla giurisprudenza amministrativa, di definire in maniera più precisa la relazione intercorrente tra le stesse, portando a coerenza il sistema in seguito alle prime incertezze interpretative dovute alle più recenti e profonde modifiche introdotte dal legislatore all'impianto generale della trasparenza amministrativa. L'unica norma di raccordo tra tali istituti è data dall'art. 5, comma 11, del decreto trasparenza che, a chiusura e completamento della disciplina dell'accesso civico generalizzato, stabilisce che «restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dal Capo II [del d.lgs. n. 33/2013, n.d.r.], nonché le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della l. n. 241/1990». La giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020;Cons. St. V, n.5503/2019) ha interpretato tale disposizione normativa nel senso che essa consente, in maniera pacifica, il concorso tra le diverse forme di accesso, il che risulta altresì corroborato dal fatto che nell'ordinamento non opera alcun genere di preclusione al cumulo, anche contestuale, di differenti istanze di accesso. Per converso, per ragioni processuali, non è ammissibile la conversione della domanda di accesso nel corso del giudizio, ad esempio da civico generalizzato a documentale (T.A.R. Toscana II, n.1748/2019). A tale ultimo riguardo, inoltre, è stato ulteriormente specificato che è preclusa la possibilità di immutare, anche in corso di causa, il titolo della c.d. actio ad exhibendum, poiché ciò determinerebbe la violazione del divieto della mutatio libelli e di introduzione di ius novorum (Cons. St. IV, n.1406/2017;Cons. St. V, n.1817/2019;Cons. St. V, n.5503/2019). Anche l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020), nell'affrontare tale profilo, ha sancito che una volta che il richiedente l'accesso ha formalizzato in sede procedimentale la propria scelta in ordine all'istituto che intende attivare, resta al medesimo preclusa la possibilità di convertire l'istanza in base a un differente modello legale, e ciò tanto nella fase del riesame, quanto in sede giurisdizionale. Inoltre, mentre al privato è consentito cumulare espressamente nei confronti della medesima pubblica amministrazione distinte istanze di accesso, formulando la propria pretesa ostensiva sulla scorta di più basi giuridiche (d.lgs. n. 33/2013 e l. n. 241/1990), il tema della ampiezza del vaglio, da parte della Pubblica Amministrazione, di istanze di accesso formulate senza un esplicito e chiaro riferimento alle basi giuridiche poste a fondamento della richiesta di disclosure ha suscitato un più ampio dibattito, articolato intorno ai due poli della salvaguardia del principio del buon andamento, letto alla luce dei suoi corollari, e della piena affermazione del principio di trasparenza, anche sulla scorta delle distinte finalità e della non coincidente portata operativa delle tre forme di accesso previste dalla legislazione vigente. Il giudice amministrativo, pronunciandosi proprio sulla questione appena menzionata (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020), ha optato per una soluzione di compromesso che mira a soddisfare tanto le esigenze di matrice pubblicistica sottese alla piena affermazione del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione, quanto le esigenze di conoscibilità dell'informazione amministrativa sottese alla nuova e più ampia accezione della trasparenza. In particolare, la giurisprudenza appena richiamata ha stabilito che, ove l'istante non abbia espressamente limitato la propria pretesa ostensiva al solo accesso documentale, l'Amministrazione è tenuta anche a verificare la sussistenza o meno dei presupposti per l'esercizio dell'accesso civico generalizzato se, dal punto di vista sostanziale, la richiesta presenti comunque gli elementi utili a vagliarne l'accoglimento sotto il più ampio profilo civico dell'accesso all'informazione amministrativa. Dunque, sulla base di tale arresto giurisprudenziale, è fatto obbligo alla Pubblica Amministrazione, nel rispetto del principio del contraddittorio con gli eventuali controinteressati, di esaminare le istanze di accesso nel loro complesso evitando inutili formalismi procedurali (in ossequio al principio del minor aggravio possibile nell'esercizio del diritto di accesso civico), al fine di soddisfare pienamente l'anelito ostensivo dei consociati. Viceversa, ove l'Amministrazione, appellandosi a rigide regole formali, quale ad esempio la non chiara precisazione della base giuridica su cui si fonda l'attivazione del diritto di accesso, denegasse la disclosure dell'informazione in suo possesso, il diritto alla conoscibilità verrebbe irrimediabilmente frustrato, in contrasto con la ratio e le finalità che permeano l'intero impianto normativo della trasparenza amministrativa. La giurisprudenza (Cons. St. V, n.5503/2019) ha anche avuto modo di evidenziare che non osta a tale soluzione l'aggravio procedurale a carico dell'amministrazione destinataria della richiesta di disclosure. Infatti, con specifico riferimento all'ipotesi in cui il privato abbia contestualmente proposto più richieste di accesso fondate su diverse basi giuridiche, è stato preso atto della circostanza che istanze di accesso complesse, perché formulate in modo ancipite, comportano un aggravio procedimentale a carico dell'amministrazione, dovuto al fatto che essa, nel determinarsi in ordine all'accoglimento o al rigetto della richiesta, sarà tenuta ad applicare e valutare regole e limiti differenti. A tale riguardo – anticipando alcuni aspetti relativi ai limiti normativi del diritto di accesso civico generalizzato sanciti dall'art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 – occorre porre in evidenza che la valutazione di un'istanza di accesso implica, da parte delle pubbliche amministrazioni, lo svolgimento di un'attività di giudizio che si traduce in un bilanciamento diretto a calibrare i diversi interessi in gioco, ossia, da un lato, l'interesse dei consociati alla conoscibilità dell'informazione amministrativa e, dall'altro, gli eventuali interessi-limite di natura pubblica o privata contemplati dalla normativa di riferimento. In particolare, è stato plasticamente osservato che il bilanciamento di interessi varia a seconda che l'istanza di accesso presenti un carattere meramente documentale ai sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241/1990 – nel qual caso ragioni di tutela dell'interesse sostanziale dell'istante possono consentire un accesso più in profondità ai dati richiesti – ovvero un carattere civico generalizzato ai sensi dell'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 – nel qual caso le esigenze di controllo diffuso dei consociati, alle quali tale istituto è preordinato, consentono un accesso più esteso all'informazione, ai dati e ai documenti amministrativi, ancorché meno in profondità rispetto all'accesso documentale –. Così, ad esempio, è stato affermato che l'accesso civico generalizzato, sebbene sia volto a garantire forme diffuse di controllo sull'operato e sull'utilizzo delle risorse delle pubbliche amministrazioni, non può comunque essere utilizzato quale strumento per ottenere un surrettizio riesame dell' iter procedimentale, al punto da dar luogo a una indagine sull'istruttoria condotta; il difetto di istruttoria, infatti, costituisce una delle figure sintomatiche del vizio di eccesso di potere, la cui sussistenza inficia la legittimità dell'operato degli enti pubblici, il cui vaglio spetta all'Autorità giudiziaria amministrativa (T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 857/2020). Una parte della dottrina (Marchetti, 32) ha criticato l'impostazione giurisprudenziale appena richiamata, asserendo che non appaiono del tutto comprensibili le modalità attraverso le quali poter concretamente misurare e stabilire la diversa profondità connessa alle varie tipologie di accesso. Tale distinzione, infatti, comporterebbe il rischio di creare una gerarchizzazione tra i vari diritti di accesso, rendendo quello civico generalizzato più debole e quindi affievolito, posto che la sua concreta attuazione sarebbe condizionata ad un esito sfavorevole della verifica in ordine alla sussistenza di altri interessi, di natura pubblica e privata, confliggenti con il diritto alla conoscibilità dell'informazione amministrativa da parte dei consociati, considerati uti cives e non come portatori di specifici interessi, differenziati e qualificati, correlati all'esercizio dei pubblici poteri. Si tratta, tuttavia, di una posizione che non appare condivisibile, alla luce delle scelte normative operate dal legislatore, che ha previsto in maniera espressa limiti e cause di esclusione che variano in relazione alle distinte forme di accesso e che, tra l'altro, risultano tendenzialmente in linea con i modelli FOIA adottati in altri ordinamenti giuridici. La dottrina (Cantisani, 120; Tommasi, 6) ha anche criticato l'interpretazione fornita dall'ANAC, e poi presa in considerazione anche dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in merito alla maggiore o minore profondità dell'accesso, a seconda che sia stato esercitato il diritto di accesso documentale o quello civico, evidenziando che, con riferimento all'accesso civico generalizzato, non verrebbe a realizzarsi alcuna operazione di bilanciamento, ma solo una valutazione inerente alla sussistenza di un pregiudizio agli interessi-limite predeterminati dal legislatore. Altra parte della dottrina (Gardini, Il paradosso della trasparenza in Italia: dell'arte di rendere oscure le cose semplici, 17-18; Galetta, 16), invece, ammette pacificamente la coesistenza dei diversi diritti di accesso, pur prospettando diversi scenari in ordine al tipo di vaglio giudiziale da operare sulle decisioni inerenti alle istanze di accesso documentale e difensivo. Più in particolare, da alcuni autori è stato ipotizzato un vaglio meno pregnante, sul presupposto che nel tempo l'accesso documentale ricoprirà un ruolo marginale all'interno del sistema, mentre da altri è stato ipotizzato un vaglio più stringente. Tale ultimo approccio è stato valorizzato anche da una parte della giurisprudenza amministrativa (Cons. St. IV, n.5515/2013) che, in proposito,0 ha evidenziato come non sia sufficiente porre a base di una istanza di accesso documentale la necessità di soddisfare generiche esigenze difensive, poiché questa forma di disclosure merita di essere riconosciuta solo nel caso in cui sussista la necessità di tutelare specifici interessi che si assumono lesi dall'operato della Pubblica Amministrazione. Sulla scorta del riconoscimento della logica della integrazione e non di quella della separatezza tra le varie forme di accesso, funzionale a un sistema di trasparenza amministrativa non più solamente imperniato sul bisogno di conoscenza (need to know) dei consociati – al quale era preordinato il principio di pubblicità e la sua concretizzazione in forme di disclosure proattiva – ma caratterizzato da un vero e proprio diritto di conoscere (right to know) – la cui attuazione passa, in gran parte, attraverso l'istituto dell'accesso civico generalizzato, quale forma principe di disclosure reattiva – è possibile cogliere alcuni ulteriori specifici risvolti applicativi connessi al rapporto tra i diversi modelli di accesso. La presentazione di un'istanza di accesso civico generalizzato non è mai subordinata alla titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata, che si riflette nella necessità che l'istante abbia un interesse diretto, attuale e concreto alla disclosure, in quanto la pretesa ostensiva non è veicolata singulatim ma uti cives, e ciò costituisce una delle principali differenze tra questa forma di accesso e quella documentale disciplinata dalla legge n. 241/1990, che si caratterizza per una più limitata legittimazione attiva. Tale aspetto è stato puntualmente valorizzato dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020) che, nel chiarire i termini del rapporto tra accesso civico generalizzato e accesso documentale, ha affermato che l'assenza di un interesse diretto, attuale e concreto in capo al soggetto dal quale proviene l'istanza di accesso, non rende inammissibile l'istanza di accesso civico avanzata contestualmente (ancorché in maniera implicita, pur se sostanziale), posto che il diritto di accesso civico generalizzato nasce anche per superare le restrizioni in punto di legittimazione che il legislatore ha imposto ai fini dell'esercizio dell'accesso documentale. Pertanto, non bisogna confondere la ratio dell'istituto dell'accesso civico generalizzato con l'interesse del richiedente, che oltre a non dover necessariamente essere altruistico o solidale, non deve neanche essere assoggettato a un giudizio di meritevolezza (ancorché, come già evidenziato, l'esercizio di tale diritto non debba comunque essere pretestuoso o contrario a buona fede). Solo nel caso in cui l'istanza di accesso risulti chiaramente circoscritta a un'unica forma di accesso, l'amministrazione non sarà tenuta a valutare anche la sussistenza dei presupposti delle altre tipologie di accesso. Così, ad esempio, ove l'istanza sia stata formulata unicamente sulla base degli art. 22 e seguenti della l. n. 241/1990, la stessa non potrà essere esaminata anche come richiesta di accesso civico generalizzato ai sensi dell'art. 5, comma 2, del decreto trasparenza, altrimenti l'amministrazione si pronuncerebbe, con una sorta di diniego difensivo in prevenzione, su un'istanza di accesso mai formulata, neanche in maniera implicita (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020). Tale profilo di analisi presenta rilevanti ricadute processuali, in quanto le modalità con le quali l'interesse conoscitivo è stato fatto valere in sede procedimentale – da valutare alla luce delle forme di accesso esplicitamente o implicitamente attivate dal richiedente – incidono sull'oggetto del giudizio promosso avverso la decisione assunta dall'amministrazione sull'istanza di disclosure; come noto, infatti, il giudice amministrativo non può pronunciarsi su poteri amministrativi non ancora esercitati, stante il divieto di cui all'art. 34, comma 2, del Codice del processo amministrativo. Sul punto va brevemente ricordato che il giudizio in materia di accesso, nella sostanza, non presenta natura impugnatoria, essendo diretto all'accertamento della sussistenza o meno del diritto di accesso dell'istante/ricorrente e, quindi, consiste a tutti gli effetti in un vero e proprio giudizio sul rapporto: ciò trova conforto sia nel dato letterale dell'art. 116, comma 4, del Codice del processo amministrativo – che dispone che il giudice amministrativo, ove ricorrano i presupposti previsti dalla legge, ordina l'esibizione dei documenti richiesti – sia nell'interpretazione che di tale disposizione normativa ha fornito la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. VI, n.2542/2002;Cons. St. V, n.3956/2018). L'ANAC, inoltre, proprio facendo leva sul diverso tipo di bilanciamento che occorre svolgere per valutare le istanze di accesso documentale rispetto a quelle di accesso civico generalizzato, ha ammesso la possibilità (pur relegandola a ipotesi residuali) che ai titolari di situazioni giuridiche qualificate e differenziate sia consentito l'accesso a documenti amministrativi per i quali, invece, l'istanza di accesso civico generalizzato sia stata in precedenza rigettata (cfr. ANAC, delibera n. 1309/2016, punto 2.3). Vale, infine, osservare che l'ontologica differenza che caratterizza l'accesso documentale ex art. 22 della l. n. 241/1990 e l'accesso civico ex art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013, incide anche sulla valutazione di istanze di accesso di analogo contenuto non presentate simultaneamente. In particolare, ogniqualvolta l'amministrazione sia destinataria di due differenti istanze di accesso contenutisticamente analoghe, ma non sovrapponibili sotto il profilo soggettivo e dei presupposti, si rende necessario riconoscere carattere novativo alla richiesta di accesso pervenuta successivamente, con la conseguenza che il suo eventuale diniego non può essere motivato facendo unicamente leva sulla mera reiterazione di una precedente e analoga domanda ostensiva. Invero, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che non ricorre l'ipotesi del diniego meramente confermativo allorché la successiva istanza di accesso sia fondata su fatti nuovi e su una diversa prospettazione della legittimazione all'accesso – ad esempio, è stato dichiarato illegittimo il rigetto di un'istanza di accesso civico generalizzato, volta al rilascio degli atti di un collaudo, motivato unicamente sulla base del rigetto di una precedente richiesta di accesso documentale avente ad oggetto l'ostensione dei medesimi documenti (Cons. St. V, n.3162/2021) –. Il rapporto tra le discipline generali e quelle settoriali in materia di accesso (cenni e rinvio) Oltre al rapporto tra le tre differenti discipline generali in materia di accesso si pone anche il problema di definire la relazione intercorrente tra tali discipline – in particolare, quella dell'accesso documentale e quella dell'accesso civico generalizzato – e le previsioni normative sull'accesso contenute nella legislazione di settore. In particolare, le discipline di settore in cui il diritto di accesso è specificamente previsto sono il d.lgs. n. 267/2000 per quel che concerne gli atti e le informazioni degli enti locali, il d.lgs. n. 195/2005 per quel che riguarda le informazioni di carattere ambientale e il Codice dei contrattipubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016, per quel che riguarda le informazioni inerenti agli affidamenti pubblici e alle procedure di scelta del contraente da parte degli enti aggiudicatori. Su tale problematica si è espressa la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020) affermando che il rapporto tra le discipline generali e quelle settoriali in materia di accesso non va ricostruito solo alla luce del principio di specialità – quindi in un'ottica di esclusione reciproca – ma anche facendo applicazione di un canone esegetico che consenta il completamento e la reciproca integrazione dei relativi regimi giuridici. Infatti, ancorché le discipline generali e quelle settoriali presentino le proprie peculiarità e si differenzino le une dalle altre, le stesse sono comunque preordinate al soddisfacimento dell'interesse conoscitivo dei soggetti che esercitano il diritto di accesso, alla cui piena realizzazione osta una segregazione assoluta delle singole discipline secondo un criterio di riparto per materia. L'applicazione di tale canone esegetico richiede, dunque, che venga compiuta, di volta in volta, una indagine in ordine alla portata e alle finalità di tutela degli interessi-limite previsti dal regime giuridico delle singole discipline sull'accesso, in quanto la loro operatività funge da preclusione al soddisfacimento della pretesa ostensiva. Pertanto, il rapporto tra le diverse discipline andrà delineato su base casistica e non per interi blocchi di materie, verificando se i limiti predeterminati dal legislatore siano o meno compatibili con l'esercizio dell'accesso civico generalizzato. Siccome tale diritto costituisce espressione di una libertà fondamentale degli individui considerati nella dimensione sociale ( uti cives ) – come è dato evincere dagli artt. 1,2,97 e 117 Cost., nonché dall'art. 10 della CEDU – di ciò occorre tener conto nella valutazione dei limiti e delle esclusioni (anche se configurate come preclusioni di carattere assoluto) poste dalla disciplina positiva al diritto di accesso. Così, dunque, per stabilire se le preclusioni di settore trovino applicazione rispetto al diritto di accesso civico generalizzato, è stato rimesso all'interprete il compito di ricostruire in via ermeneutica la volontà del legislatore e, sulla scorta della stessa, definire la concreta portata operativa e il perimetro applicativo del diritto di accesso civico, definendone i limiti alla luce delle specificità del caso e dell'ambito nel quale esso è stato esercitato. Più in particolare, il giudice amministrativo (Cons. St. V, n.5503/2019) ha affermato che nei rapporti tra discipline generali e discipline settoriali in materia di accesso all'informazione amministrativa, le discipline di settore non si caratterizzano sempre per avere una portata derogatoria e, per questo, occorre che, di volta in volta, venga verificata la compatibilità dell'accesso civico generalizzato con le condizioni, le modalità e i limiti fissati dalle disposizioni speciali. Il tema, in particolare, è stato affrontato con riferimento ai rapporti tra accesso civico generalizzato e accesso nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica, anche in relazione alla fase di esecuzione del contratto. Tale questione verrà analizzata successivamente (infra subartt. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 e 53 del d.lgs. n. 50/2016) e si darà conto dei problemi di coordinamento e integrazione tra i diversi regimi di accesso anche rispetto alla disciplina dell'accesso agli atti degli enti locali e a quella dell'accesso alle informazioni ambientali. Accesso civico generalizzato al Piano Sanitario Nazionale in caso di pandemia da Covid-19Il Cons. St. III, n. 5213/2021: «La trasmissione nelle more del giudizio di appello – ai deputati della Repubblica italiana, che hanno esercitato l'accesso civico generalizzato nell'esercizio delle prerogative ad essi riservate ex art. 67 Cost. – del «Piano Sanitario Nazionale in risposta ad una eventuale emergenza pandemica da Covid 19» soddisfa l'interesse ostensivo, azionato ai sensi dell'art. 5, d.lgs. n. 33/2013, per la trasparenza degli atti adottati dalle autorità sanitarie nel contrasto alla diffusione della pandemia da Covid-19» (sul punto, Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020). Ha chiarito la Sezione che la sopravvenuta carenza di interesse all' actio ad exhibendum determina l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, che ha ordinato l'ostensione del documento contestato, in quanto, ai sensi degli artt. 35, comma 1, lett. c), 38 e 85, comma 9, c.p.a., nel giudizio amministrativo il rapporto processuale non perde la sua unitarietà per il fatto di essere articolato in gradi distinti, sicché la sopravvenuta carenza o l'estinzione dell'interesse al ricorso di primo grado determina l'improcedibilità non solo dell'appello – indipendentemente da chi l'abbia proposto – ma pure dell'impugnazione originaria spiegata innanzi al giudice di primo grado, e comporta quindi, qualora non si verta in ipotesi di vizio o difetto inficiante il solo giudizio di appello, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata (Cons. St. IV, n. 6515/2020). Questioni applicative1) È possibile esercitare il diritto di accesso civico generalizzato per ottenere la disclosure di atti giudiziari e, in particolare, degli atti di una consulenza tecnica d'ufficio (CTU)? Sul punto l'ANAC, con la delibera n. 364/2021, ha chiarito che la CTU, in quanto mezzo di indagine riconducibile nell'ambito degli atti giudiziari (trattasi, in particolare, di atto processuale che ha funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti nel corso del processo, come chiarito anche dalla Corte di Cassazione, (di recente, Cass VI, ord. n.12387/2020), è esclusa dall'ambito oggettivo dell'istituto dell'accesso civico generalizzato di cui al comma 2 dell'art. 5 del decreto trasparenza che, invece, riguarda atti, dati e informazioni riconducibili a un'attività amministrativa in senso oggettivo e funzionale. In particolare, l'accesso a tale atto è disciplinato da regole autonome previste dal codice di procedura civile quali, da un lato, l'art. 76 disp. att. c.p.c. – che dispone che l'accesso agli atti giudiziari è riservato ai difensori e alle parti del giudizio – e, dall'altro, l'art. 744 c.p.c. – che subordina il rilascio di copie al pagamento di appositi diritti – come già chiarito dall'ANAC con la delibera n. 1309/2016 e dal Garante della privacy con il provvedimento n. 42/2018. Tali disposizioni, secondo la ricostruzione sistematica operata dall'ANAC, non possono essere derogate dalla disciplina in materia di accesso civico che, peraltro, all'art. 5-bis, comma 3, stabilisce che l'esercizio di tale diritto «è escluso nei casi [...] di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti». 2) Quali sono i margini entro i quali le pubbliche amministrazioni possono valutare l'utilità ritraibile per l'istante dalla richiesta di accesso civico generalizzato? Più in particolare, qual è la sorte riservata alla formulazione di istanze generiche o esplorative? In linea generale, giova rilevare che le pubbliche amministrazioni e gli altri enti destinatari delle istanze di accesso civico generalizzato devono assicurare la disclosure dei dati detenuti, non disponendo di alcun margine di valutazione con riguardo alla loro rilevanza od utilità per il richiedente. Così, ad esempio, è stato affermato che l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni non ha il potere di valutare se i dati già resi pubblici, costituenti l'elaborazione dei dati grezzi originari, soddisfino l'esigenza conoscitiva sottesa alla richiesta di accesso civico, posto che tale potere – che consisterebbe in una limitazione del diritto di accesso – non risulta ad essa attribuito da alcuna previsione normativa (Cons. St. VI, n.5861/2020). Inoltre, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che non sussiste alcun obbligo per il soggetto che formula un'istanza di accesso civico generalizzato di identificare chiaramente i dati o documenti che intende conoscere (Cons. St., sezione consultiva, n.515/2016), motivo per il quale il riferimento a tale obbligo è stato espunto dal testo definitivo del comma 3 dell'art. 5 del decreto trasparenza. L'individuazione dei dati di cui si chiede la disclosure è una questione strettamente connessa al tema dell'ammissibilità delle istanze generiche di accesso civico generalizzato e alla necessità che l'informazione amministrativa sia già formata presso l'amministrazione o l'ente al quale la richiesta è indirizzata. Al riguardo, ad oggi, non si registra uniformità di indirizzi in seno alla giurisprudenza amministrativa. In particolare, secondo una parte della giurisprudenza (T.A.R. Sicilia, Palermo I, n.775/2021) sono da considerarsi inammissibili, per genericità, le richieste prive degli estremi del documento di cui si chiede l'ostensione, così come di qualsivoglia elemento idoneo a consentirne l'identificazione posto che le domande di accesso devono comunque sempre avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile, dovendosi riferire a specifici documenti già esistenti in rerum natura, senza necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta o di un'attività di formazione di documenti nuovi (Cons. St. III, n.5099/2013). Secondo altra parte della giurisprudenza (T.A.R. Piemonte II, n.720/2020), invece, un'istanza di accesso civico generalizzato non può essere dichiarata inammissibile in base alla inesistenza del dato e alla sua disponibilità soltanto a seguito di apposita elaborazione (la fattispecie riguardava la richiesta di accesso presentata a una società in house, volta a ottenere i dati relativi ai flussi veicolari su base oraria nell'area urbana di Torino in un determinato lasso di tempo). Infatti, il principio della tutela preferenziale dell'interesse conoscitivo impone l'attivazione, da parte dell'amministrazione, di canali comunicativi con l'istante, al fine di giungere a una migliore comprensione delle relative esigenze e, eventualmente, alla specificazione o alla ridefinizione dell'oggetto della richiesta; in caso di mancata attivazione di tale dialogo cooperativo l'amministrazione non può legittimamente dichiarare inammissibile l'istanza di accesso civico, non potendo giungere alla conclusione che le informazioni ed i dati richiesti non siano assolutamente presenti nel patrimonio informativo dell'ente. Nella 1ª Circolare FOIA è stato comunque chiarito che l'indicazione dell'oggetto dell'istanza di accesso può costituire uno dei campi facoltativi del modulo di richiesta predisposto dall'amministrazione, ma non può operare come condizione di ricevibilità o ammissibilità dell'istanza. Tuttavia, in caso di richieste generiche (cioè, formulate in termini così vaghi da non consentire in alcun modo l'individuazione dei dati e delle informazioni da ostendere) o esplorative (ossia, formulate al solo fine di accertare il possesso di dati e documenti da parte dell'amministrazione) è necessario instaurare un dialogo cooperativo con il soggetto istante al fine di pervenire a una adeguata definizione dell'oggetto della richiesta di accesso civico. Sul punto l'ANAC, con la delibera n. 1309/2016, ha chiarito che le istanze generiche o esplorative possono essere dichiarate inammissibili solo qualora, dopo aver invitato per iscritto il richiedente a riformulare più congruamente l'istanza, quest'ultimo non abbia fornito i chiarimenti richiesti dall'amministrazione. Da ciò emerge, quindi, che il diritto alla conoscibilità dell'informazione amministrativa deve necessariamente essere contemperato con il rispetto del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, al cui corretto ed efficiente funzionamento non devono ostare le esigenze di trasparenza non adeguatamente veicolate dai consociati. Tuttavia, anche la giurisprudenza amministrativa considera imprescindibile l'instaurazione di un dialogo cooperativo con il soggetto che formula l'istanza di accesso civico in quanto, pur non essendo questi obbligato a individuare in maniera precisa l'informazione amministrativa richiesta (ma solo a fornire elementi utili alla sua identificazione), la mancata attivazione di un canale di comunicazione rende illegittimo il provvedimento di diniego di accesso. In questi casi, l'amministrazione non può fare leva sulla mera difficoltà di individuazione della informazione amministrativa per cause dovute alla formulazione dell'istanza di accesso civico, non costituendo essa, di per sé, una valida ragione per negare l'ostensione dei dati e documenti richiesti (T.A.R. Campania, Napoli VI, n.3418/2020). 3) Quali sono le differenze tra l'accesso documentale e l'accesso civico generalizzato in ordine al trattamento delle istanze generiche o esplorative? Il trattamento riservato alle istanze esplorative fa emergere una delle differenze di fondo tra l'accesso civico e l'accesso documentale, in quanto solo il primo è finalizzato a garantire ai consociati un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni, mentre per l'accesso documentale tale finalità è espressamente esclusa dalla legge (art. 24, comma 3, della l. n. 241/1990). Anche la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato tale aspetto. In una recente pronuncia (T.A.R. Lazio, RomaII-bis, n. 10660/2020) è stata confermata la legittimità del rigetto di un'istanza di accesso documentale diretta a ottenere l'ostensione dell'intera documentazione di un provvedimento di decadenza di una concessione demaniale, nonché della documentazione relativa agli altri operatori economici in quanto, contrariamente a quanto stabilito dalla legge generale sul procedimento amministrativo (che, come visto, detta la disciplina dell'accesso documentale), tale istanza era volta a far emergere eventuali profili di illegittimità dell'operato dell'amministrazione. Più in particolare, mentre le istanze esplorative di accesso civico generalizzato non sono inammissibili di per sé, ma solo laddove comportino una lesione del principio del buon andamento, determinando un ingiustificato aggravio del carico di lavoro degli uffici interessati, le istanze esplorative di accesso documentale sono sempre inammissibili per carenza di interesse, che deve sempre preesistere all'accesso e non sorgere ex post per effetto dello stesso. Può, dunque, affermarsi, che le istanze di accesso civico sono sorrette da un interesse in re ipsa, quale riflesso della titolarità diffusa accordata dal legislatore ai fini dell'esercizio di tale situazione giuridica, profili entrambi intimamente connessi alle scelte normative di fondo in materia di trasparenza amministrativa, tra le cui finalità rientra, come già più volte rimarcato, anche il controllo generalizzato dei consociati sull'organizzazione e l'attività dell'apparato amministrativo. Pertanto, laddove si impedisse a priori ai consociati di richiedere l'ostensione di informazioni amministrative delle quali si possiede una conoscenza non esatta o del tutto carente, si vanificherebbe in nuce il processo di apertura dell'amministrazione ai cittadini, i quali, ove non direttamente coinvolti dall'esercizio del potere pubblico, non potrebbero partecipare all'attività amministrativa, né a fortiori controllarne la legittimità dell'operato, anche sotto il profilo dell'efficiente raggiungimento dei risultati programmati. 4) Sono ammissibili le richieste di accesso civico di carattere massivo? La giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lombardia, Milano III, n.1951/2017) ha considerato abusive le richieste di accesso civico di carattere massivo, in quanto contrarie al principio di buona fede per la loro irragionevolezza e sovrabbondanza rispetto agli scopi della trasparenza. In particolare (Cons. St. VI, n.2099/2017), è stato affermato che non esiste un obbligo generale di rispondere a tutte le istanze di accesso, a prescindere da un vaglio sulle modalità di formulazione, sul contenuto e sulle finalità delle stesse, poiché ciò costringerebbe l'amministrazione, contrariamente a quanto prescritto dall'art. 97 della Costituzione, ad un impegno sproporzionato di risorse di fronte a qualsivoglia richiesta, anche manifestamente infondata o soltanto emulativa. In proposito giova evidenziare che il giudice amministrativo è solito vagliare con estrema attenzione la legittimità dei provvedimenti di diniego di accesso civico generalizzato motivati sulla scorta del carattere massivo o vessatorio dell'istanza, tendendo a considerare tali ipotesi meramente residuali al fine di salvaguardare l'effettivo esercizio del diritto alla conoscibilità dell'informazione amministrativa. In un recente caso (T.A.R. Puglia, Bari I, n.818/2021), è stato ritenuto illegittimo il diniego esplicito di un'istanza di accesso civico generalizzato avente ad oggetto documenti relativi a una procedura per l'attribuzione della progettazione esecutiva e la realizzazione di un lavoro, presentata dalla società seconda classificata nella procedura ad evidenza pubblica. Con riguardo a tale fattispecie è stato chiarito che la richiesta non dava luogo a una ipotesi di c.d. «richieste massive plurime» – cioè, richieste pervenute in un arco temporale limitato e riconducibili ad uno stesso centro di interessi – né era riconducibile alla nozione di richiesta c.d. «vessatoria o pretestuosa», dettata dal solo intento emulativo, in ragione della posizione di seconda classificata ottenuta dalla società ricorrente all'esito della procedura di gara, né tantomeno poteva essere considerata come richiesta c.d. «massiva unica» – cioè, volta a ottenere la disclosure di un numero cospicuo di dati o documenti – in quanto, benché fosse rivolta a conoscere un numero elevato di informazioni amministrative, risultava comunque relativa a una pluralità di atti tutti inerenti alla fase esecutiva del contratto di appalto. L'ANAC, con la delibera n. 1309/2016, ha chiarito che laddove l'istanza sia stata formulata per un numero manifestamente irragionevole di documenti, imponendo così un carico di lavoro tale da paralizzare il buon funzionamento dell'amministrazione, quest'ultima è tenuta a valutare la richiesta di disclosure operando un bilanciamento con gli interessi di cui è portatore il soggetto privato in quanto, solo all'esito dello stesso, è possibile stabilire se sussiste effettivamente la necessità di salvaguardare il buon andamento dei suoi uffici o se, al contrario, la gestione dell'istanza, pur comportando un notevole aumento del carico di lavoro, non sia comunque ingiustificata (Trib. I ampliata, 13 aprile 2005, in causa T 2/03, Verein für Konsumenteninformation c. Commissione). 5) È legittima l'imposizione, in capo all'istante, di costi per l'esercizio del diritto di accesso civico generalizzato? Sul punto occorre innanzitutto ricordare che l'art. 5, comma 4, del decreto trasparenza sancisce il principio di gratuità, in forza del quale i documenti, le informazioni e i dati oggetto di accesso civico devono essere resi conoscibili ai consociati senza la imposizione di alcun costo per il loro rilascio, «salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall'amministrazione per la riproduzione su supporti materiali». Si tratta di un principio presente anche nell'ordinamento eurounitario e, in particolare, nell'ambito della disciplina sull'accesso agli atti delle istituzioni dell'Unione europea (art. 10 del Regolamento (CE) n. 1049/2001), che prevede che è possibile addebitare al richiedente unicamente i costi di riproduzione e di spedizione dei documenti (ad esempio, il costo per la riproduzione su supporto cartaceo, il costo per la copia o la riproduzione su supporti materiali quali i CD-rom o i DVD-R, nonché il costo per la scansione di documenti disponibili esclusivamente in formato cartaceo), mentre la consultazione effettuata personalmente e l'accesso elettronico o tramite registri deve sempre essere consentita gratuitamente. Al riguardo, nella 2ª Circolare FOIA viene chiarito che nei costi di riproduzione effettivamente sostenuti dalle pubbliche amministrazioni non rientra il costo per il personale impiegato nella trattazione delle richieste di accesso, trattandosi di un onere che grava sulla collettività, al quale è già posto a carico tramite la fiscalità generale e, quindi, un suo eventuale computo in sede di rimborso particolare risulterebbe ingiustificato, frapponendo un indebito ostacolo all'esercizio del diritto di accesso civico generalizzato, potendosi configurare come comportamento abusivo dell'amministrazione. Tale impostazione ha trovato conforto anche nella giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Piemonte II, n.332/2021) che in una recente pronuncia – riguardante la legittimità del provvedimento di accoglimento di un'istanza di accesso civico generalizzato a documenti sulle misurazioni della qualità dell'aria in una determinata zona – ha dichiarato illegittimo il provvedimento reso dall'amministrazione nella parte in cui si disponeva, a carico dell'istante, il pagamento di una ingente tariffa. In particolare, il giudice amministrativo ha chiarito che il costo rimborsabile non include il costo per il personale impiegato nella trattazione delle richieste di accesso, essendo quest'ultimo un onere che grava, tendenzialmente, sulla collettività che intenda dotarsi di un'amministrazione moderna e trasparente. Pertanto, i costi di ricerca ed estrazione di dati e documenti non possono essere posti interamente a carico dei richiedenti, neppure in base all'art. 25 della l. n. 241/1990, che prevede la possibilità di imporre «diritti di ricerca» (da aggiungersi ai costi di riproduzione), ma intendendoli al più come compartecipazione alle spese, e non come prestazione di servizi a carattere commerciale. Ciò, tra l'altro, può desumersi anche dall'iter parlamentare che ha portato all'approvazione deld.lgs. n.97/2016, posto che a differenza dell'iniziale schema di decreto – nel quale si subordinava il rilascio di dati in formato elettronico o cartaceo «al rimborso del costo sostenuto dall'amministrazione» – il testo normativo finale si riferisce al più restrittivo concetto di «costo effettivamente sostenuto e documentato dall'amministrazione per la riproduzione su supporti materiali». Pertanto, sulla scorta di una interpretazione letterale e logico-evolutiva della norma, il giudice amministrativo è giunto a sostenere che corrisponde alla voluntas legis l'esclusione dei costi del personale impiegato nella gestione delle pratiche di accesso, inclusi quelli relativi all'attività di estrazione dei dati e dei documenti dai relativi archivi, che restano così a carico della fiscalità generale al fine di non disincentivare l'esercizio del diritto civico di accesso e non frapporre ostacoli alla conoscibilità dell'informazione amministrativa, funzionale all'esercizio delle facoltà partecipative dei consociati. Vale altresì aggiungere che, nel nostro ordinamento, la rimborsabilità dei costi di riproduzione e spedizione è compatibile con il carattere gratuito dell'accesso civico in quanto il legislatore, anche con la novella del 2016, ha inteso proseguire nell'opera di riforma della trasparenza amministrativa (in primis, tramite l'introduzione dell'istituto dell'accesso civico generalizzato) senza prevedere nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (art. 51 del d.lgs. n. 33/2013). Il fatto che vi siano dei costi di accesso a carico dei consociati onera le pubbliche amministrazioni a rendere gli stessi conoscibili, affinché la collettività possa controllarne l'adeguatezza e reagire democraticamente ad eventuali imposizioni indebitamente gravose. Pertanto, come chiarito anche nella 2ª Circolare FOIA, i costi di accesso civico devono essere predeterminati mediante un tariffario e prospettati a coloro che formulano istanze di accesso civico prima delle attività di riproduzione. Le tariffe praticate devono essere proporzionate ai costi effettivamente sostenuti e, laddove il tariffario non sia stato previamente redatto, l'amministrazione è comunque tenuta a non discostarsi dai prezzi medi praticati nei mercati di riferimento, tanto per quel che concerne le attività di riproduzione, quanto con riguardo all'attività di spedizione. 6) Sono ammissibili istanze di accesso civico generalizzato sorrette da finalità egoistiche e non improntate, invece, a operare un controllo generalizzato sull'operato e l'organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché sull'utilizzo delle risorse pubbliche? La giurisprudenza ha fornito letture diverse in ordine alla necessità che le amministrazioni vaglino anche le effettive finalità conoscitive sottese alle richieste di accesso civico generalizzato. Secondo una prima giurisprudenza, la valutazione dell'amministrazione deve altresì abbracciare la meritevolezza dell'interesse alla divulgazione che fonda la richiesta, operando un vaglio comparativo secondo la tecnica del bilanciamento, improntato al principio di proporzionalità, fra il beneficio che potrebbe arrecare la disclosure richiesta e il sacrificio causato agli interessi contrapposti, emersi in seguito all'opposizione dei controinteressati. Secondo tale impostazione, in ragione del carattere tendenzialmente preminente dell'interesse conoscitivo del soggetto che formula l'istanza di accesso civico generalizzato, il bilanciamento tra i contrapposti interessi in giuoco può comunque ritenersi correttamente realizzato laddove l'amministrazione opti per una disclosure parziale dell'informazione richiesta, adoperando la tecnica della anonimizzazione (se a venire in rilievo è la salvaguardia dell'interesse privato alla protezione dei dati personali) o dell'oscuramento, ove sia necessario preservare gli interessi-limite alla libertà e segretezza della corrispondenza e alla tutela degli interessi di natura economica e commerciale (T.A.R. Campania, Napoli IV, n.5901/2017). In senso analogo si è espresso anche il Consiglio di Stato (Cons. St. V, n. 1121/2020), affermando che «[l]o strumento in esame può pertanto essere utilizzato solo per evidenti ed esclusive ragioni di tutela di interessi propri della collettività generale dei cittadini, non anche a favore di interessi riferibili, nel caso concreto, a singoli individui od enti associativi particolari: al riguardo, il giudice amministrativo è tenuto a verificare in concreto l'effettività di ciò, a nulla rilevando – tantomeno in termini presuntivi – la circostanza che tali soggetti eventualmente auto-dichiarino di agire quali enti esponenziali di (più o meno precisati) interessi generali. Deve pertanto concludersi che, sebbene il legislatore non chieda all'interessato di formalmente motivare la richiesta di accesso generalizzato, la stessa vada disattesa, ove non risulti in modo chiaro ed inequivoco l'esclusiva rispondenza di detta richiesta al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica, essendo del tutto estraneo al perimetro normativo della fattispecie la strumentalità (anche solo concorrente) ad un bisogno conoscitivo privato. In tal caso, invero, non si tratterebbe di imporre per via ermeneutica un onere non previsto dal legislatore, bensì di verificare se il soggetto agente sia o meno legittimato a proporre la relativa istanza». Altra parte della giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Campania, Napoli VI, n.2486/2019), tuttavia, ha ritenuto non legittima la valutazione della finalità «egoistica» sottesa alle istanze di accesso civico generalizzato, non costituendo essa un limite espressamente previsto dal legislatore e, dunque, risultando inidonea a limitare la conoscenza diffusa dell'informazione amministrativa. Infatti, le finalità della disciplina della trasparenza – che, come noto, è volta a promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa e a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche – pur rappresentando gli obiettivi perseguiti dal legislatore della riforma, non possono trasformarsi in limiti impliciti all'esercizio del diritto civico di accesso. L'amministrazione, pertanto, non può legittimamente rigettare le istanze di accesso civico generalizzato sul presupposto che la conoscenza dei documenti richiesti non risponda alle finalità della normativa sulla trasparenza ovvero che l'ostensione richiesta non risulti finalizzata al controllo diffuso, in quanto la finalità soggettiva che spinge il richiedente a presentare istanza di accesso civico generalizzato non rientra nel vaglio comparatistico che l'amministrazione è tenuta a compiere in sede di valutazione della richiesta di disclosure. Per tali ragioni, anche richieste presentate per finalità per così dire egoistiche possono favorire un controllo diffuso sull'operato e sull'organizzazione dell'amministrazione, che non va riferito alla singola domanda di accesso ma è il risultato complessivo cui tende la riforma della trasparenza, con la conseguenza che meritano accoglimento anche istanze di accesso civico generalizzato tese all'acquisizione di informazioni amministrative utili a fini personali (ad esempio, di carattere professionale), in quanto ai fini dell'esercizio di tale diritto rileva «che cosa si può conoscere» e non «perché si vuole conoscere». Sulla scorta di tali considerazioni è stato, dunque, affermato che l'istituto dell'accesso civico generalizzato è estrinsecazione di una libertà e di un bisogno di cittadinanza attiva, i cui limiti debbono essere considerati di stretta interpretazione e corrispondono a quelli tassativamente previsti dal legislatore all'art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013. Lo stesso Consiglio di Stato, in più recenti pronunce (Cons. St. V, n.60/2021), appare propendere per tale ultima impostazione, laddove ha affermato che «l'accesso civico generalizzato – ha evidenziato anche la giurisprudenza di questa V Sezione (Cons. St. V, n. 5502/2019; 6 aprile 2020, n. 2309) – azionabile da chiunque senza previa dimostrazione di un interesse personale, concreto e attuale in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazione in tal senso della richiesta, ha il solo scopo di consentire una pubblicità diffusa ed integrale in rapporto alle finalità esplicitate dall'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013: è funzionale ad un controllo diffuso dei cittadini, al fine di assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa e di favorire un preventivo contrasto alla corruzione e concretamente si traduce nel diritto ad un'ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi in ogni caso i limiti di legge a salvaguardia di determinati interessi pubblici e privati che in tali condizioni potrebbero essere messi in pericolo». 7) Quali sono scopi e dimensioni dell'accesso civico generalizzato? Secondo T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-ter, sentenza n.8951/2021: l'accesso civico generalizzato è funzionale ad un controllo diffuso dei cittadini e può tradursi nel diritto ad un'ampia diffusione di dati. Nel caso di specie l'istanza di accesso a taluni documenti presentata da una associazione rappresentativa di alcune imprese operanti nel settore energetico veniva parzialmente denegata. Nello specifico, l'associazione veniva a conoscenza dell'erogazione di ingenti importi in favore di E-distribuzione s.p.a. – impresa distributrice del settore elettrico – mediante il meccanismo di reintegrazione, procedura che, secondo la stessa parte, era «apparsa come gravemente lesiva del corretto dispiegarsi della concorrenza tra le imprese di vendita dell'energia elettrica, utenti della rete di distribuzione, tra cui l'Associazione annovera diverse associate; oltreché dei generali principi di trasparenza, libero sviluppo del mercato e di non distorsione della concorrenza che l'Associazione, per Statuto, persegue». Nella vicenda in questione, ad avviso dell'associazione, non solo non risulterebbe chiara la natura degli importi riconosciuti dalla CSEA a E – distribuzione, né quali crediti della società distributrice siano confluiti nell'accordo transattivo con Green Network e quali siano stati invece recuperati tramite il meccanismo di reintegro, ma non risulterebbe alcuna indicazione circa l'intervenuta risoluzione del contratto di trasporto. Tuttavia, alla richiesta dell'associazione di poter accedere alla documentazione attraverso cui venire a conoscenza di tali informazioni l'associazione interessata comunicava che l'istanza di accesso era accolta trasmettendo unicamente un estratto del verbale relativo alla seduta del Comitato di Gestione del 24 settembre 2020 e ribadendo il collegamento ipertestuale già indicato per la consultazione dei dati aggregati. Pertanto, l'associazione adiva gli organi di giustizia amministrativa per l'annullamento del diniego parziale reso dalla stessa CSEA e, altresì, per la declaratoria del proprio diritto ad accedere alla documentazione richiesta. I giudici di primo grado riconoscono il ricorso parzialmente fondato. L'istanza di accesso agli atti è stata presentata dalla ricorrente sia ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, che ai sensi dell'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013. Tale concorso di domande è pacificamente ammesso dalla giurisprudenza perché «nulla infatti, nell'ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso» (cfr., ex multis, Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020). Se da un lato la richiesta formulata ai sensi della l. n. 241/1990 non può essere accolta in quanto presentata con finalità meramente esplorativa poiché volta a «verificare la regolarità della procedura attuata da CSEA e quindi a verificare la sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla delibera per accedere al meccanismo di reintegro, in particolare l'intervenuta risoluzione del contratto» per altro lato, invero, va riconosciuto il diritto di accesso civico generalizzato ai sensi dell'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013. Del resto, la stessa disciplina sull'accesso civico generalizzato non solo favorisce forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico ma, altresì, ha il solo scopo di consentire una pubblicità diffusa ed integrale in rapporto alle finalità esplicitate dall'art. 5,comma 2, d.lgs. n.33/2013. In altri termini l'accesso civico generalizzato è funzionale ad un controllo diffuso dei cittadini, al fine di assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa e di favorire un preventivo contrasto alla corruzione e concretamente si traduce nel diritto ad un'ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi in ogni caso, ha il solo scopo di consentire una pubblicità diffusa ed integrale in rapporto alle finalità esplicitate dall'art. 5,comma 2, d.lgs. n.33/2013. In altri termini l'accesso civico generalizzato è funzionale ad un controllo diffuso dei cittadini, al fine di assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa e di favorire un preventivo contrasto alla corruzione e concretamente si traduce nel diritto ad un'ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi in ogni caso i limiti di legge a salvaguardia di determinati interessi pubblici e privati che in tali condizioni potrebbero essere messi in pericolo. In tale caso, il giudice amministrativo ha accolto in parte il ricorso, conseguentemente ordinando a CSEA di consentire alla ricorrente l'accesso alla documentazione richiesta. BibliografiaAlberti, La disciplina del diritto di accesso el post Amsterdam tra consacrazione e limitazione, in Riv. ital. dir. pubbl. com., 2003, 63 ss.; Cantisani, Il principio di trasparenza nella sua attuazione: Viaggio tra le asperità del Codice della trasparenza (d.lgs.n.33/2013), Pisa, 2019; Carloni, La trasparenza amministrativa. Regole, strumenti, limiti dell'open government, Rimini, 2014; Carloni, Prime considerazioni a margine dello Schema di Linee guida in materia di accesso civico «generalizzato», in astrid-online.it, 2016, n. 21, 1 ss.; Carpanelli, Sul diritto di accesso alle informazioni di interesse pubblico detenute dallo Stato: alcune riflessioni critiche a margine della sentenza della Corte di Strasburgo nel caso Magyar Helsinki Bizottság c. 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