Decreto del Presidente della Repubblica - 28/12/2000 - n. 445 art. 44 bis - Acquisizione d'ufficio di informazioni 1Acquisizione d'ufficio di informazioni 1 1. Le informazioni relative alla regolarita' contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi dell'articolo 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore. [1] Articolo inserito dall'articolo 15, comma 1, lettera d), della Legge 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1° gennaio 2012, ai sensi dell'articolo 36, comma 1, della medesima L. 183/2011. InquadramentoLa Sezioni II e III del Capo III – che originariamente riproduceva le norme previgenti (dalla l. n. 15/1969 alle varie leggi Bassanini e alle relative norme di attuazione) e che è stata, poi, notevolmente rivisitata dall'art. 15 l. n. 183/2011 (c. d. legge di stabilità per il 2012) – è dedicata alle caratteristiche dei certificati; in più, alcune disposizioni (cfr. praesertim artt. 40 e 43) rivestono un'importanza chiave in quanto regolamentano la più qualificante modalità di semplificazione introdotta dal TUDA. Essa consiste nella rimodulazione dell'utilizzo degli strumenti di certezza giuridica e nella diversa dislocazione dei relativi oneri probatori all'interno del rapporto fra amministrazione e amministrati, nell'ambito di un rapporto paritario e dialogico fra tali soggetti, improntato a buona fede e collaborazione. Così – ferma la necessità di continuare ad avvalersi di un sistema di certezze pubbliche, basato anche su atti amministrativi di certezza, quale presidio di sicurezza e riduzione della complessità dei rapporti economici e sociali – si è addivenuti ad un superamento del tradizionale pregresso sistema di produzione e circolazione delle certezze pubbliche, incentrato: a) oggettivamente, sull'intervento unilaterale del potere pubblico; b) soggettivamente, sull'amministrazione con il ruolo centrale di dominus, con il cittadino confinato a fruitore di tale sistema ed onerato degli adempimenti necessari al suo funzionamento. Orbene, il Testo Unico, anche alla luce dell'azione catalizzatrice della riforma operata con l'art. 15 l. n. 183/2011, ha rivisitato questo assetto non già negando o riducendo la rilevanza del ruolo dell'amministrazione pubblica come perno del sistema delle certezze pubbliche, bensì operando una rimodulazione dell'equilibrio fra certezza pubblica e semplificazione dell'attività amministrativa. Così, si è operato da un lato nel senso di alleviare il peso degli adempimenti a carico del privato consentendogli sia di sostituire le certificazioni relative a fatti, stati e qualità con autodichiarazioni sia di limitarsi all'indicazione della documentazione già in possesso dell'amministrazione procedente o di altre amministrazioni; d'altro lato si è afito nel senso di imporre all'amministrazione procedente di sgravare cittadini ed imprese dai suddetti oneri, procedendo alla loro eliminazione o assumendoli su di sé, attraverso l'accertamento d'ufficio. Si tratta dei due pilastri del TUDA costituiti dall'autocertificazione e dall'accertamento d'ufficio, ulteriormente rafforzati dall'art. 15 dellal. n.181/2011. Tale norma, infatti, ha introdotto «a monte» la regola della decertificazione, volta a sancire l'utilizzabilità delle certificazioni soltanto nei rapporti fra privati e la loro non producibilità alle amministrazioni procedenti (art. 40), ad ideale e logico completamento e a presidio dell'effettività dell'obbligo per le amministrazioni stesse «a valle» di acquisire d'ufficio i dati/informazioni/documenti che servono al procedimento, riservando ai soli privati la possibilità di utilizzare le certificazioni rilasciate dalla p.a., obbligo quest'ultimo sancito nell'art. 18 l. n. 241/1990 e ribadito anche nell'art. 43 del TUDA. Se così è, non può dirsi che il TUDA abbia segnato il superamento della funzione di produzione e circolazione di certezze pubbliche ma che ne ha indubbiamente ridisegnato le fattezze, esplicandosi la relativa fase più qualificante non più «a monte», cioè in sede di allegazione ad opera del privato nell'ambito del procedimento, bensì «a valle», cioè nell'ambito del rapporto fra amministrazione certificante e amministrazione procedente, nella fase successiva dell'acquisizione d'ufficio. A tale stregua emerge con evidenza che: 1) in fase acquisitiva, la normativa più che sulla solennità delle forme degli atti che creano certezze (come in passato) si focalizza sull'efficacia sostanziale del flusso informativo fra amministrazione procedente e amministrazione certificante; 2) il funzionamento del nuovo sistema si snoda sulla crinale e sulla stretta compenetrazione fra gli istituti di semplificazione, basati su una logica di leale collaborazione e di autoresponsabilità, i profili organizzativi afferenti alla fluidità delle relazioni fra amministrazione procedente e amministrazioni certificanti in sede di acquisizione d'ufficio e l'ambito dell'efficienza tecnologica delle amministrazioni, volta ad agevolare la qualità, la tempestività e l'informatività delle citate relazioni, ambito quest'ultimo disciplinato dal d.lgs. n. 82/2005 (Codice dell'Amministrazione Digitale) al cui commento si rimanda. Alla luce di tale premessa, pertanto, ben si comprende il motivo per cui si procederà ad un commento unitario delle più qualificanti disposizioni delle Sezioni II e III, risultando profondamente compenetrato e intimamente unitario il loro filo logico. La decertificazione prevista dall'art. 40: ratio e portata del principio di decertificazione.L'art. 40 – come già in parte anticipato – è stato oggetto di un'opera di novellazione ad opera dell'art. 15 l. n. 183/2011, che ha introdotto e declinato il principio di decertificazione. In particolare, sono stati inseriti i nuovi commi 01 e 02, i quali dispongono che le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti siano valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati e che sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati debba essere apposta, a pena di nullità, la dicitura: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi». Come ulteriore conseguenza diretta della non validità dei certificati per le p. a. e per i gestori, è stato abrogato il comma 2 dell'art. 41 del d.P.R. n. 445/2000, che consentiva all'interessato di «allungare» la vita ai certificati oltre i sei mesi previsti come validità standard, ma che limitava tale possibilità ai certificati rivolti a pubbliche amministrazioni o a gestori o esercenti di pubblici servizi, possibilità che, ad oggi, non ha più alcuna ragion d'essere. Viene, dunque, definitivamente introdotto il principio secondo il quale sono completamente eliminati (e come tali inutilizzabili) nei rapporti con la Pubblica Amministrazione i certificati e gli atti di notorietà in ordine a stati, qualità personali e fatti. La previsione in commento, come chiarito in dottrina, ribadisce con chiarezza il fatto che i certificati non rappresentano più lo strumento privilegiato dalle amministrazioni per acquisire informazioni o documenti dei privati utili all'attività procedimentale; tali certificati non possono più essere richiesti né accettati dall'amministrazione. A corollario di questo divieto i certificati, che naturalmente possono continuare ad essere emanati nell'ambito del potere certificatorio proprio dell'amministrazione, presentano un più ridotto ambito di applicazione poiché possono essere utilizzati esclusivamente nei rapporti tra privati (Benedetti, 40). Il divieto imposto alle amministrazioni di accettare i certificati implica una riduzione drastica del loro ambito di operatività poiché il cittadino può richiedere un certificato solo se questo è destinato a fermarsi presso un privato (ad esempio per contrarre un mutuo bancario, per notificare un atto giudiziario, per provare un determinato status di fronte al giudice). Nel caso di rapporti con la pubblica amministrazione e i gestori di pubblico servizio, al contrario, il cittadino può limitarsi a fornire le indicazioni necessarie all'amministrazione procedente per individuare l'amministrazione certificante che detiene il dato da acquisire direttamente (Dolcimele, 36). Come meglio chiarito dal Ministro della Pubblica amministrazione e della Semplificazione nella direttiva cd. di decertificazione n. 14/2011, le disposizioni in commento sono dirette a consentire una completa “decertificazione” nei rapporti fra P.A. e privati, con riferimento all'acquisizione diretta dei dati presso le amministrazioni certificanti da parte delle amministrazioni procedenti e, in alternativa, alla produzione da parte degli interessati solo di dichiarazioni sostitutive di certificazione o dell'atto di notorietà. Le nuove previsioni operano nel solco tracciato dal TUDA, in forza del quale le Pubbliche amministrazioni non possono richiedere atti o certificati contenenti informazioni già in possesso della P.A. La ratio delle nuove disposizioni introdotte nell'art. 40 è ben evidenziata nei lavori preparatori dell'art. 15 l. n. 183/2001, ove si riferisce che esse sono volte a prevedere una semplificazione dei procedimenti amministrativi allo scopo di ridurre gli adempimenti a carico dei privati. In particolare, come correttamente evidenziato da autorevole dottrina, l'obiettivo «concreto» delle nuove disposizioni si coglie ove si consideri che esse mirano a eliminare alla radice la possibilità che le amministrazioni facciano gravare sul privato l'onere di assicurare la circolazione delle certezze pubbliche, inducendolo a operare la richiesta e la successiva presentazione del certificato. Difatti, come già anticipato, mentre già le precedenti previsioni del d.P.R. n. 445/2000 vietavano alle amministrazioni la richiesta di certificati al privato, le stesse non impedivano comunque che questa avvenisse spontaneamente da parte dei soggetti interessati, perché ritenuta dagli stessi più semplice o più «sicura», consentendo così talora il formarsi di prassi elusive del divieto. Con le previsioni dei primi due commi dell'art. 40 si è voluto andare oltre e impedire quest'ultima evenienza, prevedendo che in nessun caso l'amministrazione possa utilizzare un certificato prodotto da un'altra amministrazione, neanche qualora questo venga presentato dal privato di propria iniziativa. È chiaro però che tale intervento non ha inteso determinare l'attenuazione dell'esigenza di certezza, bensì solo rafforzare l'uso degli strumenti alternativi al certificato per la circolazione di quest'ultima, al fine di semplificare l'azione amministrativa e migliorare il rapporto fra amministrazioni e privati. Il principio di decertificazione, dunque, sancisce soltanto la definitiva dequotazione di uno strumento di circolazione della certezza, ma al tempo stesso impone l'attivazione delle amministrazioni interessate – sia procedenti, che certificanti – per l'utilizzo di altri strumenti finalizzati allo stesso scopo, ma più compatibili con le esigenze di semplificazione e di collaborazione con i cittadini. Si tratta quindi non tanto di eliminare i certificati, ma di sostituirli con altre procedure e con altri atti di certezza, che siano meno onerosi e complicati dei primi nel loro utilizzo. In definitiva la ratio obiettiva delle nuove disposizioni dell'art. 40 non va colta tanto in chiave meramente «negativa» come introduzione di un divieto bensì «in positivo» come rafforzamento dell'obbligo per le amministrazioni pubbliche di attivarsi concretamente per rendere operativi gli strumenti di acquisizione e trasmissione della certezza già previsti dalla normativa vigente in alternativa al certificato (Bombardelli). Nello stesso senso è stato argutamente messa in luce la novità della tecnica utilizzata dal legislatore per ottenere dalle amministrazioni il comportamento desiderato, ovvero l'eliminazione dei certificati nei rapporti con i cittadini e le imprese: non più il tradizionale strumento del command and control, bensì una tecnica, ispirata alle più recenti e innovative scienze comportamentali, volta ad indirizzare il comportamento dei soggetti regolati enfatizzando un'informazione (nella specie la nullità dei certificati prodotti agli organi della P.A.) che, in realtà, è già nota ai destinatari in quanto espressa dalla legge. Per questa via, la dicitura produce un duplice effetto: ad ogni singola amministrazione impone il costante richiamo alle conseguenze negative di una prassi a lungo seguita ma contraria al dettato normativo (l'accettazione dei certificati prodotti da altre amministrazioni); ad ogni privato cittadino, invece, ricorda il diritto di imporre alle amministrazioni la raccolta diretta delle informazioni necessarie (Benedetti, 42). In tal ottica, proprio perché l'esigenza di semplificazione, che trova completa attuazione con l'affermazione del surrichiamato principio, non deve in alcun modo minare la certezza documentale, è stato di conseguenza modificato anche l'art. 43 (v. commento infra) focalizzando nella fase dell'accertamento d'ufficio il momento di realizzazione delle esigenze di certezza pubblica. Su questo quadro è ulteriormente e recentemente intervenuto l'art. 30- bisdel d.l. n. 76/2020, conv. in l. n. 120/2020 (c.d. decreto semplificazioni – su cui vedi commento all'art. 2), che ha determinato l'applicazione delle disposizioni del TUDA sulla «produzione di atti e documenti» ai privati senza bisogno del loro consenso. Sul punto, una lettura congiunta degli artt. 2 e 40 del TUDA induce a ritenere che mentre per pubbliche amministrazioni e gestori di servizi pubblici il divieto di accettare certificati sia inderogabile e assoluto, per i privati – ferma la necessità di garantire la massima applicazione agli istituti di semplificazione e di autocertificazione – dovrebbe essere ancora possibile accettare in via spontanea certificazioni eventualmente prodotte spontaneamente dagli interessati. A tale stregua, si ritiene che la mancata estensione delle regole sancite dall'art. 40 anche alla certificazione prodotta a privati potrebbe contribuire a ridurre – se non a pregiudicare – l'effettività dell'obbligo, introdotto dall'art 2, a carico dei privati di applicare gli istituti dell'autocertificazione. Sempre in relazione all'ambito soggettivo dell'art. 40, deve ritenersi – sulla base della ratio sottesa alla riforma del 2011 e nonché dell'ambito di applicazione del TUDA precisato nel commento all'art. 2, cui si rimanda – che le disposizioni dell'art. 40 non siano applicabili alle Pubbliche amministrazioni diverse da quelle italiane, operando la regola del divieto di depositare ad un'amministrazione un certificato rilasciato da altra pubblica amministrazione si applica solo tra amministrazioni dello Stato italiano. Ne consegue che ove il privato chieda il rilascio di un certificato da consegnare ad altro privato residente all'estero o ad un'amministrazione di un Paese diverso dall'Italia, la dicitura prevista dall'art. 40, comma 02 non deve essere apposta. In ogni caso, per evitare che tale certificato venga, poi, di fatto prodotto ad una pubblica amministrazione italiana –e sia quindi nullo- sarebbe opportuno apporre una dicitura che espliciti il rilascio del certificato a valere solo per l'estero. Tale soluzione è stata confermata con circolare n. 5/2012 del Ministero per la Pubblica Amministrazione e dall'INPS con circolare INPS, circolare98/2012, che hanno prescritto, in questo caso, l'uso di un'apposita dicitura «rilasciato solo per l'estero». Parimenti le regole in commento non trovano applicazione agli uffici giudiziari nell'esercizio dell'attività giurisdizionale, come già evidenziato in sede di commento all'art. 2 cui si rimanda. Ambito oggettivo dell'art. 40 Quanto al perimetro oggettivo dell'art. 40, si osserva che quest'ultimo trova applicazione solo al rilascio degli atti qualificabili come «certificato», come definito dall'art. 1, comma 1, lett. f) del TUDA, che fa riferimento al «...documento rilasciato da una amministrazione pubblica avente funzione di ricognizione, riproduzione o partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche». Si tratta di una definizione che pone ben in luce le caratteristiche di tale tipologia di atti soggettivamente e oggettivamente amministrativi, come evidenziato in dottrina, aventi carattere non provvedimentale ma contenuto meramente ricognitivo di situazioni di fatto preesistenti – con esclusione di qualsiasi attività valutativa o estimativa anche solo di carattere tecnico – di cui essi dichiarano l'esistenza al fine di informarne i terzi in modo più agevole e certo (Sandulli). In particolare, la definizione scolpisce bene la distinzione logica fra le componenti consustanziali dell'acquisizione della conoscenza, della sua riproduzione e della sua esternazione che caratterizzano sotto il profilo funzionale gli atti certificativi (Sala), prestandosi questi ultimi a ricomprendere sia le certificazioni proprie, in cui le notizie partecipate a terzi sono riprodotte da registri pubbliche sia quelle improprie, in cui l'accertamento non è già cristallizzato ma compiuto ad hoc in vista della sua partecipazione. Dunque, come già sottolineato, per capire quando le disposizioni dell'art. 40, commi 01 e 02, trovano applicazione, occorre prima di tutto chiarire se il documento richiesto sia in senso stretto un certificato, oppure no Sulla base di tale definizione, possono essere ricompresi in tale ambito gli atti derivanti da procedimenti di certazione, ovvero rivolti a creare delle qualificazioni giuridiche, come appunto l'iscrizione nei registri pubblici, oppure derivanti da procedimenti di accertamento, cioè rivolti ad attribuire qualità giuridiche ad entità giuridiche già esistenti, come ad esempio gli esami scolastici o di concorso. Non sono, invece, riconducibili alla definizione di certificato gli atti di semplice acclaramento, ovvero quelli in cui l'amministrazione si limita ad attestare la mera esistenza di dati fattuali del mondo reale, come ad esempio la dichiarazione del fatto della presenza di un soggetto ad una visita medica, a un convegno oppure a un esame (Bombardelli). Sulla base delle caratteristiche sostanziali degli estratti, che li rendono, in quanto atti preordinati a creare certezza su fatti, funzionalmente riconducibili al genus dei certificati, gli stessi devono ritenersi soggetti alle regole previste dall'art. 40, con conseguente loro non producibilità all'amministrazione. Tale conclusione è stata confermata dal Ministero dell'Interno, nella Circolare n. 4/2012 del 2 marzo2012, nella quale è stato, fra l'altro, puntualizzato che “le regole legislative ed i contenuti della direttiva del Ministro della pubblica amministrazione e della semplificazione del 22 dicembre 2011, con riguardo al nuovo testo dell'art. 40, d.P.R. n. 445/2000, sono applicabili sia ai certificati che agli estratti i quali pertanto, non possono essere richiesti al privato cittadino, né accettati, da parte degli ufficiali di stato civile”. Come già illustrato in relazione al commento all'art. 2, a cui si rimanda, la materia elettorale è impermeabile rispetto agli istituti di semplificazione previsti dal TUDA e conseguentemente anche rispetto alla regola stabilita dall'art. 40. Per quanto attiene alla tenuta e alla revisione delle liste elettorali (d.P.R. n. 223/1967), si procede d'ufficio e non sono contemplate né ammesse dichiarazioni personali di alcun genere. I privati, inoltre, possono chiedere al competente ufficio elettorale comunale due tipologie di certificazione: il certificato di godimento dei diritti politici e il certificato di iscrizione nelle liste elettorali. Il primo può essere sostituito da un'autocertificazione (art. 46, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 445/2000), mentre l'iscrizione nelle liste elettorali, non figurando tra gli “stati, qualità personali e fatti” autocertificabili né tanto meno negli “albi, registri o elenchi tenuti da Pubbliche Amministrazioni” richiamati dall'art. 46, si ritiene possa essere oggetto di certificato presentabile alle pubbliche amministrazioni e ai gestori di pubblici servizi, senza dicitura relativa alla nullità. Tale conclusione è stata confermata da una Circolare della Prefettura di Modena del 2 marzo 2012. Ancora, con circolare a firma congiunta del Ministero per la Pubblica Amministrazione e del Ministero dell'Interno n. 3/2012 del 17 aprile 2012 si è chiarito che i procedimenti relativi all'acquisto, riacquisto, elezione, rinuncia, concessione della cittadinanza italiana rientrano nel perimetro dell'art. 40, con conseguente diritto del cittadino straniero di avvalersi dell'autocertificazione (ad es. relativamente ai periodi di residenza nei vari comuni italiani, alla qualità di coniuge di cittadino italiano, ...), non essendo stata ritenuta ricomprensibile la materia della cittadinanza all'ambito dei procedimenti concernenti la condizione giuridica dello straniero e l'immigrazione. Opera, infatti, per questi ultimi l'esclusione dal novero del TUDA ai sensi dell'art. 3, comma 2 (si veda il commento a detta norma) di quest'ultimo; ciò a motivo delle diverse caratteristiche della citata legge in materia di cittadinanza nonché in conseguenza di un'interpretazione tassativa dell'art. 3, comma 2 citato. Sempre in relazione a quest'ambito, la medesima circolare ha specificato anche che il certificato o attestato di idoneità alloggiativa non è mai sostituibile con l'autocertificazione e, pertanto, deve continuare a essere prodotto a richiesta dell'interessato, non avendo esso natura certificativa in quanto recante un'attestazione di idoneità tecnica degli uffici comunali. Con un gruppo di FAQ pubblicate sul suo sito internet, il Ministero per la Funzione Pubblica ha avuto modo di ritenere che: 1) il certificato di destinazione urbanistica rientra nel campo d'applicazione dell'art. 15 della l. n. 183/2011 e va rilasciato con la prescritta dicitura a pena di nullità, attesa la sua ricomprensibilità nella categoria degli atti di certificazione, siccome redatto da un pubblico ufficiale e avente carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti (Cons. St. V, n.1328/1998, n. 1328;T.A.R. Lombardia, Milano IV n.6863/2010;T.A.R. Toscana, Firenze I, n55/2008;T.A.R. Campania, Napoli, n.27352/2010; T.A.R. Lazio,RomaII-bis, n. 2241/2012); 2) lo stesso vale per le certificazioni relative allo stato di famiglia presentate dal lavoratore al datore di lavoro privato, ai fini dell'erogazione dell'assegno per il nucleo familiare, potendo il primo presentare, quale documentazione valida, le dichiarazioni sostitutive di certificazione o atto notorio e ferma restante per l'Inps la facoltà di effettuare controlli volti ad accertare la veridicità delle circostanze oggetto delle suddette dichiarazioni. In relazione, poi, agli estratti catastali da allegare alla dichiarazione di successione, l'Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 11/E del 13 febbraio 2013, ha chiarito che «i dati catastali relativi agli immobili oggetto della dichiarazione di successione debbano essere acquisiti d'ufficio dall'Agenzia delle entrate e che i contribuenti non siano più tenuti ad allegare alla dichiarazione di successione gli estratti catastali». Questo in virtù dell'obbligo, previsto dal comma 1 dell'art. 43 del d.P.R. n. 445/2000, per cui le pubbliche amministrazioni sono tenute all'acquisizione d'ufficio di tutti i dati e i documenti che siano in proprio possesso o in possesso di un'altra pubblica amministrazione. La semplificazione nel contenuto dei certificati. L'art. 40, comma 1, unica disposizione originariamente vigente ante novella della l. n. 183/2011, riproduce letteralmente della normativa concernente le «certificazioni contestuali» contenuta nell'art. 11 della l. n. 15/1968. La scelta del legislatore di riproporre una norma già vigente è giustificata dalla scarsa applicazione che quest'ultima aveva avuto all'interno delle pubbliche amministrazioni. La disposizione prevede che i certificati rilasciati da un ufficio devono contenere contestualmente tutte le informazioni concernenti gli stati, le qualità personali e i fatti che siano da utilizzarsi all'interno del medesimo procedimento amministrativo. In tal ottica può osservarsi che la riforma volta alla semplificazione documentale nei rapporti fra i cittadini e la P.A. passa anche per lo snellimento contenutistico dei certificati, essendosi dovuto ribadire il contenuto della norma del 1968 rimasto inapplicato a causa di un atteggiamento refrattario dei pubblici poteri all'assunzione di fatto del significato della stessa, in ragione di una malintesa interpretazione della certezza giuridica. La validità temporale dei certificati come elemento di semplificazione.L'art. 41 – già presente nel nostro ordinamento all'art. 2, comma 3 e 4, della l. n. 127/1997, come modificato dall'art. 2, commi 2 e 4, della l. n. 191/1998 – disciplina uno degli aspetti più incidenti sul regime della documentazione amministrativa, cioè quello legato alla validità temporale degli atti emanati dalla P.A. Si tratta di un aspetto particolarmente rilevante in chiave di semplificazione, in quanto una diversa modulazione dei periodi durante i quali un dato certificato può esplicare i propri effetti, può incidere nel senso di determinare una riduzione nella produzione di ulteriori certificazioni e di generare un contestuale snellimento sostanziale nei diversi snodi procedimentali nei quali le predette certificazioni debbano essere impiegate. Come già evidenziato al paragrafo 2, in conseguenza del principio di decertificazione, l'art. 15 l. n. 183/2011 ha sancito l'abrogazione dell'art. 41, comma 2 recante un meccanismo volto consentire all'interessato di «allungare» la vita ai certificati oltre i sei mesi previsti come validità standard, ma che limitava tale possibilità ai certificati rivolti a pubbliche amministrazioni o a gestori o esercenti di pubblici servizi, possibilità che, ad oggi, non ha più alcuna ragion d'essere. Ne consegue la perdurante vigenza del solo comma 1 dell'art. 41, a mente del quale i certificati attestanti le qualità personali, gli stati ed i fatti che non siano soggetti a modificazioni, hanno una validità illimitata, mentre tutte le restanti certificazioni che non possiedono tale caratteristica hanno validità di sei mesi, salvo differente previsione normativa. Dunque, detta disposizione reca una regola generale e cioè quella che annette validità illimitata ai certificati attestanti un substrato non modificabile, nonché una regola suppletiva con valenza residuale, che fissa in sei mesi dalla data di rilascio il periodo di validità di tutte le altre certificazioni per cui una disciplina normativa speciale non preveda una durata maggiore ovvero – deve ritenersi in via ermeneutica – nei casi caratterizzati dal substrato modificabile e dal silenzio della normativa sul periodo di validità In definitiva, all'interno del quadro di evidente semplificazione posto in essere dal legislatore anche attraverso la disciplina dei periodi di validità dei certificati, deve ritenersi che l'ampliamento dei termini di efficacia certificatoria abbia dato vita ad una facilitazione da parte del cittadino, che non è costretto a rivolgersi periodicamente alla P.A. per il rilascio di certificati i cui contenuti, per la natura degli stessi, non abbiano subìto delle variazioni. In giurisprudenza, sulla base delle precedenti coordinate, si è avuto modo di ritenere illegittimo il provvedimento di esclusione dall'assegnazione dei posti di ormeggio, disposta in ragione del mancato deposito di una visura camerale avente data inferiore a 30 giorni dalla presentazione, per avere l'amministrazione richiesto requisiti diversi e difformi rispetto a quelli legislativi; ciò considerato, fra l'altro, che la ricorrente, già prima dell'adozione del provvedimento impugnato, aveva espressamente evidenziato all'amministrazione la piena validità della visura depositata ai sensi dell'art. 41, comma 1, d.P.R. n. 445/2000 e soprattutto aveva specificato, ai sensi degli art. 74 e 75 d.P.R. cit., che non era intervenuta alcuna variazione rispetto a quanto riportato nella visura camerale depositata (T.A.R. Campania, Napoli VII, n.1553/2017). Per converso, si è ritenuta illegittima la mancata esclusione da una gara di appalto di una concorrente che ha allegato alla domanda di partecipazione un certificato del casellario giudiziale che, alla data di scadenza del termine di partecipazione alla gara risultava ormai scaduto, in contrasto con la lex specialis che richiedeva, a pena di esclusione, l'esibizione di tale certificato; a nulla, infatti, è valsa l'autodichiarazione di conformità all'originale della detta certificazione allegata alla domanda di partecipazione, in quanto si versa in una materia esclusa dall'operatività del meccanismo di autodichiarazione (T.A.R. Puglia, Lecce II, n.4902/2002). L'acquisizione d'ufficio dei documenti.Il testo dell'art. 43, il cui nucleo originario, in quattro commi, ha modificato il contenuto delle previsioni presenti nell'art. 7, comma 1, del d.P.R. n. 403/1998, è stato oggetto di più interventi ad opera di leggi successive, che ne hanno vieppiù accentuato la centralità e l'importanza. Ciò non solo nella materia della documentazione, quale momento di recupero della garanzia delle certezze pubbliche a fronte della semplificazione ma anche nell'ambito dello svolgersi dell'azione amministrativa, involgendo detta norma i rapporti fra l'amministrazione procedente, destinataria delle dichiarazioni sostitutive e amministrazione certificante, detentrice dei dati contenuti nelle predette dichiarazioni o richiesti dalla prima. In particolare il comma 1 declina il nucleo sostanziale dell'acquisizione d'ufficio, sancendo il dovere per le pubbliche amministrazioni di acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive nonché tutti i dati e i documenti in possesso della P.A., previo adempimento da parte dell'interessato dell'onere – non oneroso né sproporzionato ma pienamente esigibile secondo buona fede – di indicazione degli elementi indispensabili per il loro reperimento ovvero di accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato. I commi da 2 a 5 recano disposizioni volte a disciplinare le modalità di adempimento dell'acquisizione, allo scopo di potenziala; infine il comma 6 è dedicato alla disciplina delle modalità di trasmissione dei documenti e dei relativi effetti. La portata dell'obbligo di acquisizione d'ufficio. Tale istituto, come già argomentato supra – sebbene già presente nell'ordinamento, in quanto introdottovi dall'art. 10 della l. n. 15/1968 a valle di un lungo percorso giurisprudenziale ed ampliato con l'art. 18 l. n. 241/1990 che ha trasformato in dovere tale divieto – ha visto accresciuta la sua rilevanza non solo a seguito del suo innesto nel TUDA ma soprattutto in conseguenza dell'introduzione, ad opera della l. n. 183/2011, della decertificazione. Sotto il primo versante si consideri, come condivisibilmente evidenziato in dottrina, che il TUDA non si è limitato a riprendere integralmente le previsioni in materia di accertamento d'ufficio previgenti ma ne ha esaltato il ruolo nell'ambito della sua strategia semplificatrice, curandosi al contempo di superare gli ostacoli di carattere giuridico, organizzativo, finanziario e tecnico che avevano impedito in passato il pieno utilizzo dell'istituto (A. Pedaci, 60 e ss.). Sotto il secondo e connesso versante, relativo all'accresciuta rilevanza dell'acquisizione d'ufficio, si consideri che, in un sistema in cui vengono generalizzati il divieto di utilizzo dei certificati nei rapporti con le p. a. e i gestori di pubblici servizi e l'utilizzo delle autocertificazioni – elementi questi ultimi che si giustappongono all'obbligo di acquisizione dei documenti già detenuti e indicati dall'interessato – la centralità dell'istituto in commento ne risulta rafforzata: a ) sotto un profilo funzionale, in quanto è in tale fase successiva (e non più in sede di produzione dei certificati ad opera degli interessati) che si realizza l'esigenza di garanzia delle certezze pubbliche che si accompagna alla realizzazione delle misure di semplificazione; b ) sotto un profilo procedurale, in quanto l'istruttoria e l'azione del responsabile del procedimento, attraverso la possibilità di acquisizione diretta di tutti i documenti o di accesso all'interno degli archivi di altre pubbliche amministrazioni, connota in senso fortemente innovativo l'azione amministrativa; ciò nel senso della riduzione degli oneri in capo ai cittadini e – nella misura in cui la previsione sia adeguatamente supportata sotto i profili organizzativo e tecnologico – anche nel segno della celerità e dello snellimento procedurale; c ) sotto il profilo strutturale, in quanto l'attività di acquisizione avviene tramite accesso delle amministrazioni procedenti agli archivi delle amministrazioni certificanti, accesso che deve necessariamente essere consentito in via diretta, con modalità telematica e senza oneri (cfr. art. 43, comma 3 e 4); d ) sotto un profilo morfologico, in quanto – come palesa l'inciso finale dell'art. 43 comma 5, la trasmissione delle certezze pubbliche non è più legata solo ad documento ma diviene, per così dire, poliforme, potendo l'acquisizione avvenire «con qualunque mezzo idoneo ad assicurare la certezza della...fonte di provenienza» ed è quindi rimessa, quanto alle relative modalità, allo svolgersi delle relazioni organizzative fra amministrazioni. In giurisprudenza si è avuto modo di fare applicazione dell'acquisizione d'ufficio, l‘altro, in materia di concorsi, essendosi – in una fattispecie in cui in coerenza con una clausola della lex specialis che prevedeva la consegna, ad opera del candidato, della medesima documentazione di servizio rilasciata dalla stessa amministrazione – ribadito che quest'ultima deve acquisire d'ufficio le notizie di cui sia già in possesso, senza far derivare conseguenze pregiudizievoli dalla mancata certificazione delle stesse da parte dei partecipanti al concorso (T.A.R. Lazio, Roma I,n.11204/2020;T.A.R. Campania, Napoli IV, n.1617/2016;Cons. St. IV, n.1489/2015). Tale istituto, malgrado la presenza di qualche precedente che parrebbe ravvicinarlo al soccorso istruttorio (T.A.R. Umbria, Perugia I,n.78/2015; T.A.R. Lazio,RomaII, n. 2454/2014), si distingue da quest'ultimo, non trattandosi di porre rimedio a lacune o irregolarità imputabili all'interessato, bensì risulta più condivisibilmente riconducibile al più generale principio di civiltà giuridica, ragionevolezza e buon andamento di cui l'accertamento d'ufficio costituisce espressione (T.A.R. Campania, Napoli II, n.4416/2015). Si è, inoltre, ritenuto che l'attività di controllo sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di certificazione rilasciate dai privati abbia carattere ufficioso e non richieda la previa comunicazione di avvio procedimento, stante la sua naturale correlazione con l'istituto dell'autocertificazione (T.A.R. Toscana, Firenze I, n.247/2012). Sul punto si sarebbe, forse più correttamente potuta inquadrare l'acquisizione d'ufficio quale fase procedimentale incidentale officiosa per espressa previsione dell'art. 43, che si inserisce nel procedimento principale (quello nel quale è acquisita l'autocertificazione e/o è indicato dall'interessato il documento detenuto da altra amministrazione). L'istituto in commento è stato, altresì, applicato, anche alle procedure di evidenza pubblica, peraltro in piena coerenza con il disposto dell'art. 77-bis, essendosi ritenuto che gli artt. 40,43,46 e 47 d.P.R. n. 445/2000 – da intendersi pacificamente applicabili anche alle procedure di affidamento degli appalti pubblici – impongono alle stazioni appaltanti, finché non diventerà operativa la banca nazionale dei contratti pubblici, di procedere d'ufficio all'acquisizione, dalle amministrazioni competenti, dei certificati attestanti il possesso dei requisiti di partecipazione autodichiarati dai concorrenti, sicché non appare configurabile alcuna violazione per il ritardo o l'omissione nella produzione di documenti che la stazione appaltante avrebbe dovuto acquisire autonomamente e che non avrebbe dovuto (e potuto) chiedere all'aggiudicataria (Cons. St. III, n.3685/2015;Cons. St. III, n.4785/2013T.A.R. Campania, Napoli I,n.101/2016;T.A.R. Puglia, Bari II, n.346/2014) A fonte di tale orientamento – più condivisibile e coerente con il dettato dell'art. 77-bis – non manca un orientamento più rigoroso, volto a ritenere necessario, nella fase di verifica del possesso dei requisiti, che i concorrenti forniscano la documentazione probatoria vera e propria, proveniente da enti pubblici e privati; non è quindi più sufficiente l'autocertificazione né tanto meno appare predicabile l'obbligo per le stazioni appaltanti di acquisire d'ufficio la documentazione probatoria dei requisiti di capacità tecnico –economica. Ciò a motivo della rilevanza prevalente annessa nella specie al principio della par condicio fra i concorrenti (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila I, n.41/2016). Infine, un'ulteriore applicazione dell'acquisizione d'ufficio si è avuta in materia di permesso di soggiorno per gli extracomunitari, essendosi ritenuto che il principio di cui all'art. 43, comma 1, d.P.R. n. 445/2000, nel testo sostituito dall'art. 15, comma 1, lett. c), l. n. 183/2011, deve ritenersi applicabile anche nell'ipotesi in cui l'Amministrazione, pur essendo in possesso degli ulteriori documenti richiesti per la valutazione dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, abbia rilevato la sola mancanza del certificato di residenza, ben acquisibile d'ufficio, quale elemento ostativo ad un provvedimento favorevole (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma I, n.439/2014). Analisi dell'art. 43 Venendo all'analisi dell'art. 43, tale norma al primo comma declina il contenuto dell'acquisizione d'ufficio sulla cui portata si è già diffusamente argomentato. Resta da evidenziare che tale comma è stato modificato dall'art. 15 l. n. 183/2011: in particolare, il testo previgente vietava alle amministrazioni pubbliche e ai gestori di pubblici servizi di richiedere «atti o certificati concernenti stati, qualità personali e fatti che risultino elencati all'art. 46, che siano attestati in documenti già in loro possesso o che comunque esse stesse siano tenute a certificare», con l'alternativa dell'autocertificazione, ma senza impedire che il certificato potesse essere presentato spontaneamente dal privato; per converso, il nuovo testo impone a tali soggetti di «... acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni», con l'unica alternativa del ricorso all'autocertificazione (Bombardelli). Lo spettro applicativo della norma ne risulta, pertanto, rafforzato e raffinato, in tal modo presidiando l'effettività delle norme introdotte all'art. 40. Il comma 2 si occupa del contemperamento della disciplina dell'acquisizione d'ufficio con quella sulla riservatezza dei dati personali. In particolare, tale norma da un lato ribadisce anche nell'ambito in questione il principio di pertinenza e di minimizzazione dei dati, oggi stabiliti dall'art. 5, par. 1, lett. c ) Reg. 679/2016/UE (c.d. GDPR) ribadendo il divieto di accesso da parte delle amministrazioni procedenti a dati diversi da quelli per i quali è necessario acquisire la certezza o verificare l'esattezza; d'altro lato la disposizione prosegue ritenendo «per finalità di rilevante interesse pubblico» ai sensi del d. lgs n. 135/1999 (normativa quest'ultima prima rifluita nel Capo III deld.lgs. n.196/2003 e oggi definitivamente abrogata, recante la disciplina del trattamento dei dati sensibili da parte dei soggetti pubblici), l'attività di acquisizione d'ufficio finalizzata all'accertamento d'ufficio di stati, qualità e fatti ovvero al controllo sulle dichiarazioni sostitutive presentate dai cittadini. Si tratta di una previsione importante che, sebbene faccia riferimento ad una disciplina non più in vigore, rafforza la valenza dell'art. 43 come «base giuridica» del trattamento dei dati personali in transito dall'amministrazione certificante a quella procedente al fine di integrare la condizione di liceità del trattamento prevista dall'art. 6, par. 1, lett. e ) del Reg. 679/2016/UE, che fa riferimento appunto al trattamento necessario «per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento» ed evocata anche all'art. 2- terd.lgs. n. 196/2003. Naturalmente nelle fattispecie in commento la base giuridica sarà composta dalla norma che fonda la competenza dell'amministrazione procedente congiuntamente all'art. 43, comma 2. Infine, al fine di garantire il necessario coordinamento con le previsioni di cui all'art. 50 e50- terdel d.lgs. n. 82/2005 (Codice dell'Amministrazione Digitale), in tema rispettivamente di disponibilità dei dati e di Piattaforma Digitale Nazionale Dati, l'art. 39, comma 5 d.l. n. 77/2021 – ha soppresso, con efficacia a partire dalla data stabilita per l'accreditamento delle P.A. alla Piattaforma digitale nazionale dati – l'ultima parte dell'art. 43, comma 2, relativa all'obbligo di apposita autorizzazione per l'accesso agli archivi dell'amministrazione che detiene i dati oggetto di verifica. Sul piano delle modalità operative, il comma 3 – come modificato dal d.l. n. 69/2013, conv. in l. n. 98/2013 (c. d. decreto rilancio), nella consapevolezza che per rimuovere ogni ostacolo all'applicabilità dell'acquisizione d'ufficio è indispensabile imprimere un'accelerazione all'automazione e all'informatizzazione – ha soppresso la precedente versione che contemplava quali possibili metodologie per compiere l'acquisizione strumenti a distanza quali fax e via telematica, per prescrivere quale unico ed esclusivo strumento quello telematico. Delle disposizioni del d.lgs. n. 82/2005 che fanno da pendant a tale profilo, si rimanda al relativo commento. Al fine di agevolare la diffusione dell'istituto in commento, il comma 4 dell'art. 43 stabilisce che le amministrazioni certificanti sono tenute a consentire a quelle procedenti la consultazione per via telematica dei loro archivi informatici, senza oneri e nel rispetto della riservatezza dei dati personali, come già indicato al comma 2 nonché in coerenza con le disposizioni del Reg. 679/2016/UE. Come evidenziato in dottrina, si tratta disposizioni volte a superare alcuni ostacoli registratisi in passato alla piena, effettiva e completa applicazione dell'istituto, con particolare riferimento alla scarsa attitudine delle amministrazioni a dialogare, alla problematica conciliabilità dello scambio dei dati con la normativa in tema di riservatezza, nonché alla scarsa chiarezza sull'ente onerato dei costi relativi all'operazione (Pedaci, 60 e ss.). Sempre sul piano delle modalità operative, il comma 5 dell'art. 43 specifica che, quando l'amministrazione procedente acquisisce direttamente informazioni relative a stati, qualità personali e fatti presso l'amministrazione competente per la loro certificazione, il rilascio e l'acquisizione del certificato non sono necessari e le informazioni sono acquisite, senza oneri, con qualunque mezzo idoneo ad assicurare la certezza della loro fonte di provenienza. A completamento del disegno legislativo si inserisce l'ultimo comma dell'art. 43, che dispone la possibilità di trasmissione dei documenti da parte dei cittadini alle pubbliche amministrazioni a mezzo fax o con qualsiasi altro strumento telematico o informatico che abbia caratteristiche tali da poter garantire la certezza della provenienza. La trasmissione in tal modo realizzata non solo è pienamente idonea a raggiungere lo scopo della comunicazione, ma è del tutto parificata alla produzione in forma scritta, tanto è vero che è stato escluso qualsivoglia obbligo di successiva produzione del documento originale. Per la casistica giurisprudenziale relativa all'idoneità dei vari mezzi di comunicazione si rimanda a quanto già riportato nel commento all'art. 38. Questioni applicative.1) Il DURC è autocertificabile? Con riferimento al regime applicabile al DURC, quale documento volto ad attestare la regolarità della posizione contributiva dell'interessato in termini di requisito necessario per la partecipazione agli appalti pubblici o comunque di oggetto di richiesta anche nell'ambito dell'affidamento di lavori privati (art. 90 d.lgs. n. 81/2008) – si è registrato un articolato succedersi di orientamenti di cui giova dar sinteticamente conto. Così – prima che lo stesso art. 15 l. n. 183/2011 intervenisse nel TUDA inserendo una disposizione ad hoc per puntualizzare che le informazioni relative alla regolarità contributiva sono oggetto di obbligatoria acquisizione d'ufficio ad opera dell'amministrazione procedente, ovvero controllate ai sensi dell'art. 71 da quest'ultima – nella prassi e nella giurisprudenza amministrativa era consolidata la posizione contraria alla possibilità di consentire alle imprese di autocertificare il contenuto del DURC. In particolare, si faceva leva ora sulla ratio pubblicistica di tale documento (contrasto dell'evasione contributiva e del lavoro sommerso), ora sulla natura delle informazioni contenute nel DURC, implicanti un accertamento di ordine tecnico non surrogabile sulla regolarità contributiva, ora, infine, sulla specialità della normativa relativa al DURC rispetto a quella in materia di autocertificazione (Circ. Min. Lav. prot. n. 848/2004 del 14 luglio 2004;Cons. St. V, n.4035/2008;Circ. Min. Lav. n.34/2008 eInterpello6/2009). Come già anticipato, è seguita l'introduzione, ad opera della l. n. 183/2011, dell'art. 44- bis con il quale Legislatore, in sede di introduzione della disciplina sulla decertificazione amministrativa, ha voluto considerare la peculiarità della disciplina relativa al DURC ed ha previsto che lo stesso debba sempre essere acquisito d'ufficio dalle Amministrazioni procedenti, eccezion fatta per i casi in cui la specifica normativa di settore preveda la presentazione di una dichiarazione sostitutiva; in quest'ultimo caso l'amministrazione sarà tenuta a verificare la veridicità di quanto dichiarato dal privato ai sensi dell'art. 71 del d.P.R. n. 445/2000. Successivamente alla citata novella legislativa, si è riproposto il tema dell'autocertificabilità del DURC e correlativamente dell'applicabilità a quest'ultimo delle norme introdotte all'art. 40. Sul punto, mentre il Ministero del Lavoro con circolare del 16 gennaio 2012 e le Istruzioni Inail-INPS del 26 gennaio 2012 prot. n. 573 hanno continuato a sostenere la non autocetificabilità del DURC e la sua esclusione dall'ambito dell'art. 40, atteso che: a) nella specie non vengono in rilievo fatti oggettivi riferiti alla persona e certamente nella sua sfera di conoscenza né tanto meno l'attestazione di aver versato una somma a titolo di contribuzione bensì «complesse valutazioni tecniche di natura contabile derivante dall'applicazione di discipline lavoristiche, contrattuali e previdenziali» dominio di un organo tecnico; b) il regime stabilito dall'art. 44-bis, concernente gli aspetti dell'acquisizione e della gestione del DURC si pone come speciale rispetto a quello generale dell'art. 40 e come tale applicabile in via esclusiva. In senso opposto è sembrato deporre un brano della circolare del Ministero del Lavoro n. 37/2012 laddove – nel paragrafo dedicato alla validità trimestrale del DURC – ha fatto riferimento alla validità trimestrale il documento emesso ai fini del controllo delle autocertificazioni presentate ai sensi del d.P.R. n. 445/2000, che attesta la regolarità alla data dell'autocertificazione che è stata indicata nella richiesta. Sono, poi, intervenute la Circolare del Ministero della Pubblica Amministrazione e la Semplificazione n. 6/2012 e n. 12/2012 del Ministero del Lavoro, che, nel fornire indicazioni sulle modalità di acquisizione d'ufficio del DURC, pur confermando la sua non autocertificabilità, hanno tuttavia concluso nel senso della applicabilità allo stesso dell'art. 40, comma 02 relativo all'utilizzo del relativo certificato solo nei rapporti fra privati; ciò sulla base della riconducibilità del DURC stesso alla categoria del certificato di cui all'art. 1, comma 1, lett. f) del TUDA, siccome atto di attestazione redatto da un pubblico ufficiale, avente carattere dichiarativo dei dati in possesso della p. a. nonché assistito da pubblica fede ai sensi dell'art. 2700 comma c. e facente fede fino a querela di falso (Cons. St. V,6072/2011;Cons. St. V, n.5213/2010;Cons. St. VI, n.1934/2010). Non a caso lo stesso art. 6 del d.P.R. n.207/2010 qualificava il DURC quale «certificato» attestante la regolarità contributiva. Ne consegue la possibilità per i privati di continuare a richiedere il DURC per specifiche procedure (vd. ad es. art. 90 del T.U. sulla sicurezza), purché sul certificato venga apposta la dicitura prevista dall'art. 40, comma 02. Nello stesso senso si è posta la circolare INPS n. 98/2012 del 18 luglio2012, che sulla base delle medesime premesse, ha concluso che al DURC debbano essere applicati integralmente i principi dettati dal d.P.R. n. 445/2000 cioè acquisizione d'ufficio da parte delle pubbliche amministrazioni previa indicazione da parte dell'interessato e fra privati (art. 90 d.lgs. n. 81/2008), con la dicitura prevista dall'art. 40, comma 02. Ne è conseguito un punto di approdo dell'evoluzione in materia, ben compendiato in una faq presente sul sito dell'ANAC che – valorizzando la portata dell'art. 44-bis come interpretato dalle circolari da ultimo citate – conclude nel senso che il legislatore, considerando la peculiarità della disciplina relativa al DURC, ha previsto che lo stesso debba sempre essere acquisito d'ufficio dalle amministrazioni procedenti, eccezion fatta per i casi in cui la specifica normativa di settore preveda la presentazione di una dichiarazione sostitutiva; in quest'ultimo caso l'Amministrazione sarà tenuta a verificare la veridicità di quanto dichiarato dal privato ai sensi dell'art. 71 del d.P.R. n. 445/2000. Questo era, ad esempio, il caso del previgente artt. 38,14- bis d.lgs.n. 163/2006 introdotto dall'art. 4, comma 2, d.l. n. 70/2011 – norma abrogata dal d. lgs n. 50/2016 – che prevedeva per i contratti di forniture e servizi fino a ventimila euro, stipulati con la pubblica amministrazione e con le società in house, che i soggetti contraenti potessero produrre una dichiarazione sostitutiva in luogo del DURC. A fronte del serrato succedersi di pronunciamenti in sede amministrativa non sempre coerenti ed univoci in uno stretto lasso temporale, è intervenuto il più lineare e logicamente omogeneo orientamento giurisprudenziale volto a ritenere: 1) il DURC ricomprensibile fra i certificati di cui all'art. 46, comma I, lett. p) («assolvimento di specifici obblighi contributivi con l'indicazione dell'ammontare corrisposto»), sostituibili con una dichiarazione sostitutiva; 2) l'art. 43 pianamente applicabile anche in relazione al DURC, costituendo tale norma espressione del fondamentale canone costituzionale del buon andamento, a cui deve ispirarsi l'azione amministrativa e a cui sono riconducibili le esigenze di semplificazione e di divieto di aggravamento del procedimento; ne consegue il generale principio secondo cui l'amministrazione non può richiedere ai privati atti o certificati relativi a stati, qualità personali e fatti attestati in documenti già in possesso della stessa o di altra amministrazione o comunque autocertificati. A tale stregua, è stato annullato un provvedimento di mancata concessione di un contributo regionale erogato con procedura di evidenza pubblica, per non avere l'istante prodotto nel termine il DURC, pur avendo allegato la richiesta di tale documento all'ente che lo deteneva, dovendo l'amministrazione procedente acquisirlo d'ufficio ai sensi dell'art. 43 e anche dell'art. 44-bis (Cons. St. V, n.3231/2013;T.A.R. FriuliVenezia Giulia,Trieste I, n.542/2011). 2) Con quale rimedio giuridico l'amministrazione può far valere l'inerzia dell'amministrazione certificante? In merito alle modalità per far valere la posizione dell'amministrazione procedente nel caso in cui l'amministrazione certificante, tenuta a garantire l'accesso diretto ai suoi archivi, rimanga inerte, si ritiene estensibile a tale fattispecie l'orientamento giurisprudenziale che ritenuto la configurabilità in concreto del ricorso all'istituto dell'accesso da parte di una pubblica amministrazione (intesa ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. e) della l. n. 241/1990 come «tutti i soggetti di diritto pubblico ...») nei confronti di un'altra nelle ipotesi in cui l'acquisizione documentale avvenga in applicazione del principio di leale cooperazione istituzionale stabilito dall'art. 22, comma 5 l. n. 241/1990. Ciò è stato affermato, sia nell'ipotesi in cui un'amministrazione si trovi in posizione di soggetto amministrato rispetto ad un'altra e in quanto tale abbia titolo all'accesso alla stessa stregua di un soggetto privato (Cons. St. V, n.5573/2008), sia più in generale nell'ipotesi di soggetti pubblici aspiranti ad un'acquisizione documentale (Cons. St. V, n.3190/2011). Orbene se detto orientamento è stato affermato in relazione a fattispecie nel dominio di un più blando principio di collaborazione, a fortiori deve essere ritenuto estensibile a fattispecie come quella dell'art. 42, comma 2, che reca un obbligo per l'amministrazione certificante. BibliografiaBenedetti, La decertificazione: come cambia il rapporto tra cittadino e amministrazione, in Il procedimento amministrativo tra de-certificazione e semplificazione. Le ultime novità in materia di: termini, de-certificazione, conferenza dei servizi, scia, FormezPA Roma, 2014; Bombardelli, Decertificazione. 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