Decreto del Presidente della Repubblica - 24/11/1971 - n. 1199 art. 6 - Silenzio.

Olga Toriello

Silenzio.

Art. 6

Decorso il termine di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso all'autorità giurisdizionale competente, o quello straordinario al Presidente della Repubblica.

Inquadramento

Da ultimo, va trattato il problema della tutela giurisdizionale nell'ipotesi di infruttuoso decorso del termine di novanta giorni entro il quale, a mente dell'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971, il ricorso gerarchico deve essere deciso, soffermandosi sugli effetti dell'adozione della decisione in un torno di tempo successivo allo spirare di detto termine (c.d. provvedimento sopravvenuto).

Il silenzio sul ricorso amministrativo e la successiva tutela giurisdizionale.

Da ultimo, va trattato il problema della tutela giurisdizionale nell'ipotesi di infruttuoso decorso del termine di novanta giorni entro il quale, a mente dell'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971, il ricorso gerarchico deve essere deciso, soffermandosi sugli effetti dell'adozione della decisione in un torno di tempo successivo allo spirare di detto termine (c.d. provvedimento sopravvenuto).

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale (Cons. St. I, n. 386/2011), la P.A. conserva il potere di decidere il ricorso gerarchico nonostante la scadenza del termine di novanta giorni e l'eventuale proposizione di ricorso giurisdizionale o straordinario (Cons. St. II, nn. 547 e 548/2018; T.A.R. Calabria, Catanzaro I, 25 gennaio 2021, n. 154; Cons. Stato VII, n. 599/2022), che non assume natura perentoria (T.A.R. Marche, Ancona I, 19 giugno 2018, n. 435).

Difatti, il decorso del termine di legge non concreta alcun provvedimento tacito ma costituisce un semplice presupposto processuale, che consente al privato di ricorrere in via giurisdizionale o straordinaria. Detta conclusione è avvalorata dal tenore letterale dell'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971, nella parte in cui prevede l'esperibilità del ricorso giurisdizionale o straordinario non già avverso il provvedimento tacito di rigetto, bensì avverso il provvedimento originario, già impugnato. Di conseguenza, stante la mancata formazione di alcun provvedimento tacito di rigetto, il provvedimento sopravvenuto è da ritenersi perfettamente valido e, quindi, non impugnabile per violazione del ne bis in idem o per tardività (Cons. St. IV, n. 382/2018; T.A.R.Sardegna, Cagliari II, 13 gennaio2014, n. 19).

Alla base di tale conclusione milita anche la necessità di garantire al ricorrente una tutela nel merito: difatti, se il ricorso gerarchico fosse esperito per vizi di merito, la qualificazione del silenzio dell'autorità adita come provvedimento tacito di rigetto onererebbe il ricorrente ad esperire i rimedi del ricorso giurisdizionale o straordinario nei termini di decadenza, privandolo della tutela di merito. Per contro, la qualificazione del silenzio come mero presupposto processuale consente al ricorrente di attendere, eventualmente attivando la procedura del silenzio-rifiuto, la decisione sul merito dell'autorità investita del ricorso gerarchico (T.A.R. Abruzzo, Pescara I, 22 aprile2016, n. 147; T.A.R. Marche, Ancona,16 gennaio1998, n. 32; Cons. St. VI, n.450/1990).

In definitiva, il ricorrente in sede gerarchica, una volta decorsi i novanta giorni, può percorrere due strade (v. Cons. St. I, 1472/2017; Cons. St.III, n. 1920/2014; T.A.R. Sardegna, CagliariI, 13 dicembre2012, n. 1114; C.G.A. Sicilia 2 novembre 1992, n. 325; T.A.R. Emilia Romagna,Parma I, 13 marzo2010, n. 94), giacché abilita il ricorrente gerarchico a scegliere fra la proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di base nei termini di decadenza, una volta formatosi il silenzio-rigetto, ovvero la proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione amministrativa, con la conseguenza che, anche se si è formato il silenzio-rigetto, l'Amministrazione non viene privata della potestà di decidere il ricorso gerarchico né il privato della legittimazione ad insorgere contro il provvedimento di rigetto dello stesso (Cons. St.I, n. 2154/2009; T.A.R. Lazio,Latina I, n. 534/2007; Cons. St.IV, n. 4942/2012; T.R.G.A. Trento 25 giugno 2013, n. 176; Cons. St.III, n. 4276/2013).

La prima possibilità è dunque quella di esperire il ricorso giurisdizionale o straordinario avverso il provvedimento base, rispettivamente nei sessanta e nei centoventi giorni successivi.

La decisione esplicita di rigetto che intervenga in pendenza di giudizio (o di ricorso straordinario), violativa del dovere dell'Amministrazione di dichiarare l'improcedibilità del ricorso gerarchico in pendenza di ricorso giurisdizionale, poiché costituisce atto ad effetto confermativo non già della decisione tacita di rigetto bensì del provvedimento originario, non onera il ricorrente ad un'autonoma impugnativa, ma consente la proposizione di motivi aggiunti al ricorso giurisdizionale o straordinario.

Il provvedimento tardivo di accoglimento produce invece la cessazione della materia del contendere in mancanza di controinteressati o legittima gli stessi alla proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario nei termini di decadenza ordinari (Cons. St.,Ad. plen., n. 17/1989; Cons. St.,Ad. plen., n.16/1989).

Ove, addirittura, la decisione gerarchica intervenga dopo la formazione del giudicato sul ricorso giurisdizionale, si applicherà la regola generale della prevalenza del giudicato sulla decisione amministrativa.

La seconda strada percorribile è quella di attendere l'adozione del provvedimento tardivo decisorio del ricorso gerarchico e, in caso di ulteriore inerzia da parte della P.A., attivare a tal fine la procedura del silenzio-rifiuto.

In base a detta impostazione, quindi, il privato, da un lato, non perde la possibilità di proporre il ricorso giurisdizionale o straordinario avverso il provvedimento tardivo; dall'altro, come detto, può conseguire una tutela di merito, non ottenibile in sede giurisdizionale o straordinaria a causa della non deducibilità di motivi di merito in seno a dette forme di ricorso.

La Commissione Speciale del Consiglio di Stato, parere 17 gennaio 2001, ha ribadito la validità dell'insegnamento sin qui esposto soggiungendo che il nuovo rito del silenzio, (oggi) disciplinato dagli artt. 31 e 117 c.p.a., non è applicabile nell'ipotesi in cui l'interessato, decorso infruttuosamente il termine di novanta giorni, impugni direttamente il provvedimento base.

L'assunto è perfettamente coerente con la considerazione che il nuovo rito è finalizzato ad una decisione che dichiari l'obbligo per la P.A. di adottare il provvedimento omesso e, quindi, è inconciliabile con l'ipotesi in cui il giudizio sia finalizzato, sulla base del presupposto processuale del silenzio rifiuto, alla contestazione del provvedimento base.

Al contrario, il nuovo rito appare applicabile nel caso in cui, decorso il ricordato termine, l'interessato attenda ulteriormente il pronunciamento decisorio della P.A. sul ricorso gerarchico e lo incentivi facendo formare l'apposito silenzio-rifiuto. In tal caso, all'evidenza, il giudizio assolve alla funzione, propria del rito in esame, di accertare l'omissione della decisione e di costringere l'Amministrazione ad adottarne una gerarchica, che si è visto essere infungibile in sede giudiziaria ove il ricorso gerarchico verta su profili di merito.

Questioni applicative

1) La PA conserva il potere di decidere dopo la scadenza del termine per la definizione del procedimento?

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale (v. Cons. St. I, n. 386/2011), la P.A. conserva il potere di decidere il ricorso gerarchico nonostante la scadenza del termine di novanta giorni e l'eventuale proposizione di ricorso giurisdizionale o straordinario.

Difatti, il decorso del termine di legge non concreta alcun provvedimento tacito ma costituisce un semplice presupposto processuale, che consente al privato di ricorrere in via giurisdizionale o straordinaria. Detta conclusione è avvalorata dal tenore letterale dell'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971, nella parte in cui prevede l'esperibilità del ricorso giurisdizionale o straordinario non già avverso il provvedimento tacito di rigetto, bensì avverso il provvedimento originario, già impugnato. Di conseguenza, stante la mancata formazione di alcun provvedimento tacito di rigetto, il provvedimento sopravvenuto è da ritenersi perfettamente valido e, quindi, non impugnabile per violazione del ne bis in idem o per tardività.

Alla base di tale conclusione milita anche la necessità di garantire al ricorrente una tutela nel merito: difatti, se il ricorso gerarchico fosse esperito per vizi di merito, la qualificazione del silenzio dell'autorità adita come provvedimento tacito di rigetto onererebbe il ricorrente ad esperire i rimedi del ricorso giurisdizionale o straordinario nei termini di decadenza, privandolo della tutela di merito. Per contro, la qualificazione del silenzio come mero presupposto processuale consente al ricorrente di attendere, eventualmente attivando la procedura del silenzio-rifiuto, la decisione sul merito dell'autorità investita del ricorso gerarchico.

2) Quali strade sono percorribili dal ricorrente a seguito del decorso infruttuoso del termine per la definizione del procedimento?

In definitiva, il ricorrente in sede gerarchica, una volta decorsi i novanta giorni, può percorrere due strade (v. Cons. St. I, 1472/2017).

a) La prima possibilità è quella di esperire il ricorso giurisdizionale o straordinario avverso il provvedimento base, rispettivamente nei sessanta e nei centoventi giorni successivi.

La decisione esplicita di rigetto che intervenga in pendenza di giudizio (o di ricorso straordinario), violativa del dovere dell'Amministrazione di dichiarare l'improcedibilità del ricorso gerarchico in pendenza di ricorso giurisdizionale, poiché costituisce atto ad effetto confermativo non già della decisione tacita di rigetto bensì del provvedimento originario, non onera il ricorrente ad un'autonoma impugnativa, ma consente la proposizione di motivi aggiunti al ricorso giurisdizionale o straordinario.

Il provvedimento tardivo di accoglimento produce invece la cessazione della materia del contendere in mancanza di controinteressati o legittima gli stessi alla proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario nei termini di decadenza ordinari.

Ove, addirittura, la decisione gerarchica intervenga dopo la formazione del giudicato sul ricorso giurisdizionale, si applicherà la regola generale della prevalenza del giudicato sulla decisione amministrativa.

b) La seconda strada percorribile è quella di attendere l'adozione del provvedimento tardivo decisorio del ricorso gerarchico e, in caso di ulteriore inerzia da parte della P.A., attivare a tal fine la procedura del silenzio-rifiuto.

In base a detta impostazione, quindi, il privato, da un lato, non perde la possibilità di proporre il ricorso giurisdizionale o straordinario avverso il provvedimento tardivo; dall'altro, come detto, può conseguire una tutela di merito, non ottenibile in sede giurisdizionale o straordinaria a causa della non deducibilità di motivi di merito in seno a dette forme di ricorso.

3) È applicabile il rito del silenzio ex artt. 31 e 117 c.p.a.?

La Commissione Speciale del Cons. St., parere 17 gennaio 2001, ha ribadito la validità dell'insegnamento sin qui esposto soggiungendo che il nuovo rito del silenzio, (oggi) disciplinato dagli artt. 31 e 117 c.p.a., non è applicabile nell'ipotesi in cui l'interessato, decorso infruttuosamente il termine di novanta giorni, impugni direttamente il provvedimento base (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 09 maggio 2022, n. 3137).

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L'assunto è perfettamente coerente con la considerazione che il nuovo rito è finalizzato ad una decisione che dichiari l'obbligo per la P.A. di adottare il provvedimento omesso e, quindi, è inconciliabile con l'ipotesi in cui il giudizio sia finalizzato, sulla base del presupposto processuale del silenzio rifiuto, alla contestazione del provvedimento base.

Al contrario, il nuovo rito appare applicabile nel caso in cui, decorso il ricordato termine, l'interessato attenda ulteriormente il pronunciamento decisorio della P.A. sul ricorso gerarchico e lo incentivi facendo formare l'apposito silenzio-rifiuto. In tal caso, all'evidenza, il giudizio assolve alla funzione, propria del rito in esame, di accertare l'omissione della decisione e di costringere l'Amministrazione ad adottarne una gerarchica, che si è visto essere infungibile in sede giudiziaria ove il ricorso gerarchico verta su profili di merito.

Bibliografia

Benvenuti, Appunti di diritto amministrativo, 115, e Autotutela, in Enc. dir., 541; Caringella, Manuale di diritto amministrativo ragionato, Roma, 2021, parte 12, capitoli 1 e 5; Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2020; De Roberto, Tonini, I ricorsi amministrativi, Milano, 1984, 78; Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, Napoli, 1989.

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