Decreto del Presidente della Repubblica - 24/11/1971 - n. 1199 art. 8 - Ricorso.

Olga Toriello

Ricorso.

Art. 8

Contro gli atti amministrativi definitivi è ammesso ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per motivi di legittimità da parte di chi vi abbia interesse.

Quando l'atto sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale, non è ammesso il ricorso straordinario da parte dello stesso interessato (A).

(A) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare Ministero dell'Interno 27 marzo 2013 n. 9/2013.

Inquadramento

Il ricorso straordinario è un rimedio di carattere generale, esperibile in tutti i casi in cui non sia escluso dalla legge, che riguarda atti definitivi, adottati sia dall'Amministrazione statale che da altre P.A. A differenza del ricorso gerarchico, il ricorso straordinario è dunque esperibile solo nei confronti di atti per cui l'Amministrazione ha definitivamente manifestato la propria volontà.

Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ha da sempre suscitato perplessità in dottrina e in giurisprudenza in merito alla compatibilità di siffatto rimedio eccezionale con l'ordinamento processuale amministrativo.

La Corte costituzionale (v. infra) ha tuttavia affermato la piena compatibilità dell'istituto con i principi e lo statuto normativo, ordinario e costituzionale, della giurisdizione amministrativa, alla quale pertanto tale rimedio appartiene a pieno titolo, a seguito della riforma del 2009.

L'istituto in esame ha natura eliminatoria, in quanto originato dall'impugnazione di un atto amministrativo, che culmina nella caducazione dell'atto gravato, mentre la rinnovazione dello stesso è rimessa all'autorità che ha emanato l'atto impugnato (art. 14 d.P.R. n. 1199/1971).

Tradizionalmente il carattere impugnatorio del ricorso straordinario induceva a escludere l'esperibilità di azioni di mero accertamento – dichiarative di diritti e pretese patrimoniali –, di azioni di condanna al risarcimento del danno cagionato dal comportamento illecito o dal provvedimento illegittimo, nonché di azioni di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.

A mezzo del ricorso straordinario è inoltre possibile sindacare esclusivamente vizi di legittimità e non anche vizi di merito, invece deducibili in sede di ricorso gerarchico.

Con riferimento invece all'ambito operativo del rimedio in esame, occorre rilevare preliminarmente che l'esperibilità del ricorso straordinario a tutela di posizioni devolute al G.O. e, più in generale, a giudici diversi da quello amministrativo – in passato ammessa dalla giurisprudenza, in assenza di riferimenti normativi contrari – è stata eliminata dall'art. 7, comma 8, del Codice del processo amministrativo, delimitando così l'ambito applicativo dell'istituto.

Il ricorso straordinario è infine caratterizzato dall'alternatività rispetto al ricorso al Giudice Amministrativo: ne deriva che, una volta intrapresa la strada del ricorso straordinario, non è più possibile esperire il ricorso giurisdizionale davanti al Giudice Amministrativo e viceversa (electa una via non datur recursus ad alteram); così come non è possibile, se non per vizi procedurali e formali, impugnare in sede giurisdizionale amministrativa il decreto che ha deciso il ricorso straordinario («La regola dell'alternatività del ricorso straordinario al Capo dello Stato rispetto al ricorso giurisdizionale, fissata dall'art. 8, d.P.R. n. 1199/1971, risponde ad una ratio di tutela non già dei privati bensì della giurisdizione, avendo lo scopo di evitare il rischio di due decisioni contrastanti sulla medesima controversia (divieto del ne bis in idem) e trova applicazione, pertanto, non solo quando si tratta della medesima domanda o dell'impugnazione dello stesso atto, ovvero vi è identità del bene della vita oggetto del rimedio giustiziale esperito, ma anche nel caso di due impugnative rivolte dal medesimo soggetto avverso punti diversi dello stesso atto oppure quando si tratta di atti distinti, ma legati tra loro da un nesso di presupposizione; in sostanza la regola dell'alternatività tra il ricorso straordinario al Capo dello Stato e quello giurisdizionale deve sempre ritenersi operante nei casi nei quali le due diverse impugnative siano sostanzialmente caratterizzate dall'identità del contendere e della relativa ratio»: T.A.R. Campania, Salerno II, 28 marzo2019, n. 484; T.A.R. Toscana, Firenze, sez. II, 23 marzo 2023, n. 311).

La giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario

Tradizionalmente una delle questioni più dibattute riguardava la natura dell'istituto: all'acceso dibattito che ha impegnato dottrina e giurisprudenza ha definitivamente posto fine il Legislatore con la l. n.69/2009.

Il rimedio in esame ha infatti conosciuto una mutazione genetica per effetto delle poche ma decisive modifiche apportate dalla citata l. n. 69, che ha, in primo luogo, previsto – con la riscrittura dell'art. 13 del d.P.R. n. 1199/1971 – che il Consiglio di Stato, in sede di espressione del parere sul ricorso, può sollevare questioni di legittimità costituzionale.

Ne deriva la qualificazione del Consiglio di Stato, in seno al procedimento decisionale in questione, quale organo giurisdizionale, come tale legittimato a sollevare questioni incidentali di costituzionalità.

L'evoluzione della natura giuridica del rimedio emerge dalla motivazione della pronuncia della Corte di Giustizia, in C-520/15, chiamata a pronunciarsi in sede pregiudiziale con ordinanza del 15 luglio 2015 del Consiglio di Stato, in cui la Corte evidenzia che «inizialmente il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica non era completamente assimilabile a un procedimento giurisdizionale, dal momento che il governo, con delibera del Consiglio dei ministri, poteva disattendere il parere emesso dal Consiglio di Stato nell'ambito di tale ricorso e adottare un atto di alta amministrazione che si sostituiva a tale parere. In tale contesto, il diritto alla trasposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, ripetendo la ratio del principio del favor juridictionis, sarebbe stato giustificato. Tuttavia, non sarebbe più così a partire dall'adozione della legge n. 69, contenente disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile, del 18 giugno 2009 (GURI, supplemento ordinario n. 140, del 19 giugno 2009). Infatti, a seguito dell'adozione della suddetta legge, il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica sarebbe divenuto a pieno titolo un rimedio giurisdizionale».

In secondo luogo, la riforma del 2009, riscrivendo l'art. 14, ai commi primo e secondo, del d.P.R. n. 1199/1971, ha eliminato la possibilità governativa, originariamente prevista, di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato sottoponendo la questione al Consiglio dei Ministri.

Il parere del Consiglio di Stato ha così acquisito natura vincolante rispetto alla proposta del Ministro e alla conseguente decisione del Capo dello Stato; la novella sposta, quindi, sul Consiglio di Stato, organo terzo e giurisdizionale, il peso esclusivo della decisione, attribuendo conseguentemente a tale parere veste decisoria finale, pur se formalmente endoprocedimentale.

Per converso, il decreto del Presidente della Repubblica, che definisce il ricorso, degrada da provvedimento amministrativo sostanzialmente decisorio ad atto di mera esternazione della decisione giurisdizionale assunta dal Consiglio di Stato, suffragando in tal modo il carattere giurisdizionale del rimedio (Cons. St. V, n. 2186/2018).

Ne deriva che la decisione presidenziale conforme al parere del Consiglio di Stato ha assunto, al pari del parere stesso, natura di atto giurisdizionale, spogliandosi delle vesti di atto amministrativo che tradizionalmente lo avevano caratterizzato: «In tema di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la decisione presidenziale conforme al parere del Consiglio di Stato ripete dal parere stesso la natura di atto giurisdizionale in senso sostanziale, come tale impugnabile in cassazione per motivi di giurisdizione, atteso che l'art. 69 della l. n. 69/2009 che rende vincolante il parere del Consiglio di Stato e legittima l'organo consultivo a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale e l'art. 7 del d.lgs. n. 104/2010 il quale ammette il ricorso straordinario per le sole controversie sulle quali vi è giurisdizione del giudice amministrativo evidenziano l'avvenuta “giurisdizionalizzazione” dell'istituto»: Cass. S.U. , n.23464/2012; Cons. St., Ad.plen., n. 9/2013 ;T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 17 agosto 2020, n. 1578).

L'istituto opera, pertanto, quale ricorso giurisdizionale per saltum al Consiglio di Stato, con rinuncia al doppio grado di giudizio, sulla scorta di un accordo implicito delle parti, che si attua per effetto della mancata opposizione della P.A. e dei controinteressati all'iniziativa giustiziale del ricorrente (al di fuori di tale ipotesi, il ricorso giurisdizionale per saltum al Consiglio di Stato è invece escluso: C.G.A. Sicilia, sez. giurisd., 21 maggio 2018, n. 295).

Ne deriva una piena applicazione al ricorso straordinario della disciplina processual-civilistica, in ragione della clausola aperta di rinvio di cui all’art. 39 c.p.a.:tale principio è stato da ultimo confermato dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto applicabile al ricorso straordinario l’istituto della sospensione del processo di cui all’art 295 c.p.c.: “La sospensione prevista dall'art. 295 c.p.c. può essere disposta anche quando il processo pregiudicante venga individuato nella proposizione di un ricorso straordinario al Capo dello Stato, al quale va riconosciuta, alla luce dell'evoluzione del sistema normativo - di cui sono indici significativi, da un lato, l'art. 69 della l. n. 69 del 2009 (laddove prevede la possibilità, per il Consiglio di Stato chiamato ad esprimere il parere sul ricorso straordinario, di sollevare incidente di costituzionalità ed abolisce la facoltà del Ministro di discostarsi dal parere dello stesso Consiglio di Stato) e, dall'altro lato, l'art. 112, lett. b), del codice del processo amministrativo (che configura la tutela mediante ottemperanza in relazione alla decisione resa dal giudice amministrativo sul ricorso straordinario) - natura di procedimento giurisdizionale con una marcata connotazione di specialità, in quanto semplificato, in unico grado ed imperniato sul sostanziale assenso delle parti” (Cass. VI, 3 marzo 2022, n. 6998).

Restano dunque isolate le pronunce che ritengono che anche all'esito della novella del 2009, «Il ricorso straordinario al presidente della repubblica ha mantenuto la sua originaria natura e peculiarità di rimedio amministrativo, al quale le recenti innovazioni legislative hanno attribuito una maggiore forza» (Cons. St. I, parere n. 1033/2014). Ne deriva che l'assimilazione del ricorso straordinario a quello giurisdizionale non può dirsi piena neppure dopo le riforme introdotte dalla l. n. 69/2009, in quanto «resta un rimedio tendenzialmente giurisdizionale nella sostanza, ma formalmente amministrativo, con la conseguenza che le due fasi del contenzioso quella giustiziale e quella giurisdizionale restano del tutto distinte» (C.G.A. Sicilia, 25 ottobre 2012, n. 1020). Secondo tale minoritaria ricostruzione, inoltre, la giurisdizionalizzazione del rimedio si porrebbe in contrasto, tanto con ĺart. 125 della Costituzione, che afferma il principio del doppio grado di giurisdizione (laddove il ricorso straordinario verrebbe, comunque, ad essere definito esclusivamente a seguito dell'espressione del parere del Consiglio Stato), quanto con l'art. 137 della Costituzione (che demanda alla legge costituzionale l'individuazione delle condizioni, delle forme e dei termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale); sarebbe inoltre illogica la persistenza, nella sua originaria configurazione, dell'istituto della trasposizione di cui all'art. 10 del d.P.R. n. 1199/1971, che prevede la facoltà per i controinteressati, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso, di richiedere che esso sia deciso in sede giurisdizionale (T.A.R. Lazio, Roma I, 16 marzo2010, n. 4104).

La legittimità costituzionale della giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario

La dottrina (F. Freni) e la giurisprudenza prevalenti hanno escluso l'illegittimità costituzionale del carattere giurisdizionale acquisito dal rimedio in esame per effetto della riforma attuata con l. n. 69/2009.

Partendo, dall'indicazione offerta dalla nota sentenza della Corte Costituzionale del 1986 (Corte cost. n. 298/1986), che ha escluso la presenza di una garanzia costituzionale a favore del rimedio in esame, sono stati infatti sollevati, in dottrina e in giurisprudenza, numerosi dubbi in merito ai profili di attrito del nuovo assetto normativo con i precetti costituzionali.

Un primo dubbio riguarda la compatibilità del rimedio con il dettato di cui all'art. 125Cost., secondo cui «nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione». È evidente, infatti, che affermare la piena natura giurisdizionale del ricorso straordinario equivale a prevedere una competenza generale su tutti gli atti dell'amministrazione a favore del solo Consiglio di Stato, in spregio al principio sancito dalla Corte costituzionale, anche per i provvedimenti cautelari (Corte cost. n.8/1982) del doppio grado di giudizio. Questa prima obiezione è tale da porre in discussione l'esistenza stessa del rimedio, giacché ove si prevedesse l'obbligo del doppio grado di giudizio l'utilità principale dell'istituto rappresentata dalla celerità della risposta fornita dal Consiglio verrebbe a smarrirsi.

Ulteriore problema che, in ottica giurisdizionale, desta non poche perplessità è quello inerente alla disciplina istruttoria, rimessa interamente al Ministero, con palese lesione dei principi del giusto processo consacrati dall'art. 111 Cost., in particolare per ciò che attiene al principio di parità delle parti. In realtà, la principale obiezione all'accoglimento della giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario va individuata nello snaturamento che subirebbe il rimedio in questione, trasformato di colpo da strumento alternativo di risoluzione delle controversie a surrogato dotato di minori garanzie e mezzi per attuare la tutela giurisdizionale. Peraltro, il mutamento di natura giuridica comporterebbe un sicuro «dimagrimento» delle controversie sottoponibili allo scrutinio del Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario, giacché dovrebbero essere escluse tutte le questioni nelle quali il ricorrente azioni un diritto soggettivo, poiché la nostra Costituzione, come ricordato dalle celebri decisioni Corte cost. nn.204/2004, 191/2006 e 140/2007, ha optato, recependo le conclusioni raggiunte nel secolo scorso dal celebre concordato giurisprudenziale tra Cassazione e Consiglio di Stato, per il criterio del petitum sostanziale.

Ulteriori profili di illegittimità costituzionale dell'istituto, poi, investirebbero anche gli artt. 24,102, e 137 Cost.

Con specifico riferimento all'art. 24Cost., invero, si è osservato che il ricorso straordinario «giurisdizionalizzato» confliggerebbe con il principio di pienezza ed effettività della tutela; la qualificazione in termini giurisdizionali del rimedio, inoltre, entrerebbe in conflitto con il divieto di costituire giudici speciali consacrato dall'art. 102Cost. Infine, il ricorso al Capo dello Stato striderebbe con il principio, affermato dall'art. 137Cost., secondo cui solo una legge costituzionale può stabilire le condizioni, le forme e i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale.

Con sentenza dell'aprile 2014, la Consulta (Corte cost. n. 73/2014), confermando la tesi della giurisdizionalizzazione, ha tuttavia fugato ogni dubbio in merito alla legittimità costituzionale della riforma e del carattere giurisdizionale che quest'ultima ha attribuito al rimedio in esame, ritenendo in particolare la modifica dell'ambito applicativo del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, recata dall'art. 7, comma 8, c.p.a., pertinente all'oggetto della delega legislativa.

I primi commentatori (Freni) hanno messo in luce alcune opacità nel tessuto motivazionale della pronuncia, osservando che, se da un lato, il Giudice delle Leggi ha affermato che il ricorso straordinario è attratto, ai fini della determinazione del relativo ambito applicativo, nell'orbita della giurisdizione amministrativa, dall'altro, non ha mancato di rilevare che il rimedio in esame non possiede tutte le caratteristiche proprie del rimedio giurisdizionale ordinario (cui il ricorso straordinario è tuttavia del tutto alternativo) e pertanto non è allo stesso completamente equiparabile.

In altri termini, secondo questa linea di pensiero, la Corte affianca la declaratoria della natura meramente ricognitiva dell'art. 7, comma 8, c.p.a., che mira al riordino delle norme sulla giurisdizione amministrativa, nell'ambito della quale era già pacificamente ricompreso il ricorso straordinario, con l'affermazione, per certi versi antitetica, che non può qualificarsi il ricorso straordinario come un rimedio perfettamente fungibile con quello propriamente giurisdizionale.

L'avvenuta giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è stata nuovamente confermata da un intervento dell'Adunanza Plenaria delConsiglio di Stato che, con ordinanza n.7/2015, ha confermato, seppur in via incidentale, la natura giurisdizionale del rimedio acquisita per effetto della novella del 2009.

Con sentenza n. 24/2018 la Consulta ha anche respinto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Plenaria rilevando che la decisione sul riscorso straordinario, nel regime precedente alla giurisdizionalizzazione, aveva carattere amministrativo e, quindi, non era sottratta, in base ai parametri costituzionali e convenzionali, al rischio di leggi interpretative retroattive volte a incidere sulla loro eseguibilità.

Ambito di applicazione

Il carattere giurisdizionale del rimedio in esame trova conferma nel disposto dell'art. 7, comma 8,c.p.a. che esclude la proponibilità del ricorso straordinario in materie non devolute al giudice amministrativo.

Il ricorso straordinario diventa, quindi, un rimedio giurisdizionale speciale all'interno del sistema della giurisdizione amministrativa: trattasi, in definitiva, di un rito speciale in unico grado, frutto della libera scelta delle parti del giudizio.

L'opzione legislativa, come già anticipato in via interpretativa dal preavviso di parere all'Ad. Gen. Cons. St. 25 aprile 2010, è la conseguenza indefettibile della ricordata giurisdizionalizzazione del rimedio.

Muovendo infatti dall'assunto che si tratta di una procedura giurisdizionale e che il parere del Consiglio di Stato è una decisione giudiziaria, è evidente che essa costituisce esplicazione semplificata della giurisdizione amministrativa e che non è quindi ammesso il superamento dei confini tracciati dall'art. 103 Cost., che devolve alla giurisdizione amministrativa la cognizione dei soli interessi legittimi e, solo in particolari materie, anche di diritti soggettivi.

In applicazione delle suesposte coordinate ermeneutiche il Consiglio di Stato (Ad.gen., n. 808/2011), ribaltando un precedente e consolidato indirizzo interpretativo (che estendeva l'ambito di operatività dell'istituto anche ai diritti soggettivi nelle materie che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, ferma restando la possibilità per il giudice ordinario di disapplicare l'eventuale decisione del ricorso: Cons. St., Ad. gen., n.9/1998; Cons. St. II, n. 2759/2003; Cons. St. II, n. 206/2003; Cons. St. III, n. 3298/2003; Cons. St. IV, n. 471/2001; Cons. St., Ad.gen., n. 9/1999) ha escluso la praticabilità per l'avvenire del rimedio in materia di pubblico impiego privatizzato, proprio alla luce delle indicazioni normative sul punto fornite dal comma 8 dell'art. 7 c.p.a. In particolare, è stato affermato che, a seguito dell'entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, deve ritenersi che «non sia più proponibile un ricorso straordinario per una controversia rientrante nella giurisdizione dell'A.G.O., e in particolare per una controversia vertente nella materia del pubblico impiego c.d. contrattualizzato». Il Consiglio di Stato ha tuttavia precisato che la nuova norma, di cui al citato art. 7, comma 8, c.p.a., ha un contenuto innovativo e non interpretativo, non essendo formulata (e quindi non avendone le caratteristiche) come norma di interpretazione autentica, con la conseguenza che ad essa non può attribuirsi una valenza retroattiva.

I corollari dell'avvenuta «giurisdizionalizzazione» del ricorso straordinario.

La natura giurisdizionale acquisita dal ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per effetto delle modifiche apportate dalla l. n. 69/2009 e della disciplina di cui all'art. 7 c.p.a. comporta alcune importanti conseguenze, alcune delle quali già affermate in sede giurisprudenziale:

a) viene riconosciuto al Consiglio di Stato, in sede di espressione del parere, la possibilità, oggi espressamente prevista all'art. 13 del d.P.R. n. 1199/1971, di sollevare una questione di legittimità costituzionale da parte del. La novella del 2009 supera così l'orientamento contrario sostenuto dallaCorte Costituzionale, con sentenza n.254/2004, sulla scorta della qualificazione del rimedio come amministrativo e non giurisdizionale.

b) deve riconoscersi, ai fini dell'esecuzione della decisione sul ricorso straordinario, del giudizio di ottemperanza, allorché la Pubblica Amministrazione non dia spontanea e pronta attuazione alla decisione del ricorso straordinario (art. 112, comma 1, lett. d), c.p.a.; Cass. S.U. , n.14858/2017).

c) è proponibile regolamento preventivo di giurisdizione, che può essere utilmente proposto fino al momento della pronuncia del parere del Consiglio di Stato, il quale, formando il contenuto sostanziale della conforme decisione giustiziale del Presidente della Repubblica, ne costituisce l'antecedente necessario e segna il momento preclusivo per far valere il difetto del presupposto della decisione (Cass. S.U., n. 1413/2019);

d) la decisione sul ricorso straordinario al Capo dello Stato assume consistenza di autorità di giudicato (Cass. sez. lavoro, 14 dicembre2015, n. 25161; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 28 ottobre 2020, n. 11018);

e) con riferimento al regime delle spese, si applicano anche al ricorso straordinario al Capo dello Stato le esenzioni dal contributo unificato previste dalla legge (Cons. St. I, n. 3162/2015). Non è invece applicabile al ricorso straordinario al Capo dello Stato l'istituto del patrocino a spese dello Stato per i soggetti non abbienti, atteso che il ricorso straordinario è un rimedio atecnico, che non richiede l'assistenza di un difensore, in quanto erede di un istituto risalente, riconducibile alla cosiddetta giustizia ritenuta amministrata dal sovrano che si poneva al disopra dell'ordinamento costituito (Cons. St. I, n. 3162/2015). Sul punto si segnala altresì la decisione della Corte cost. n.136/2018, in materia di contributo unificato: «È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37, comma 6, lett. s), d.l. n. 98/2011, conv., con modif., nella l. n. 111/2011, che ha sostituito l'art. 13, comma 6-bis, d.P.R. n. 115/2002, censurato per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevedrebbe per la presentazione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica il pagamento di un contributo unificato di importo pari al doppio di quello stabilito per l'ordinario ricorso al T.A.R.-Consiglio di Stato. Infatti, si palesa erroneo l'assunto del rimettente secondo cui il pagamento del contributo unificato per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica sarebbe pari al doppio di quello stabilito per il ricorso al T.A.R.-Consiglio di Stato, poiché, in quest'ultimo caso, ben diverso e articolato è il meccanismo per la sua determinazione, dovendo stabilirsi l'importo, equiparato a quello dovuto per il ricorso straordinario solo nelle ipotesi residuali, in base al rito applicabile e alla materia oggetto del contenzioso. Tale erronea e incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento inficia l'iter logico-argomentativo posto a base della valutazione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, determinandone la manifesta inammissibilità. Detta ricostruzione era tanto più necessaria in considerazione del fatto che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, per il quale è dovuto il contributo unificato introdotto dalla norma impugnata, mantiene peculiari caratteristiche che non impongono comunque l'allineamento della quantificazione di detto contributo a quello previsto per il ricorso al T.A.R. e al Consiglio di Stato, impingendo la menzionata quantificazione in scelte riservate al legislatore, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata»;

f) il ricorso straordinario resta in ogni caso un giudizio squisitamente impugnatorio, «volto ad accordare una tutela riparatoria contro atti amministrativi definitivi, alternativo alla ordinaria azione davanti al giudice amministrativo ed offre una tutela che si esplicita in una decisione costitutiva di annullamento del provvedimento di cui venga accertata la contrarietà all'ordine giuridico, con la conseguenza che il risarcimento degli eventuali danni rimane estraneo all'ambito di cognizione ammesso in sede di ricorso straordinario ai sensi dell'art. 8, primo comma, del d.P.R. n. 1199/1971» (Cons. St. III, n. 3255/2010).

Rapporti tra ricorso straordinario e ricorso gerarchico.

Il Consiglio di Stato ha chiarito che trova applicazione in sede di ricorso straordinario il principio della necessaria corrispondenza delle censure articolate in sede gerarchica e delle successive articolate in sede straordinaria, principio già elaborato in relazione al rapporto tra ricorso gerarchico e ricorso giurisdizionale. Sono, dunque, inammissibili i motivi nuovi di ricorso che non siano stati proposti nella predetta sede contenziosa amministrativa, a meno che il termine a ricorrere contro l'originario provvedimento impugnato non sia ancora decorso, e ciò al fine di evitare che la mancata impugnativa di un atto asseritamente illegittimo attraverso il rimedio giustiziale e la sua successiva impugnativa (per saltum) con il rimedio giurisdizionale, possa costituire la via attraverso la quale eludere l'onere di impugnare tempestivamente l'atto nell'ordinario termine decadenziale. In sede di ricorso straordinario è, dunque, preclusa la possibilità di modificare l'oggetto del contendere già individuato con il gravame gerarchico (Cons. St. I, n. 774/2021).

Le azioni esperibili.

Le azioni di accertamento

Il ricorso straordinario continua a essere esperibile a tutela di posizioni di diritto soggettivo, nelle materie di giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

Con riferimento a siffatte ipotesi, ci si domanda se, a fronte di una tutela che coinvolge posizioni non d'interesse legittimo ma di diritto soggettivo, sia sempre necessaria l'impugnazione di un atto (o del suo equipollente dato dal silenzio-rifiuto) o se, invece, possa essere sufficiente chiedere l'accertamento del proprio diritto.

Per la giurisprudenza tradizionale, confortata dal dato letterale dell'art. 8 del d.P.R. n. 1199/1971, che parla di ricorso «contro gli atti amministrativi definitivi» e non contempla l'esperibilità di azioni non impugnatorie, l'impugnazione di un atto (o del suo surrogato dato dal silenzio-rifiuto) è ritenuta necessaria, diversamente da quanto accade per la tutela dei diritti avanti al Giudice Amministrativo esclusivo: il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, dunque, potrebbe «avere ad oggetto soltanto la domanda costitutiva di annullamento di un provvedimento amministrativo e, dunque, non la domanda di accertamento di un diritto soggettivo o di condanna al pagamento di somme, quand'anche in materia oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo» (Cons. St., sez. II, 12 giugno 2014, n. 2436), con la conseguenza che è inammissibile il ricorso straordinario «proposto per l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di stipulare un contratto col ricorrente» (Cons. St. II, n. 945/2007).

Un diverso filone pretorio, recuperando l'evoluzione in tema di giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, hanno invece affermato che, anche nel caso di ricorso straordinario, qualora si controverta su diritti soggettivi, non è necessario un provvedimento amministrativo o ad esso equipollente, ma è possibile chiedere immediatamente l'accertamento del diritto e l'eventuale condanna dell'Amministrazione. Logico corollario di tale impostazione è il venir meno della necessità di rispettare il termine di decadenza, con la conseguente possibilità di far valere il diritto nell'ordinario termine di prescrizione. La questione si pone naturalmente, alla luce del disposto del già citato art. 7, comma 8,c.p.a. per i soli diritti soggettivi devoluti alla giurisdizione esclusiva del G.A. Così, inter alia, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 16 aprile 2009, n. 623: «Il ricorso straordinario non è necessariamente un rimedio impugnatorio, e può avere ad oggetto anche l'accertamento della sussistenza in capo al ricorrente di un diritto soggettivo, oltre che l'annullamento di un atto, e può vertere, oltre che sull'impugnazione di un provvedimento, anche su un rapporto obbligatorio con una P.A.; in questi casi la sua presentazione non è soggetta al termine decadenziale; conseguentemente la domanda di risarcimento può essere proposta anche in sede di ricorso straordinario, che è preordinato ad assicurare la tutela contenziosa in coerenza alla natura delle posizioni giuridiche soggettive dedotte, tenuto anche conto della sua alternatività e fungibilità rispetto al ricorso giurisdizionale».

Ricorso straordinario e tutela risarcitoria

Strettamente connesso al precedente è il tema della proponibilità di una domanda di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo.

La struttura impugnatoria del rimedio giustiziale è stata tradizionalmente considerata un ostacolo alla possibilità che, in sede straordinaria, venga esperita un'azione finalizzata al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi. Secondo questa impostazione, deve esservi autonomia tra azione di annullamento (esperibile in sede straordinaria) ed azione risarcitoria per il danno cagionato al medesimo provvedimento, esperibile anche in un momento successivo avanti al G.A.

Superando tale consolidato orientamento giurisprudenziale parte della giurisprudenza consultiva del Consiglio di Stato ha tuttavia riconosciuto la possibilità di proporre domanda risarcitoria in sede di ricorso straordinario. Valorizzando i caratteri di alternatività e fungibilità del ricorso straordinario rispetto al ricorso giurisdizionale, si è infatti evidenziato che, accogliendo la tesi tradizionale, si finirebbe col reintrodurre, per i soli casi di ricorso straordinario, il c.d. doppio binario (prima l'annullamento in sede straordinaria e poi il risarcimento in sede giurisdizionale) che il Legislatore ha voluto espungere dal nostro ordinamento per finalità di economicità, concentrazione, speditezza e non contraddittorietà di provvedimenti decisori (Cons. St. II, n. 1036/2003).

La tesi dell'ammissibilità della tutela risarcitoria in sede di ricorso straordinario risulta inoltre avallata dalla giurisdizionalizzazione del rimedio sancita dalla l. n. 69/2009 e dalla ormai pacifica collocazione nel sistema della giurisdizione amministrativa cristallizzata dall'art. 7, comma 8, c.p.a.

Tale mutazione morfologica depone, senz'altro, nel senso dell'equiparazione piena del rimedio straordinario a quello giurisdizionale sul piano della tecnica e dell'intensità della tutela, con particolare riguardo all'ammissibilità, anche in sede di rimedio giustiziale straordinario, di azioni di accertamento e condanna tese non solo a verificare la legittimità dell'atto ma, altresì, a valutare la fondatezza della pretesa sostanziale.

Permane però un indirizzo contrario (Cons. St. II, parere n. 1517/2018; Cons. St. III, n. 3255/2010), motivato sul rilievo secondo cui le esigenze di economicità, speditezza e concentrazione della tutela non consentono di superare le pregiudiziali sistematiche dell'inquadramento del ricorso straordinario come giurisdizionale a tutti gli effetti allo scopo di ammettere anche l'azione risarcitoria di natura accessoria nell'ambito dello stesso.

Ricorso straordinario e azione di esatto adempimento

Il Consiglio di Stato ha di recente continuato il cammino verso il potenziamento del rimedio in esame, affermando che «in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la Sezione consultiva del Consiglio di Stato può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta dal ricorrente con l'azione di adempimento – nel rispetto del principio della domanda e ricorrendone i presupposti di cui all'art. 31, comma 3, c.p.a. – sia in ragione dell'alternatività del rimedio giustiziale rispetto a quello giurisdizionale – di cui non può costituire un minus laddove identico ne sia il petitum – sia in ragione del principio di effettività della tutela che impone di interpretare le norme nel senso della massima garanzia possibile nei confronti delle istanze di giustizia delle parti. L'ampliamento del petitum del ricorso straordinario all'azione di condanna, esperibile nei limitati casi di attività vincolata ovvero per la quale non residui alcun margine di discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori, non implica necessariamente un ulteriore spostamento del baricentro dell'inquadramento del rimedio verso la sua catalogazione giurisdizionale piuttosto che amministrativa; né ne altera la natura demolitoria» (Cons. St. II, n. 1517/2018).

Ricorso straordinario e riti speciali c.d. “assoluti”

L'inammissibilità del ricorso straordinario è stata affermata anche in tutti quei casi in cui il Giudice Amministrativo (o anche quello Ordinario) sia destinatario, in determinate materie, di norme processuali speciali volte a una più rapida definizione del contenzioso, da dare vita a competenze funzionali, ossia non suscettibili di alternative che ne frustrerebbero (specie se si considera il più lungo termine per la proposizione del ricorso straordinario) la ratio di accelerazione e, comunque, di concentrazione. In questi casi la giurisdizione del G.A. o del G.O. si reputa assoluta e, quindi, insofferente ad alternative. Si parla anche di «competenze speciali o riservate». In base a tale principio il Consiglio di Stato (Cons. St. II, n. 4013/2011) ha escluso l'ammissibilità del ricorso straordinario al Capo dello Stato in caso di atti in materia di operazioni elettorali; così come per l'ingiunzione di pagamento emessa ai sensi dell'art. 2 del r.d. n. 639/1910 e, ancora, per le sanzioni amministrative exlege n. 689/1981 (ora di pertinenza del giudice di pace) e per l'impugnazione di un provvedimento di cancellazione dall'albo delle imprese artigiane.

Il ricorso a tale rimedio è stato anche escluso per gli atti relativi al procedimento per l'accesso ai documenti amministrativi previsto dall'art. 25 della l. n. 241/1990, proprio perché la disciplina particolare prevista dalla legge è caratterizzata da criteri di urgenza e celerità che mal si conciliano con il lungo termine previsto per la proposizione del ricorso straordinario; oltretutto, il potere di ordinare all'Amministrazione un «facere consistente nell'esibizione degli atti», momento culminante del giudizio sull'accesso ai sensi dell'art. 25 della l. n. 241, non può ritenersi ammesso in sede di ricorso straordinario, che consente solo l'eliminazione di atti e non l'imposizione di comportamenti specifici nei confronti della P.A.

A fronte di tale orientamento giurisprudenziale, dubbi significativi in ordine alla possibilità di esperire il ricorso straordinario erano stati sollevati per la procedura di risoluzione accelerata delle controversie prevista dall'art. 119c.p.a. La possibilità di utilizzare il rimedio del ricorso straordinario nelle materie indicate dall'art. 119 c.p.a. è stata tuttavia ammessa dalla giurisprudenza sulla base dell'assenza di un esplicito divieto o di una chiara incompatibilità (T.A.R. Puglia, Lecce I, 10 aprile2018, n. 625;T.A.R. Lombardia, Milano III, 20 febbraio2017, n. 428).

Il problema ha trovato, invece, una soluzione normativa espressa in forza degli artt. 120, comma 1, e art. 128 c.p.a., che hanno espressamente escluso l'applicabilità del rimedio in esame a tutte le controversie concernenti rispettivamente i procedimenti relativi ai contratti pubblici e alle operazioni elettorali (v. Cons. St. II, parere n. 1517/2018).

Domanda di violazione del giudicato contenuta in un ricorso straordinario

Per pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato (pareri n. 1330/2020; n. 2057/2019; n. 457/2019), l'azione di esecuzione del giudicato, ai sensi dell'art. 113,comma 1,c.p.a., può essere proposta in via esclusiva, in ragione della sua espressa competenza funzionale ed inderogabile, innanzi al Giudice che ha pronunciato la sentenza la cognizione «di tutte le questioni relative all'ottemperanza» (come chiarito dal comma 6 dell'art. 114 stesso codice).

È, dunque, inammissibile una domanda intesa a conseguire la corretta esecuzione di una sentenza del Giudice amministrativo in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, la cui natura strettamente impugnatoria non si coniuga, peraltro, con il tipo di cognizione (estesa anche al merito) propria dell'ottemperanza.

L'esperibilità del giudizio di ottemperanza ai fini dell'esecuzione della decisione sul ricorso straordinario.

Si è detto che l'evoluzione del sistema normativo di cui sono indici significativi, da un lato, l'art. 69 l. n. 69/2009, laddove prevede l'incidente di costituzionalità da parte del Consiglio di Stato chiamato ad esprimere il parere sul ricorso straordinario ed abolisce la facoltà del Ministro di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, e, dall'altro lato, l'art. 112 c.p.a., che, alla lettera b, prevede l'azione di ottemperanza per le sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del g.a. conduce a configurare la decisione resa su ricorso straordinario come provvedimento che, pur non essendo formalmente giurisdizionale, è tuttavia suscettibile di tutela mediante il giudizio di ottemperanza (Cass. S.U. , n.14858/2017).

Quanto sin qui riportato, ha trovato un'utile eco in una celebre pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U., n. 2065/2011).

Le Sezioni Unite hanno, in particolare, sottolineato che la necessità di estendere il giudizio di ottemperanza anche a provvedimenti che non siano sentenze, o comunque provvedimenti non formalmente giurisdizionali, deriva dai mutamenti di natura legislativa che si sono registrati negli ultimi anni, e in particolare dal disposto dell'art. 69 della legge n. 69 del 18 giugno 2009, dalla disciplina del giudizio di ottemperanza prevista dal Codice del processo amministrativo, d.lgs. n. 104/2010 e infine dal testo del previgente art. 245, comma 2, del d.lgs. n. 163/2006.

In definitiva, quindi, le Sezioni Unite hanno operato una significativa inversione di rotta rispetto ai propri arresti precedenti (Cass. S.U. , n.15978/2001: «Al fine di far valere il titolo alla puntuale esecuzione della decisione sul ricorso straordinario non è utilizzabile lo strumento del ricorso per l'ottemperanza che è limitato all'esecuzione del giudicato; nondimeno, in base al principio di effettività che deve assistere le decisioni emesse in esito a procedimenti contenziosi volti alla tutela di situazioni soggettive del privato, la pretesa al pieno e corretto adempimento all'atto decisorio non resta sfornita di tutela, quest'ultima si rinviene nella possibilità di rendere significativo con rituale diffida il comportamento omissivo dell'amministrazione per poi avvalersi dello strumento apprestato dall'art. 21-bis della l. n. 241/1990 ai fini della declaratoria di illegittimità del silenzio rifiuto con comminatoria dell'ordine di esecuzione». V. anche Cons. St. VI, n. 1440/2008;T.A.R. Lazio, Roma III, 30 luglio2007, n. 7180;T.A.R. Sicilia, Catania IV, 16 aprile2007, n. 623; Cons. St. V, n. 5036/2006), resa doverosa dai connotati, tutti nuovi, che la l. n. 69/2009 e il Codice del processo amministrativo hanno attribuito al ricorso straordinario (soluzione positiva ha trovato di recente conferma, nella decisione Cons. St. IV, n. 1584/2018). La decisione della Cassazione, infatti, travalica i confini della peculiare fattispecie di ricorso straordinario innanzi al Presidente della Regione, portata al vaglio della Corte, per assumere consistenza di principio generale applicabile a tutte le ipotesi di ricorso straordinario, in ragione della acquisita natura giurisdizionale del rimedio, suscettibile pertanto di diretta esecuzione mediante il giudizio di ottemperanza (Cass. S.U., n. 8039/2018; Cons. St. V, n. 2554/2020; Cons. St. V, n. 7281/2018).

Va peraltro segnalato che aperture in tal senso si erano registrate già prima della novella del 2009: v. C.G.A. Sicilia, 23 settembre 2009, n. 880: «Deve ritenersi ammissibile il ricorso in ottemperanza ai sensi dell'art. 27, n. 4 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054 e dell'art. 37 l. n. 1034/1971, relativamente ad una decisione su ricorso straordinario». Secondo tale ricostruzione, invero, «Il Cons. St. ha natura di organo giurisdizionale ai sensi dell'art. 177, ora art. 234, del Trattato anche quando esprime il proprio parere sul ricorso straordinario al Capo dello Stato (Corte di Giustizia, 16 ottobre 1997, C69-96-79-96) e poiché in base al principio di effettività che deve assistere le decisioni emesse in esito a procedimenti contenziosi volti alla tutela di situazioni soggettive del privato, la pretesa al pieno e corretto adempimento all'atto decisorio non può restare sfornita di tutela nella fase esecutiva, deve ritenersi che, pur trattandosi di un istituto di natura atipica, però con spiccate caratteristiche giurisdizionali, consenta agli interessati di attivare il ricorso per ottemperanza» (C.G.A. Sicilia, 9 dicembre 2008, n. 971;Cons. St. III, n. 3/2009).

Da ultimo, sul tema si segnala la recente decisione Cons. St., sez. IV, 23 novembre 2022, n. 10342, che ha rimesso all'Adunanza plenaria la questione se, dopo che la Corte di cassazione abbia dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione un ricorso per ottemperanza di un decreto decisorio di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la parte interessata possa radicare un nuovo giudizio di ottemperanza, adducendo a fondamento dell'ammissibilità dell'ulteriore azione tanto la sopravvenuta e incisiva modificazione legislativa - sempre da intendersi in termini compatibili con i principi rinvenienti dal secondo comma dell' art. 102 Cost. e dalla relativa VI Disposizione transitoria - dei caratteri del ricorso straordinario, quanto il consolidato orientamento pretorio che ammette l'ottemperanza di decreti decisori di ricorsi straordinari anche ove emessi prima della novella del 2009.

Le garanzie procedurali nel ricorso straordinario.

Ricostruiti l'ambito operativo, oggettivo e soggettivo, del ricorso straordinario e i limiti interni ed esterni alla esperibilità del rimedio in questione, occorre in questa sede soffermarsi sul relativo procedimento e sulle garanzie offerte alle parti, rinviando ai successivi paragrafi l'esame dei rapporti tra il ricorso straordinario e il ricorso ordinario al Giudice Amministrativo e i rimedi esperibili avverso la decisione assunta con decreto del Presidente della Repubblica.

A seguito dell'istruttoria curata dal Ministero competente e del parere del Consiglio di Stato il ricorso straordinario viene deciso con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero competente. Non è necessario il preavviso di rigetto, stante l'inapplicabilità ai rimedi giustiziali dell'istituto di cui all'art. 10-bis della l. n. 241/1990, relativo ai procedimenti di amministrazione attiva ad istanza di parte.

Nell'originaria impalcatura del d.P.R. n. 1199/1971, il Ministero, in caso di dissenso rispetto al parere del Consiglio di Stato (il parere era, infatti, solo parzialmente vincolante), investiva della questione il Consiglio dei Ministri, chiamato a decidere con l'assunzione di una responsabilità di natura squisitamente politica (art. 14 del d.P.R. n. 1199/1971). Tuttavia l'art. 69 della l. n. 69/2009 ha inciso sulla disciplina eliminando la possibilità del dissenso rispetto al parere, a questo punto vincolante, del Consiglio di Stato.

In tema di garanzie procedurali, particolare importanza riveste l'orientamento (cfr. T. A. R. Lazio, Roma I, 17 luglio 2017, n. 9122) che, superando consolidati principi giurisprudenziali, ha riconosciuto l'obbligo dell'Amministrazione di consentire agli interessati, a fronte di una loro espressa richiesta, la visione di tutti gli atti del procedimento, compresa la relazione trasmessa al Consiglio di Stato e i suoi allegati, nonché le memorie e i documenti prodotti dalle parti ove non segreti e comunque non sottratti all'accesso.

A sostegno di tale tesi si è infatti sottolineato che il progressivo ampliamento della portata applicativa del principio del contraddittorio ai sensi dell'art. 24 Cost. a tutti i procedimenti amministrativi non poteva non coinvolgere anche il ricorso straordinario, che tende sempre più ad assumere caratteri non dissimili da quelli giurisdizionali.

L'inosservanza dell'obbligo di comunicazione degli atti da parte dell'Amministrazione, a fronte di una rituale richiesta di accesso agli atti del procedimento, determina un vizio del procedimento denunciabile in sede giurisdizionale. Se, pertanto, la richiesta di accesso non è stata ancora soddisfatta dall'Amministrazione, il Consiglio di Stato deve sospendere ogni pronuncia in proposito, in attesa della prova relativa all'intervenuta comunicazione dei documenti ed al decorso del termine assegnato per le eventuali controdeduzioni.

È ormai pacificamente ammessa la tutela cautelare (art. 3 della l. 295/2000, secondo cui la sospensione dell'atto impugnato è disposta con atto motivato del Ministero competente su conforme parere del Consiglio di Stato).

Quanto al problema se il Consiglio di Stato possa riesaminare il parere reso ovvero se possa essere proposta revocazione avverso il parere, si è data risposta negativa sulla base dell'assunto, quanto al primo punto, che gli atti consultivi non soggiacciono all'autotutela in quanto gli organi che li emettono consumano la loro funzione con l'emissione (v. Cons. St.I, n. 3641/2014); quanto al secondo punto, che il rimedio della revocazione è possibile per l'atto finale del Presidente della Repubblica che recepisce o no il parere, non certo per l'atto endoprocedimentale, privo di autonoma efficacia lesiva.

La tesi della irrevocabilità è oggi irrobustita dall'avvento, ex art. 69 della l. n. 69/2009, di una natura giurisdizionale del parere che rende applicabile il principio della consumazione del potere decisorio proprio delle sentenze.

Il ricorso straordinario al Presidente della Regione Sicilia.

In Sicilia, ai sensi dell'art. 23 comma 4, dello Statuto della Regione approvato con r.d.l. n. 455/1946, convertito in l. cost. n. 2/1948 i ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, sono decisi dal presidente della regione, sentito il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana; quindi le competenze che ild.P.R. n.1199/1971 attribuisce, nell'istruttoria del ricorso, al Ministero, sono da intendersi attribuite al competente Assessorato, il quale, ove intenda proporre una decisione difforme dal parere del Consiglio di giustizia amministrativa, deve sottoporre l'affare alla Giunta regionale. Oggetto di ricorso al Presidente della Regione possono essere solo gli «atti amministrativi regionali», da intendere come gli atti emanati dagli organi regionali o da organi dipendenti, controllati o vigilati dalla Regione, quindi ivi compresi gli enti locali, mentre gli altri atti, che non rientrino fra quelli «regionali», potranno sempre essere oggetto di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (T.A.R. Sicilia, Catania IV, 16 aprile2007, n. 623.

L'evoluzione normativa in materia di giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario (v. supra, par. 2), va estesa anche alla decisione resa dal Presidente della Regione siciliana, in quanto l'analogia del procedimento che lo regola sottende un'identità di natura e di funzione con il ricorso straordinario al Capo dello Stato. Ne consegue che è ammissibile il giudizio di ottemperanza anche con riguardo al decreto del Presidente della regione siciliana che abbia accolto il ricorso straordinario (Cass. S.U., n. 2065/2011).

Questioni applicative

1) È possibile la proposizione di un ricorso straordinario in materie estranee alla giurisdizione del giudice amministrativo?

Come rilevato in precedenza, la giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario ne implica l'attrazione nel sistema della giurisdizione amministrativa: il ricorso straordinario è quindi ammissibile solo per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa

Il carattere giurisdizionale del rimedio in esame trova conferma nel disposto dell'art. 7, comma 8, del Codice del processoamministrativo che esclude la proponibilità del ricorso straordinario in materie non devolute al giudice amministrativo.

Il ricorso straordinario diventa, quindi, un rimedio giurisdizionale speciale all'interno del sistema della giurisdizione amministrativa: trattasi, in definitiva, di un rito speciale in unico grado, frutto della libera scelta delle parti del giudizio.

L'opzione legislativa, come già anticipato in via interpretativa dal preavviso di parere all'Ad. Gen. del Cons. St. del 25 aprile 2010, è la conseguenza indefettibile della ricordata giurisdizionalizzazione del rimedio.

Muovendo infatti dall'assunto che si tratta di una procedura giurisdizionale e che il parere del Consiglio di Stato è una decisione giudiziaria, è evidente che essa costituisce esplicazione semplificata della giurisdizione amministrativa e che non è quindi ammesso il superamento dei confini tracciati dall'art. 103 Cost., che devolve alla giurisdizione amministrativa la cognizione dei soli interessi legittimi e, solo in particolari materie, anche di diritti soggettivi.

In applicazione delle suesposte coordinate ermeneutiche il Consiglio di Stato (Ad. gen., n. 808/2011), ribaltando un precedente e consolidato indirizzo interpretativo, ha escluso la praticabilità per l'avvenire del rimedio in materia di pubblico impiego privatizzato, proprio alla luce delle indicazioni normative sul punto fornite dal comma 8 dell'art. 7 c.p.a.

In particolare, è stato affermato che, a seguito dell'entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, deve ritenersi che «non sia più proponibile un ricorso straordinario per una controversia rientrante nella giurisdizione dell'A.G.O., e in particolare per una controversia vertente nella materia del pubblico impiego c.d. contrattualizzato». Il Consiglio di Stato ha tuttavia precisato che la nuova norma, di cui al citato art. 7, comma 8, c.p.a., ha un contenuto innovativo e non interpretativo, non essendo formulata (e quindi non avendone le caratteristiche) come norma di interpretazione autentica, con la conseguenza che ad essa non può attribuirsi una valenza retroattiva.

2) È ammissibile la tutela risarcitoria?

È assai discusso il tema della proponibilità di una domanda di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo.

La struttura impugnatoria del rimedio giustiziale è stata tradizionalmente considerata un ostacolo alla possibilità che, in sede straordinaria, venga esperita un'azione finalizzata al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi. Secondo questa impostazione, deve esservi autonomia tra azione di annullamento (esperibile in sede straordinaria) ed azione risarcitoria per il danno cagionato al medesimo provvedimento, esperibile anche in un momento successivo avanti al G.A.

Superando tale consolidato orientamento giurisprudenziale parte della giurisprudenza consultiva del Consiglio di Stato ha tuttavia riconosciuto la possibilità di proporre domanda risarcitoria in sede di ricorso straordinario. Valorizzando i caratteri di alternatività e fungibilità del ricorso straordinario rispetto al ricorso giurisdizionale, si è infatti evidenziato che, accogliendo la tesi tradizionale, si finirebbe col reintrodurre, per i soli casi di ricorso straordinario, il c.d. doppio binario (prima l'annullamento in sede straordinaria e poi il risarcimento in sede giurisdizionale) che il Legislatore ha voluto espungere dal nostro ordinamento per finalità di economicità, concentrazione, speditezza e non contraddittorietà di provvedimenti decisori.

La tesi dell'ammissibilità della tutela risarcitoria in sede di ricorso straordinario risulta inoltre avallata dalla giurisdizionalizzazione del rimedio sancita dalla l. n. 69/2009 e dalla ormai pacifica collocazione nel sistema della giurisdizione amministrativa cristallizzata dall'art. 7, comma 8, c.p.a.

Tale mutazione morfologica depone, senz'altro, nel senso dell'equiparazione piena del rimedio straordinario a quello giurisdizionale sul piano della tecnica e dell'intensità della tutela, con particolare riguardo all'ammissibilità, anche in sede di rimedio giustiziale straordinario, di azioni di accertamento e condanna tese non solo a verificare la legittimità dell'atto ma, altresì, a valutare la fondatezza della

Permane però un indirizzo contrario (vedi Cons. St. II, parere n. 1517/2018, di cui si dirà al par. seg.), motivato sul rilievo secondo cui le esigenze di economicità, speditezza e concentrazione della tutela non consentono di superare le pregiudiziali sistematiche dell'inquadramento del ricorso straordinario come giurisdizionale a tutti gli effetti allo scopo di ammettere anche l'azione risarcitoria di natura accessoria nell'ambito dello stesso.

3) Il ricorso straordinario è compatibile con i cd. riti speciali c.d. «assoluti»?

L'inammissibilità del ricorso straordinario è stata affermata anche in tutti quei casi in cui il Giudice Amministrativo (o anche quello Ordinario) sia destinatario, in determinate materie, di norme processuali speciali volte a una più rapida definizione del contenzioso, da dare vita a competenze funzionali, ossia non suscettibili di alternative che ne frustrerebbero (specie se si considera il più lungo termine per la proposizione del ricorso straordinario) la ratio di accelerazione e, comunque, di concentrazione. In questi casi la giurisdizione del G.A. o del G.O. si reputa assoluta e, quindi, insofferente ad alternative. Si parla anche di «competenze speciali o riservate». In base a tale principio il Consiglio di Stato (Cons. St. II, n. 4013/2011) ha escluso l'ammissibilità del ricorso straordinario al Capo dello Stato in caso di atti in materia di operazioni elettorali; così come per l'ingiunzione di pagamento emessa ai sensi dell'art. 2 del r.d. n. 639/1910 e, ancora, per le sanzioni amministrative exlege n. 689/1981 (ora di pertinenza del giudice di pace) e per l'impugnazione di un provvedimento di cancellazione dall'albo delle imprese artigiane.

Il ricorso a tale rimedio è stato anche escluso per gli atti relativi al procedimento per l'accesso ai documenti amministrativi previsto dall'art. 25 della l. n. 241/1990, proprio perché la disciplina particolare prevista dalla legge è caratterizzata da criteri di urgenza e celerità che mal si conciliano con il lungo termine previsto per la proposizione del ricorso straordinario; oltretutto, il potere di ordinare all'Amministrazione un «facere consistente nell'esibizione degli atti», momento culminante del giudizio sull'accesso ai sensi dell'art. 25 della l. n. 241, non può ritenersi ammesso in sede di ricorso straordinario, che consente solo l'eliminazione di atti e non l'imposizione di comportamenti specifici nei confronti della P.A.

A fronte di tale orientamento giurisprudenziale, dubbi significativi in ordine alla possibilità di esperire il ricorso straordinario erano stati sollevati per la procedura di risoluzione accelerata delle controversie prevista dall'art. 119c.p.a. La possibilità di utilizzare il rimedio del ricorso straordinario nelle materie indicate dall'art. 119 c.p.a. è stata tuttavia ammessa dalla giurisprudenza sulla base dell'assenza di un esplicito divieto o di una chiara incompatibilità.

Il problema ha trovato, invece, una soluzione normativa espressa in forza degli artt. 120, comma 1, e art. 128 c.p.a., che hanno espressamente escluso l'applicabilità del rimedio in esame a tutte le controversie concernenti rispettivamente i procedimenti relativi ai contratti pubblici e alle operazioni elettorali (v. Cons. St. II, parere n. 1517/2018).

4) È ammissibile la proposizione di una domanda di violazione del giudicato in sede di ricorso straordinario?

Per pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. pareri n. 1330/2020; n. 2057/2019; n. 457/2019), ai sensi dell'art. 113, comma 1, c.p.a., detto potere spetta in via esclusiva, in ragione della sua espressa competenza funzionale ed inderogabile, al Giudice che ha pronunciato la sentenza la cognizione «di tutte le questioni relative all'ottemperanza» (come chiarito dal comma 6 dell'art. 114 c.p.a.).

È, dunque, inammissibile una domanda intesa a conseguire la corretta esecuzione di una sentenza del Giudice amministrativo in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, la cui natura strettamente impugnatoria non si coniuga, peraltro, con il tipo di cognizione (estesa anche al merito) propria dell'ottemperanza.

5) Quali sono le conseguenze dell'irrituale proposizione di un ricorso al Presidente della Repubblica avverso provvedimenti di comuni siciliani?

Secondo Cons. St. I, n. 203/2021, è inammissibile il ricorso straordinario proposto avverso provvedimenti di Comuni della Regione siciliana e rivolto al Presidente della Repubblica e non al Presidente della Regione Siciliana; peraltro nell'eventualità che il ricorso sia riproposto tempestivamente davanti al Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana, debbano essere tuttavia fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda di annullamento, alle condizioni di cui all'art. 11 c.p.a. e secondo il meccanismo della translatio iudicii, di cui è espressione legislativa l'art. 59, comma 1, l. n. 69/2009.

Hanno ricordato i magistrati di Palazzo Spada che, ai sensi dell'art. 23, comma 4, dello Statuto della Regione Siciliana, gli atti amministrativi emanati dagli organi regionali «o da organi dipendenti, controllati o vigilati dalla Regione, ivi compresi, quindi, quelli degli Enti locali, possono essere impugnati con ricorso straordinario diretto al Presidente della Regione che li decide (con istruttoria compiuta dal competente assessorato), sentito il Consiglio di Giustizia amministrativa – e non possono, pertanto, formare oggetto di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica» (cfr. da ultimo Cons. St. I, n. 538/2020; n. 4671/2010; IV, n. 1646/2007; I, n. 538/1979).

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS) pronuncia ordinariamente un cospicuo numero di pareri relativi a ricorsi straordinari avverso provvedimenti di Comuni della Regione Siciliana.

In un parere non recente (n. 104/1984), il CGARS a sezioni riunite ha evidenziato che «la categoria degli atti amministrativi regionali di cui all'art. 23, u.c., Stat. Sic., non comprende soltanto atti dell'amministrazione diretta della Regione (atti soggettivamente regionali), ma anche quelli di tutti gli altri enti della Sicilia - tra cui i Comuni - incardinati nell'organizzazione amministrativa indiretta della medesima e persino quelli delle autorità statali, sedenti nell'Isola, emanati in materia di competenza regionale». I Comuni siciliani sarebbero compresi tra gli enti per i quali vale la competenza e un potere di supremazia da parte della Regione cui corrisponderebbe una posizione di soggezione da parte dei medesimi Comuni.

La Sezione ha quindi analizzato i presupposti che hanno indotto la giurisprudenza a dichiarare inammissibili i ricorsi straordinari avverso provvedimenti di Comuni siciliani, presentati al Consiglio di Stato.

In particolare ha effettuato due tipi di riscontro.

Il primo consiste nella riconducibilità dei Comuni della Regione Siciliana alla categoria degli «organi dipendenti, controllati o vigilati dalla Regione» alla stregua di quanto finora elaborato dalla citata giurisprudenza.

Il secondo riscontro, subordinato all'esito negativo del primo, è costituito dalla verifica circa la sussistenza di un altro titolo, in grado di configurare i provvedimenti dei comuni della Regione Siciliana alla stregua di «atti regionali», secondo quanto previsto dall'art. 23, comma 4, dello Statuto della Regione Siciliana.

È di tutta evidenza che, nell'ipotesi in cui entrambi i riscontri dovessero offrire un esito negativo, si dovrebbe trarre la conclusione che i provvedimenti comunali in questione non possano essere assimilati agli atti regionali e che sia competente il Consiglio di Stato – e non il CGARS – sui relativi ricorsi straordinari, con l'ulteriore conseguenza che l'odierno ricorso risulterebbe ammissibile.

La Sezione ha ritenuto di dare risposta negativa al primo riscontro e risposta positiva al secondo, per cui il ricorso odierno è inammissibile.

Venendo al primo profilo, infatti, non può essere eluso un aspetto che ha segnato in maniera inequivocabile nel nostro ordinamento la configurazione degli enti locali (a partire da Comuni e Province) a far tempo dal 2001.

Con la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione (l.cost. n.3/2001) è stata complessivamente potenziata l'autonomia organizzativa, funzionale e finanziaria degli enti territoriali e, al loro interno e per quanto qui rileva, dei Comuni.

In particolare, il «nuovo»art. 114 Cost., oltre a elencare tutti gli enti territoriali che, a partire dai Comuni, compongono la Repubblica (primo comma), riconosce sia agli enti locali (Comuni, Province, Città metropolitane) sia alle Regioni la natura di enti autonomi, ponendoli su un piano di pari dignità istituzionale, pur nella distinzione dei rispettivi poteri e prerogative.

In tal modo, quindi, l'art. 114 Cost. – come è stato notato anche da numerosi commentatori – riconoscendo agli enti locali pari dignità istituzionale rispetto agli «enti maggiori», avrebbe sancito un pluralismo istituzionale paritario, sì da non consentire più rapporti di gerarchia o anche solo di preminenza tra i diversi enti che compongono la Repubblica.

Sarebbe così venuta meno la struttura verticale delle autonomie territoriali, propria della Costituzione del 1948, in favore di un sistema istituzionale costituito da una pluralità di enti, tra loro integrati ma autonomi, sia pure connotati da diverse tipologie e gradazioni di poteri e funzioni.

Né si può omettere di annotare che, con la riforma del Titolo V, sono stati abrogati gli artt. 125 (controlli amministrativi statali sulle Regioni) e 130 (controlli delle Regioni sugli enti locali) Cost. Per quanto l'art. 114 Cost. costituisca una enunciazione di principio destinata a trovare immediata declinazione nelle successive disposizioni costituzionali e nelle relative interpretazioni e applicazioni, la novella costituzionale presenta un rilievo e ricadute che l'interprete non può trascurare.

Sebbene sia da dubitare della totale e diretta applicabilità del nuovo Titolo V alle Regioni a statuto speciale, se non altro in virtù dell'art. 10 della l. cost. n. 3/2001, in base a cui, sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite, tuttavia non può lasciare indifferenti l'introduzione di un canone costituzionale di tale rilievo, anche solo nella qualificazione dei rapporti tra Regioni a statuto speciale e Comuni insistenti sul relativo territorio, ai fini del riparto di competenze sui ricorsi straordinari.

Non è dato riscontrare nella giurisprudenza costituzionale l'enucleazione di un netto principio per ricomprendere anche gli enti locali (quali comuni e province) nella ponderazione della più ampia autonomia e dunque per concludere circa la diretta applicabilità della riforma costituzionale (ad es. l'art. 114 Cost.) alle Regioni a statuto speciale.

Occorre dunque valutare se possa essere pretermessa, in sede interpretativa, qualsiasi lettura adeguatrice, se non altro al fine di determinare la giurisdizione (alias competenza) per il ricorso straordinario.

Come si è visto, la competenza del Consiglio di Stato a decidere sui ricorsi straordinari per l'annullamento di provvedimenti di Comuni della Regione Siciliana è stata esclusa, con l'inclusione dei provvedimenti dei Comuni medesimi tra quelli degli organi dipendenti, controllati o vigilati dalla Regione, sì da poterli considerare facenti parte degli atti regionali di cui all'art. 23, comma 4, dello Statuto.

Una interpretazione del genere, ad avviso della Sezione, va adeguata alle disposizioni costituzionali citate, a partire dall'art. 114 Cost., e ai principi enucleabili dalla riforma costituzionale.

Quale che sia l'estensione dell'art. 10 della l. cost. n. 3/2001 alla Regione Siciliana è da escludere che gli atti degli enti locali (i comuni, nel caso di specie) siano da ricomprendere ancora tra gli atti della Regione in quanto organi dipendenti, controllati o vigilati dalla Regione.

Il primo riscontro produce pertanto un esito negativo.

A un esito diverso approda invece il secondo riscontro.

Con riferimento al testo dello Statuto siciliano, viene in rilievo l'attribuzione all'Assemblea regionale della legislazione esclusiva nella materia «regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative» (art. 14, comma 1). Inoltre, l'ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria ed è nel quadro di tali principi generali che spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali (art. 15, commi 2 e 3).

Occorre allora considerare se i provvedimenti comunali siano da ricomprendere tra gli atti regionali in quanto riferiti al territorio regionale («atti nella Regione» e non «atti della Regione») e in presenza di una competenza legislativa regionale di carattere generale sull'ordinamento degli enti locali.

La competenza legislativa non importerebbe un automatico effetto di supremazia e direzione ma si risolverebbe in un'attrazione dei provvedimenti comunali nell'alveo regionale proprio ex art. 23, comma 4, dello Statuto.

Una soluzione del genere risulta coerente tanto con lo Statuto quanto con il quadro costituzionale sopra delineato né contrasta con la prospettata e tradizionale ricostruzione degli atti regionali da intendersi congiuntamente in senso soggettivo e in senso oggettivo.

Il titolo che conduce a un esito positivo del secondo riscontro, salvaguardando i profili di rilievo costituzionale già richiamati, e a confermare l'inammissibilità dei ricorsi straordinari presentati al Consiglio di Stato avverso provvedimenti di Comuni siciliani, è quindi da indentificare nella compresenza dei seguenti elementi: l'adozione dei provvedimenti da parte di enti (i Comuni) insistenti sul territorio comunale; la competenza legislativa regionale di carattere generale sull'ordinamento degli enti locali.

Nel giungere a tale conclusione, la Sezione non ha ignorato le conseguenze che ne derivano o, per meglio dire, continuano a derivarne, connesse alla natura giustiziale, ma sempre più assimilabile alla giurisdizione, del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

Tale tratto – che già aveva trovato riconoscimento da parte della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che, in occasione della decisione sulle cause riunite C-69/96 e 79/96, aveva legittimato il Consiglio di Stato a sollevare una questione pregiudiziale di interpretazione davanti al giudice comunitario – risulta potenziato a seguito della l. n. 69/2009, con la quale è stata introdotta la possibilità, per il Consiglio di Stato in sede consultiva, di rinviare alla Corte costituzionale questioni di legittimità costituzionale ed è stata, al contempo, abrogata la potestà del Governo di deliberare in senso difforme rispetto al parere espresso dal Consiglio di Stato.

Il parere del Consiglio di Stato ha dunque assunto i connotati di una vera e propria «decisione» vincolante.

Ebbene, come ha ricordato questa Sezione con il parere n. 2848/2019, la sentenza della Corte costituzionale 9 febbraio 2018, n. 24, ha affrontato trasversalmente la questione dell'applicabilità delle regole convenzionali in tema di equo processo, sottolineando che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è, come noto, rimedio alternativo al ricorso giurisdizionale al giudice amministrativo e che dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo si traggono conclusioni negative sulla riferibilità alla decisione del ricorso straordinario delle garanzie convenzionali in tema di equo processo, come confermato dalle pronunce nelle quali la stessa Corte si è direttamente occupata di questo particolare rimedio, in tre occasioni, e in due delle quali proprio con specifico riferimento alla previsione dell'art. 6 della CEDU.

In particolare, nella decisione 28 settembre 1999, Nardella contro Italia, la Corte EDU aveva ricostruito la disciplina dell'istituto del ricorso straordinario come rimedio speciale ed escluso che esso – con riferimento al ritardo nella cui decisione il ricorrente si doleva nel caso di specie – ricadesse nell'ambito di applicazione della Convenzione.

In tale pronuncia era stato sottolineato come, optando per il gravame speciale del ricorso straordinario, il ricorrente (che pure era stato informato della possibilità di proporre il ricorso giurisdizionale) aveva scelto esso stesso di esperire un rimedio che si pone fuori dall'ambito di applicazione dell'art. 6 della Convenzione.

Sulla base dei medesimi argomenti e richiamando il caso Nardella, nella decisione 31 marzo 2005, Nasalli Rocca contro Italia, la Corte EDU ha dichiarato irricevibile un ricorso proposto a essa dal ricorrente che aveva preventivamente esposto le sue ragioni in alcune lettere al Presidente della Repubblica.

Ad analoghe conclusioni la Corte di Strasburgo è giunta nella sentenza 2 aprile 2013, Tarantino e altri contro Italia, in cui ha ribadito che la parte ricorrente, «presentando un appello speciale al Presidente della Repubblica nel 2007», non aveva avviato un procedimento contenzioso del tipo descritto all'articolo 6 della Convenzione.

La Sezione deve tuttavia annotare che, ancor più di recente, la Corte EDU (Sez. I, Mediani c. Italia, ottobre 2020, ric. 11036/14) ha riconosciuto – diversamente dal passato – che le tutele della Convenzione EDU (segnatamente l'art. 6 sulla ragionevole durata dei processi) sono riferibili anche al ricorso straordinario.

Ciò in ragione delle modifiche legislative intervenute nel 2009 (l. n. 69/2009) e nel 2010 (d.lgs. n. 104/2010). Il carattere vincolante del parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario, la possibilità di sollevare incidente di costituzionalità, la possibilità di presentare il ricorso straordinario per le materie di competenza del giudice amministrativo, la possibilità di presentare opposizione e di riportare il ricorso davanti al giudice amministrativo, come pure di attivare il giudizio di ottemperanza nel caso di omessa esecuzione del decreto presidenziale in termini analoghi al giudicato amministrativo hanno indotto la Corte EDU a considerare compiuta la trasformazione del ricorso straordinario in un «judicial remedy» e a riconoscerne, ai fini convenzionali, la giurisdizionalizzazione, con l'applicabilità delle conseguenti garanzie.

La svolta della Corte EDU si riverbera su un punto nevralgico: l'art. 9, comma 5, d.lgs. n. 373/2004 consente ancora al Presidente della Regione, a seguito di delibera di Giunta, di disattendere il parere del CGARS, che risulterebbe pertanto obbligatorio ma non vincolante (similmente a quanto accadeva per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, fino al 2009).

Le Sezioni Unite della Cassazione (n. 2065/2011) hanno suggerito un effetto abrogativo implicito, sul punto, nei confronti del ricorso al Presidente della Regione Siciliana, dopo la l. n. 69/2009. Hanno infatti sostenuto che «l'evoluzione del sistema, che porta dunque a configurare la decisione su ricorso straordinario come provvedimento che, pur non essendo formalmente giurisdizionale, è tuttavia suscettibile di tutela mediante il giudizio d'ottemperanza, deve trovare applicazione, in guisa di corollario, per la analoga decisione resa dal Presidente della Regione Siciliana ai sensi della sopra richiamata normativa regionale, modellata – come s'è visto – sulla disciplina dettata per il ricorso straordinario al Capo dello Stato (dovendosi dunque riconoscere carattere vincolante anche al parere espresso dal Consiglio di Giustizia Amministrativa e dovendosi ammettere il potere di tale organismo di sollevare questioni di legittimità costituzionale rilevanti ai fini dell'espressione del parere; al riguardo, la dottrina parla di abrogazione tacita indiretta delle disposizioni del d.lgs. n. 373/2003 che contrastino con le previsioni introdotte dell'art. 69, l. n. 69/2009)».

Tuttavia, merita rilevare che il CGARS, nel parere n. 61/2020 sulla «Direttiva sui ricorsi straordinari al Presidente della Regione Siciliana — Disciplina dell'istituto e aggiornamenti legislativi e giurisprudenziali. Rispetto dei termini per l'istruzione» ha precisato che «il ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana, nonostante le pur evidenti affinità (soprattutto di carattere procedurale), non è giuridicamente assimilabile...al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica» e ha confermato la permanenza della facoltà per il Presidente della Regione di non dare seguito al parere del CGARS sulla base di una deliberazione del governo regionale.

Ha infatti sottolineato (punto n. 12.5 del parere) che la disposizione di cui all'art. 9, d.lgs. n. 370/2003, «in quanto contenuta in una fonte speciale e rinforzata (posto che il citatod.lgs. n.373/2003 reca norme di attuazione dello Statuto regionale), certamente prevale in parte qua sull'art. 69della menzionata l. n.69/2009, là dove si prevede la soppressione della decisione in difformità del Consiglio dei Ministri».

La decisione odierna sulla inammissibilità del ricorso straordinario in esame produce quindi conseguenze sul piano delle garanzie, ulteriormente rimarcate dalla diversa posizione e responsabilità istituzionale del Presidente della Regione Siciliana (nella duplice veste di suprema autorità regionale e di vertice del Governo regionale) rispetto al Presidente della Repubblica.

Tali conseguenze si sostanziano, nel ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana, nella perdurante facoltà per il Presidente, sulla base di una deliberazione del governo regionale, di non dare seguito al parere del CGARS; a ciò consegue, alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, l'impossibilità di fare valere le tutele della Convenzione, a partire dall'art. 6 sulla ragionevole durata dei processi.

Al contrario, come si è visto, le medesime tutele sono ora applicabili al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in virtù del carattere decisorio del parere del Consiglio di Stato.

Ritiene peraltro la Sezione che vada favorito il rafforzamento delle garanzie offerte dall'ordinamento, nei suoi rapporti con le tutele assicurate dalla Convenzione EDU, quale che sia il rimedio giustiziale (ricorso al Presidente della Repubblica ovvero al Presidente della Regione siciliana). È dunque auspicabile che le decisioni in rito sulla inammissibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (in favore del rimedio giustiziale al Presidente della Regione siciliana) non si riflettano in una contrazione delle tutele convenzionali per il singolo.

Sulle conseguenze e gli effetti abrogativi della l. n. 69/2009 si sono pronunciati in modo distinto la Suprema Corte di Cassazione e il CGARS, sintomo evidente della necessità di una valutazione e rimeditazione, anche a livello normativo, della questione.

Per tali motivi il Collegio – in applicazione dell'art. 58, r.d. n. 444/1942 («Quando dall'esame degli affari discussi dal Consiglio risulti che la legislazione vigente è in qualche parte oscura, imperfetta od incompleta, il Consiglio ne fa rapporto al Capo del Governo») – ritiene necessario trasmettere il presente parere alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie per l'eventuale assunzione delle iniziative legislative in materia.

Il medesimo parere, in ragione della specifica connotazione dei decreti legislativi attuativi degli Statuti delle Regioni a statuto speciale, sarà trasmesso anche alla Presidenza della Regione Siciliana.

Bibliografia

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