Codice Penale art. 317 - Concussione (1).

Angelo Salerno

Concussione (1).

[I]. Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

(1) Articolo sostituito dall'art. 3, l. 27 maggio 2015, n. 69. Il testo recitava: «Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni». Precedentemente l'articolo era stato sostituito dall'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190. Il testo originale recitava: « Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni». Precedentemente l'articolo era già stato sostituito dall'art. 4 l. 26 aprile 1990, n. 86.

competenza: Trib. collegiale

arresto: facoltativo

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Il delitto di concussione è disciplinato dall'art. 317 c.p., ai sensi del quale «il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni».

Si tratta di una delle fattispecie punite più gravemente tra i reati contro la Pubblica Amministrazione, volta a sanzionare fenomeni di prevaricazione da parte dei pubblici funzionari nei confronti dei cittadini, ravvisabili in tutti quei comportamenti che si risolvono in una strumentalizzazione dell'ufficio pubblico al fine di coartare l'autonomia e la libertà del privato.

Il bene giuridico tutelato viene individuato, in primo luogo, nell'imparzialità e nel buon andamento della Pubblica Amministrazione (Fiandaca, Musco, 205). Altra parte della dottrina (Antolisei, 299) ritiene invece che sia altresì tutelata la libertà di autodeterminazione del privato, nei suoi rapporti con la Pubblica Amministrazione, riconoscendo così natura pluri-offensiva al reato.

Il soggetto attivo e passivo

La concussione è un reato proprio, il cui soggetto attivo è mutato nel tempo, in quanto nella formulazione originaria del Codice Rocco poteva essere commesso dal solo pubblico ufficiale. La novella del 1990, con l. n. 86/1990, aveva esteso la fattispecie ai soggetti incaricati di un pubblico servizio.

Parte della dottrina (Fiandaca, Musco, 205; Palazzo, 824) si è espressa in senso critico riguardo tale estensione, osservando che gli incaricati di pubblico servizio, in quanto dotati di poteri più limitati rispetto ai pubblici ufficiali, non apparivano in grado di poter esercitare una effettiva forza psicologica sui privati, in assenza del necessario metus publicae potestatis.

La riforma del 2012, con l. n. 190/2012, ha successivamente eliminato il riferimento all'incaricato di un pubblico servizio, rispetto al quale ha trovato quindi applicazione la fattispecie generale di estorsione, aggravata dalla qualità soggettiva del reo, ai sensi degli artt. 629 e 61, n. 9 c.p.

Tale scelta legislativa è stata ritenuta coerente con l'impianto della riforma che, come si avrà modo di evidenziare, ha altresì scorporato dalla fattispecie di concussione le condotte induttive, restringendone la tipicità alla sola costrizione, rispetto alla quale la figura dell'incaricato di un pubblico servizio appariva priva dei necessari poteri autoritativi (Pulitanò, 12).

L'esclusione degli incaricati di pubblico servizio dal novero dei responsabili del delitto di concussione è stata tuttavia ritenuta irragionevole da altra parte della dottrina (Amato, 14; Palazzo, 230), secondo cui la scelta violava il principio di ragionevolezza e uguaglianza, specie in considerazione del più grave trattamento sanzionatorio riservato all'incaricato di un pubblico servizio per effetto della riespansione del delitto di estorsione aggravata (quindici anni, per effetto dell'aggravante, a fronte dei dodici anni di reclusione nel massimo edittale).

Nel 2015, tuttavia, con l. n. 69/2015, il legislatore ha reintrodotto gli incaricati di un pubblico servizio tra i soggetti attivi del reato.

Si pone infine la questione della responsabilità dell' extraneus, ossia del soggetto privo della qualifica necessaria per integrare il reato proprio, il quale concorra con il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, cc.dd. intranei, nel delitto di concussione.

Un primo ordine di questioni attiene ai dubbi di legittimità costituzionale della disciplina applicabile al caso di specie. Trattandosi infatti di un reato semi-esclusivo (che, lo si rammenta, integra gli estremi di un reato diverso, ove manchi la qualifica necessaria, in questo caso di estorsione), trova applicazione il disposto dell'art. 117 c.p., ai sensi del cui primo comma, «Se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti fra il colpevole e l'offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato».

Secondo l'impostazione tradizionale, la disposizione in esame consentirebbe di imputare il reato proprio ai soggetti che abbiano concorso nella sua realizzazione, senza essere provvisti delle necessarie qualità soggettive, a titolo di responsabilità oggettiva. Si è tuttavia evidenziato che una lettura in termini di responsabilità oggettiva della norma in questione entrerebbe in contrasto con il principio di colpevolezza, sicché occorre accertare un effettivo coefficiente psicologico in relazione alla qualifica soggettiva del concorrente in capo all'extraneus.

Ulteriore profilo problematico inerente all'ipotesi di concorso dell'extraneus nel reato riguarda la natura del contributo necessario sul piano oggettivo. Parte della dottrina, aderendo alla teoria dell'accessorietà, ha infatti ritenuto necessario che la condotta tipica sia posta integralmente in essere dall'intraneus, limitando le ipotesi di concorso dell'extraneus alle sole condotte ausiliarie e agevolatrici.

Il superamento della teoria dell'accessorietà, tuttavia, ha condotto ad ammettere che la condotta possa, in tutto o in parte, essere realizzata dall' extraneus, purché tuttavia il contributo dell'intraneus sia risultato rilevante, in termini causali o di agevolazione, rispetto alla commissione del reato e si ponga altresì in correlazione con la qualifica che possiede. Si pensi al caso del pubblico ufficiale che, d'accordo con un complice privo di tale qualifica, lasci incustoditi dei beni di valore di cui sia in possesso in ragione del proprio ufficio, perché il concorrente possa introdursi nell'ufficio e sottrarli.

Il soggetto passivo del delitto di concussione, secondo l'impostazione che qualifica la fattispecie come pluri-offensiva, individuato nella Pubblica Amministrazione e, nel contempo, nella persona del privato vittima della costrizione.

La condotta criminosa

Anche la condotta criminosa è stata interessata da pesanti interventi normativi, con particolare riferimento alla summenzionata l. n. 190/2012, a seguito della quale oggi consiste nella costrizione di «taluno a dare o a promettere indebitamente, a [sé] o a un terzo, denaro o altra utilità», abusando delle proprie qualità o dei propri poteri.

La costrizione penalmente rilevante ai sensi dell'art. 317 c.p. richiede dunque l'abuso della posizione rivestita dal soggetto pubblico, sicché, come confermato anche a seguito della novella del 2012 (Cass. pen. VI, n. 3251/2013), la fattispecie in esame ricomprende le sole forme di violenza morale, che consiste in una minaccia, esplicita o implicita, di un male ingiusto, recante alla vittima una lesione patrimoniale o non patrimoniale, mentre va esclusa ogni rilevanza alla violenza fisica, incompatibile con l'abuso di qualità o di funzioni. La minaccia deve essere seria e idonea, secondo un criterio di normalità, ad insinuare nel soggetto passivo uno stato di timore tale da eliderne o viziarne in maniera assoluta la volontà.

Alla luce della riforma del 2012 e del c.d. spacchettamento dell'originaria fattispecie di concussione, con introduzione del delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità ex art. 319-quater c.p., si è osservato che la tipicità della concussione deve essere circoscritta ai soli casi in cui l'abuso e la condotta prevaricatrice del pubblico ufficiale, con la conseguente pressione sulla volontà del privato, siano tali da non rendere esigibile alcuna forma di resistenza. Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel 2012, nel definire i rapporti con il predetto delitto di induzione indebita, su cui si tornerà dunque nell'apposito sotto-paragrafo.

Come anticipato, la costrizione deve essere caratterizzata dall'abuso della qualità o dei poteri del soggetto pubblico, in mancanza del quale non può ravvisarsi il delitto di concussione, ferma la rilevanza della condotta in termini di estorsione o di istigazione alla corruzione.

Per abuso della qualità deve intendersi la strumentalizzazione da parte del pubblico ufficiale della propria qualifica soggettiva, mentre l'abuso dei poteri implica un esercizio distorto dei medesimi, in contrasto con le modalità e i fini previsti per legge, anche quando non si sostanzi nell'adozione di un provvedimento.

L'abuso dei poteri può configurarsi sia nell'ambito dell'attività discrezionale che in ipotesi di attività vincolata ma, in quest'ultimo caso, richiederà il mancato compimento o il ritardo nell'adozione dell'atto dovuto, ovvero l'emissione di un provvedimento diverso da quello prescritto dalla legge. Quando invece si tratti di poteri discrezionali, l'abuso si concretizzerà tutte le volte in cui non ne venga fatto un uso conforme alla valutazione degli interessi pubblici perseguiti (Antolisei, 316; Fiandaca, Musco, 210).

Qualora invece il pubblico ufficiale minacci l'esercizio del proprio legittimo potere per conseguire un'indebita utilità, ovvero per perseguire un fine illecito, la giurisprudenza propende per la configurazione del delitto di concussione, ravvisando comunque un abuso dei poteri nel comportamento del soggetto agente. Di diverso avviso invece parte della dottrina (Fiandaca, Musco, 210), secondo cui la minaccia di esercitare un potere inerente alla funzione pubblica non può configurare, per ciò solo, un abuso né presentare efficacia costrittiva. Sarebbe al più configurabile una fattispecie di induzione alla corruzione.

È dibattuto in dottrina il ruolo, nell'ambito della fattispecie in esame, del c.d. metus publicae potestatis, che indica il particolare stato di timore e di soggezione in cui versa il privato a fronte della posizione di supremazia ricoperta dal pubblico ufficiale.

Dottrina e giurisprudenza prevalente hanno tradizionalmente ritenuto che il metus publicae potestatis costituisca requisito essenziale del delitto, connaturato alla costrizione e alla prevaricazione da parte del reo.

L'orientamento più recente e maggioritario, tuttavia, ritiene che il metus non costituisca un elemento essenziale del reato, in assenza di alcun addentellato normativo in tal senso e considerato che la costrizione deriva dall'abuso delle funzioni e non già dalla soggezione connaturata al rapporto privato-pubblica amministrazione (Cass. pen. VI, n. 52/2002). Si tratterebbe pertanto di un elemento meramente descrittivo, insito nella condotta di costrizione mediante abuso della posizione rivestita dal reo (Cass. pen. VI, n. 15690/2009).

Occorre in ogni caso che la vittima sia consapevole dell'illegittimità della dazione o della promessa, venendo altrimenti a mancare l'effetto costrittivo; non occorre, al contrario, che la persona offesa sia consapevole della qualità pubblica del suo interlocutore, purché si accerti il concreto influsso sulla volontà della vittima della condotta realizzata dal reo mediante un abuso del potere o della qualità rivestiti (Cass. pen. VI, n. 8907/2008).

La condotta di costrizione, posta in essere abusando della qualità o dei poteri del soggetto pubblico, determina infatti l'evento della dazione o dalla promessa di una prestazione proveniente dalla vittima e indirizzata al soggetto pubblico.

La dottrina ravvisa, in particolare, un duplice nesso di causalità che opera, da un lato, tra l'abuso della qualità o dei poteri e la costrizione e, dall'altro, tra quest'ultima e la dazione o promessa: la costrizione è dunque conseguenza dell'abuso e, a propria volta, causa della dazione o promessa.

La dazione implica il passaggio di un bene dalla sfera di disponibilità di un soggetto a quella di un altro soggetto e può assumere, in concreto, le forme più svariate. La promessa consiste invece nella manifestazione di un impegno ad eseguire in futuro la prestazione e può realizzarsi in qualsiasi forma, purché risulti seria e credibile.

Secondo parte della dottrina (Pagliaro, 139), la sussistenza del delitto non è esclusa in caso di riserva mentale da parte della vittima, che prometta la prestazione con l'intento di non adempiere, trattandosi di un fenomeno confinato nella sfera interiore della persona offesa.

Un contrapposto orientamento dottrinale (Fiandaca, Musco, 212) ha tuttavia osservato che laddove il privato effettui la promessa con la riserva mentale di non adempiere, il delitto di concussione non può ritenersi consumato, in mancanza di un'autentica costrizione della vittima, specie a seguito della riforma del 2012: il privato, infatti, non promette perché costretto ma finge. Sarebbe dunque al più ravvisabile un tentativo di concussione.

Oggetto della dazione o della promessa possono essere il denaro o altra utilità, per tale intendendosi qualsiasi bene che costituisca un vantaggio per il pubblico ufficiale o per il terzo purché giuridicamente apprezzabile e quand'anche privo di valore economico.

In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in sentenza n. 7/1993, evidenziando che il termine «utilità» ricomprende tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, di natura materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, consistente tanto in un dare quanto in un facere o un non facere, purché oggettivamente apprezzabile secondo un criterio di normalità (id quod plerumque accidit). Vi rientrano pertanto, a titolo esemplificativo, anche favori sessuali o di natura politica, ecc.

Tale indirizzo estensivo e omnicomprensivo ha trovato conferma nella successiva giurisprudenza di legittimità, secondo cui il termine “utilità” include tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, pur se di natura non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile, e dunque anche l'accrescimento del proprio prestigio professionale ovvero della propria considerazione nella comunità lavorativa (Cass. pen. VI, n. 21019/21)

Occorre infine che la dazione o la promessa siano conseguite «indebitamente», in assenza cioè di un titolo legittimo in forza del quale il soggetto pubblico abbia agito.

Si ritiene inoltre che qualora il reo abbia abusato delle proprie qualità per ottenere una prestazione dovutagli dalla persona offesa in virtù di un preesistente rapporto privatistico, la fattispecie di concussione sarebbe comunque configurata in quanto volta a sanzionare l'abuso della propria qualità o dei propri poteri da parte del soggetto pubblico (Fiandaca, Musco, 213; Antolisei, 299). Un orientamento minoritario sostiene invece che la sussistenza di un titolo legittimo escluda il carattere indebito della dazione o promessa e quindi la punibilità del reato (Segreto, De Lucia, 269)

Tale soluzione più favorevole è stata tuttavia disattesa dalla giurisprudenza, che ravvisa il delitto ogni qual volta il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio abusino della propria qualità o delle proprie prerogative per alterare l'equilibrio del rapporto privatistico con la persona offesa, a prescindere dunque dalla natura lecita o meno della pretesa, se la sua realizzazione venga ottenuta non con gli strumenti apprestati dall'ordinamento, bensì col mezzo della costrizione posta in essere mediante l'abuso funzionale (Cass. pen. VI, n. 31341/2011).

La giurisprudenza ha infatti precisato sul punto che l'avverbio “indebitamente” utilizzato nell'art. 317 cod. pen. qualifica non già l'oggetto della pretesa del pubblico ufficiale, la quale può anche non essere oggettivamente illecita, quanto le modalità della sua richiesta e della sua realizzazione (Cass. pen. VI, n. 24560/21).

L'elemento soggettivo

L'elemento soggettivo del reato è il dolo generico, che deve ricomprendere, secondo la dottrina maggioritaria (Fiandaca, Musco, 225), il carattere abusivo della condotta e la natura indebita della prestazione o della promessa. La concussione è ritenuta incompatibile con il dolo eventuale, occorrendo una condotta volontaria e consapevole di abuso della propria posizione, volta a realizzare la costrizione della vittima, a propria volta strumentale rispetto all'indebita prestazione o promessa, che rappresenta il risultato finale cui il reo non può che mirare intenzionalmente.

Consumazione e tentativo

Il delitto di concussione presenta uno schema alternativo, che consente di ritenere perfezionato il reato al momento della promessa o, in mancanza di questa, della dazione di danaro o altra utilità. Nel primo caso, la consumazione del delitto va individuata nel successivo momento dell'esecuzione di quanto promesso, essendo questo il momento in cui l'offesa raggiunge la sua massima gravità.

Il tentativo è configurabile ogni qual volta la condotta di abuso della propria qualità o dei propri poteri non sortisca il desiderato effetto della costrizione, purché risulti idonea e univoca in tal senso e il mancato perfezionamento del reato derivi da fattori estranei alla volontà del reo.

In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, evidenziando che l'idoneità degli atti e la non equivocità degli stessi richiedono la sussistenza di un immediato e specifico nesso funzionale e teleologico tra la condotta del pubblico agente e la pretesa avanzata nei confronti della vittima, volta all'effettuazione di una prestazione, di denaro o altra utilità, da parte del destinatario della condotta medesima o di terzi. Pertanto, l'esercizio, da parte del pubblico ufficiale, di generiche condotte prevaricatrici o l'instaurazione di un clima di tensione in danno della persona offesa, pur potendo integrare diverse fattispecie di reato, non consentono di individuare quella univoca direzione della condotta al conseguimento di una specifica utilità, indispensabile per la configurabilità del tentativo di concussione (Cass. pen. VI, n. 8041/2021).

Questioni applicative

1) Il docente universitario che attua pressioni su un candidato ricercatore affinché si ritiri dal concorso commette delitto di concussione?

Tra le condotte che integrano l'abuso costrittivo del delitto di concussione la giurisprudenza annovera le pressioni esercitate da un docente universitario su un candidato al concorso di ricercatore perché si ritiri dalla prova – allo scopo di favorire altro candidato, con minor punteggio per titoli e pubblicazioni – quando alla persona offesa non sia prospettato alcun vantaggio indebito, ma solo pregiudizi per la sua carriera accademica, a nulla rilevando, al riguardo, l'alea della attribuzione del posto messo a concorso, atteso che la vittima è stata comunque privata di una significativa “chance” di conseguirlo (Cass. pen. VI, n. 5057/2021).

2) Il dipendente dell'Agenzia delle Entrate che chieda un pagamento per non irrogare sanzioni integra il delitto di concussione?

Secondo la giurisprudenza di legittimità integra altresì il delitto di concussione la condotta del dipendente dell'Agenzia delle Entrate che, nella sua qualità di pubblico ufficiale, nel corso di una verifica fiscale, prima della contestazione di specifiche violazioni, richieda al soggetto sottoposto al controllo il pagamento di ingenti somme al fine di evitare prospettate severe sanzioni pecuniarie, quando sia accertata l'assenza di irregolarità ovvero la somma richiesta sia del tutto sproporzionata rispetto all'eventuale sanzione irrogabile (Cass. pen. VI, n. 37922/2020).

Rapporti con altri reati

Per quanto attiene ai rapporti con altri reati, si rinvia al paragrafo successivo per un'analisi dei confini con la fattispecie di induzione indebita a dare o promettere utilità, di cui all'art. 319-quater c.p.

Concussione e corruzione

Occorre invece esaminare in questa sede il rapporto tra la concussione e i delitti di corruzione di cui agli artt. 318 ss. c.p., rispetto ai quali in passato dottrina e giurisprudenza ritenevano che la distinzione dovesse essere rinvenuta nella diversa genesi del rapporto tra soggetto attivo e soggetto passivo.

In particolare, si riteneva che nel primo caso, di concussione, tale rapporto nascesse per iniziativa del pubblico ufficiale, interessato a conseguire l'indebito vantaggio, mentre nel caso della corruzione l'iniziativa derivasse dal privato (Padovani, 1302; Amato, 2918).

Si tratta tuttavia di un criterio superato dall'orientamento maggioritario, secondo cui il discrimen tra le due fattispecie deve essere individuato nelle modalità e caratteristiche dell'accordo, dal momento che, in caso di corruzione, privato e soggetto pubblico si pongono in posizione paritaria e stringono un pactum sceleris attraverso un incontro di reciproche manifestazioni di volontà. Tale condizione manca in caso di concussione, dal momento che il dominus dell'affare è soltanto il soggetto pubblico che, abusando della sua autorità o del suo potere, costringe il privato a sottostare alla indebita richiesta, ponendolo in una situazione che non offre alternative. Non a caso si tratta di un reato c.d. plurisoggettivo naturale o improprio (in cui cioè è necessario il coinvolgimento di un'altra persona, nella veste tuttavia di vittima del reato, di cui pertanto non risponde), laddove le fattispecie di corruzione costituiscono ipotesi di reati plurisoggettivi propri, di cui risponde ogni soggetto coinvolto.

Ulteriore criterio elaborato in dottrina e talvolta seguito anche dalla giurisprudenza di legittimità è quello che si fonda infine sul processo motivazionale che induce il privato alla promessa o dazione indebita, sicché quando il privato si determina alla dazione o alla promessa per evitare un danno ingiusto (certat de damno vitando), si configura il delitto di concussione; se la vittima tende invece a conseguire un ingiusto vantaggio (certat de lucro captando), ricorre la fattispecie della corruzione (Antolisei, 326; Venditti, 762).

La giurisprudenza (Cass. pen. VI, n. 14977/2009) ha tuttavia riconosciuto ai criteri esposti un valore meramente indiziario, ravvisando il discrimen tra le due fattispecie in relazione agli effetti psicologici della condotta sulla persona offesa, la cui prevaricazione da parte del reo, che ne annulli la volontà, determina la sussistenza del delitto di concussione, laddove in presenza di una libera scelta da parte del privato sarebbe configurabile il delitto di corruzione.

Tale confine appare tuttavia meno netto a seguito del c.d. spacchettamento operato dal legislatore nel 2012, con riferimento alle condotte di induzione, su cui si tornerà nel prossimo paragrafo.

Tuttavia le Sezioni Unite, con sentenza n. 12228 /2014, Maldera, hanno chiarito tale profilo, all'indomani della riforma, evidenziando che gli elementi differenziali del delitto di concussione o induzione rispetto quello di corruzione sono la soggezione psicologica della vittima e l'abuso di qualità o poteri da parte del reo, che si atteggia quale strumento di costrizione o induzione nei primi due casi e difetta invece nei delitti di corruzione, se non quale effetto ultimo della condotta.

Concussione e truffa aggravata

Il reato di concussione e quello di truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale, di cui agli artt. 640 e 61, n. 9 c.p., si distinguono invece tra loro per le modalità delle azioni poste in essere dall'agente, avendosi concussione quando l'abuso della qualità assume preminente incidenza prevaricatrice, che costringe il soggetto passivo dell'ingiusta prestazione, che egli sa non dovuta.

Sussiste invece la truffa aggravata, quando la qualità di pubblico ufficiale concorre in via accessoria alla determinazione della volontà del soggetto passivo, il quale viene convinto, a causa degli artifici e raggiri, ad offrire una prestazione che egli crede dovuta (Cass. pen. VI, n. 28736/2008).

Concussione ed estorsione

Sussiste infine un rapporto di specialità, come anticipato, tra il delitto di concussione e quello di estorsione, di cui agli artt. 629, difettando in quest'ultima fattispecie la qualifica soggettiva di pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio e, nel contempo, l'elemento costitutivo dell'abuso della qualità o dei poteri ad essa inerenti. Costituisce invece un tratto comune tra le due fattispecie la costrizione.

Concussione e violenza sessuale

Rispetto alla fattispecie di violenza sessuale, la giurisprudenza ha ritenuto che tale delitto possa concorrere con quello di concussione, anche quando realizzato con abuso dei poteri inerenti ad una pubblica funzione, sul presupposto del diverso bene giuridico tutelato dalle due fattispecie criminose (Cass. pen. III, n. 27554/2015).

Di diverso avviso invece la dottrina, che ha osservato come il buon andamento della Pubblica Amministrazione, quale bene giuridico tutelato dal delitto di concussione, riceva idonea protezione a fronte dell'aumento di pena previsto per effetto dell'aggravante ex art. 61, n. 9, c.p., applicata al delitto di violenza sessuale (Romano, 136).

Deve tuttavia evidenziarsi l'assenza di un rapporto di specialità formale nella struttura dei due delitti, con conseguente impossibilità di applicare l'art. 15 c.p. e il principio di specialità.

Bibliografia

Amato, Quale discrimen tra corruzione e concussione?, in Cass. pen. 1998; Amato, Concussione: resta solo la condotta di «costrizione», in Giur. dir. 2012, n. 48; Antolisei, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, II, Milano, 1999; Fiandaca-Musco, Diritto Penale - Parte speciale, I, Milano, 2002; Padovani, Il confine conteso. Metamorfosi dei rapporti tra concussione e corruzione ed esigenze «improcrastinabili» di riforma, in Riv. it. dir. proc. pen. 1999; Pagliaro, Principi di Diritto Penale - Parte speciale, I, Milano, 2000; Palazzo, Concussione, corruzione e dintorni: una strana vicenda, in Dir. pen. cont. 2012, n. 1; Palazzo, La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali: primo sguardo d'insieme, in Riv. it. dir. proc. pen. 1990; Pulitanò, Legge anticorruzione (L. 6 novembre 2012, n. 190), in Cass. pen., supplemento al volume LII, 2012; Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2019; Segreto-De Luca, Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1999; Venditti, voce Corruzione (Delitti di), in Enc. dir., X, Milano, 1962.

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