Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 4 - (Principi relativi all'affidamento di contratti pubblici esclusi) 1(Principi relativi all'affidamento di contratti pubblici esclusi)1 [1.L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità , pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica2. ] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Comma modificato dall'articolo 5, comma 1, del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56. Inquadramento.In materia di public procurement, il sistema di regole delineato dalle direttive eurounitarie e dalla normativa nazionale di recepimento (i.e. il Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016) non si applica all'intera gamma dei rapporti negoziali che coinvolgono le pubbliche amministrazioni. L'ambito oggettivo di applicazione della disciplina – già limitato ai soli contratti pubblici passivi, ossia ai contratti (aventi ad oggetto lavori, servizi o forniture) che implicano una spesa da parte della P.A. – risulta ulteriormente circoscritto, sul piano oggettivo, per effetto della precisa elencazione, operata dal legislatore, di una lunga serie di tipologie contrattuali le cui procedure di affidamento possono ritenersi esentate dal puntuale rispetto delle disposizioni codicistiche. La ratio sottesa a tali esclusioni è rintracciabile nella volontà del legislatore di garantire una tutela rafforzata a determinati interessi – legati ad alcune peculiari categorie contrattuali – ritenuti prevalenti rispetto al principale principio ispiratore della disciplina generale in materia di affidamento di contratti pubblici ossia, in ultima analisi, rispetto alla tutela della concorrenza e del mercato, che informa l'intero impianto codicistico (Viola). In altre parole, si è ritenuto di operare per alcune tipologie contrattuali specificamente individuate una sorta di ‘codificazione dedicata', non sempre costituente il portato di principi comunitari, ravvisando in talune fattispecie i presupposti per giustificare un'attenuazione dell'acquis communautaire in materia di evidenza pubblica: si tratta di ipotesi di non rara verificazione, ove la prevalenza di taluni interessi risulta prioritaria rispetto alla promozione e alla tutela della concorrenza (D'Ottavi). In tale contesto, il legislatore non ha comunque rinunciato a individuare un nucleo di princìpi comuni da applicare agli affidamenti dei contratti ‘esclusi', la cui osservanza è stata giudicata irrinunciabile anche con riferimento a tali fattispecie. A tale scopo assolve l'art. 4 del Codice, ai sensi del quale «l'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica». Tale disposizione si presta a due generi di confronto e più precisamente: i) da un lato, al confronto diacronico con l'omologa disposizione che dettava i princìpi informatori dell'affidamento dei contratti esclusi nel precedente Codice di cui al d.lgs. n. 163/2006; ii) dall'altro lato, al confronto sincronico con l'analoga disposizione che enuncia i princìpi generali per l'affidamento dei contratti inclusi nell'ambito applicativo del d.lgs. n. 50/2016 (Follieri, pp. 231-232). Di tali confronti daremo conto nei successivi paragrafi. Il confronto diacronico con l'art. 27 del d.lgs. n. 163/2006Ai sensi dell'art. 27 del d.lgs. n. 163/2006, nel periodo di vigenza del vecchio Codice, l'affidamento dei contratti esclusi i) doveva avvenire «nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità», ii) doveva «essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto», iii) lasciava impregiudicata la possibilità di subordinare il principio di economicità ad esigenze sociali ovvero ad esigenze legate allo sviluppo sostenibile, alla tutela della salute e alla salvaguardia dell'ambiente, iv) doveva garantire – per tutto quanto non espressamente previsto – il rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241/1990, e v) doveva infine svolgersi nel rispetto delle disposizioni stabilite dal codice civile. Dal confronto diacronico di tale disposizione con l'attuale art. 4, sembra potersi desumere una maggiore ampiezza della norma previgente. In primo luogo, infatti, se l'art. 4 del Codice da un lato fa riferimento anche a princìpi precedentemente non considerati dall'art. 27 del d.lgs. n. 163/2006 (quali ad esempio i princìpi di pubblicità e di efficienza energetica), dall'altro lato omette ogni rinvio alla legge generale sul procedimento amministrativo e al codice civile. Il secondo luogo, inoltre, rispetto all'omologa norma contenuta nel previgente Codice, l'attuale art. 4 non menziona l'onere di consultare almeno cinque operatori economici prima di procedere all'affidamento. Tale scelta è stata apertamente criticata dal Consiglio di Stato nel parere n. 855 del 1º aprile 2016, secondo il quale sarebbe stato preferibile mantenere il previgente riferimento alla necessità di consultare un numero minimo di operatori. Una tale opzione, secondo il Consiglio di Stato, ben lungi dall'integrare un'ingiustificata ipotesi di gold plating, avrebbe consentito di mantenere un minimo presidio pro-concorrenziale, utile anche in chiave di prevenzione della corruzione. Ciò posto, autorevole dottrina tende a sminuire le differenze esistenti tra le due norme, riducendo la relativa portata ad una valenza meramente letterale. Quanto al primo profilo (i.e. il mancato rinvio dell'art. 4 alla l. n. 241/1990 e al c.c.), tale rinvio sarebbe pleonastico: nessun interprete ragionevole potrebbe dubitare dell'applicazione della legge sul procedimento amministrativo ai profili di evidenza pubblica e, al contempo, dell'applicazione (seppur in via residuale) del codice civile con riferimento ai profili più marcatamente privatistici legati all'esecuzione del contratto (Follieri, 235). Quanto al secondo profilo (i.e. la mancata riproposizione dell'onere di consultare un numero minimo di operatori economici), si ritiene nondimeno applicabile anche ai contratti esclusi il principio per cui la scelta del contraente deve essere comunque preceduta da una qualche forma di valutazione comparativa (D'Ottavi), ancorché in via informale. Il confronto sincronico con l'art. 30 del d.lgs. n. 50/2016L'art. 30, d.lgs. n. 50/2016, si occupa di elencare i princìpi generali che debbono presiedere all'affidamento dei contratti inclusi nell'ambito oggettivo di applicazione del Codice. Più precisamente, ai sensi del primo comma del predetto articolo, l'affidamento e l'esecuzione dei contratti ‘inclusi' devono garantire la qualità delle prestazioni e devono svolgersi «nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza». Nell'affidamento degli appalti e delle concessioni, inoltre, è previsto che le stazioni appaltanti debbano altresì rispettare «i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice». Si prevede, infine, che il principio di economicità possa essere subordinato, «nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell'ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico». Dal confronto sincronico fra tale norma (che enuncia i princìpi posti a presidio dell'affidamento dei contratti ‘inclusi') e l'art. 4 (che elenca i princìpi a cui è assoggettato l'affidamento dei contratti ‘esclusi') possiamo notare come i due elenchi di princìpi differiscano tra loro, quantomeno nella loro enunciazione letterale. Da un lato, l'art. 30 del Codice prevede per i contratti ‘inclusi' una serie di princìpi che l'art. 4 sembra non contemplare affatto per i contratti ‘esclusi': si tratta, più precisamente, dei princìpi di libera concorrenza, tempestività, correttezza, rispetto del patrimonio culturale e tutela della salute; inoltre, il medesimo art. 30 contiene espresso rinvio (seppur in via residuale) alla l. n. 241/1990 e al codice civile Dall'altro lato, è altrettanto vero che l'art. 30 non richiama il principio di imparzialità, contemplato invece dall'art. 4. Alcuni princìpi, inoltre, pur essendo contemplati sia dall'art. 4 che dall'art. 30, nelle due norme risultano declinati diversamente: quello che nell'art. 30 è il principio di non discriminazione, nell'art. 4 è la parità di trattamento; quella che nell'art. 30 è la pubblicità nelle forme del Codice, nell'art. 4 è il principio di pubblicità più genericamente inteso (art. 4). Anche qui, nonostante dal punto di vista letterale gli elenchi recati rispettivamente dall'art. 4 e dall'art. 30 del Codice siano indubbiamente differenti, autorevole dottrina ritiene che tali disposizioni, a ben vedere, possano essere ritenute (quasi) coincidenti dal punto di vista del relativo contenuto precettivo. Ciò in quanto, nell'ordinamento giuridico, è dato rinvenire norme di rango superiore al d.lgs. n. 50/2016 che consentono di superare la differenza fra i princìpi enunciati per i contratti esclusi e quelli previsti per i contratti inclusi, pur con l'eccezione della specificazione relativa alla pubblicità «con le modalità del presente Codice» operata dall'art. 30 per i contratti inclusi. I princìpi contenuti nell'art. 30 ed elencati dall'art. 4 hanno infatti una diretta provenienza costituzionale ed eurounitaria e sono, quindi, princìpi generali del nostro ordinamento, applicabili anche ai contratti esclusi, a prescindere dalla loro assenza nel testo dell'art. 4 del Codice (Follieri, 235). In modo particolare: i) il principio di libera concorrenza discende direttamente dall'art. 3, par. 3, TUE; ii) il principio di tempestività è un ovvio corollario del principio di buon andamento della P.A. enunciato dall'art. 97 della Costituzione; iii) la « correttezza » altro non è che una diversa declinazione della «buona fede», che a sua volta rappresenta un principio generale dell'ordinamento applicabile, in quanto tale, anche alla pubblica amministrazione; iv) il rispetto del patrimonio culturale e la tutela della salute trovano un solido ancoraggio tanto negli artt. 9 e 32 della Costituzione quanto nell'art. 3 del TUE e nell'art. 168 del TFUE. Per quanto concerna la mancata riproposizione nell'art. 4 del rinvio al codice civile e alla legge generale sul procedimento amministrativo, si consideri quanto scritto nel precedente paragrafo: nessun interprete potrebbe ragionevolmente dubitare dell'applicazione della legge sul procedimento amministrativo ai profili di evidenza pubblica e, al contempo, dell'applicazione del codice civile con riferimento ai profili più marcatamente privatistici legati all'esecuzione del contratto, per tutto quanto non espressamente previsto in sede codicistica. D'altro canto, il principio di imparzialità – omesso dall'art. 30 e richiamato, invece, dall'art. 4 – trova un solido ancoraggio nell'art. 97 Cost. e non vi possono essere dubbi circa la sua applicabilità ai contratti inclusi. È poi pacifico che il principio di parità di trattamento e il principio di non discriminazione (richiamati rispettivamente dall'art. 4 e dall'art. 30) rappresentano due possibili declinazioni del principio di uguaglianza, senza che tra essi possa ravvisarsi alcuna differenza sostanziale. Tutto ciò premesso e considerato, l'unica (reale) differenza tra i princìpi che reggono l'affidamento dei contratti inclusi e quelli che informano l'affidamento dei contratti esclusi resta la differente declinazione del principio di pubblicità: solamente i contratti inclusi, infatti, devono conformarsi alle specifiche forme di pubblicità previste dal Codice, mentre per i contratti esclusi la scelta dei mezzi di pubblicità è rimessa al prudente apprezzamento delle stazioni appaltanti, che ben possono adottare strumenti pubblicitari ulteriori e diversi rispetto a quelli recati dalle disposizioni codicistiche (Follieri, p. 236). Tali conclusioni, del resto, collimano con le tradizionali acquisizioni della giurisprudenza eurounitaria, che fin da tempo risalente ha chiarito come il diritto dell'Unione obblighi gli Stati membri ad aggiudicare (anche) i contratti esclusi nel rispetto dei canoni di non discriminazione, parità di trattamento, libera concorrenza, proporzionalità, pubblicità e trasparenza (si veda, in via esemplificativa, Corte Giust. UE, 7 dicembre 2000, causa C-324/98). Ad ogni evidenza, la sostanziale identità dei princìpi applicabili ai contratti esclusi rispetto a quelli previsti per i contratti inclusi non comporta un'identità tout court della disciplina applicabile: i contratti esclusi, pur potendosi ritenere soggetti agli stessi princìpi elencati nell'art. 30 (eccezion fatta per il principio di pubblicità nelle specifiche forme ivi richiamate), non sono chiaramente soggetti alla restante disciplina codicistica, dettata esclusivamente per gli affidamenti rientranti nell'ambito di applicazione del d.lgs. n. 50/2016. I principi guida.Le direttive nulla hanno disposto con riferimento a principi e regole applicabili ai contratti esclusi. Agli Stati membri era, quindi, lasciata discrezionalità nell'adottare la disciplina ritenuta più opportuna. Tale disciplina, però, non poteva certo essere libera ma doveva rispettare i principi derivanti dai trattati, dalla ormai consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, dalla Costituzione, dalla l. delega n. 11/2016 e, si deve aggiungere, dalla ormai copiosissima giurisprudenza interna sulla materia (Rovelli). Che cosa devono rispettare i contratti esclusi in base al diritto dell'Unione europea? Andiamo di seguito a elencare principi e regole: a) la parità di trattamento e, in particolare, il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità; b) la trasparenza; c) la proporzionalità; d) il mutuo riconoscimento; e) le libertà fondamentali. Chiediamoci invece quali principi devono rispettare i contratti esclusi in base alla Costituzione. Qui rilevano l'imparzialità, il buon andamento ed i principi generali relativi all'azione amministrativa. Quanto alla legge delega, vi è, per così dire, un controlimite individuato dall'art. 1, comma 1, lett. a) e cioè il divieto di introdurre o di mantenere livelli superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, secondo le definizioni dell'art. 14, commi 24-ter e 24-quater, della l. n. 246/2005. Il d.lgs. n. 50/2016 fissa i principi relativi all'affidamento dei contratti esclusi come di seguito: economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica. Il d.lgs. n. 50/2016non detta regole, ma solo principi per l'affidamento che trovano applicazione secondo lo specifico contratto escluso. A tali principi si aggiungono, in via interpretativa, le libertà fondamentali (Corte Giustizia 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Teleaustria e Telefonadress; Corte Giustizia 6 aprile 2006, causa C-410/04, ANAV c/ Comune di Bari; Corte Giustizia 18 novembre 2010, causa C-226/09, Commissione c/ Irlanda; Cons. St., Ad. plen., n. 16/2011). Il presupposto fondante l'art. 4 è quello di individuare un nucleo di principi applicabili anche alle ipotesi di esclusione, analogamente a quanto avvenuto per le ipotesi di appalti sotto soglia, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza comunitaria prima e, successivamente, dalle prime direttive di settore nn. 17 e 18/2004 ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00 e sentenza Corte di Giustizia, 7 dicembre 2000, in causa C-324/98 Teleaustria c. Post & Telekom Austria che hanno stabilito il primato del diritto comunitario in materia (anche in riferimento al sottosoglia) nonché la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 6 giugno 2002 n. 8756, che ha ribadito l'obbligo di improntare l'azione amministrativa ad obiettività e trasparenza in qualsiasi procedura di acquisto di beni e servizi. Ciò posto, pare opportuno soffermarsi sui richiamati principi che costituiscono la traslazione, rispettivamente, dei considerando delle direttive comunitarie. Tali premesse sono di estrema importanza perché segnano il perimetro tra appalti sottoposti alle norme di coordinamento comuni a tutti gli Stati Membri e appalti non soggetti a queste previsioni, ma comunque correlati – secondo l'orientamento comunitario – all'applicabilità dei soli principi comunitari del Trattato CE e soprattutto della giurisprudenza comunitaria (si veda la Comunicazione Interpretativa della Commissione – relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive «appalti pubblici» in GUCE 1° agosto 2006 n. 179/2002). Il reticolo della soglia comunitaria viene quindi espressamente rimarcato dalle stesse direttive, e ciò avviene non per evidenziare una linea di confine (ipotesi di esclusione o sottosoglia), oltre la quale esisterebbe una liberalizzazione delle procedure di acquisto (come si riteneva in passato, durante il recepimento delle prime direttive comunitarie in materia), bensì per identificare due diverse tipologie di procedura: da un lato, quelle regolate in modo abbastanza stringente, secondo canoni operativi rigorosi e precise forme di negoziazione per la scelta del contraente; dall'altro quelle sottoposte «solamente» all'osservanza dei seguenti criteri guida, corollario a loro volta delle libertà fondamentali disciplinate dal Trattato: id est, la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi. Si tratta, quindi, dei noti principi di parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza. Di seguito si fornisce una breve disamina dei medesimi. a) il principio di imparzialità. Il principio di imparzialità (in cui rientrano i principi di parità di trattamento e non discriminazione) consiste nell'affermazione della regola per cui tutti i concorrenti devono poter gareggiare nelle procedure di evidenza pubblica con i medesimi strumenti a disposizione e senza profittare di asimmetrie informative ovvero di altre forme di distorsione del mercato. In tal modo viene rimarcato che la disparità nel trattamento delle situazioni giuridiche soggettive deve essere eliminata evitando di dar luogo a fenomeni anticoncorrenziali causati dall'introduzione di capziosi requisiti di valutazione tra appaltatori. Deve, inoltre, essere incentivata, ad opera delle stazioni appaltanti, un'attività di rimozione dei conflitti che passi attraverso l'introduzione di regole differenziate per tener conto, ad esempio, delle asimmetrie informative o delle diverse condizioni in cui si trova un imprenditore straniero rispetto ad «un campione» nazionale. Un esempio è rappresentato dall'introduzione di regole che consentano il riconoscimento di parametri di qualificazione ad opera di enti di controllo presenti nello Stato membro cui proviene l'appaltatore estero, rispetto alla richiesta di forme di certificazione nazionali, e a volte di regole protezionistiche. Anche il principio di riconoscimento reciproco costituisce, a ben vedere, una specificazione del principio di parità di trattamento relativamente alla libertà di stabilimento degli operatori economici, anche in presenza di qualificazioni ottenute nel proprio paese d'origine. Un'importante derivazione di tale principio è anche quella relativa alla c.d. autodelimitazione della discrezionalità, ovvero nella predeterminazione dei criteri, particolarmente evidente nel momento di fissazione delle regole di gara (principio affermato dalla Corte di Giustizia nella decisione Isis Multimedia e Firma Causa 327/03 del 2005 e più volte ribadito a livello nazionale circa la predeterminazione dei criteri relativi all'offerta economicamente più vantaggiosa, e oggi codificato nell'art. 81 c.c.p.). Tale corollario è di particolare importanza nel settore dei contratti esclusi perché attiene alla predeterminazione delle (eventuali) regole che sono poste a base della gara informale eventualmente prevista. b) il principio di proporzionalità. Si tratta del criterio, di derivazione giurisprudenziale e canonizzato dall'art. 5 del Trattato, secondo il quale qualsiasi azione, ivi comprese quelle degli enti operanti nei settori sottoposti alle direttive di coordinamento, deve essere proporzionale (e quindi attenuata o pronunciata a seconda delle condizioni) all'obiettivo da perseguire. Costituisce derivazione del generale criterio secondo cui i pubblici poteri non debbono esorbitare dai limiti necessari per preservare le loro attribuzioni (ad esempio, dichiarando l'esclusione di taluni contratti per motivi di supposta ma non oggettiva segretezza). Un ulteriore esempio può essere rappresentato dall'indicazione dei requisiti di partecipazione per una determinata procedura di acquisto: in tale contesto l'elevazione di requisiti di gara che restringano il numero dei concorrenti può essere giustificata solo dal carattere oggettivamente strategico di alcune tipologie di appalto (fatta, ovviamente, salva la possibilità per i concorrenti di aggregarsi per incontrare le condizioni di partecipazione). La giurisprudenza comunitaria, non formalistica ma aderente al criterio funzionale, ha ammesso anche valutazioni di merito sul comportamento delle pubbliche amministrazioni (cfr. Corte giust. UE Fèderation Charbonniere de Belgique c. Alta Autorità Causa 8/1955). c) il principio di trasparenza. È uno dei principali criteri guida del legislatore comunitario che non ha bisogno di essere interpretato; è sufficiente menzionare, in questo settore, alcuni dei corollari tipici rappresentati dalla pubblicità delle iniziative di gara e della post-informazione, dalla evidenza delle regole di partecipazione e di svolgimento della procedura e, last but not the least, della documentazione a beneficio dei partecipanti e di tutti i portatori di interesse coinvolti (si pensi ai proprietari delle procedure espropriative a seguito di interventi relativi ai lavori pubblici). In altri termini, va evidenziato che trasparenza implica anche pubblicità e conoscibilità degli atti come strumento di garanzia sulla correttezza del procedimento e come supporto ad una possibile tutela da parte dei concorrenti (è, infatti, dal momento in cui sono conoscibili gli atti della procedura che, come noto, decorrono i termini per un eventuale ricorso dei soggetti lesi). In relazione a tale principio va però rimarcato che l'ordinamento italiano, a partire dalla l. n. 190/2012, ha previsto disposizioni specifiche (ed ulteriori rispetto a quelle comunitarie) recanti diversi adempimenti in materia di pubblicità: a titolo esemplificativo, si pensi alla pubblicazione di alcuni dati relativi all'aggiudicazione del contratto ovvero alle modalità con cui si è addivenuti alla selezione del contraente (D'Ottavi). Oltre ai menzionati principi dichiaratamente comunitari, va evidenziato che il legislatore, tenendo anche conto della norma – quadro enunciata all'art. 97 della Costituzione, ha ritenuto di richiamare i principi di economicità, efficacia e imparzialità. La giurisprudenza nazionale si è occupata molte volte della lettura interpretativa di tali principi proprio in relazione agli appalti di lavori pubblici. Cfr. ex plurimis Cons. St. VI, n. 3090/2001, sull'obbligo di trasparenza; Cons. St. V, n. 1077/2005 e Cons. St. V, n. 388/2005 sul principio di pubblicità delle sedute di gara; T.A.R. Veneto I, n. 4279/2004 sui documenti da acquisire nel corso della procedura di gara. A titolo indicativo, si può evidenziare che l'ordine logico di estrinsecazione di tutti i principi potrebbe costituire, se avvalorato, un possibile indirizzo per l'interprete, ritenendo ad esempio che l'economicità possa essere prioritariamente considerata nel contemperamento con la proporzionalità. Secondo altro orientamento invece i suddetti principi dovrebbero essere tutti letti alla luce del superiore canone di ragionevolezza, dal momento che sarebbe sempre necessario per l'interprete operare un equo contemperamento tra i medesimi al fine di evitare antinomie sostanziali (a titolo esemplificativo, infatti, taluni adempimenti in materia di pubblicità potrebbero andare a detrimento dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione pubblica sotto il profilo della tempestività o del divieto di non aggravare il procedimento amministrativo). Da ultimo si segnala l'introduzione del rispetto dei principi ambientali e di efficienza energetica anche se, soprattutto in riferimento all'art. 30 del Codice, tali indicazioni sembrano del tutto programmatiche e ridondanti. Peraltro appare difficile sostenere che il principio di sostenibilità previsto per gli appalti in generale non venga in applicazione nei settori esclusi. Problemi attuali: la distinzione tra ‘contratti esclusi' e ‘contratti estranei'Una delle questioni problematiche della norma in commento riguarda l'esatta perimetrazione della nozione di ‘contratti esclusi'. In altre parole, si pone il problema di capire con precisione a quali tipologie contrattuali debbano applicarsi solamente i princìpi generali di cui all'art. 4 e non anche tutte le restanti disposizioni codicistiche. Con la sentenza n. 16/2011, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che rientrano nella nozione di ‘contratti esclusi' solamente i contratti ‘nominati' dal Codice allo specifico fine di escluderli dal proprio ambito applicativo, e non anche i c.d. ‘contratti estranei', ossia i contratti non menzionati del tutto dal Codice. Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche, possiamo ritenere che siano ‘contratti esclusi', ai fini dell'art. 4, solamente i contratti rientranti nelle eccezioni delineate dagli artt. 5-20 del Codice, ossia quei contratti che – in assenza di tali eccezioni – sarebbero ricaduti nell'ambito applicativo del d.lgs. n. 50/2016. Così inteso, l'art. 4 intende porre un principio di rispetto di regole minimali di evidenza pubblica, a tutela della concorrenza e del mercato, ma tali regole minimali vengono imposte: a) da un lato, solo ai soggetti che ricadono nell'ambito di applicazione del Codice e delle direttive comunitarie, di cui il primo costituisce recepimento; b) dall'altro lato, ai contratti agganciati ai settori ordinari o speciali di attività dei soggetti contemplati dal Codice. Si tratta in definitiva di contratti che in astratto potrebbero rientrare nel settore di attività, ma che vengono eccettuati con norme di esenzione, per le ragioni più disparate. Conseguentemente, restano completamente fuori da ogni richiamo normativo tutte quelle fattispecie completamente «estranee» alla disciplina codicistica (come, ad esempio, i contratti degli organismi di diritto pubblico non volti a soddisfare bisogni generali di carattere non industriale o commerciale, dovendosi presumere che le residue attività del soggetto di diritto privato, ancorché a partecipazione pubblica, vengano svolte nelle forme proprie del diritto comune). In tale contesto, il c.d. ‘correttivo' di cui al d.lgs. n. 56/2017 ha complicato il quadro modificando la formulazione originaria dell'art. 4 del d.lgs. n. 50/2016, integrando la precedente nozione di ‘contratti esclusi' (che comprendeva testualmente i «contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione» del Codice) con un eccentrico (oltreché sgrammaticato) riferimento ai «contratti attivi». Sul punto, delle due l'una: i) o tale modifica ha inteso abrogare la disciplina prevista per i contratti attivi dal r.d. n. 2440/1923 – peraltro sostituendola con una disciplina tutt'altro che definita in quanto costituita solamente da enunciazioni di principio – ed in tal caso sarebbe incostituzionale per eccesso di delega, ii) oppure ha semplicemente esteso ai contratti attivi l'applicazione dei princìpi di cui all'art. 4 del Codice, ed in tal caso sarebbe priva di qualsivoglia portata innovativa, posto che tali princìpi – nella loro qualità di princìpi generali dell'ordinamento – potevano già ritenersi applicabili alla generalità dell'attività amministrativa e quindi (anche) ai contratti attivi. In buona sostanza, la novella in parola o è incostituzionale o è inutile (Follieri, p. 238). La seconda opzione pare preferibile. Sennonché, a ben vedere, oltreché inutile è anche dannosa, in quanto rischia di mettere in discussione l'assetto delineato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato secondo cui l'elencazione codicistica dei contratti ‘esclusi' sarebbe tassativa e non già meramente esemplificativa, posto che tra le tipologie contrattuali elencati dal Codice agli artt. 5 e ss. non si rinvengono contratti attivi. Questioni applicative1) I principi di cui all'articolo 4 possono essere utilizzati come criterio ermeneutico per le ipotesi non tipizzate? A conclusione del fondamento comunitario dell'art. 4 vale la pena interrogarsi se i principi in esso contenuti siano applicabili esclusivamente alle ipotesi di contratti esclusi previsti dal Codice ovvero possano essere utilizzati anche come criterio ermeneutico per le ipotesi non tipizzate. Non si tratta ovviamente di questione teorica, ma di grande rilevanza pratica in quanto propendere per l'una o per l'altra soluzione produrrebbe o meno un'ingerenza di indicazioni pubblicistiche su aspetti disciplinati soprattutto nell'ottica dell'ordinamento civile. È, invece, pacifico che tali principi si applichino sia ai settori ordinari che a quelli speciali; è peraltro necessaria una puntualizzazione in relazione ad alcune fattispecie che verranno nel prosieguo indicate. In definitiva l'art. 4 costituisce la ‘focale' con cui è possibile leggere il coacervo degli affidamenti, del tutto eterogenei, previsti nei successivi articoli del Titolo II, tenendo presente che il legislatore, con la soppressione della consultazione di un numero minimo di operatori economici (come previsto nel d.lgs. n. 163/2006) non ha affatto abbracciato la teoria della c.d. deregulation: secondo la dottrina più avveduta, infatti, «a parte la estrema sommarietà della disposizione menzionata, essa dimostra che la volontà del legislatore non è affatto (fortunatamente) quella di liberalizzare totalmente (o di privare di normazione) i settori in questione». In tale ottica pare opportuno riferire dei primi orientamenti della giurisprudenza amministrativa che hanno stabilito che, in ogni caso, l'applicazione di specifiche previsioni riguardanti gli appalti nei settori «ordinari» debba essere estesa anche ai settori esclusi ed è censurabile per manifesta irragionevolezza l'eccessiva discrezionalità della stazione appaltante (Cons. St.V, n. 2752/2014). Sul punto, anche in tema di applicazione sulla valutazione dei requisiti generali degli operatori economici, la posizione dell'ANAC riflette un orientamento consolidato (cfr. parere di precontenzioso ANAC, n. 14/2014). Sembra invece definitivamente tramontato l'orientamento minoritario che individuava una giurisdizione civile in materia di scelta diretta del contraente nei settori esclusi (cfr. T.A.R. Basilicata I, n. 298/2016). È con questa premessa che occorre quindi procedere ad una sommaria ricognizione delle varie modalità di affidamento in ragione delle precipue peculiarità indicate nel prosieguo. 2) Quali sono le regole sostanziali e i problemi di giurisdizione per i cd. «contratti attivi»? Secondo T.A.R. Salerno n. 7277/2021, va confermata l'interpretazione giurisprudenziale era stata affermata l'inerenza dei principi e delle regole di evidenza pubblica anche ai contratti attivi stipulati dalle pubbliche amministrazioni in quanto derivante direttamente dal Trattato sul funzionamento dell'U.E. le cui disposizioni “trovano attuazione non solo nelle ipotesi in cui una puntuale prescrizione del diritto comunitario derivato ne renda obbligatorio l'utilizzo ma, più in generale, in tutti i casi in cui un soggetto pubblico decida di individuare un contraente per l'attribuzione di un'utilitas di rilievo economico comunque contendibile fra più operatori del mercato” (Cons. St. VI, n. 2280/1998). Tali conclusioni trovano ora pieno riconoscimento nell'art. 4 del d.lgs. n. 50/2016, a mente del quale “L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica». Per l'affidamento dei contratti attivi, espressamente inclusi nel citato art. 4 in virtù dell'art. 5 del decreto correttivo al codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 56/2017, art. 5, comma 1), non è previsto il ricorso alla procedura di evidenza pubblica, ed è dunque sufficiente – ma al contempo necessario in base alle norme di contabilità di Stato e ai principi di estrazione europea – lo svolgimento di una procedura di valutazione idonea a rispettare i richiamati principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità e tutela dell'ambiente ed efficienza energetica (Cons. St., comm. spec., parere m. 1241/2018). Anche per tale tipologia di contratti, dunque, si richiede il rispetto di regole minimali di evidenza pubblica, di matrice eurounitaria, a tutela della concorrenza e del mercato in corrispondenza della cessione di beni che appartengono alla collettività. I principi esposti trovano applicazione al caso in esame in cui la Comunità Montana ha disatteso tali regole minimali di pubblicità e trasparenza, procedendo in via diretta all'individuazione del contraente per la stipula del contratto di locazione, nonostante la presenza di formali manifestazioni di interesse da parte di altri operatori. S e si o può infatti convenire che «la trattativa privata non si pone in contrasto neppure con i principi di imparzialità e di parità di trattamento, in quanto il confronto concorrenziale risultava già assicurato dall'indizione della gara andata deserta» (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 2595/2020), occorre tuttavia rilevare come, nel caso di specie, il confronto concorrenziale non ha avuto modo di esplicarsi atteso che, come ammesso dalla stessa Comunità Montana, la gara aveva un oggetto (affidamento diretto della gestione) nettamente diverso dalla modalità di utilizzazione del bene poi prescelta (locazione). Quanto alla giurisdizione, il Tirbuanle di Salerno non ritiene o di poter dare ingresso alla collegata domanda di «revoca/annullamento» del contratto di locazione, pervenendo alal declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Si richiama, al riguardo, l'autorevole insegnamento dell'Adunanza Plenaria (sent. n. 10/2011) la quale ha statuito che «al di fuori dei casi in cui l'ordinamento attribuisce espressamente al giudice amministrativo la giurisdizione sulla “sorte del contratto” che si pone a valle di un procedimento amministrativo viziato (v. art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, c.p.a., in tema di contratti pubblici relativi a lavori, servizi, e forniture), secondo l'ordinario criterio di riparto di giurisdizione spetta al giudice amministrativo conoscere dei vizi del procedimento amministrativo, e al giudice ordinario dei vizi del contratto, anche quando si tratti di invalidità derivata dal procedimento amministrativo presupposto dal contratto», precisando peraltro, per quanto di interesse, che «tale riparto di giurisdizione non fa però venire meno l'interesse a impugnare davanti al giudice amministrativo gli atti amministrativi prodromici di un negozio societario, atteso che il loro annullamento produce un effetto viziante del negozio societario a valle, con la conseguente possibilità di: – azionare rimedi risarcitori; – impugnare il negozio societario davanti al giudice ordinario; – chiedere all'Amministrazione l'ottemperanza al giudicato amministrativo, e, in caso di perdurante inottemperanza, adire il giudice amministrativo che in sede di ottemperanza può intervenire sulla sorte del contratto (Cons. St., Ad. plen., 30 luglio 2008 n. 9)». Lo stesso Tar Salerno ha in precedenza osservato che «gli atti della fase pubblicistica rappresentano un ”presupposto” legale del contratto, incidente come tale ab externo sulla struttura negoziale in termini che (non potendo configurarsi in termini di invalidità della fattispecie) incidono, sotto il profilo effettuale, in termini di inefficacia» (T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, n. 1604/2014) nonché dalla Adunanza Plenaria, secondo cui «la separazione imposta dall'art. 103, comma 1, Cost. tra il piano negoziale e quello procedimentale, se preclude ogni pronunzia da parte del giudice amministrativo sul regolamento dei rapporti con l'aggiudicatario connessi all'annullamento dell'atto illegittimo (Cass. S.U., n. 27169/2007), non incide in alcun modo sulla realizzazione in concreto dell'effetto conformativo sia da parte dell'amministrazione, nell'esecuzione spontanea del giudicato, sia da parte del giudice dell'ottemperanza, nell'eventuale fase dell'esecuzione» (Cons. St., Ad. plen., n. 9/2008). BibliografiaD'Ottavi, Princìpi relativi all'affidamento dei contratti esclusi, in Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021; Follieri, Contratti esclusi, in Clarich (a cura di), Commentario al Codice dei Contratti Pubblici, II ed., Torino, 2019; Rovelli, Manuale del r.u.p., Roma, 2021; Viola, Forme contrattuali non regolate in tutto o in parte dal Codice, in Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), I contratti pubblici, Roma, 2021. |