Codice di Procedura Civile art. 669 quater - Competenza in corso di causa (1).

Vito Amendolagine

Competenza in corso di causa (1).

[I]. Quando vi è causa pendente per il merito la domanda deve essere proposta al giudice della stessa.

[II]. Se la causa pende davanti al tribunale la domanda si propone all'istruttore oppure, se questi non è ancora designato [168-bis] o il giudizio è sospeso [295 ss.] o interrotto [299 ss.], al presidente, il quale provvede ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 669-ter.

[III]. Se la causa pende davanti al giudice di pace, la domanda si propone al tribunale (2) (3).

[IV]. In pendenza dei termini per proporre l'impugnazione [325, 327] la domanda si propone al giudice che ha pronunziato la sentenza.

[V]. Se la causa pende davanti al giudice straniero, e il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, si applica il terzo comma dell'articolo 669-ter.

[VI]. Il terzo comma dell'articolo 669-ter si applica altresì nel caso in cui l'azione civile è stata esercitata [76 1 c.p.p.] o trasferita [75 1 c.p.p.] nel processo penale, salva l'applicazione del comma 2 dell'articolo 316 del codice di procedura penale [317 1-2 c.p.p.].

(1) La sezione (comprendente gli articoli da 669-bis a 669-quaterdecies ) è stata inserita dall'art. 74, comma 2, l. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 1° gennaio 1993. L' art. 92 stabilisce inoltre: « Ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti ». L'art. 90, comma 1, l. n. 353, cit., come sostituito dall'art. 9 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534, estende ulteriormente l'applicabilità delle disposizioni ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995.

(2) Comma così modificato dall'art. 39 l. 21 novembre 1991, n. 374.

(3) V. sub art. 661.

Inquadramento

L'art. 669-quater c.p.c., introdotto dalla l. n. 353/1990 nel nuovo procedimento uniforme per le misure cautelari, disciplina la richiesta di tutela cautelare durante il giudizio di merito, che tradizionalmente si accompagna alla possibilità di proporre tale istanza prima di incardinare il processo a cognizione piena ai sensi dell'art. 669-ter c.p.c.

In dottrina, si è posto il problema se anche nel processo cautelare in corso di causa la forma dell'atto introduttivo debba essere necessariamente quella del ricorso, attesa altresì la sua differente rilevanza a seconda che l'azione cautelare sia promossa autonomamente quando è già pendente il giudizio di merito oppure insieme all'atto con il quale si instaura quest'ultimo giudizio.

Al riguardo, si è infatti osservato che mentre nella prima ipotesi si potrebbe pensare ad una dichiarazione verbale ad hoc da inserire nel verbale d'udienza, nel secondo caso, l'azione cautelare potrebbe essere promossa con lo stesso atto di instaurazione del giudizio a cognizione piena – che a seconda del rito di cognizione ordinaria o speciale inerente il giudizio di merito – potrebbe anche avere la stessa forma del ricorso prescritta dall'art. 669-bis c.p.c., e se invece differente, perché ad esempio introdotta con atto di citazione, ciò sarebbe comunque coerente conil principio generale di libertà delle forme sancito dall'art. 121 c.p.c. (Turroni 2017, 10, il quale, non manca di rilevare come ciò sarebbe del resto coerente con la tesi secondo cui l'azione cautelare in corso di causa non provoca un procedimento autonomo, ma è un incidente interno al giudizio dimerito).

In tale senso, sembra deporre anche l'orientamento formatosi nella giurisprudenza di legittimità.

La fattispecie della contestuale proposizione della domanda di merito e dell'istanza di misura cautelare secondo la giurisprudenza di legittimità, benché non contemplata esplicitamente dalla legge, è del tutto valida, costituendo una delle possibili forme di richiesta di provvedimenti cautelari in corso di causa (Cass. IV, n. 16851/2011).

Il provvedimento cautelare richiesto al giudice istruttore della causa pendente nel merito concreta unsubprocedimento incidentale inseritonel procedimento principale (Cass. II, n. 3436/2011).

In quest'ottica, si è anche osservato che alle medesime conclusioni può pervenirsi anche ponendosi dall'angolazione riguardante la parte che sia ricorrente in sede cautelare nonostante già evocata nel giudizio di merito instaurato nei suoi confronti, atteso che se è vero che la costituzione nel procedimento cautelare non può valere certamente, sic et sempliciter, come costituzione nel giudizio di merito, non può tuttavia escludersi che le due costituzioni intervengano in un unico atto qualora la parte abbia in tale unico atto compiutamente posizione rispetto ad entrambi i giudizi, di merito e cautelare.

Pertanto, deve ritenersi che, con un unico atto, il ricorrente pendente la causa per il merito si possa costituire sia nel giudizio di merito sia nel giudiziocautelare, e che tale costituzione può spiegare efficacia sanante di ogni eventuale nullità della notifica dell'atto introduttivo (Cass. IV, n. 5904/2005).

La fondatezza della domanda cautelare anche se proposta pendente la causa per il merito, dipende dal positivo accertamento del fumus boni iuris e del periculum in mora ragione per cui il ricorso deve senz'altro contenere gli elementi utili a consentire la verifica di questi requisiti come accade nel ricorso ante causam (Turroni 2017, 5).

L'ipotesi della domanda cautelare in corso di causa comprende tutte le istanze che siano formulate dopo la notificazione dell'atto di citazione, anche se manca ancora la costituzione, o dopo il deposito del ricorso di merito per i riti che impongono tale forma dell'atto introduttivo.

 Le spese del procedimento cautelare in corso di causa vanno liquidate contestualmente alla decisione del merito, atteso che l'esito della fase cautelare endoprocessuale non ha un'autonoma rilevanza ai fini della complessiva regolamentazione delle spese di lite, in quanto il criterio della soccombenza non si fraziona a seconda dell'esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente alla decisione finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un risultato ad essa favorevole (Cass. I 2 settembre 2022 n. 25927). In tale senso, si è infatti aggiunto e chiarito che, nel regime successivo alla novella introdotta con la l. n. 80/2005, l'ordinanza di rigetto del reclamo cautelare proposto in corso di causa non deve contenere un'autonoma liquidazione delle spese della fase cautelare endoprocessuale, essendo tale liquidazione rimessa al giudice di merito contestualmente alla valutazione dell'esito complessivo della lite. Qualora invece tale liquidazione sia comunque stata effettuata, deve allora essere riconsiderata insieme alla decisione del merito della causa e, ove non lo sia, e sia dedotto uno specifico motivo di appello sul punto, il giudice di appello è tenuto ad una riconsiderazione complessiva delle spese di lite, comprensive delle spese del procedimento endoprocessuale, sulla base dell'esito del giudizio (Cass. III , n. 12898/2021).

La domanda cautelare se è già pendente la causa di merito deve essere proposta al giudice della stessa.

L'art. 669-quater c.p.c. sembra escludere dalla sfera di applicazione del procedimento cautelare uniforme i procedimenti di istruzione preventiva e tutti gli altri istituti cautelari previsti dal codice di procedura civile non ricompresi nell'ambito dell'art. 669-quaterdecies c.p.c. (Turroni 2017, 1; contra questa impostazione, Carratta 88; Vullo 2017, 646).

Tuttavia, la tendenziale identità – sancita anche dall'art. 669-ter, comma 1, c.p.c. – oltre che dall'art. 669-quater, comma 1, c.p.c., tra il giudice competente a pronunciare sulla domanda cautelare e quello chiamato a decidere il merito, non costituisce una regola assoluta ed indefettibile, sussistendo delle ipotesi derogatorie previste dal legislatore.

L'art. 669-quater c.p.c. disciplina compiutamente una serie di aspetti quali nell'ordine: la competenza negli organi giudicanti a struttura collegiale, la negazione al giudice laico del potere di emanare misure cautelari, la legittimazione del giudice dopo la pronuncia della sentenza, l'ipotesi di pendenza della causa davanti al giudice straniero ed il trasferimento dell'azione civile nel processo penale.

La competenza cautelare del giudice già investito della causa di merito ha natura sostanzialmente funzionale, sicché la disciplina dell'art. 669-quater c.p.c. non può essere derogata e ciò a prescindere da fatto se egli sia o meno competente a decidere la controversia a cognizione ordinaria (Trib. Milano 10 marzo 2016; Trib. Latina 26 ottobre 2010; Trib. Bari 23 settembre 2005; Trib. Trani 24 gennaio 2004; Trib. Roma 14 maggio 2003; Pret. Torino 4 luglio 1997).

Sul tema della competenza funzionale di cui all'art. 669-quater c.p.c., v. Luiso 2013, 205; Muscardini, 364.

A tale fine, se il giudizio di merito pende davanti al tribunale la domanda si propone al giudice istruttore della causa oppure, se questi non è stato ancora designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c. come del resto avviene anche per l'iscrizione a ruolo dei procedimenti ordinari, oppure qualora il giudizio è sospeso od interrotto, al presidente dell'ufficio giudiziario adito – ovvero, nei tribunali divisi in più sezioni, al presidente della sezione competente – il quale provvede ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 669-ter c.p.c. mentre se la controversia è pendente davanti al giudice di pace, la domanda si propone al tribunale.

In tale ipotesi, la dottrina ha evidenziata la problematica concernente la possibilità di una discrepanza tra il giudice competente per la causa di merito e quello designato per la trattazione del procedimento cautelare, atteso che nessuna norma impone al dirigente dell'ufficio giudiziario adito l'assegnazione del procedimento cautelare allo stesso giudice designato per il merito, sulla scorta del rilievo che certamente la lettera della legge consente di addivenire a tale conclusione (Martucci 62; Carpi 1990, 1258, osserva che l'art. 669-ter, ultimo comma, c.p.c. non è chiaro se il magistrato debba rimanere lo stesso anche per la successiva causa di merito oppure se al momento dell'iscrizione a ruolo della causa di merito possa essere fatta una diversa designazione).

Quando pendono i termini per proporre l'impugnazione, dunque in fase di gravame, la domanda si propone al giudice che ha pronunziato la sentenza, quindi al giudice di prime cure, mentre se la causa di merito pende davanti al giudice straniero, e il giudice italiano non è competente a conoscere il giudizio di merito, trova applicazione l'art. 669-ter, comma 3, c.p.c. per cui, la domanda si propone al giudice, che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare.

Tale ultima disposizione – art. 669-ter, comma 3, c.p.c. – si applica altresì nel caso in cui l'azione civile è stata esercitata o trasferita nel processopenale, salva però l'applicazione dell'art. 316, comma 2, c.p.p. il quale, se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato, disciplina i presupposti e gli effetti del provvedimento di sequestro conservativo richiesto dalla parte civile sui beni dell'imputato o del responsabile civile, secondo quanto previsto dall'art. 316, comma 1, c.p.p. che a tale fine, se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato, dispone che il pubblico ministero, in ogni stato e grado del processo di merito, chiede il sequestro conservativo dei beni mobili od immobili dell'imputato o delle somme o cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento.

Trova inoltre applicazione l'art. 317 c.p.p. quanto alla forma del provvedimento ed alla relativa competenza.

Va anche detto che i documenti prodotti nel corso di un procedimento cautelare introdotto quando già pende il giudizio di merito sono utilizzabili anche in quest'ultimo processo soltanto se la loro produzione è avvenuta prima che nel giudizio di merito siano maturate le preclusioni e decadenze istruttorie che disciplinano il rito a cognizione piena (Cass. II, n. 13631/2017; Cass. III, n. 14338/2009).

La questione è stata risolta dalla giurisprudenza applicando i principi dell'ordinamento in ordine ai rapporti tra cautelare e giudizio di merito, nonché le regole che disciplinano lo specifico rito ordinario o speciale di quest'ultimo giudizio, per quanto attiene all'osservanza dei termini per il deposito delle richieste istruttorie ed annesse produzioni documentali, considerando le caratteristiche dei procedimenti – cautelare e di merito – che possono intrecciarsi fra le parti interessate ad entrambi i procedimenti.

Il principio espresso con riferimento ad un provvedimento cautelare richiesto nel corso del giudizio di merito coordina il generale principio per il quale, nel procedimento cautelare non è ipotizzabile un doppio grado di giudizio in senso proprio, ma solo uno svolgimento in fasi diverse, nel quale non sono configurabili preclusioni o decadenze (Trib. Milano 18 ottobre 2002), il cui fine è dunque chiaramente ravvisabile nell'evitare un aggiramento delle preclusioni istruttorie già maturate nell'ambito del giudizio principale di merito.

È vero che gli elementi fattuali e probatori suscettibili di essere posti a fondamento del reclamo possono ben essere ampliati rispetto a quelli conosciuti dal giudice a quo, sì da connotarsi, la fase di reclamo, come una vera e propria prosecuzione della fase di emissione del provvedimento cautelare, che si arricchisce di un nuovo momento decisorio caratterizzato dall'alterità soggettiva del giudice, ma tale specifica caratterizzazione non può spingersi sino a tollerare che, senza che si alleghino accadimenti o motivi sopravvenuti, le circostanze originarie di una vicenda siano modificate liberamente dalla parte reclamante, la quale, non può dunque dinanzi al giudice a quo proporre un fatto in un certo modo e poi, dinanzi al giudice del reclamo, prefigurarlo in un altro (Trib. Palermo 22 marzo 2019). Ciò posto, nel procedimento cautelare il ricorrente può colmare davanti al Collegio le lacune probatorie occorse in fase monocratica, vista la natura completamente devolutiva del reclamo cautelare e visto il dettato dell'art. 669-terdecies, comma 4, c.p.c., che ammette in modo esplicito la possibilità di produzione di documenti nuovi ed ulteriori utilizzabili a fini delladecisione (Trib. Reggio Emilia 11 febbraio 2019).

La regola generale traibile dall'ordinamento, per cui il processo cautelare è autonomo rispetto al giudizio di merito va dunque correlata alla caratteristica della strumentalità propria del primo rispetto al secondo, che appare connotata da maggiore intensità se il procedimento cautelare è proposto nel corso del giudizio di merito già instaurato.

Non appare in tale caso possibile sostenere che il processo cautelare che sopravviene al processo di merito già avviato ed in una fase già avanzata di trattazione possa restare totalmente indifferente alle vicende di quest'ultimo, non potendo attribuirsi al legislatore l'intento di determinare attraverso la pronuncia cautelare emessa quando già pende la causa di merito un assetto di interessi che non potrebbe trovare rispondenza nel processo di merito già esistente, e secondo la configurazione da questo già assunta.

Infatti, sebbene non osti alcuna decadenza processuale alla proposizione della domanda cautelare durante la pendenza del giudizio di merito, ciò vale con l'osservanza dell'unico limite per il quale nuove allegazioni e deduzioni probatorie volte a provare il fumus boni iuris della richiesta cautela, non possono essere effettuate se quelle stesse allegazioni risultano ormai precluse al fine della cognizione della causa di merito (Tommaseo, 101).

Al riguardo, vige dunque la regola per la quale, se la documentazione posta da una parte a sostegno di una domanda o di un'eccezione che la medesima è tenuta a dimostrare, in omaggio alla disciplina generale desumibile dall'art. 2697 c.c., non è stata prodotta tempestivamente nel giudizio di merito, la stessa documentazione non potrà essere trasmessa al consulente tecnico d'ufficio nel corso delle operazioni peritali (Giordano 2017, 1).

In considerazione della circostanza che la domanda cautelare quando è pendente la causa per il merito, alla luce dell'art. 669-quater c.p.c., deve essere proposta al giudice del merito, laddove il ricorso abbia ad oggetto le medesime pretese edomande oggetto del procedimento di merito, va dichiarata inammissibile (Trib. Milano 25 febbraio 2005).

Il giudizio di merito pendente

L'introduzione del procedimento cautelare disciplinato dall'art. 669-quater c.p.c. attiene ad una fattispecie in cui risulta già pendente il giudizio di merito, ragione per cui occorre porsi la seguente domanda: quando può considerarsi instaurato quest'ultimo procedimento?

In linea generale, quando l'istanza cautelare è contenuta nello stesso atto introduttivo del giudizio di merito si considera come proposta in corso di causa (Celeste 2010, 140).

È inammissibile il ricorso cautelare proposto come ricorso ante causam e come prodromico ad azione di merito che sia proposto con ricorso depositato dopo la notificazione dell'atto di citazione introduttivo di un giudizio di merito avente il medesimo oggetto (Trib. Roma 7 luglio 2005).

La risposta al suddetto quesito deve indubbiamente tenere conto della differente modalità di introduzione della litispendenza con riferimento al giudizio di merito a seconda del rito applicabile: ordinario o speciale.

Nella prima ipotesi – rito ordinario di cognizione – occorrerà riferirsi alla «notifica» dell'atto di citazione, mentre nell'eventualità in cui trovi invece applicazione la speciale disciplina del rito del lavoro – per la «pendenza» della lite occorrerà fare riferimento al «deposito» del ricorso ed all'avvenuto «contatto» della parte con il giudice.

Ai fini della pendenza della lite, è sufficiente che si realizzi il contatto tra due dei tre soggetti del processo, nelle controversie soggette al rito del lavoro tale pendenza si determina con il deposito del ricorso introduttivo nella cancelleria del giudice, instaurandosi in questo momento un rapporto fra due dei soggetti tra i quali si svolge il giudizio (Cass. S.U., n. 4676/1992; Cass. IV, n. 1945/1990).

Nei procedimenti che iniziano con ricorso, come del resto accade nello stesso rito del lavoro in relazione al quale opera il principio di diritto statuito dalla citata Cass. S.U., n. 4676/1992 od in quello locatizio, la questione della litispendenza riferita esclusivamente a tale adempimento non è considerata pacifica.

L'orientamento prevalente ritiene che il deposito del ricorso determina la prevenzione soltanto se il giudice è immediatamente in vestito di poteri decisori esercitabili inaudita altera parte, mentre quando il medesimo giudicante, prima dell'instaurazione del contraddittorio, si limita al compimento di un'attività meramente ordinatoria, occorre guardare alla notifica del ricorso introduttivo della lite ed al decreto di fissazione dell'udienza di prima comparizione delle parti (Celeste 2010, 141).

La precisazione è importante, perché mentre in quest'ultimo caso, il deposito dell'atto introduttivo del giudizio di merito segna anche la formale «costituzione» del ricorrente nel giudizio di merito, coincidendo con l'iscrizione a ruolo del relativo giudizio, nella diversa ipotesi della notifica dell'atto di citazione nell'ordinario rito di cognizione, l'adempimento che identifica la suddetta costituzione dell'attore è posticipato ad una diversa data, necessariamente spostata «in avanti» rispetto alla precedente notifica dell'anzidetto atto introduttivo del contenzioso di merito.

È, infatti, evidente come le preliminari questioni aventi rilevanza squisitamente processuale in termini di competenza del giudice adìto per il merito non siano del tutto indifferenti in ordine alla proposizione della domanda cautelare in corso di causa.

Infatti, poiché la pendenza del giudizio di merito è segnata dalla notificazione del relativo atto di citazione, ove un ricorso cautelare venga depositato prima di detta notificazione, non potrà affermarsi la competenza del giudice adito per la causa del merito difettando il requisito dell'attuale pendenza della causa stessa, ragione per cui, la instaurazione del procedimento cautelare dovrà considerarsi incardinata ante causam dinanzi al diverso giudice indicato dal ricorrente ritenuto competente per il giudizio di merito, atteso che il giudice della cautela può solo verificare la propria competenza ad emettere il richiesto provvedimento cautelare, eventualmente anche in via d'urgenza, ma non certo declinare la propria competenza, a tale fine, indicando un diverso giudice competente per il merito (Cass. I, n. 11724/1993).

Non solo, mentre nel giudizio di merito retto dal rito ordinario, la notifica dell'atto di citazione segna la litispendenza, ragione per cui quest'ultima continua a sussistere anche quando non segua l'iscrizione a ruolo nei termini previsti ex lege, fino a quando è possibile la riassunzione del relativo giudizio, quid juris nel caso in cui nel rito speciale il ricorso depositato – momento a partire dal quale si verifica la litispendenza – non venga notificato unitamente al decreto di fissazione della relativa udienza nel rispetto dei termini stabiliti dal codice di rito, ovvero il medesimo atto introduttivo risulti comunque affetto da vizi riguardanti anche l'editio actionis?

Al riguardo, va precisato che la disciplina della sanatoria di cui all'art. 164 c.p.c. prevede una netta distinzione quanto alle conseguenze della rinnovazione dell'atto nullo atteso che, mentre i vizi afferenti alla vocatio in ius sono sanati con effetto ex tunc , quelli relativi all' editio actionis sono invece sanati con effetto ex nunc (Cass. I, n. 11549/2019; Cass. VI, n. 23667/2018).

Ciò non toglie, però, che nel caso in cui il ricorso risulti non affetto da una nullità comunque sanabile, ma dalla ben più grave inammissibilità conseguente alla sua stessa modalità di proposizione, cartacea anziché telematica, prevista come obbligatoria ex lege, appare evidente che la domanda di merito così proposta non potendo essere sanata, debba considerarsi tamquam non esset ai fini dell'operatività delle disposizioni desumibili dall'art. 669-quater c.p.c. in ordine alla domanda cautelare medio tempore proposta dalla stessa parte ricorrente.

Infatti, poiché non appare sostenibile la tesi che il deposito cartaceo non autorizzato, in aperta violazione della normativa che ne prevede l'esclusività ed obbligatorietà possa comunque raggiungere lo scopo proprio dell'atto, che nel caso qui considerato è quello di introdurre il giudizio di merito pendendo il quale, l'introduzione della domanda cautelare è disciplinata dall'art. 669-quater c.p.c., appare evidente come ove si realizzi invece una situazione del genere, l'istanza cautelare anzidetta non possa affatto sussumersi nel perimetro disegnato da quest'ultima fattispecie normativa, stante l'inammissibilità del giudizio di merito introdotto con una modalità errata, sebbene dinanzi all'ufficio giudiziario correttamente individuato.

L'individuazione della pendenza del giudizio di merito

La strumentalità della tutela cautelare rispetto alla decisione di merito, comporta che non può ammettersi la proposizione di una domanda cautelare nell'ambito di un giudizio a cognizione piena caratterizzato da una differente identità quanto a soggetti, petitum e causa petendi (Trib. Locri 16 maggio 2013; Trib. Roma 2 novembre 1994).

Conseguentemente, ai fini dell'individuazione della pendenza del giudizio di merito in rapporto ad una determinata istanza cautelare occorre avere riguardo alla necessaria corrispondenza della causa petendi ed al petitum confrontandoli con quelli posti a fondamento del giudizio di merito.

In tale ottica, quanto enunciato dall'art. 669-quater c.p.c. non si riferisce ad una qualunque causa pendente per il merito, ma soltanto a quella specificamente attinente al petitum ed alla causa petendi posti a base del fumus e periculum allegati nell'istanza cautelare.

Pertanto, ove sussista una radicale diversità della causa petendi e del petitum del giudizio di merito pendente, ciò fa sì che la domanda cautelare non possa essere proposta nell'ambito di tale giudizio, atteso che per causa pendente per il merito – ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c. – deve intendersi soltanto il giudizio avente ad oggetto l'accertamento dello stesso diritto che il ricorrente afferma essere minacciato in sede cautelare.

In altre parole, occorre che sussista un rapporto di inerenza attuale tra una tale domanda e la lite in corso, nel senso che la lite deve comprendere nel suo oggetto l'accertamento anche nel diritto alla cui tutela tende, in via provvisoria, il richiesto provvedimento cautelare.

Conseguentemente, nel ricorso cautelare proposto in corso di causa si è ritenuto che difetti tale identità in una fattispecie in cui il condominio ricorrente è stato convenuto nel giudizio di merito avente ad oggetto le domande attoree di annullamento e/o revoca di una delibera condominiale, che è del tutto diversa rispetto alla domanda formulata dal medesimo condominio di escludere e/o limitare l'utilizzo dell'area comune ad uso reception per asserita violazione della normativa sulla tutela della privacy (Trib. Udine 11 febbraio 2019).

In dottrina, si è quindi evidenziata la necessità di individuare con esattezza il concetto di causa pendente per il merito, a tale fine individuandola soltanto quando vi sia identità di parti, di petitum e di causa petendi fra la causa già pendente e quella relativa all'introduzione della domanda cautelare, ragione per cui tale condizione non si verifica nell'ipotesi in cui uno dei suddetti elementi sia differente, ovvero quando non vi sia l'identità delle parti nei due procedimenti — di merito e cautelare – ovvero quando il petitum risulti essere limitato in uno dei due giudizi, oppure il diritto sostanziale introdotto con la domanda principale sia meramente connesso a quello introdotto con la domanda cautelare (Celeste 2010, 140).

Questa impostazione trova conferma nella circostanza che la richiesta di procedimento cautelare inoltrata al giudice istruttore della causa di merito dà luogo ad una fase incidentale inserita nel procedimento principale (Trib. Latina 26 ottobre 2010; Trib. Napoli 6 marzo 2007).

Infatti, soltanto l'esistenza di un giudizio di merito già «pendente» consente l'apertura di un sub-procedimento avente ad oggetto il procedimento cautelare – la cui caratteristica fondamentale è di essere strumentale al giudizio di merito – nella modalità prevista dall'art. 669-quater c.p.c.

Così come il rapporto di strumentalità viene meno se la domanda introduttiva del giudizio di merito è differente rispetto a quella del procedimento cautelare (Trib. Biella 8 marzo 1996), alla stressa conclusione si perviene quando la diversità di petitum e causa petendi riguarda la domanda cautelare proposta in corso di causa rispetto a quella già pendente per il merito, anche nell'ipotesi in cui quest'ultima originariamente non diversa da quella indicata nel ricorso, sia diventata tale in seguito, nel prosieguo dello stesso giudizio a cognizione piena (Trib. Biella 8 marzo 1996 cit.).

Infatti, per causa di merito ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c. non è da intendersi solo quella che abbia ad oggetto l'accertamento di un diritto sostanziale fatto valere da una parte contro l'altra, bensì ogni causa che tenda al conseguimento della tutela giuridica rispetto alla quale il provvedimento cautelare sia strumentale (App. Milano 25 gennaio 1994).

I rapporti tra la domanda cautelare in corso di causa ed il giudizio di merito

Il procedimento cautelare termina con l'emissione dell'ordinanza, di accoglimento o di rigetto, all'esito della fase innanzi al giudice monocratico ovvero di quella di reclamo al collegio. Il successivo processo di cognizione avente ad oggetto il diritto cautelato ne rimane necessariamente separato, e richiede per la sua instaurazione un'autonoma domanda giudiziale proposta nelle forme di rito e avente uno specifico contenuto di merito.

La competenza cautelare del giudice già investito della causa di merito ha natura funzionale sì che – anche per le regole attinenti al riparto delle controversie tra i diversi giudici di uno stesso tribunale in relazione ai criteri tabellari – la disciplina dell'art. 669-quater c.p.c. non potrebbe essere in alcun modo derogata (Trib. Latina 26 ottobre 2010).

In dottrina, sulla competenza funzionale, a proposito dell'art. 669-quater c.p.c., v. Recchioni 2005, 38.

Ne consegue che tale domanda non può essere vicariata da un provvedimento del giudice che ha emesso la misura cautelare, il quale disponga la prosecuzione del procedimento innanzi a sé, con le forme della cognizione ordinaria, per poi provvedere con sentenza sul diritto controverso. Il processo di cognizione che si svolga in difetto dell'atto propulsivo di parte, a causa dell'erronea fissazione giudiziale di un'udienza posteriore all'ordinanza cautelare, è quindi affetto da nullità assoluta per violazione del principio della domanda, rilevabile d'ufficio dal giudice e non sanata dall'instaurarsi del contraddittorio tra le parti (Cass. II, n. 7260/2015; Cass. IV, n. 12557/2003).

Il procedimento cautelare è sempre autonomo e distinto dalgiudizio di cognizione volto ad acclarare definitivamente l'esistenza del diritto sottoposto a cautela.

Nel giudizio di cognizione, è perciò consentito proporre tutte le possibili domande attinenti al merito, pur se volte a fare valere un diritto diverso da quello cui si riferivano le domande formulate nel procedimento cautelare, né è ravvisabile alcuna inammissibilità della domanda articolata nel giudizio di merito per diversità e, quindi, per novità di essa rispetto a quella precedentemente formulata nel ricorso diretto ad ottenere il provvedimento cautelare, mancando una qualsiasi norma processuale che, in deroga ai generali principi sulla cumulabilità delle azioni, precluda di introdurre dinanzi al giudice del processo di cognizione piena una domanda ulteriore rispetto a quella già oggetto della invocata tutela cautelare (Cass. II, n. 2623/2021; Cass. III, n. 22830/2010).

Nulla impedisce allora che nel giudizio di merito, introdotto dagli stessi soggetti, siano presenti anche altri che siano parti originarie, che fanno valere la medesima causa, od interventori autonomi o adesivi, i quali prospettino posizioni collegate al rapporto dedotto in giudizio, ragione per cui il giudizio di merito, che segue al cautelare, non è un atipico giudizio «chiuso» ed irreversibilmente fissato dal punto di vista soggettivo dalla fase cautelare (Cass. III, n. 22830/2010).

Questa impostazione, già consolidata, è stata ulteriormente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità anche di recente, essendosi affermato che poiché il giudizio di merito è autonomo rispetto a quello cautelare, non solo nel primo possono essere formulate domande nuove rispetto a quanto dedotto nella fase cautelare, ma nemmeno vi è necessaria coincidenza soggettiva tra le parti del primo e quelle del secondo, con la conseguenza che nella fase di merito ben possono intervenire ulteriori parti, sia in via adesiva che autonoma, sia a seguito di chiamata in causa, a condizione che le loro pretese siano collegate al rapporto dedotto in giudizio (Cass. II, n. 28197/2020).

Quest'ultima precisazione è importante, perché volta a preservare anche l'ulteriore principio della strumentalità della tutela cautelare rispetto al giudizio di merito.

In particolare, sebbene il ricorso cautelare quando già pende il giudizio di merito, deve comunque considerarsi autonomo rispetto a quest'ultimo e viceversa, quanto alla valutazione della causa petendi ed al relativo petitum attesa la teleologica tendenza che distingue la richiesta di concessione di un provvedimento cautelare quanto al fumus ed al periculum rispetto all'accertamento del diritto, che invece costituisce il fondamento posto a base della causa petendi e del petitum del giudizio di merito, va comunque considerato come non possa trascurarsi la natura strumentale dell'azione cautelare esercitata ex art. 669-quater c.p.c. la quale, impone di valutarne l'attinenza rispetto al contenzioso di merito per tale ragione dovendo iscriversi nel perimetro già disegnato da quest'ultimo.

La circostanza che a seguito dell'istanza cautelare così proposta, possa eventualmente rendersi utile la chiamata in causa di un terzo o la proposizione di ulteriori domande nello stesso giudiziodi merito pendente, non influisce sul rapporto di strumentalità di cui si è detto laddove venga rispettata la condizione che le relative pretese siano collegate al rapporto dedotto in giudizio.

In proposito, è agevole osservare che la diversità di esito del giudizio di merito rispetto a quello cautelare che può precederlo in corso di causa costituisce un'evenienza del tutto fisiologica, in un sistema in cui la funzione giurisdizionale viene esercitata, nelle due sedi processuali, alla luce di parametri, ed agendo su piani, ben differenti tra loro, e ciò a prescindere dalla circostanza che nel ricorso cautelare in corso di causa il giudice del merito è la stessa persona fisica del giudicante già pronunciatosi nella fase cautelare che ha preceduto la decisione.

La diversità dei piani sui quali si svolgono il giudizio cautelare e quello di cognizione piena dovrebbe fare dunque mancare i presupposti logici per potere cogliere, tra i due rispettivi atti decisori, un qualsivoglia rapporto conflittuale.

Tuttavia, è ugualmente vero che la domanda cautelare proposta in corso di causa ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c., esige una coerenza sul piano identitario degli elementi distintivi della causa di merito, coinvolgenti tanto le parti interessate quanto la causa petendi ed il petitum in relazione ai quali si invoca la tutela cautelare.

Infatti, se il diritto in contestazione è lo stesso in entrambi i procedimenti, cautelare e di merito, la mera coincidenza soggettiva di diritto sostanziale non può ritenersi sufficiente, dovendo essere integrata dai suddetti requisiti processuali, idonei a concretare l'identità dell'azione (Valitutti 198).

Ciò comporta che la tutela cautelare invocata in corso di causa deve essere diretta a salvaguardare lo stesso diritto soggettivo già fatto valere con la domanda introduttiva del giudizio di cognizione ordinaria, e più precisamente, ad assicurare, in tutto od anche solo in parte, quegli stessi effetti ottenibili a conclusione del processo di cognizione già instaurato, posto che per causa di merito deve intendersi l'azione sostanziale che si intende tutelare con la richiesta di concessione del provvedimento cautelare, tenendo conto delle personae, del petitum e della causa petendi che, devono essere gli stessi sia nel giudizio di merito in corso che nel procedimento cautelare ad esso inerente (Mandrioli 1997, 296).

Ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c., per causa pendente per il merito deve intendersi quella diretta all'accertamento della pretesa che l'istante intende cautelare con la conseguenza che per radicare la competenza di quest'ultimo giudizio presso il giudice già adìto per il merito è necessaria una perfetta coincidenza di parti, petitum e causa petendi fra la causa già instaurata in via ordinaria e quella che si vuole cautelare.

Il futuro giudizio di merito, al quale la cautela è propedeutica, dunque, non può in alcun modo identificarsi con una qualsiasi causa di merito già instaurata da una delle due parti, benché questa risulti in qualche misura connessa o pregiudiziale rispetto a quella a garanzia della quale è richiesto il provvedimento cautelare.

In tale ottica, anche per il cautelare richiesto in corso di causa, trova allora conferma la stessa ratio che per la proponibilità del ricorso ex art. 669-ter c.p.c.ante causam considera come necessaria indicazione della causa petendi e del petitum inerenti al giudizio di merito, anche nell'ipotesi in cui si la relativa domanda cautelare rientri tra quelle a strumentalità attenuata.

Infatti, sotto l'aspetto qui considerato, appare evidente l'identità di ratio tra le differenti modalità di introduzione della domanda cautelare, entrambe caratterizzate dal fine comune di considerare l'azione cautelare strumentale rispetto a quella principale oggetto della cognizione di merito.

Pertanto, è da escludersi l'applicabilità dell'art. 669-quater c.p.c. nel caso in cui il procedimento cautelare ed il giudizio di merito precedentemente instaurato presentino delle diversità circa i soggetti passivi delle azioni fatte valere in corso di causa e l'estensione della domanda proposta, cosicché i provvedimenti assunti nel corso dei due procedimenti non interferiranno tra loro, coprendo essi fatti illeciti differenti (Trib. Milano 6 marzo 2012).

In tal senso, occorre infatti premettere che con specifico riferimento alla tutela d'urgenza – per causa pendente per il merito ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c. – si deve intendere il giudizio avente ad oggetto l'accertamento dello stesso diritto che il ricorrente afferma essere minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile, per impedire il quale è necessario assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito.

Invero, attesa la strumentalità della tutela cautelare rispetto alla decisione di merito, non può ammettersi la proposizione di una domanda cautelare nell'ambito di un giudizio che, pur connesso a quello della cautela, non è a questo identico quanto a soggetti, petitum e causa petendi (Trib. Locri 16 maggio 2013).

Si è, quindi, ritenuta inammissibile la domanda di condanna alla restituzione del doppio della caparra versata proposta solo con il ricorso cautelare in corso di causa rappresentando una domanda nuova in ragione della diversità della causa petendi introdotta nel giudizio di merito (Trib. Bari 21 ottobre 2015).

A ben vedere, l'identità del petitum e della causa petendi cautelare rispetto al giudizio di merito pendente è anche il giusto metro per valutare il fumus ed il periculum, come del resto si è ritenuto con riferimento all'azione proposta in via d'urgenza per la sospensione dell'efficacia del provvedimento di sospensione da una carica istituzionale elettiva, atteso che la mancata rimozione degli effetti del provvedimento impugnato appare idonea a cagionare al ricorrente un pregiudizio irreparabile con l'eventuale decisione definitiva, posto che il medesimo istante non potrebbe recuperare il periodo di sospensione subito nelle more del tempo occorrente per l'accertamento definitivo del proprio diritto soggettivo nel corso del giudizio di merito (Trib. Napoli 2 luglio 2005).

Ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c., è necessaria l'identità di cause prevista dall'art. 273 c.p.c., mentre non è sufficiente la semplice connessione di cui all'art. 274 c.p.c. né un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra le due cause, sulla cui scorta, deve allora ritenersi che vi sia causa pendente per il merito solo quando vi sia identità di parti, di petitum e di causa petendi fra il giudizio già pendente e quello relativo alla richiesta misura cautelare (Trib. Roma 2 novembre 1994), atteso che, per causa di merito, deve intendersi quella diretta al conseguimento della medesima tutela giuridica rispetto alla quale il provvedimento cautelare è strumentale (App. Milano 25 gennaio 1994).

In pendenza di un giudizio di merito, instaurato tra le parti, avente lo stesso petitum e la stessa causa petendi, la competenza a conoscere delle domande proposte in via riconvenzionale in sede cautelare deve riconoscersi in capo al giudice del merito cui dovrà essere formulata una domanda cautelare in corso di causa ex art. 669-quater c.p.c. (Trib. Roma 29 novembre 2006).

La dedotta problematica della necessaria coincidenza tra causa petendi e petitum cautelare e della causa di merito, trova conferma anche laddove trattasi di decidere sull'inutilizzabilità, ai fini della pronuncia di merito, dei documenti prodotti dalle parti nell'àmbito del procedimento cautelare in corso di causa instaurato dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie.

Al riguardo, è sufficiente ricordare che i documenti prodotti nel corso di un procedimento cautelare introdotto in pendenza del giudizio di merito sono utilizzabili anche in quest'ultimo processo soltanto alla condizione che la produzione sia avvenuta prima che nel giudizio di merito siano maturate le preclusioni istruttorie (Cass. II, n. 13631/2017; Cass. III, n. 14338/2009).

La ragione è semplice, essendo fondata sul principio generale riassumibile nel concetto di parità delle armi che trova applicazione sia in sede cautelare sia nel giudizio di cognizione.

È, infatti, evidente che, proporre una domanda cautelare in corso di causa quando con riferimento a quest'ultimo giudizio sono ormai già spirati i termini per la proposizione delle istanze istruttorie, comporta un0evidente difficoltà nel considerare l'unità di causa petendi e petitum della stessa domanda cautelare rispetto al giudizio di merito già in corso, dal punto di vista della loro definitiva allegazione e prova.

È vero che nel procedimento cautelare uniforme non esistono termini di preclusione e decadenza per la formulazione delle istanze istruttorie, posto che neppure esiste una fase istruttoria precisamente e formalmente delineata dal codice di rito, stante la natura chiaramente destrutturata dello stesso procedimento ideata dal legislatore del 1990 al fine di privilegiarne il massimo grado possibile di celerità e flessibilità, ma è pur sempre vero che, la domanda proposta con il cautelare introdotto in corso di causa deve coordinarsi con la richiesta formulata dalla stessa parte nel giudizio di merito già pendente, essendo ciò evidente in base al principio della strumentalità della tutela cautelare rispetto al giudizio di merito il quale, non è contraddetto dalla sua attenuazione per effetto della riforma del 2005.

In buona sostanza, per esservi davvero identità di causa petendi e petitum cautelare rispetto al giudizio di merito già pendente, occorre che, in quest'ultimo, vi sia la possibilità concreta per tutte le parti interessate di provare il diritto soggettivo alla cui tutela è pur sempre preordinata la relativa istanza cautelare formulata in corso di causa al fine di evitare che nelle more di quest'ultimo, si verifichi il pregiudizio integrante il periculum presupposto della cautela che quest'ultima intende evitare.

E ciò a maggiore ragione per chi agisce con l'azione di accertamento negativo in via cautelare, dovendo allegare e dimostrare che si è determinata una seria incertezza sull'illiceità della sua condotta a causa dell'esistenza dell'altrui contestazione (Trib. Torino 19 dicembre 2014), oppure nell'ipotesi in cui il giudice adito in corso di causa, con una richiesta di provvedimento d'urgenza unifichi la fase cautelare ed il giudizio di merito, emanando, in luogo del provvedimento d'urgenza, un vero e proprio provvedimento definitivo di merito (Cass. III, n. 16894/2016; Cass. lav., n. 14669/2001).

Infatti, anche in entrambe le ipotesi da ultimo specificamente considerate, occorre che il provvedimento emesso al termine della fase cautelare trovi conferma in quello conseguente al termine del giudizio di merito, a ciò occorrendo un'identità dei rispettivi petitum e cause petendi, come si evince peraltro per la formulazione della prognosi positiva sull'istanza di sequestro conservativo la quale è notoriamente subordinata alla preliminare valutazione del giudizio da promuoversi, al cui esito ed effetti è strumentale il provvedimento cautelare (Trib. Trani 22 aprile 2008).

Tale identità è utile anche per verificare laddove, in corso di causa, venga introdotto un procedimento cautelare presso un giudice diverso da quello del merito, se sussista il suo difetto d'incompetenza funzionale, mancando il necessario collegamento funzionale tra la domanda cautelare e quella di merito, atteso che il provvedimento cautelare richiesto, se emesso, deve, in via provvisoria, durante lo svolgimento del giudizio di merito, assicurarne gli effetti.

In ciò rivive il rapporto di strumentalità fra il provvedimento cautelare richiesto ed il futuro giudizio di merito, al fine di verificare preliminarmente d'ufficio se la procedura è astrattamente ammissibile alla luce delle conclusioni rassegnate nel pendente giudizio di merito, in base alla prospettazione fatta dal ricorrente sulla base del fumus, atteso che il provvedimento cautelare «sterilizzando» il periculum, serve appunto ad anticipare od a garantire il risultato pratico che si intende conseguire con il successivo accertamento del diritto.

In tale ottica, è stato quindi ritenuto ammissibile e confermato il richiesto provvedimento inaudita altera parte di sequestro giudiziario formulato in corso di causa nell'ipotesi di esperimento di azioni contrattuali, c.d. ius ad rem, con cui si chieda anche la restituzione del bene costituito dalle quote sociali – le quote di partecipazione in società, che non siano incorporate in un titolo cartolare come le azioni, ben possono farsi rientrare nella categoria dei beni mobili, come descritta residualmente dall'art. 812 c.c., perché senz'altro suscettibili di formare oggetto di diritti, secondo la definizione che dei beni in generale dà l'art. 810 c.c., non discutendosi più sulla sottoponibilità a sequestro delle quote del capitale di società a responsabilità limitata ex art. 2471-bis c.c. (in precedenza, v. Cass. I, n. 6957/2000) – perché, ai sensi dell'art. 670 n. 1 c.p.c., possono formare oggetto di sequestro giudiziario non solo i beni rispetto ai quali sia stata esercitata o debba essere esercitata un'azione di rivendica, reintegrazione o manutenzione, ma anche quelli che abbiano dato luogo ad una controversia dalla cui decisione può scaturire una statuizione di condanna alla restituzione o al rilascio, eventualmente in accoglimento di un'azione personale, di una res a qualsiasi titolo pervenuta nella disponibilità di altri (Cass. II, n. 10333/1993, in materia di azione di riduzione di donazioni da parte del legittimario leso, ma i principi di cui alla sentenza sono comunque di applicazione generale come dimostra Cass. I, n. 9645/1994).

La proposizione di un'azione di mero accertamento non ammetterebbe invece la possibilità di richiedere il sequestro giudiziario in corso di causa, perché sebbene la giurisprudenza dominante ha affermato che la tutela cautelare può essere utilizzata anche con strumentale preordinazione al processo di mero accertamento e di accertamento costitutivo, ciò è consentito solo per la salvaguardia rispetto ai capi della sentenza relativi a domande accessorie e consequenziali derivanti dal mero accertamento o dall'accertamento costitutivo, ragione per cui difetta il requisito di strumentalità tra la misura cautelare richiesta e la domanda di merito esperita se quest'ultima non prevede alcuna statuizione di condanna consequenziale al mero accertamento diretto a rimuovere stabilmente l'incertezza sulla situazione giuridica controversa tra le parti, eliminabile solo con la sentenza del giudizio di merito pendente (Trib. Milano 10 febbraio 2016).

Ciò trova del resto conferma nella circostanza a cui si è già fatto riferimento innanzi, che il sequestro giudiziario, avendo una funzione esclusivamente strumentale rispetto alla domanda di merito di cui serve ad anticipare o garantire il pratico risultato, non può essere autorizzato se la domanda di merito riguardi il mero accertamento del diritto di proprietà sopra il bene, poiché una siffatta domanda non può condurre ad una condanna al rilascio totale o parziale del medesimo bene da parte di chi attualmente lo detiene, e di conseguenza, in una controversia promossa per conseguire una pronuncia di mero accertamento del diritto di proprietà su una determinata res, ma non anche per ottenerne la restituzione od il rilascio da parte di chi la detenga, non e ammissibile il sequestro giudiziario dello stesso cespite perché in tale ipotesi, verrebbe a mancare ogni utilità e funzione cautelare.

La finalità del sequestro giudiziario ai sensi dell'art. 670, n. 1), c.p.c. è infatti quella di assicurare l'utilità pratica di un futuro provvedimento decisorio e la fruttuosità della sua esecuzione coattiva mediante la consegna o il rilascio forzati di quegli stessi beni sui quali è stato autorizzato e posto il vincolo, il sequestro giudiziario (Cass. I, n. 12595/1991).

È appena il caso di aggiungere che in relazione all'opportunità di provvedere alla custodia temporanea dei beni oggetto di controversia, è opportuna la necessità di evitare che possano essere posti in essere atti dispositivi delle quote sociali, ovvero poste in essere operazioni straordinarie sul capitale, che possano incidere sulle stesse partecipazioni sociali.

Al riguardo, non è necessario il requisito del periculum in mora, quanto invece quello dell'opportunità di provvedere alla custodia del bene, per la quale (Cass. III, n. 854/1982) è sufficiente che lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporti la mera possibilità, sia pure astratta, che si determinino situazioni tali da pregiudicare l'attuazione del diritto controverso. Il prospettato rischio, che il resistente possa porre in essere atti dispositivi o comunque incidenti sul capitale sociale o sull'attività della predetta società, consente di emettere il richiesto provvedimento inaudita altera parte, al fine di preservare l'utilità concreta del richiesto provvedimento cautelare in corso di causa (Trib. Roma 10 marzo 2015).

Conseguentemente, per potere verificare la sussistenza del collegamento funzionale tra il processo di merito e quello cautelare proposto in corso di causa, l'elemento base – identificatore e diversificatore – è proprio la causa petendi, ovvero i fatti dedotti quali costitutivi del diritto fatto valere, ed integranti la sua prospettata violazione. È quindi evidente che se i fatti o le circostanze successive addotte a fondamento della domanda cautelare proposta in corso di causa sono meramente integrative della già dedotta – nel giudizio di merito pendente – causa petendi, senza modificarla nella sua essenza, la nuova deduzione costituisce, rispetto alla domanda di merito proposta, una semplice emendatio libelli, con la conseguenza che, in tale caso, la domanda cautelare deve ritenersi collegata alla già proposta causa di merito (Trib. Bari 23 settembre 2005).

La competenza cautelare quando è pendente la causa per il merito

Il testo dell'art. 669-quater c.p.c. contiene pure una serie di evenienze procedimentali, abbinando a ciascuna di esse la corrispondente previsione di competenza cautelare.

La norma anzidetta nulla dispone quanto alla competenza cautelare durante il giudizio d'appello o di rinvio, oppure durante il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, lacune cui hanno cercato di porre rimedio, con esiti spesso contrastanti, la giurisprudenza e la dottrina.

Secondo App. Catanzaro 3 luglio 1998, nei casi in cui la corte d'appello è giudice di primo ed unico grado, la competenza ad emettere i provvedimenti cautelari è riservata al collegio; ad avviso di App. Milano 19 gennaio 1995, nel corso del giudizio di gravame innanzi alla corte d'appello, spetta al collegio la competenza al rilascio del provvedimento cautelare; App. Lecce 14 luglio 1994, ha affermato che nel giudizio pendente dinanzi alla corte d'appello, è inammissibile l'istanza di sequestro proposta al consigliere istruttore e non al collegio; per App. Genova 11 luglio 1997, il giudice competente a conoscere delle istanze cautelari durante la pendenza del giudizio di cassazione è il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c.

L'attribuzione per relationem della competenza cautelare al giudice della causa di merito già pendente, per come imposta dall'art. 669-quater c.p.c., esula dalla verifica della effettiva competenza di quest'ultimo.

Il giudice della cautela, che sia ad un tempo anche giudice del merito, non deve interessarsi delle questioni pregiudiziali di rito che attengono soltanto alla trattazione a cognizione piena e completa, essendo piuttosto chiamato ad effettuare un autonomo accertamento dei presupposti processuali relativi al procedimento cautelare, sebbene comuni al processo di merito, ferma la possibilità di riesaminare la questione pregiudiziale nel prosieguo del giudizio ordinario.

Ciò premesso, perché possa parlarsi effettivamente di causa pendente per il merito, ai fini della competenza del giudice davanti al quale il provvedimento cautelare è stato proposto, occorre che sussista un rapporto di inerenza attuale fra la domanda cautelare proposta e la lite in corso, nel senso che tale lite comprende nel suo oggetto l'accertamento anche del diritto alla cui tutela tende il provvedimento di sequestro giudiziario richiesto (così Cass. III, n. 9740/1994). E ciò in quanto, il provvedimento cautelare è destinato a perdere efficacia e vigore a seguito della decisione emessa nel successivo giudizio di merito nella quale rimangono assorbiti e caducati, con il conseguente esaurimento della funzione cautelare (Trib. Milano 14 giugno 2016; Cass. II, n. 4964/2004).

La quaestio relativa all'interpretazione dell'art 669-quater, comma 1, c.p.c. nell'ipotesi di una palesata incompetenza del giudice adìto per la trattazione nel merito ha stimolato un consistente dibattito in dottrina, cui sono conseguite, come spesso accade a fronte di un dato normativo non chiaro, decisioni giurisprudenziali a loro volta antitetiche che possono sostanzialmente riassumersi in due diversi orientamenti di fondo.

Ad un primo orientamento più rigoroso, che conferisce al giudice adito per il merito il potere di statuire in via cautelare seppur incompetente, si contrappone un altro, che invece nega la competenza del giudice adito se incompetente nel merito a statuire sulle richieste cautelari articolate nel corso del giudizio.

Laddove, in corso di causa, venga introdotto un procedimento cautelare presso un giudice diverso da quello del merito, sussiste il suo difetto di incompetenza funzionale, mancando il necessario collegamento funzionale tra la domanda cautelare e quella di merito, atteso che il provvedimento cautelare richiesto, se emesso, deve, in via provvisoria, durante lo svolgimento del giudizio di merito, assicurarne gli effetti (Trib. Bari 23 settembre 2005).

L'interpretazione sopra riferita sembra trovare il proprio supporto di fondo nell'esigenza di garantire la funzione essenziale della tutela cautelare nell'assicurare effettività alla tutela giurisdizionale, neutralizzando i pregiudizi che la pretesa azionata potrebbe subire a causa della durata del processo a cognizione piena destinato a sfociare, peraltro, in una declaratoria di incompetenza.

In nome di tale assorbente e primario interesse, l'interpretazione del dato letterale sembrerebbe evidenziare da un lato che, il riferimento al giudice della causa pendente per il merito imporrebbe per relationem di ancorare il procedimento cautelare al giudizio di merito effettivamente instaurato, e d'altro lato, la piena compatibilità di tale interpretazione con il principio della strumentalità propria della misura cautelare rispetto al procedimento di cognizione piena, sulla scorta dell'art. 50 c.p.c. dal quale viene fatta derivare la permanenza dell'efficacia del provvedimento all'uopo reso dal giudice erroneamente adito dopo la statuizione declinatoria sulla competenza, attesa l'inapplicabilità alla fattispecie de qua dell'art. 669-novies c.p.c.

Conseguentemente, se, per un verso, non può che convenirsi con l'orientamento sopra esposto in ordine ai disagi immediatamente correlati ad un'inesatta individuazione del giudice competente per il merito laddove si aderisca alla tesi della piena coincidenza tra la competenza cautelare e quella dì merito, per altro verso, non può revocarsi in dubbio che l'esigenza di funzionalità della tutela cautelare non può in alcun modo giustificare interpretazioni che, in quanto fondate esclusivamente sul dato letterale, si pongano in palese contrasto con l'aspetto essenziale della ratio sottesa alla riforma cautelare del 1990.

In ordine a tale ultimo aspetto, è innegabile che tutta la riforma del giudizio cautelare risulti connotata dall'evidente intento di accentuare il collegamento strutturale tra il giudizio cautelare e quello ordinario, in virtù dell'imprescindibile e necessaria continuità tra la fase cautelare e quella di cognizione piena, risultando la pronuncia nel merito il riflesso immediato della strumentalità strutturale tra la tutela cautelare e quella a cognizione piena.

In tale ottica, come del resto si è già avuto modo di precisare, l'allentamento della strumentalità per il cautelare c.d. «anticipatorio» – riconducibile per lo più ad evidenti finalità deflattive del contenzioso ordinario – non deve trarre in inganno circa la reale ratio impresa dal legislatore al procedimento cautelare sul piano strutturale.

In particolare, dalla qualificazione della competenza in termini di presupposto processuale per l'emanazione del provvedimento nel merito, va da sé che il provvedimento cautelare reso dal giudice incompetente non potrà che essere travolto dalla sentenza declaratoria dell'incompetenza, in quanto reso da un soggetto privo della possibilità di statuire nel merito, da cui deriva l'incapacità di garantire il necessario rapporto di strumentalità tra la tutela cautelare ed il giudizio a cognizione piena, caratteristica fondamentale della materia cautelare.

In sintesi, anche nell'ipotesi di una domanda cautelare formulata nel corso del giudizio di merito, il giudice dovrà allora prima adottare una decisione sulla propria competenza e, laddove ritenga esistente tale presupposto pregiudiziale, procedere alla disamina della pretesa nel merito, da cui consegue che, laddove invece lo stesso giudice adìto per il merito, si ritenga incompetente ad emettere il provvedimento invocato dall'attore-ricorrente dovrà rigettare anche l'istanza cautelare articolata in corso di causa, attesa la natura assorbente dell'incompetenza afferente al giudizio di merito rispetto a quello cautelare.

A deporre in tale senso, sovviene il preciso riferimento al «giudice della causa pendente» contenuto nell'art 669-quater c.p.c. il quale, comporta esclusivamente che, da un lato, una volta instaurato il giudizio di merito, la domanda cautelare dovrà essere rivolta al giudice adito e, dall'altro, che ciò, tuttavia, non fà venire meno la necessità di verificare preliminarmente l'esistenza dei presupposti indispensabili per l'emanazione del provvedimento richiesto – sia esso cautelare o finale – con la conseguente inammissibilità dell'istanza nel caso di incompetenza dello stesso giudice adìto nel merito.

Tale esegesi interpretativa trova conferma anche a seguito della riforma introdotta dalla l. n. 80/2005 che pur avendo introdotto il principio della strumentalità attenuata, non esclude il nesso di strumentalità tra il giudizio cautelare e quello di merito.

L'art. 669-quater, comma 1, c.p.c., nell'ipotesi in cui il giudice adìto sia incompetente per la trattazione nel merito, va allora interpretato nel senso che il medesimo è incompetente a statuire anche sulle richieste cautelari articolate nel corso del suddetto giudizio (Trib. S.M. Capua Vetere 6 maggio 2011).

L'incompetenza del giudice e la nullità della misura cautelare adottata da giudice incompetente e «non naturale»

Nella fase cautelare, sussiste la competenza funzionale a decidere del giudice allo stato investito della trattazione del merito, atteso che, alla luce dell'art. 669-quater c.p.c., il giudice che all'attualità sia stato investito della trattazione del merito è funzionalmente competente ad adottare il provvedimento cautelare invocato dalla parte, e quindi, in ogni caso la competenza per il provvedimento cautelare richiesto in corso di causa va determinata sempre e comunque in relazione alla pendenza del giudizio di merito, a prescindere dall'esito che potrà avere quest'ultimo, dando così prevalenza alla c.d. «investitura» attuale della causa di merito e non all'astratta competenza a conoscere del merito, essendovi la previsione ex lege di una competenza funzionale, in materia cautelare, del giudice adito per il merito, a prescindere dalla sua effettiva competenza.

Pertanto, se la domanda cautelare è stata proposta pendente il giudizio di merito, il giudice adito è in ogni caso da considerare competente per la cautela, a prescindere dalla futura decisione sul giudizio di merito (Trib. Roma 10 marzo 2015).

Ciò anche se l'eccepita incompetenza del giudice del merito consegua per effetto della previsione statutaria di una clausola compromissoria, riservando al giudizio di merito ogni approfondimento sulla portata della stessa, perché non va dimenticato – argomentando ex art. 669-quinquies c.p.c. – che la competenza degli arbitri, anche irrituali, a decidere su una determinata controversia non esclude la competenza del giudice ordinario ad emanare i provvedimenti cautelari anticipatori o strumentalialla decisione che sarà eventualmente rimessa al collegio arbitrale.

In tale contesto, a confutazione della possibile obiezione sull'inutilità di un provvedimento cautelare emesso da un giudice in tesi «incompetente» per il merito in forza di una clausola statutaria compromissoria in arbitrato rituale va ricordato che l'art. 669-novies c.p.c. ricollega l'inefficacia del provvedimento cautelare alla sentenza di merito che abbia dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale il provvedimento cautelare era stato concesso, mentre nulla viene detto nel caso di provvedimento emesso in punto di «rito», ragione per cui, quindi, un'eventuale decisione di incompetenza anche sotto tale aspetto qui considerato, non determinerebbe l'automatica inefficacia dell'eventuale provvedimento cautelare assunto medio tempore nel corso del giudizio di merito.

Inoltre, anche a non voler ritenere applicabile il principio elaborato da Corte cost., n. 223/2013 a margine dell'art. 50 c.p.c., è innegabile che fino alla scadenza del termine per l'instaurazione del procedimento arbitrale e, una volta tempestivamente iniziato quest'ultimo, fino alla sua definizione il provvedimento cautelare manterrebbe comunque la sua efficacia ex art. 669-novies, comma 4, n. 2), c.p.c.

È vero che in base ad altra opposta tesi – la competenza nel procedimento cautelare va determinata in funzione della competenza a giudicare nel merito e pertanto il giudice della cautela deve pur sempre verificare in astratto la propria competenza a decidere in relazione all'art. 669-quater c.p.c. ed in relazione al pendente giudizio di merito – si eviterebbe il rischio dei possibili risvolti negativi ed abusi nel caso del c.d. forum shopping del giudice della cautela, ma l'interpretazione letterale della normativa di riferimento, anche al fine di garantire l'effettività e rapidità della tutela cautelare, sembra fare preferire l'adesione alla prima tesi.

Il giudice competente (monocratico o collegiale) nel cautelare in corso di causa

Quale composizione – monocratica o collegiale – deve assumere il giudice della cautela quando il rito dell'instauranda causa di merito sia integralmente collegiale, non prevedendo la nomina di un giudice istruttore?

La quaestio iuris si pone sia per tutti i procedimenti di primo grado di competenza del giudice collegiale, sia per quello delle controversie rientranti nella competenza delle sezioni specializzate agrarie, ed ancora, quando è pendente il termine per la riassunzione della causa di merito davanti ad un giudice d'appello, beninteso laddove si aderisca all'interpretazione secondo cui in questo caso si deve fare riferimento alla competenza disciplinata dall'art. 669-ter c.p.c. anziché quella enunciata dall'art. 669-quater, comma 4, c.p.c.

Con riferimento a tale contesto, va comunque precisato che, l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale in ordine alla suddivisione interna delle controversie civili non attiene più alla costituzione del giudice (Celeste 2010, 144).

La competenza a provvedere in ordine al ricorso cautelare depositato dopo la rimessione della causa al collegio spetta al giudice istruttore (Trib. Lucera 21 agosto 1996; Trib. Biella 14 ottobre 1995).

Secondo la dottrina, nel giudizio di primo grado quando la composizione dell'organo decidendi è integralmente collegiale, al medesimo compete anche la pronuncia cautelare ante causam (Consolo 1996, 586; Frus 1992, 626; Guarnieri, 302; Aattardi, 230; Dalmotto 1997, 1104, il quale però pone in rilievo la circostanza che non sarebbe affatto preclusa la possibilità nella littera legis della designazione di un giudice singolo per la trattazione del cautelare anche quando il merito rientra nella competenza decisionale dell'organo collegiale).

La regola generale prevede che la tutela cautelare, salvo casi eccezionali espressamente previsti, è attribuita ad un giudice monocratico, dovendosi coordinare con l'ulteriore principio, anch'esso generale, della tendenziale coincidenza tra il giudice del merito ed il giudice della cautela.

In particolare, la competenza generale del giudice monocratico di primo grado in materia cautelare, desumibile dal combinato disposto degli artt. 669-quater, comma 2, c.p.c. e 669-ter, comma 4, c.p.c., in sintonia con la ratio di celerità e di semplificazione del procedimento, è estensibile anche ai ricorsi in materia di sospensione delle deliberazioni assembleari di cui all'art. 2378 c.c. (Trib. Rimini 27 ottobre 2004).

A mente dell'art. 669-quater, comma 2, c.p.c., competente a trattare la domanda cautelare spiegata in pendenza del termine utile per proporre opposizione a decreto ingiuntivo deve ritenersi il giudice istruttore, o se questo non è stato ancora designato, od il processo è sospeso od interrotto, il presidente del tribunale, il quale, designerà un magistrato a cui affidare la trattazione del procedimento cautelare, ai sensi dell'art. 669-ter, ultimo comma, c.p.c. (Trib. Trani 24 gennaio 2005).

In base all'art. 669-quater, comma 2, c.p.c., la competenza a decidere sul ricorso cautelare proposto in corso di causa appartiene al giudice istruttore o ad altro giudice designato dal presidente del tribunale il quale provvede ai sensi dell'art. 669-ter, ultimo comma, c.p.c., e dunque, invariabilmente sempre ad un giudice monocratico, senza che una diversa composizione dell'organo deputato a trattare e decidere sull'invocata misura cautelare possa derivare dal tipo di suddivisione interna delle cause civili tra giudice monocratico e giudice collegiale ex art. 50-bis c.p.c., tale divisione inerendo solo alla diversa competenza a decidere le cause di merito, e non invece alla competenza a decidere sul ricorso cautelare che rinviene in via speciale solo nella citata disposizione di cui all'art. 669-quater c.p.c. la propria disciplina in tema di competenza interna (App. Milano 29 giugno 2004).

In termini, App. Venezia 17 ottobre 1998, la quale, pur con diretto riferimento al procedimento cautelare proposto ante causam, ha affermato che deve comunque designarsi un giudice singolo cui affidare la trattazione del relativo ricorso anche quando il rito dell'instaurando giudizio di merito preveda la trattazione collegiale (Trib. Lucera 21 agosto 1996); contra, App. Venezia 17 novembre 1999 ha invece ritenuto che sussistesse la competenza della sezione specializzata agraria del tribunale in composizione collegiale ad emanare la richiesta misura cautelare.

La tutela cautelare pendente il procedimento sommario di cognizione

Il rito sommario di cognizione è utilizzabile in alternativa al rito ordinario nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica ai sensi dell'art. 702-bis, comma 1, c.p.c.

Il rito in parola, difatti, non è limitato alla tutela di particolari diritti o volto ad ottenere esclusivamente taluni provvedimenti, potendo essere utilizzato per tutte le controversie rientranti nella competenza del tribunale in composizione monocratica e per la pronuncia tanto di provvedimenti costitutivi che di accertamento o di condanna (Izzo, 5).

Le pur brevi considerazioni che precedono hanno indotto condivisibilmente parte della dottrina a ritenere ammissibile o meglio, compatibile, la tutela cautelare in corso di causa quando è pendente il giudizio di merito introdotto con il procedimento previsto dall'art. 702-bis c.p.c.

Non vi è ragione per escludere l'esperibilità, nel rito sommario, della tutela cautelare in corso di causa, tutte le volte che sia necessario provvedere immediatamente anche inaudita altera parte, ovvero prima delle cadenze istruttorie che il rito è in procinto di assumere. Ad esempio, quando, nel merito, sia necessario solo un rapido accertamento tecnico, ma, medio tempore, le emergenze documentali siano base sufficiente per una richiesta di cautela (Porreca, 831).

Semmai il punto è un altro, come è stato evidenziato in una pronuncia di merito (Trib. Bologna 15 ottobre 2013) in cui il giudice adìto, rilevato che la tutela cautelare è stata invocata nell'ambito di un procedimento sommario di cognizione promosso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c. ed attivato sul presupposto della natura documentale della controversia, non escludibile al momento della proposizione del ricorso e, quindi, astrattamente incompatibile con il lamentato periculum in mora di per sé nella fattispecie concreta non caratterizzato dall'irreparabilità del danno nei tempi ragionevolmente occorrenti per conseguire una decisione di merito.

Conseguentemente, il provvedimento cautelare è incompatibile con il procedimento sommario di cognizione disciplinato all'interno dell'art. 702-bis c.p.c. esclusivamente allorquando il giudice ritenga che il processo di merito si concluderà in un breve lasso di tempo, non aprioristicamente escludibile al momento della proposizione della domanda di merito, in tal maniera negandosi la sussistenza del requisito del periculum alla base dell'istanza finalizzata alla concessione dell'invocata tutela cautelare (Baiocchetti, 8).

La tutela sommaria si differenzia da quella cautelare in quanto viene prevista dal legislatore per motivi di economia processuale e può pertanto essere richiesta dalla parte interessata a prescindere dalla sussistenza di un pericolo di pregiudizio.

A ben vedere, vi sarebbe anche un'ulteriore indicazione da prendere in considerazione, atteso che come si evince dall'art. 702-bis, comma 1, c.p.c. è la stessa struttura del procedimento sommario di cognizione ad essere differente rispetto a quello cautelare, perché mentre il primo enuncia chiaramente quale debba essere il contenuto del ricorso – il quale, sottoscritto a norma dell'art. 125 c.p.c., deve contenere le indicazioni di cui ai nn. 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e finanche l'avvertimento di cui al n. 7) dell'art. 163, comma 7, c.p.c. – in tale modo, palesando l'analogo contenuto dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di merito a cognizione ordinaria, con riferimento al secondo, l'art. 669-bis c.p.c. nulla afferma in merito al di là della generica affermazione della forma dell'atto, ad ulteriore dimostrazione che si tratta di procedimenti caratterizzati da finalità e struttura completamente differente che non possono certo essere accomunati dalla sola sommarietà del singolo procedimento.

Ai sensi dell'art. 702-bis, comma 1, c.p.c., l'àmbito di applicazione del procedimento sommario è pressoché generale, attenendo a tutte le controversie attribuite alla cognizione del tribunale in composizione monocratica.

Conseguentemente, l'innesto del sub-procedimento cautelare in quello sommario di cognizione non comporta rilevanti divaricazioni rispetto a quanto accadrebbe se la causa fosse introdotta secondo le forme di cui agli artt. 163 ss. c.p.c., ragione per cui la domanda cautelare può essere inserita nel ricorso introduttivo ex art. 702-bis c.p.c., rispondendo oltretutto alla prescrizione di forma di cui all'art. 669-bis c.p.c. (Izzo, 8).

Contra, Capponi 5, esprime dubbi sull'ammissibilità della domanda cautelare nel corso del procedimento sommario, affermando altresì che sembra sistematicamente corretto escludere la predicabilità del sommario laddove abbia già avuto luogo una fase del processo in forme sommarie, così, ad esempio, nel caso del cautelare ante causam.

In realtà, se, da un lato, non si evince nel codice di rito alcun divieto all'utilizzo del procedimento sommario di cognizione con riferimento alla tutela cautelare, dall'altro, non può certo dubitarsi che il giudizio retto dall'art. 702-bis c.p.c. sia un giudizio di merito a cognizione piena benché semplificata quanto alla sua concreta modalità esplicativa.

Infatti, premesso che la sommarietà del procedimento cautelare è diversa da quella enunciata nell'art. 702-bis c.p.c., perché la destrutturazione del procedimento contemplato dalle rispettive norme attiene ad una differente ratio e finalità, posto che nel primo caso è funzionale ad accertare i requisiti propri della tutela cautelare ovvero il fumus boni iuris ed il periculum in mora, mentre nella seconda ipotesi l'istruttoria, sebbene deformalizzata non attiene all'urgenza di evitare un danno irreparabile od un pregiudizio imminente, ma più semplicemente ad una semplificazione del compimento degli atti istruttori che non richiedono particolari formalità o adempimenti particolarmente complessi per accertare non il fumus ma il diritto di cui si controverte, ragione per cui il procedimento sommario di cognizione è uno strumento processuale a carattere generale (Montesano 1999, 309; Montesano, Arieta 1998, 379), così da essere adottato in qualsiasi processo, anche retto da un rito speciale, purché di competenza del tribunale in composizione monocratica, esattamente come del resto accade in materia cautelare, non essendo ugualmente ammissibile de iure condito, neppure la competenza del giudice di pace.

In dottrina, si è quindi pervenuti alla conclusione che il procedimento sommario di cognizione è un procedimento a cognizione piena deformalizzato dove il riferimento alla sommarietà riguarda unicamente le forme processuali, e non il profilo della cognizione (Vellani, 1034; v. anche Carpi, Taruffo, 2773 e 2784; Consolo 2018, 438).

Non a caso, nel procedimento sommario di cognizione a differenza di quanto invece solitamente accade nel giudizio cautelare, è possibile svolgere un'istruttoria semplificata ma al tempo stesso «adeguata» per quello che – è opportuno ricordarlo — resta sempre un giudizio di merito, come svolgere una consulenza tecnica d'ufficio o l'audizione di testimoni sulle posizioni già articolate nel ricorso introduttivo, attività quest'ultime invece di fatto precluse dinanzi al giudice della cautela attesa la necessità per il medesimo giudicante adito, salva la sola possibilità dell'audizione di informatori, valutato sommariamente il fumus di provvedere quanto prima possibile sulla relativa istanza formulata dalla parte ricorrente – eventualmente già con decreto inaudita altera parte – al fine di scongiurare il periculum di un pregiudizio imminente o danno grave irreparabile che del resto, costituisce la stessa ratio del richiesto provvedimento cautelare.

Nel procedimento cautelare, l'istruttoria è svolta con una modalità «atipica» ragione per cui possono anche essere assunte prove «atipiche», cioè differenti da quelle espressamente contemplate dal codice di rito, avendo il giudice la discrezionalità di procedere nel modo che ritiene più opportuno (Luiso 2021, 216).

Conseguentemente, non si tratta di due procedimenti sommari ma di un procedimento sommario, quello cautelare, che si inserisce in un altro procedimento a cognizione piena la cui trattazione è sommaria, con la possibile vocazione a divenire ordinaria laddove ciò si riveli necessario per soddisfare compiutamente le esigenze di cui sono portatrici le parti in causa per effetto delle relative strategie e richieste difensive.

A ciò aggiungasi che una pretesa incompatibilità del rito sommario con la tutela cautelare non può evincersi neppure dall'alternatività del primo al giudizio a cognizione ordinaria, perché il sistema del procedimento cautelare uniforme nel delineare la strumentalità della tutela cautelare si riferisce unicamente al giudizio di merito, senza specificarne la modalità attraverso la quale è destinata a svolgersi la cognizione quanto alla forma adottata – ordinaria o semplificata – e ciò tanto con riferimento al procedimento rientrante nell'art. 669-ter c.p.c. quanto in quello pendente il giudizio di merito ex art. 669-quater c.p.c.

Inoltre, a deporre in senso favorevole alla compatibilità della tutela cautelare con il rito sommario di cognizione sovviene la funzione primaria cui tende la prima di evitare il pericolo di pregiudizi imminenti od irreparabili derivanti dalle lungaggini processuali, che possono riguardare anche il procedimento sommario, atteso che a mente dell'art. 702-ter, comma 3, c.p.c. una compiuta articolazione probatoria, operata già in sede di ricorso e di comparsa di risposta, può fare sì che il giudice possa consapevolmente adoperare in udienza l'eventuale potere di conversione del rito di cognizione da semplificato in ordinario, atteso che in tale occasione, se il giudice ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un'istruzione non sommaria, con ordinanza non impugnabile, fissa l'udienza di trattazione prevista dall'art. 183 c.p.c. trovando applicazione in tale ipotesi le disposizioni del libro II del codice di rito sulla cognizione ordinaria.

Quanto sopra evidenziato allora fa sì che non possa ragionevolmente dubitarsi della possibilità di invocare la tutela cautelare sia ante causam sia quando il giudizio di merito è ormai pendente, proprio perché il procedimento sommario di cognizione è a cognizione piena, ma ad istruttoria semplificata; la soluzione, sostenuta dalla migliore dottrina e già affermata dalla giurisprudenza (Trib. Varese 18 novembre 2009; Trib. Viterbo 12 luglio 2010), è desumibile da una serie di dati ed elementi normativi, quali, in primo luogo, l'idoneità del provvedimento finale ad acquistare efficacia di giudicato ex art. 2909 c.c.

In particolare, quest'ultima caratteristica contribuisce a distinguere nettamente il procedimento sommario de quo da altri riti apparentemente simili, come il procedimento cautelare ex art. 669-bis e ss. c.p.c. o il rito possessorio ex art. 703 c.p.c. nei quali il giudice può decidere in base ad una cognizione effettivamente sommaria, anche allo stato degli atti o in base ad un'istruttoria parziale, non necessitando nemmeno la prova piena dell'esistenza del diritto, ma potendo accogliere la domanda semplicemente ravvisando una sua probabile fondatezza (il c.d. fumus boni iuris).

Tale soluzione, nei due procedimenti speciali indicati, è però giustificata dall'urgenza di provvedere e dal fatto che il provvedimento adottato non assume carattere definitivo, ma è suscettibile di revoca o modifica, ed è soprattutto passibile di subire un vaglio più meditato nell'ambito di un successivo procedimento di cognizione ordinaria.

Il rito sommario, invece, è destinato a chiudersi con un provvedimento idoneo al giudicato e si pone come strumento processuale alternativo al rito ordinario, ragione per cui è evidente che al suo interno non possano trovare accesso scorciatoie o semplificazioni decisionali, che non troverebbero giustificazione in situazioni di urgenza intese in senso tecnico-cautelare di periculum in mora, e non potrebbero essere emendate da un successivo riesame a cognizione piena, salvo il gravame in appello, che però ha finalità, struttura e limiti ben diversi dal giudizio di merito susseguente ad un giudizio cautelare.

L'interpretazione anzidetta trova una significativa conferma testuale nella formulazione dell'art. 702-ter, comma 5, c.p.c., la cui portata può meglio essere colta ove confrontata con la pressoché identica formula dell'art. 669-sexies c.p.c., dettata in materia di processo cautelare uniforme, in quanto, mentre quest'ultima, stabilisce che il giudice compie gli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti ed ai fini del provvedimento richiesto, la prima parla, invece di atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto.

In questa formulazione, secondo una pronuncia di merito, è possibile cogliere la caratteristica del procedimento sommario di cognizione, la sua distinzione dai procedimenti cautelari o possessori in cui la sommarietà investe anche la cognizione ed in particolare, la sua natura di procedimento a cognizione piena, dal momento che la rilevanza è esattamente lo stesso parametro utilizzato per l'ammissione delle prove nel rito ordinario. In pratica, nel rito di cui all'art. 702-bis ss. c.p.c., la sommarietà non va intesa come superficialità o riduzione al minimo delle prove, bensì come omissione di formalità e di formule sacramentali e, quindi, di semplificazione e snellimento della procedura (Trib. Piacenza 27 maggio 2011).

In passato, si è ritenuto parimenti ammissibile l'istanza cautelare nel procedimento sommario ex art. 19 del d.lgs. n. 5/2003, trattandosi di domanda presentata in corso di causa all'interno di un procedimento che, ancorché a cognizione sommaria, tende alla formazione di un provvedimento equiparato, quanto ad effetti, alla decisione resa a seguito di un accertamento pieno (Trib. Bari 29 giugno 2006).

Conseguenza di questa concezione è che, nel rito sommario opera con pienezza e senza alcuna limitazione il principio dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c. e, quindi, l'unico vantaggio che può ottenere l'attore rispetto al procedimento ordinario è quello di una maggiore speditezza della trattazione, ma non già un suo esonero dall'assolvimento di tale onere, oltre che di quello preventivo di allegazione.

Ragioni di completezza espositiva impongono di precisare ulteriormente che l'art. 669-quater c.p.c. non pone limiti alla tutela cautelare endoprocessuale laddove è osservata la competenza del giudice, e che – come si è già detto – il periculum in mora sussiste anche nel procedimento cautelare intrapreso nel corso del giudizio sommario di cognizione, soprattutto laddove l'istruttoria, ancorché deformalizzata, si presenti complessa, di fatto costringendo il giudice a mutare il rito da cognizione sommaria a cognizione ordinaria, donde, a maggiore ragione, in tale ipotesi avrebbe senso proporre nel procedimento sommario una domanda cautelare, visto che non sarebbe possibile ottenere celermente una tutela piena idonea al giudicato, con l'ordinanza finale che definisce il sommario ex art. 702-ter c.p.c., idonea a divenire successivamente giudicato ex art. 2909 c.p.c.

Ciò per tacere della circostanza che negare l'ingresso della tutela cautelare – ove ricorrano le condizioni – nel procedimento sommario di cognizione potrebbe creare una sorta di vulnus al principio sancito dall'art. 24 Cost., laddove quest'ultimo tende ad assicurare la tutela cautelare in tutte le sue forme processuali, nel rispetto del principio per il quale, la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione, essendo quindi lecito enucleare la direttiva che, quando il diritto assistito da fumus boni iuris è minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile provocato dalla cadenza dei tempi necessari per farlo valere in via ordinaria, spetta al giudice il potere di emanare i provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (Corte cost., n. 190/1985).

Vieppiù ove si consideri poi l'ulteriore circostanza che negare la tutela cautelare ex art. 669-quater c.p.c. quando già pende il giudizio di merito a cognizione sommaria, potrebbe sempre indurre la parte che ha interesse ad attivarsi chiedendo la tutela cautelare ante causam per poi proporre successivamente il giudizio di merito ex art. 702-bis c.p.c.

In tema di procedimento sommario di cognizione, l'art. 704-quater c.p.c., disciplina un mezzo di impugnazione che ha natura di appello, la cui mancata proposizione, comporta il passaggio in giudicato dell'ordinanza emessa ex art. 702-bis c.p.c., prefigurando un procedimento con pienezza sia di cognizione, come in primo grado (Cass. II, n. 10211/2015; Cass. VI, n. 11465/2013).

Regolamento preventivo di giurisdizione e ricorso cautelare quando è pendente il giudizio per il merito

Il regolamento preventivo di giurisdizione può essere proposto anche dall'attore in presenza di ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione del giudice adito, e, dunque, di un interesse concreto ed immediato alla risoluzione della questione in via definitiva, da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per evitare che vi possano essere successive modifiche della giurisdizione nel corso del giudizio, con conseguente ritardo della definizione della causa.

Ciò premesso, la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non è preclusa dall'emanazione di un provvedimento cautelare in corso di causa, da parte del giudice ordinario, poiché tale provvedimento non costituisce sentenza, tranne che la questione medesima sia stata riferita al solo procedimento cautelare e il regolamento sia stato proposto per ragioni che attengono ad esso in via esclusiva (Cass. S.U., n. 16086/2021; Cass. S.U., n. 8774/2021).

Conseguentemente, si è quindi affermato che la proponibilità del regolamento di giurisdizione non è impedita neppure dalla pronuncia di un'ordinanza cautelare del giudice amministrativo, atteso che il medesimo provvedimento cautelare è comunque destinato a perdere la sua efficacia per effetto della successiva sentenza di merito, non assumendo quindi alcun carattere decisorio e la relativa autorità di giudicato, neppure in punto di giurisdizione (Cass. S.U., n. 12864/2020).

In senso conforme, una risalente giurisprudenza di legittimità aveva infatti sostenuto la tesi che l'istanza del regolamento di giurisdizione se proposta quando è pendente un giudizio di merito, comporta allora che non trova applicazione il principio dell'inammissibilità del regolamento durante il procedimento cautelare (Cass. S.U., n. 9650/2001).

La proposizione del regolamento di giurisdizione non è dunque preclusa dalla circostanza che il giudice adito per il merito abbia provveduto su una richiesta di provvedimento cautelare, declinando, solo con riferimento ad esso, la propria giurisdizione (Cass. S.U., n. 6228/1997).

La causa pendente dinanzi al tribunale

La monocraticità connota il giudizio cautelare davanti al tribunale quale giudice di prime cure.

A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 51/1998, che ha istituito il giudice unico di primo grado, la competenza ad emettere i provvedimenti cautelari in corso di causa è del tribunale in composizione monocratica.

Come in passato evidenziato in dottrina, può peraltro accadere che un provvedimento cautelare venga pronunciato in prima istanza dal giudice in composizione collegiale, ragione per cui se in un determinato rito non è prevista la nomina di un istruttore – essendo la trattazione interamente collegiale – non può esser altri che il collegio a provvedere sul richiesto provvedimento cautelare (Dalmotto 1997, 1101).

In particolare, con l'introduzione del procedimento cautelare uniforme si era stabilito che le cause – introdotte successivamente all'entrata in vigore della l. n. 353/1990 – nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale sarebbero state soltanto quelle tassativamente previste dall'art. 48 del r.d. n. 12/1941 come modificato dall'art. 88 della l. n. 353/1990.

Ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c., quando la domanda cautelare è proposta in corso di causa, competente a conoscerla può essere soltanto il giudice dinanzi al quale – di fatto – è pendente la causa per il merito.

Inoltre, se la causa pende davanti al tribunale la domanda si propone al giudice affidatario della causa di merito – il c.d. «istruttore» figura prevista ante riforma del d.lgs. n. 51/1998salve le ipotesi in cui quest'ultimo non sia ancora stato designato od il giudizio sospeso od interrotto poiché in tali ipotesi la domanda cautelare va proposta al presidente, il quale provvede ai sensi dell'art. 669-ter, ultimo comma, c.p.c.

La norma anzidetta individua la competenza c.d. per relationem, ma senza rinviare alla competenza del merito legale, che potrebbe anche essere stata mal posta o disattesa nella causa di merito.

Questo è quanto affermato dalla prevalente giurisprudenza e dottrina, secondo cui in questi casi la competenza deve essere riferita solo all'attuale investitura del giudice della causa di merito e non invece alla competenza di questi, in quanto attinente appunto al merito della domanda.

Ad ogni modo, tale orientamento è confermato da quanto previsto dall'art. 669-quater, comma 2, c.p.c. che radica la competenza cautelare del giudice dinanzi al quale pende la causa di merito anche se sospesa.

Inoltre, ciò è confermato anche dal fatto che, sempre secondo l'orientamento prevalente, il provvedimento cautelare non perde efficacia nel caso di dichiarazione di incompetenza da parte del giudice del merito cui faccia seguito la tempestiva riassunzione (Trib. Napoli 3 febbraio 2022).

La causa pendente dinanzi al giudice di pace

Nel procedimento cautelare in corso di causa, la competenza è del giudice davanti al quale il processo è pendente, ma se la causa pende davanti al giudice di pace, non essendo quest'ultimo competente per la decisione cautelare, né prima dell'introduzione del giudizio di merito né in pendenza dello stesso ai sensi degli artt. 669-ter e 669-quater c.p.c., la domanda si propone al tribunale.

In particolare, dovrà, a tale fine, tenersi conto sia degli ordinari criteri generali per definire la competenza dell'ufficio giudiziario che si intende adire, come ad esempio quello territorialmente corrispondente rispetto al mandamento dell'organo laico adìto (Celeste 2010, 144), sia di quelli ad hoc desumibili dallo stesso art. 669-quater c.p.c., e riproponendosi anche in tale ipotesi le stesse problematiche se il giudice dinanzi al quale pende la causa di merito è per ciò solo competente per il procedimento cautelare, sebbene incompetente in concreto nel merito ovvero se debba essere verificata la concreta competenza per il giudizio di merito.

Sulla quaestio iuris, è intervenuta la stessa Consulta, la quale ha affermato che il legislatore, nell'esercizio della propria discrezionalità, con il nuovo procedimento cautelare uniforme ha introdotto un modulo processuale unitario, in cui ha stabilito una correlazione necessaria tra l'art. 669-ter c.p.c. ed il successivo art. 669-quater c.p.c. dettato per la corrispondente ipotesi di competenza cautelare in corso di causa, ripartendo le competenze in modo da escludere sempre quella del giudice di pace, in cui si prevede altresì un complesso di poteri d'attuazione-esecuzione delle misure cautelari ed un sistema di reclamabilità non conciliabili con l'estensione di competenza al giudice onorario (Corte cost., n. 63/1997).

La causa pendente dinanzi ad altri uffici giudiziari

L'art. 669-quater c.p.c. si occupa dell'individuazione del giudice competente alla trattazione del procedimento cautelare quando è pendente il giudizio di merito, in presenza di fattispecie riguardanti la sospensione, l'interruzione del processo, ovvero quando la causa pende dinanzi al tribunale od ancora nell'ipotesi in cui pendendo quest'ultima non è ancora nominato il giudice istruttore, oppure quando la causa di merito pende dinanzi al giudice di pace, quando sono pendenti i termini per l'impugnazione, quando la causa pende davanti al giudice straniero ed il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, ed infine, nell'ipotesi in cui l'azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale, salva sempre l'ipotesi prevista dall'art. 316, comma 2, c.p.p.

In particolare, nell'ipotesi in cui, fuori dai casi di sospensione dell'esecuzione, si renda necessario pendendo il giudizio di merito richiedere l'adozione di un provvedimento cautelare che eviti la frustrazione del diritto oggetto di controversia, è noto, che l'art. 669-quater c.p.c. individua l'ufficio giudiziario competente nel giudice davanti al quale pende il suddetto giudizio per il merito, ragione per cui, la stessa disposizione, insieme all'art. 669-quinquies c.p.c. prevede l'ipotesi del giudice di pace e dell'arbitrato per quanto riguarda le autorità giudicanti prive di un autonomo potere cautelare, mentre nulla si afferma per quanto riguarda ad esempio l'eventualità in cui il giudizio sia pendente dinanzi alla Suprema Corte.

Quid iuris allora per le ulteriori ipotesi in cui il giudizio pendente di merito sia dinanzi alla corte d'appello, anche in qualità di giudice di unico grado, oppure dinanzi alla Corte di Cassazione, atteso che l'esercizio del potere cautelare implica anche valutazioni squisitamente di merito?

Al riguardo occorre distinguere.

Quando la competenza appartiene alla corte d'appello, va opportunamente individuata l'ipotesi in cui quest'ultima operi come giudice di seconda istanza da quella in cui invece la stessa giudichi in unico grado, perché mentre nella prima ipotesi, essendo ormai scomparsa la figura del consigliere istruttore, la competenza sulla domanda cautelare spetterà alla corte d'appello in composizione collegiale, perché collegiale è la trattazione del gravame ex art. 350 c.p.c. a diversa conclusione si perviene nell'eventualità in cui la corte d'appello è giudice di unica istanza.

In tale ultimo caso, l'operatività del rito previsto dinanzi al tribunale in composizione monocratica comporta che la competenza cautelare spetta in capo al singolo consigliere (Celeste 2010, 145).

Ovviamente, anche la designazione dello stesso consigliere delegato alla trattazione del procedimento cautelare segue le orme dell'analogo procedimento previsto in primo grado, ovvero la relativa indicazione è prerogativa del presidente della corte o della sezione negli uffici giudiziari di maggiori dimensioni.

L'orientamento secondo cui in assenza di un potere autonomo cautelare della Corte di Cassazione, i provvedimenti cautelari, in pendenza del giudizio di legittimità, vanno richiesti al giudice del merito che ha pronunciato la sentenza impugnata, in applicazione estensiva della disposizione contenuta nell'art. 669-quater c.p.c. che disciplina la competenza del giudice della cautela quando sono pendenti i termini ad impugnare, o, dopo la pronuncia della Cassazione, al giudice del rinvio (Merlin, 402), è indirettamente confermato da una pronuncia di legittimità riguardante la richiesta di sospensione formulata ex art. 401 c.p.c. dell'esecuzione della sentenza di legittimità nei cui confronti era già pendente il giudizio per revocazione, per effetto dell'irreparabilità del danno derivante dalla messa in esecuzione del sottostante provvedimento di merito.

In tale pronuncia, infatti, non v'è traccia alcuna della valutazione del danno grave ed irreparabile, in quanto tutto si è risolto nella valutazione della fondatezza della revocazione, a dimostrazione dell'inesistenza da parte del medesimo giudice nomofilattico della possibilità di compiere una valutazione del periculum proprio perché detto organo giudicante è privo degli strumenti di valutazione dello stesso, salvo considerarlo in re ipsa come conseguenza della fondatezza del fumus in ordine al vizio denunciato e, quindi, disponendo con decreto inaudita altera parte exartt. 401 e 373 c.p.c. la sospensione provvisoria dell'esecuzione della sentenza impugnata per revocazione (Cass. VI, n. 18300/2015).

La causa pendente dinanzi alla Cassazione

A parte l'ipotesi della causa di merito pendente dinanzi al giudice di pace o dinanzi alla corte d'appello in caso di gravame avverso la pronuncia di merito del giudice di prime cure, un'ulteriore ipotesi di causa pendente per il merito è rappresentato dal ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, nel caso in cui l'istanza cautelare attenga ai motivi che viziano la legittimità della decisione del giudice d'appello oppure laddove sia insorto un periculum che deve sempre riguardare un pregiudizio imminente od un danno irreparabile.

La fattispecie attiene, quindi, all'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo giudiziario azionato, la cui natura cautelare è stata ritenuta evidente dalla giurisprudenza di legittimità, in quanto serve ad impedire che l'esecuzione sia iniziata prima che si giudichi del merito delle ragioni che sostanziano l'opposizione a precetto, e che il regime di questo provvedimento deve ritenersi essere quello del procedimento cautelare perché a tale regime è stata ricondotta la stessa sospensione ordinata dal giudice dell'esecuzione.

Pertanto, in base all'interpretazione sistematica dell'art. 669-quater, comma 4, c.p.c., ammesso che la sospensione dell'efficacia del titolo esecutivo possa essere disposta ad esecuzione iniziata e dal giudice dell'opposizione a precetto, questa dovrebbe esserlo dal giudice di appello e non dal giudice di cassazione, una volta che sia stata pronunciata la sentenza di appello e penda il giudizio di impugnazione dinanzi al giudice di legittimità, non avendo quest'ultimo ex lege poteri cautelari (Cass. III, n. 5368/2006).

Il codice di rito non disciplina l'ipotesi concernente la concedibilità di provvedimenti cautelari nel giudizio dinanzi al giudice di legittimità, per cui la relativa competenza spetta al giudice a quo del gravame od in unico grado contro la cui sentenza è stato proposto ricorso alla Suprema Corte (Celeste 2010, 146).

Quando la causa per il merito pende dinanzi alla Suprema Corte, l'istanza cautelare va proposta al giudice che sarebbe ordinariamente competente per il merito, in applicazione analogica dei criteri di collegamento previsti per il caso di giurisdizione del giudice straniero o di competenza dell'arbitro rituale (Trib. Roma 11 novembre 1998).

Secondo parte della dottrina, la trattazione della domanda cautelare dovrebbe competere al giudice di rinvio, davanti al quale la causa – non ancora riassunta – sarebbe già virtualmente pendente, per effetto della designazione operata dalla Suprema Corte (Consolo 1996, 601; Merlin 397; Guarnieri, 305; Frus 1992, 642; Saletti 1991, 364, sub nota 21).

Secondo altra linea interpretativa, la pendenza del termine per riassumere, presentando analogie con la pendenza del termine per impugnare, visto che la riassunzione non fa altro che aggiungere al procedimento una nuova fase volta a completare quella definitasi dinanzi al giudice di legittimità ragione per cui ciò comporterebbe l'estensione del criterio della competenza del giudice a quo dettato dall'art. 669-quater comma 4 c.p.c. con la conseguenza che la domanda cautelare andrebbe proposta al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata con il ricorso per cassazione (Dalmotto 1999, 2155).

Secondo tale ultima impostazione, il richiamo all'art. 669-quater, comma 4, c.p.c. sembra più calzante rispetto all'art. 669-ter c.p.c., proprio per effetto della considerazione che, il giudizio di rinvio non costituisce una «nuova causa» ma semplicemente una «fase ulteriore» del medesimo procedimento iniziato a suo tempo, svoltosi nei suoi successivi gradi fino a giungere alla cassazione con rinvio (Dalmotto 1999, 2156).

Secondo altro orientamento, la norma applicabile nel termine per riassumere la causa non è nessuna di quelle contenute nell'art. 669-quater c.p.c. sulla competenza lite pendente, dovendo farsi riferimento a quella contenuta all'art. 669-ter c.p.c. sulla competenza cautelare ante causam.

Pertanto, quando è pendente il termine per la riassunzione del giudizio davanti al giudice del rinvio dalla cassazione, non esiste una causa pendente per il merito, ragione per cui, nelle more, la competenza cautelare si individua secondo le regole dettate per il procedimento cautelare ante causam (App. Venezia 17 ottobre 1998).

Il giudice competente a conoscere l'istanza cautelare durante la pendenza del giudizio di cassazione è il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. L'insussistenza della competenza cautelare del giudice di legittimità si evince dall'incompatibilità strutturale e funzionale del procedimento di cassazione con il compimento di atti di istruzione probatoria, di cui all'art. 669-sexies, comma 1, c.p.c., nonché dalla mancata previsione all'art. 669-terdecies c.p.c. del reclamo avverso il provvedimento cautelare emanato dalla Cassazione (App. Genova 11 luglio 1997).

Il giudice competente in caso di sospensione od interruzione del giudizio di merito

La domanda cautelare se la causa pende davanti al tribunale si propone all'istruttore oppure, se il giudizio è sospeso o interrotto, al presidente, il quale provvede ai sensi dell'art. 669-ter, ultimo comma, c.p.c.

La diversa formulazione dell'art. 669-quater c.p.c. rispetto al previgente art. 673, comma 2, c.p.c. induce a ritenere maggiormente corretta la tesi secondo cui il presidente del tribunale deve designare il giudice competente che può anche essere sé medesimo in quanto giudice di tribunale e non in qualità di presidente dell'ufficio giudiziario adito (Picardi 2021, 4102).

L'introduzione della domanda cautelare ante causam è quindi il modello di riferimento per i casi di sospensione od interruzione del giudizio di merito, nonostante vi sia già un giudice a cui è stata affidata la trattazione di quest'ultimo giudizio.

I casi in cui può aversi l'interruzione del giudizio di merito sono molteplici, basti pensare a quello della morte del difensore costituito di una parte o della stessa parte, od ancora al fallimento di quest'ultima od alla perdita della capacità di stare in giudizio di una parte prima della costituzione nel giudizio di merito o del suo rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza come dispone l'art. 299 c.p.c.

La semplice incapacità naturale della parte non determina la perdita della capacità processuale finché non interviene una pronuncia di interdizione o fino a quando si è provveduto alla nomina di un rappresentante (Saletti, Spaccapelo, 3).

Al riguardo, si è quindi osservato che l'esclusione dell'incapacità naturale della parte tra gli eventi interruttivi del processo conferisce una prevalenza all'interesse alla prosecuzione del giudizio della parte non attinta dall'evento che giustifica l'interruzione (Costantino 1993, 1043).

Un'altra ipotesi di interruzione è quella della riassunzione del giudizio di merito a seguito di cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell'art. 309 c.p.c., ma non ancora estinta dal ruolo dell'ufficio giudiziario adìto.

La sospensione del processo civile può essere necessaria ex art. 295 c.p.c. quando il giudice della causa di merito od altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione del giudizio di merito, o ai sensi dell'art. 296 c.p.c. su istanza di tutte le parti, ove sussistano giustificati motivi.

Nelle ipotesi sopra considerate, sarebbe quindi opportuno che il presidente del tribunale nell'ipotesi di sospensione od interruzione del processo di merito designi il magistrato presso il quale pende il giudizio sospeso od interrotto ovvero la sezione di appartenenza, al fine di preservare la prosecuzione di giudizio anche con riferimento alla fase cautelare senza soluzione di continuità, atteso che trattasi del magistrato che già conosce i fatti posti a base del procedimento di merito ai quali occorre fare riferimento per quanto attiene il procedimento cautelare in corso di causa (Celeste 2010, 143).

In tale senso depone l'orientamento maggioritario in dottrina.

La designazione per la tutela cautelare nell'ipotesi di sospensione, interruzione o riassunzione del giudizio di merito nell'ipotesi di cancellazione della causa al ruolo non potrà che riguardare il giudice istruttore della stessa causa di merito (Picardi 2021, 4103; Merlin, 396; Samorì, 211).

Ciò vale anche nell'ipotesi di cancellazione della causa di merito, perché la riassunzione avviene mediante deposito dell'istanza ad hoc nella cancelleria dello stesso giudice precedentemente adìto, salvo che per una qualche ragione non sia nelle more venuto meno (Celeste 2010, 143).

Quid iuris invece per quanto attiene l'individuazione del giudice competente per la concessione di un provvedimento cautelare quando è pendente il termine per la riassunzione del giudizio di merito a seguito di un rinvio dal giudice di legittimità?

Quando pende il termine per riassumere il giudizio davanti al giudice del rinvio dalla cassazione, non c'è una causa attualmente pendente per il merito, né è certo che in futuro ci sarà. In questo periodo la competenza cautelare si individua pertanto secondo le regole dettate per i procedimenti cautelari ante causam (App. Venezia 17 ottobre 1998).

Il giudice competente quando pende il termine per l'impugnazione

Secondo l'art. 669-quater, comma 4, c.p.c., quando pendono i termini per proporre l'impugnazione la domanda si propone al giudice che ha pronunciato la sentenza che si intende appellare.

In base a quanto enunciato dall'art. 669-quater, comma 4, c.p.c., la proposizione dell'impugnazione costituisce il discrimine, sotto il profilo temporale, fra la competenza del giudice di prime cure e quella del giudice d'appello a conoscere della domanda cautelare proposta successivamente alla sentenza di prime cure.

Ciò premesso, appare però evidente come il giudice di prime cure che ha rigettato la domanda principale salvo che siano intervenute circostanze idonee ad ingenerare un ripensamento circa le condizioni che dovrebbero, da un lato, avvalorare la sussistenza del fumus – prima ancora che del periculum – e, dall'altro, andare inevitabilmente a contraddire con lo stesso impianto probatorio che necessariamente deve sorreggere la pronuncia di merito già emessa, ed in relazione alla quale pendono i termini utili per la proposizione di un'eventuale sua impugnazione, dovrebbe riesaminare criticamente le stesse ragioni che hanno portato a rigettare la domanda principale rispetto alla quale quella cautelare assume pur sempre natura strumentale.

Al riguardo, in dottrina si è infatti osservato che delle due l'una: o la sentenza è di accoglimento ed allora l'immediata esecutorietà della stessa sopperisce alle esigenze cautelari; oppure nel caso in cui la sentenza abbia rigettato la domanda principale non vi è chi non veda come sia inopportuno affidare allo stesso giudice di merito l'esame della domanda cautelare al fine peraltro, di ritenere sussistente il diritto nel corso di un procedimento a cognizione sommaria dopo che lo stesso è stato escluso al termine del giudizio di merito a cognizione piena (Carpi 1990, 1258).

In buona sostanza, il giudice che ha emesso la pronuncia di merito al termine del primo grado di giudizio, e dinanzi al quale viene ad essere proposta l'azione cautelare in attesa che la stessa parte interessata riproponga l'azione principale in sede di gravame, dovrebbe sostanzialmente rivedere criticamente il proprio orientamento circa la valutazione delle prove ma anche dei fatti già esaminati nel corso del giudizio di merito, sulla scorta di nuovi e sopravvenuti elementi al fine di valutarne lo spessore probatorio se idoneo a sorreggere l'accoglimento delle ragioni poste a base del richiesto provvedimento cautelare.

La cognizione sommaria cautelare non può, infatti, prendere il posto di quella di merito a cognizione piena e rispetto alla quale ha un rapporto di strumentalità (Carpi 1990, 1258), atteso che da un lato, l'oggetto del giudizio di merito contiene altresì l'accertamento del diritto alla cui tutela tende il provvedimento cautelare, e dall'altro, che il provvedimento cautelare è comunque destinato a perdere efficacia e vigore a seguito della decisione emessa nel successivo giudizio di merito nella quale rimangono assorbiti e caducati, con il conseguente esaurimento della funzione cautelare.

La competenza cautelare quando pende il termine per proporre il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

È ammissibile il procedimento cautelare intrapreso all'esito di un giudizio monitorio, in pendenza dei termini per l'opposizione?

Quando sono pendenti i termini per l'opposizione a decreto ingiuntivo, la parte interessata può ricorrere alla tutela cautelare laddove ricorrano i presupposti per la sua concedibilità, ovvero il fumus ed il periculum.

Quid iuris per quanto attiene al giudice competente tenendo conto che, a seguito del provvedimento monitorio prima della proposizione dell'opposizione ancora non c'è un giudice designato per la trattazione del merito?

In base a quanto emerge dal tenore letterale dell'art. 669-quater, comma 2, c.p.c., competente a trattare la domanda cautelare spiegata in pendenza del termine utile per proporre l'opposizione a decreto ingiuntivo deve ritenersi il giudice istruttore, o se questo non è stato ancora designato, od il processo è sospeso o interrotto, il presidente del tribunale, il quale designerà un magistrato a cui affidare la trattazione del procedimento cautelare, ai sensi dell'art. 669-ter, ultimo comma, c.p.c. (Trib. Trani 24 gennaio 2005).

Conseguentemente, quando è incardinata la causa di opposizione a decreto ingiuntivo in cui si controverte della spettanza della somma a garanzia della quale è stato presentato un ricorso per sequestro conservativo, quest'ultimo è inammissibile se proposto in violazione del precetto di cui all'art. 669-quater, comma 1, c.p.c., il quale stabilisce che la domanda cautelare deve essere proposta al giudice della causa pendente per il merito (Trib. Monza 23 gennaio 2013).

Ciò premesso, l'opposizione a decreto ingiuntivo si propone ai sensi dell'art. 645 c.p.c. davanti allo stesso giudice che ha emesso il decreto al quale appartiene funzionalmente ed inderogabilmente la competenza a decidere, la quale non è modificabile per ragioni di continenza o di connessione, siano esse preesistenti o successive (Cass. III, n. 10374/2005; Cass. III, n. 8165/2003; Cass. III, n. 15528/2000; Cass. III, n. 7418/1999).

Né su tale situazione può incidere la circostanza che, in sede di giudizio cautelare svoltosi dinanzi ad un Tribunale territorialmente diverso da quello del successivo giudizio di merito, non sia stata posta la questione della competenza.

La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato che l'omessa rilevazione dell'incompetenza derogabile od inderogabile da parte del giudice o l'omessa proposizione della relativa eccezione ad opera delle parti nel procedimento cautelare non determina il definitivo consolidamento della competenza in capo all'ufficio adito anche ai fini del successivo giudizio di merito, non operando nel giudizio cautelare il regime delle preclusioni relativo alle eccezioni ed al rilievo d'ufficio dell'incompetenza, stabilito dall'art. 38 c.p.c., in quanto applicabile esclusivamente al giudizio a cognizione piena.

Ne consegue che il giudizio di merito proposto all'esito della fase cautelare, può essere validamente instaurato davanti al giudice competente, ancorché diverso da quello della cautela (così Cass. III, n. 2505/2010; tale principio è stato ribadito nelle successive decisioni Cass. III, n. 24869/2010; Cass. VI, n. 9416/2012; Cass. VI, n. 11778/2014).

Il principio concordemente desumibile dai richiamati precedenti è quello secondo cui, ai fini dell'individuazione del giudice competente per territorio per la fase di giudizio a cognizione piena, deve farsi riferimento, agli ordinati criteri e, dunque, a quello della prevalenza della competenza immodificabile in caso di opposizione a decreto ingiuntivo anche rispetto ad una causa connessa – riunita – restando privo di rilevanza il foro individuato per l'instaurazione del procedimento cautelare (Cass. VI, n. 15618/2015).

La competenza cautelare quando la causa di merito pende dinanzi ad un giudice incompetente

Il problema riguarda la legittimazione a decidere sull'istanza cautelare proposta in corso di causa al fine di stabilire se spetta al giudice del merito in quanto tale e, quindi, anche se, in ipotesi, incompetente, oppure se va riferita al giudice effettivamente competente per il merito alla stregua delle ordinarie norme attributive della competenza.

Al riguardo, una parte della dottrina muovendo dalla tesi dell'autonomia funzionale e strutturale del procedimento cautelare in corso di causa, tende a respingere l'opinione contraria che lo qualifica come una mera parentesi del processo a cognizione piena, od al massimo come un sub-procedimento incidentale della domanda principale di merito, soffermandosi in generale, sul significato della strumentalità insito nell'azione cautelare rispetto al giudizio di merito che convive con la sua autonomia, sia sotto il profilo della funzione che sotto quello del procedimento, assumendo che tale caratteristica non viene meno se la tutela cautelare è richiesta durante il processo a cognizione piena poiché non esiste per il giudice di merito un potere generale di cautela (Iannicelli, 765).

La stessa dottrina non ha mancato di rilevare che la domanda cautelare è azionabile anche quando il processo di merito è sospeso od interrotto, ovvero quando non esiste un vero giudizio a cognizione piena dinanzi all'autorità giudiziaria italiana per effetto della sussistenza della giurisdizione straniera o dell'arbitrato (Iannicelli, 766, il quale osserva come l'eccepito difetto dei presupposti del giudizio di merito comuni a quelli del processo sommario, che nel suo alveo si svolge, non consente di paralizzare la richiesta di tutela cautelare in corso di causa).

La principale ratio dell'art. 669-quater c.p.c. consiste come si è già detto, nella «tendenziale» coincidenza del giudice della cautela con quello del merito, sulla cui scorta, si perviene all'individuazione del giudice competente, la quale si fonda sui medesimi criteri che si identificano con quelli previsti, in via generale, per le azioni ordinarie, trattandosi di un principio fondamentale, sebbene non senza deroghe del procedimento cautelare uniforme, espressamente previsto, per le domande proposte ante causam dall'art. 669-bis c.p.c.

L'autonomia del giudizio di merito rispetto a quello cautelare impone l'instaurazione del primo innanzi al giudice competente, non essendovi una sorta di competenza funzionale dello stesso ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha pronunciato la tutela cautelare (Trib. Napoli 14 luglio 2004).

Occorre allora risolvere il problema se il giudice già investito della causa di merito ed al quale venga proposta un'istanza cautelare debba preliminarmente accertare la sua competenza per la domanda di merito alla stregua delle ordinarie norme attributive della competenza.

In tale ipotesi, l'alternativa che si pone è la seguente: la legittimazione a decidere sulla istanza cautelare proposta pendente la lite spetta comunque al giudice che di fatto tratta la causa di merito, anche se, in ipotesi, incompetente; oppure la legittimazione a decidere sull'istanza cautelare, anche se proposta pendente la lite, spetta sempre al giudice competente per il merito secondo le ordinarie norme attributive, con la conseguente necessità di risolvere la questione di competenza nell'ambito del giudizio a cognizione piena prima di potere decidere sull'istanza cautelare.

L'eccepito difetto della competenza per il giudizio di merito non può consentire di paralizzare la richiesta di tutela cautelare in corso di causa, in nome della celerità del provvedimento, indefettibile quando è in discussione il periculum in mora, indipendentemente dalla possibile caducazione ex art. 669-novies c.p.c. della misura concessa a seguito del rigetto in rito della domanda. Sicché, se la contestazione sulla sua legittimazione è ritenuta prima facie infondata dal giudice, questi, dichiarata anche implicitamente la competenza per il procedimento sommario, deve decidere sulla richiesta, rinviando alla sentenza definitiva la pronuncia sul punto per il giudizio a cognizione piena (Iannicelli, 745).

L'orientamento favorevole alla competenza del giudice della cautela anche se incompetente per il merito

Secondo un orientamento giurisprudenziale, il giudice investito della trattazione di una causa di merito, deve pronunciarsi su eventuali richieste cautelari avanzate in corso di causa, senza poter addurre, al fine di sottrarsi alla decisione sulla domanda, la propria incompetenza nel merito. Alla declaratoria di incompetenza nel merito seguirebbe la traslazione del giudizio al giudice competente, senza che ciò comporti la caducazione della misura cautelare già adottata (Pret. Vallo della Lucania 10 aprile 1998; Trib. Torino 4 luglio 1997; Pret. Torre Annunziata 25 maggio 1995; Pret. Prato 7 dicembre 1994).

Nello stesso senso, sembra deporre l'unico precedente di legittimità di cui si ha notizia in materia.

Il provvedimento cautelare richiesto nel corso della causa pendente per il merito, per il quale, l'art. 669-quater c.p.c. stabilisce che la domanda cautelare deve essere proposta al giudice della stessa, comporta che la competenza, in questo caso, a differenza di quanto avviene per il provvedimento cautelare richiesto ante causam viene determinata sulla base della pendenza del giudizio di merito in quanto tale, ragione per cui la competenza ad emettere il cautelare – che ha carattere funzionale ed inderogabile – appartiene soltanto al giudice della stessa, fermo restando però che deve ritenersi del tutto impregiudicata dal provvedimento cautelare l'eccezione di incompetenza per territorio eventualmente sollevata con riferimento al giudice competente per il merito, essendo il provvedimento cautelare privo di efficacia vincolante al di fuori del procedimento nel quale è stato reso (Cass. III, n. 3473/1999).

Tale soluzione, da un lato, potrebbe condividersi per la necessità di non pregiudicare l'esigenza di celere definizione della questione cautelare dall'altro è pero opinabile, perché contrasta con il principio fondamentale della coincidenza del giudice della cautela con quello del merito, da intendersi non come qualunque giudice innanzi al quale sia stata comunque proposta una domanda di merito, ma come il giudice effettivamente competente, secondo legge, a conoscere di quella controversia.

Il principale problema nasce dal fatto che il giudice che si pronuncia sull'istanza cautelare, se è stato erroneamente individuato, deve poi dichiararsi incompetente per la trattazione della causa, anche se la concessa misura cautelare conserva efficacia dopo la pronunzia in rito (Trib. S. Angelo Lombardi 26 febbraio 2004), contra, la tesi secondo cui il provvedimento cautelare emanato da un giudice incompetente per il merito non potrebbe sopravvivere alla translatio iudicii (Trib. Pistoia, 20 ottobre 1994).

Ragionando diversamente, si finirebbe con il dare spazio al fenomeno noto come forum shopping applicato alla materia cautelare: atteso che vi sarebbe il rischio concreto che venga adito un giudice, pur nella consapevolezza della sua incompetenza, sulla scorta della supposizione di potere conseguire più agevolmente la tutela cautelare in corso di causa.

Infatti, si andrebbe alla ricerca del giudice cautelare – inteso come ufficio giudiziario – che abbia già manifestato orientamenti favorevoli rispetto all'invocata cautela, bastando incardinare congiuntamente giudizio cautelare e di merito.

Tuttavia, tale rischio potrebbe non essere idoneo a giustificare il sacrificio dell'interesse alla rapida definizione della vicenda cautelare, atteso il carattere provvisorio della tutela cautelare e la possibilità, per il giudice competente al quale la causa sia stata successivamente rimessa ex art. 50 c.p.c., di esercitare i poteri di revoca e/o di modifica per l'intervenuto mutamento delle circostanze nonché di applicare l'art. 96 c.p.c. se, ottenuto il provvedimento cautelare, la pronuncia che definisce nel merito il processo disconosca la fondatezza della relativa pretesa.

D'altro canto, occorre anche scongiurare il rischio speculare, dal momento che, quando la cautela è chiesta dall'attore, potrebbe essere proprio l'attività difensiva del convenuto laddove spiegata in maniera strumentale, a paralizzare il potere cautelare anche quando, a tenore della domanda originaria, l'ufficio giudiziario sia stato correttamente individuato.

Non potendo trascurarsi che il procedimento cautelare uniforme non prevede la conservazione della misura cautelare civile adottata dal giudice che si dichiari incompetente, contestualmente o successivamente.

Di contro, l'art. 669-novies c.p.c. dispone l'inefficacia della misura cautelare qualora con sentenza, anche non passata in giudicato, sia dichiarata l'inesistenza del diritto a cautela del quale la misura era stata disposta.

Tale norma – espressione del fondamentale canone di strumentalità – trova senz'altro applicazione anche nell'ipotesi di una decisione di carattere meramente processuale, in primo luogo di incompetenza che accerti quindi l'inosservanza dell'altro canone fondamentale, di coincidenza del giudice della cautela con quello del merito.

In definitiva, il giudice del merito adito in corso di causa in via cautelare, dovrebbe pregiudizialmente esaminare la propria competenza, e qualora ritenga di escluderne la sussistenza, dovrà anche escludere, in radice, quella a pronunciarsi in sede cautelare (Trib. Pistoia 20 ottobre 1994 cit.).

Tale ricostruzione pone, però, la questione della tutela cautelare in corso di causa, che certo non può denegarsi in radice solo perché il giudice adito per il merito sia o si ritenga incompetente, tenuto altresì conto che la tutela cautelare potrebbe essere chiesta, in via riconvenzionale, anche dal convenuto, che non ha scelto il giudice di merito.

In tale ipotesi, la parte che ha visto negarsi la tutela cautelare da parte del giudice già adito per il merito, o comunque dallo stesso ufficio giudiziario cui appartiene il giudice adito per il merito, potrebbe richiedere la stessa tutela ad altro giudice, quello effettivamente competente (Trib. Napoli 14 luglio 2004, cit.).

È possibile, in definitiva, accantonare in fase cautelare la decisione relativa alla competenza del giudice adito, affermando la legittimazione a decidere, ex art. 669-quater c.p.c., del giudice che di fatto è investito della causa di merito (Trib. S. Angelo Lombardi 26 febbraio 2004, cit.).

La pendenza di una causa di merito rende il giudice di quest'ultima competente in via esclusiva per la domanda cautelare, irrilevante essendo la sua eccepita incompetenza per il merito (Pret. Torino 4 luglio 1997).

Se così non fosse, la parte dovrebbe attendere – prima di potersi rivolgere in via cautelare ante causam al giudice effettivamente competente – l'affermazione, con sentenza passata in giudicato, dell'incompetenza del primo giudice, erroneamente adito per il merito, con la conseguente violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale.

L'orientamento contrario alla competenza del giudice della cautela se incompetente per il merito

La questione della competenza del giudice incompetente nel merito a conoscere il cautelare è, tutt'ora, controversa nella giurisprudenza di merito.

La questione relativa alla interpretazione dell'art 669-quater, comma 1, c.p.c. nell'ipotesi di palesata incompetenza del giudice adìto per la trattazione nel merito ha stimolato un consistente dibattito in dottrina, cui sono conseguite, come spesso accade a fronte di un dato normativo certamente non chiaro, decisioni giurisprudenziali a loro volta antitetiche che possono sostanzialmente riassumersi in due diversi orientamenti di fondo.

Un primo orientamento più rigoroso, di cui si è detto innanzi, conferisce al giudice adito per il merito il potere di statuire in via cautelare seppur incompetente, un altro orientamento invece, nega la competenza del giudice adito incompetente nel merito a statuire sulle richieste cautelari articolate nel corso del giudizio (Trib. Spoleto 19 aprile 2015; Trib. S. M. Capua Vetere 6 maggio 2011).

Va invero sottolineato, che se la dottrina risulta sostanzialmente divisa tra le suddette soluzioni, con una leggera predominanza dei fautori della tesi negativa, di contro, buona parte dei giudici di merito sembrano da ultimo propendere in favore della soluzione prospettata per prima.

L'interpretazione sopra riferita trova il proprio supporto di fondo nell'esigenza di garantire la funzione essenziale della tutela cautelare e cioè quella di assicurare effettività alla tutela giurisdizionale neutralizzando i pregiudizi che la pretesa azionata potrebbe subire a causa della durata del processo a cognizione piena destinato a sfociare, peraltro, in una declaratoria di incompetenza. Ed in nome di tale assorbente e primario interesse gli interpreti si sono da un lato spinti sino ad una rigorosa interpretazione di cui si è detto del dato letterale in oggetto evidenziando che la dizione ivi utilizzata – riferimento al giudice della causa pendente per il merito – imporrebbe per relationem di àncorare il procedimento cautelare al giudizio di merito effettivamente instaurato e, d'altro lato, hanno altresì affermato la piena compatibilità di tale interpretazione con il principio della strumentalità della misura cautelare al procedimento di cognizione piena richiamandosi al disposto di cui all'art. 50 c.p.c. dal quale viene fatta derivare la permanenza della efficacia del provvedimento all'uopo reso dal giudice erroneamente adito pur dopo la statuizione declinatoria della competenza, attesa l'inapplicabilità alla fattispecie de qua del dato normativo sancito dall'art. 669-novies c.p.c.

Orbene, sulla scorta delle considerazioni che da ultimo precedono, in alcune pronunce di merito si è quindi ritenuto che se per un verso non può che convenirsi con l'orientamento sopra esposto in ordine ai disagi immediatamente correlati ad un'inesatta individuazione del giudice competente per il merito laddove si aderisca alla tesi della piena coincidenza tra la competenza cautelare e quella dì merito, per altro verso non può revocarsi in dubbio che l'esigenza di funzionalità propria della tutela cautelare non può in alcun modo giustificare interpretazioni che, essendo legate esclusivamente al dato letterale, si pongano in contrasto con l'aspetto essenziale della ratio sottesa alla riforma cautelare della l. n. 353/1990 oltre che con gli ordinari criteri che sovraintendono al cammino logico attraverso il quale pervenire ad una soluzione di diritto.

Ed invero – come si è già detto – tutta la riforma del giudizio cautelare risulta connotata dall'evidente intento di accentuare il collegamento strutturale tra il giudizio cautelare e quello ordinario in virtù della imprescindibile e necessaria continuità tra la fase cautelare e quella di cognizione piena, risultando la pronuncia nel merito il riflesso immediato della strumentalità strutturale tra la tutela cautelare e quella a cognizione completa.

La ricomprensione delle sentenze declinatorie della competenza tra quelle immediatamente produttive dell'inefficacia della misura cautelare concessa ante causam o in corso di causa giusta quanto sancito dall'art 669-novies c.p.c. trova la propria ragione logico-giuridica nella stessa natura della competenza.

Quest'ultima, infatti, se non può essere considerata un mero presupposto di validità degli atti processuali – in quanto una siffatta interpretazione si pone in contrasto con il principio, più volte sancito dalla giurisprudenza, della conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda conseguente alla translatio iudicii – va invece qualificata quale presupposto processuale per l'emanazione del provvedimento nel merito.

Se questo è l'effettivo significato da attribuire alla competenza, va da sé che il procedimento cautelare reso dal giudice incompetente non potrà che essere travolto dalla sentenza declaratoria dell'incompetenza vertendosi in ipotesi di provvedimento reso da un soggetto giurisdizionale privo della possibilità di statuire nel merito, cui risulta, a maggiore ragione, preclusa la possibilità di garantire il sommario accertamento della tutela cautelare invocata dalla parte interessata.

Pertanto, secondo tale ultimo orientamento di merito (Trib. Spoleto 19 aprile 2015; Trib. S.M. Capua Vetere 6 maggio 2011), la tesi di cui si controverte troverebbe il suo limite più rilevante proprio nell'incapacità di garantire l'indefettibile strumentalità tra la tutela cautelare ed il giudizio a cognizione piena, caratteristica fondamentale della materia cautelare.

L'orientamento sopra accennato, poi, sembra sorvolare sulle regole che ordinariamente sovraintendono il ragionamento logico giuridico-prodromico all'emanazione di una decisione che, impongono l'esame delle questioni pregiudiziali prima di procedere alla disamina della fondatezza nel merito della pretesa di parte attrice e che informano qualsiasi giudizio sia esso a cognizione piena che a cognizione sommaria.

Sicché a parere di alcuni giudici di merito (Trib. Spoleto 19 aprile 2015; Trib. S.M. Capua Vetere 6 maggio 2011), non si comprende per quale ragione si possa differenziare tra le tecniche processuali relative alle questioni pregiudiziali che guidano il giudice dinanzi ad una domanda ordinaria o cautelare ante causam da quelle che sovraintendono il ragionamento logico che porta alla decisione nell'ipotesi di domanda cautelare formulata nel corso del giudizio.

Anche in tal caso, infatti, il giudice dovrà dapprima decidere della propria competenza e poi a seguito del positivo vaglio di tale presupposto pregiudiziale potrà procedere alla disamina della pretesa nel merito. Ne consegue, pertanto, che il giudice adito per il merito, laddove si ritenga incompetente ad emettere il provvedimento finale invocato dall'attore dovrà altresì rigettare anche l'istanza cautelare articolata in corso di causa attesa la natura assorbente assunta dalla incompetenza afferente al giudizio di merito rispetto a quella cautelare (Trib. Bari 23 settembre 2005).

A ben guardare, poi, il dato letterale dell'art 669-quater c.p.c. non assume un significato contraddittorio rispetto alla interpretazione dello stesso ora suggerita.

Ed invero, il preciso riferimento al giudice della causa pendente comporta esclusivamente che, una volta instaurato il giudizio di merito, la domanda cautelare dovrà essere rivolta al giudice adito: ciò, tuttavia, non fa venire meno la necessità di verificare l'esistenza dei presupposti indispensabili per l'emanazione del provvedimento sia esso cautelare o finale con conseguente rigetto dell'istanza in caso di incompetenza nel merito.

Questa interpretazione è stata confermata in alcune sopra evidenziate pronunce di merito (Trib. Spoleto 19 aprile 2015; Trib. S.M. Capua Vetere 6 maggio 2011) anche a seguito della riforma introdotta dalla l. n. 80/2005 la quale ha dettato il principio innovativo della strumentalità attenuata che, però, non esclude del tutto il nesso di strumentalità tra il giudizio cautelare e quello di merito, tanto è vero che va comunque indicato nel ricorso l'azione di merito sottesa alla domanda cautelare.

A ciò aggiungasi, secondo l'interpretazione fatta propria da alcuni giudici di merito, che il provvedimento cautelare adottato in corso di causa è destinato ad essere travolto, rifluendovi, nel provvedimento che definisce la controversia tra le parti in causa proprio in ragione del suo carattere strumentale e provvisorio, essendo privo di efficacia definitiva.

In buona sostanza, secondo i fautori della tesi che nega la concedibilità del provvedimento cautelare da parte del giudice incompetente per il merito anche nel caso della translatio iudicii la sussistenza di una situazione di incompetenza non consentirebbe al giudice investito dell'istanza cautelare di adottare la relativa misura richiesta dalla parte ricorrente, spogliandosi della causa di merito ed assegnando il termine per la riassunzione dinanzi al giudice ritenuto competente, attribuendo così al meccanismo dell'art. 50 c.p.c. l'ulteriore funzione conservativa degli effetti non della domanda proposta dinanzi al giudice incompetente ma del provvedimento cautelare da quest'ultimo adottato nonostante la sua incompetenza, argomentando in modo similare a quanto prevede l'art. 27 c.p.p. senza che però risulti una copertura normativa ad hoc nell'ambito del processo civile, apparendo detta ipotesi conservativa – del provvedimento cautelare – e propulsiva della riassunzione del tutto estranea alla translatio.

A parere dell'orientamento minoritario formatosi in seno alla giurisprudenza di merito, nell'ipotesi del procedimento cautelare proposto in corso di causa, la tesi contraria finirebbe per consentire la separazione del fascicolo cautelare – nel sub-procedimento del giudizio principale di merito – mentre ancora risulta pendente quest'ultimo, destinato a chiudersi con una pronuncia soltanto in rito sulla competenza che dovrebbe travolgere con sé anche il provvedimento cautelare.

Un'ultima argomentazione usata dalla stessa giurisprudenza di merito per avvalorare la tesi che nega la competenza del giudice ad emettere un provvedimento cautelare se incompetente per decidere il merito della controversia muove dalla nota considerazione che la disciplina del procedimento cautelare uniforme si ispira al principio della tendenziale corrispondenza tra il giudice della cautela ed il giudice del merito.

Tale principio – costituisce la ratio dell'art. 669-ter c.p.c. che in tema di competenza incardina la domanda cautelare ante causam dinanzi al giudice che sarebbe competente a conoscere il merito della controversia – ragione per cui tale previsione fonda un criterio di competenza indiretta, postulando l'individuazione della competenza sul merito e successivamente sulla scorta di quest'ultima, quella per l'adozione del provvedimento cautelare in chiave strumentale della domanda principale.

La ratio anzidetta è comune a quella dell'art. 669-quater c.p.c. atteso che detta norma nell'affermare in caso di pendenza della causa per il merito la competenza in capo al giudice designato per la trattazione della causa di merito, sulla cui scorta la domanda cautelare deve, quindi, essere proposta dinanzi a quest'ultimo, ciò non significa che una volta pendente la causa per il merito la competenza per la cautela de plano debba ritenersi individuata ipso iure atteso che, il corretto significato rinvenibile dall'anzidetta disposizione codicistica non è certo quello di sovvertire la regola generale della tendenziale coincidenza tra il giudice del merito e quello della cautela.

In sintesi, per la tesi giurisprudenziale da ultimo esposta, se è vero che nell'ipotesi rientrante nell'art. 669-quater c.p.c. la delibazione sulla competenza è stata già effettuata nel momento in cui si instaura il giudizio principale, con l'ovvia conseguenza – direttamente ricavabile dallo stesso principio sotteso all'art. 669-quater c.p.c. – che anche la domanda cautelare non potrebbe che essere proposta dinanzi a quello stesso giudice adito per il merito, è ugualmente vero che, ciò non impedisce affatto ove tale valutazione risulti errata, né alle parti interessate di eccepire l'eventuale incompetenza del giudice adìto per il merito e successivamente per la fase cautelare in corso di causaex art. 669-quater c.p.c., né allo stesso giudice adito di procedere ad una delibazione ad hoc sulla competenza, al fine di valutare quella riguardante l'adozione del richiesto provvedimento cautelare quando è pendente la causa per il merito.

La conclusione è che, laddove difetti la competenza per la causa di merito, tale situazione non è priva di effetti in ordine alla competenza riferita alla richiesta tutela cautelare, comportando l'incompetenza dello stesso giudice, nell'ottica di evitare l'affermazione di una sorta di incompetenza funzionale ed inderogabile del giudice adito per l'adozione del richiesto provvedimento cautelare ex art. 669-quater c.p.c. (Trib. Spoleto 19 aprile 2015).

La competenza cautelare nell'ipotesi del giudizio di merito pendente dinanzi ad un giudice straniero

L'art. 669-quater, comma 5, c.p.c. prevede che, qualora la causa penda davanti ad un giudice straniero ed il giudice italiano non sia competente a conoscere il merito, si applica l'art. 669-ter, comma 3, c.p.c., a mente del quale la domanda cautelare si propone al giudice che sarebbe competente per materia o valore del luogo in cui deve essere eseguito il richiesto provvedimento cautelare.

In questa ipotesi, trova dunque applicazione la regola dettata dall'anzidetta norma per il cautelare richiesto ante causam.

Tale criterio è stato individuato anche per la diversa ipotesi in cui vi sia la giurisdizione concorrente ed alternativa del giudice italiano, vale a dire quando per effetto di norme convenzionali non sia possibile in base al criterio della prevenzione, adire il giudice italiano quando il giudizio di merito è già pendente dinanzi ad un giudice straniero.

Secondo una parte della dottrina, quando pende la causa all'estero e non opera il criterio della prevenzione, la parte che ritenga configurabile nella fattispecie concreta la giurisdizione del giudice italiano ed abbia conseguentemente già incardinato dinanzi a quest'ultimo la relativa causa per il merito, nel proporre successivamente la domanda cautelare dovrà attenersi al principio enunciato negli artt. 669-ter e 669-quater, comma 1, c.p.c. (Consolo, 454; Attardi, 234).

Secondo altra opinione, sarebbe invece competente il giudice avente sede nel foro dell'esecuzione (Merlin, 400).

In tale senso, sembra deporre una risalente giurisprudenza di merito.

In ordine al sequestro conservativo autorizzato sui beni del debitore sulla scorta di un'ingiunzione emessa dal giudice civile tedesco, la competenza alla pronuncia della richiesta misura cautelare appartiene al giudice del luogo in cui sono posti i beni oggetto del suddetto provvedimento (Trib. Udine 28 febbraio 1997).

La competenza sul sequestro conservativo autorizzato in forza di un titolo condannatorio del giudice statunitense appartiene alla corte d'appello del luogo di attuazione della richiesta misura cautelare e, dunque, di esecuzione della pronuncia straniera da delibare (App. Trieste 20 giugno 1997).

La competenza ad autorizzare il sequestro conservativo in funzione di una sentenza svizzera regolatrice di rapporti patrimoniali nelle more del giudizio di delibazione di quest'ultima, appartiene alla corte d'appello del luogo di attuazione della cautela e, quindi, dell'esecuzione della sentenza straniera da delibare (App. Milano 13 marzo 1998).

Il collegamento con il luogo di esecuzione della misura cautelare consente di evitare i problemi pratici che potrebbero sorgere, nell'ipotesi considerata, ove si volessero applicare i criteri generali posti dagli artt. 18 ss. c.p.c. (Raiti, 768).

L'art. 10 della l. n. 218/1995 stabilisce che in materia cautelare la giurisdizione sussiste quando il provvedimento deve essere eseguito in Italia o quando il giudice italiano ha la giurisdizione del merito.

In tale ottica, rientra nella giurisdizione del giudice italiano la cognizione di una domanda cautelare proposta dall'imprenditore di nazionalità italiana nei confronti di una banca italiana, cui era stato ordinato il rilascio di una garanzia internazionale a prima richiesta e diretta ad ottenere un ordine di sospensione del pagamento della garanzia o, in via subordinata, una declaratoria di inefficacia dell'azione di regresso spettante alla banca nei confronti del ricorrente in forza del pagamento della garanzia poiché il rapporto giuridico tra il ricorrente e la banca – dedotto in giudizio e posto a fondamento della domanda cautelare – è un rapporto che va equiparato nella fattispecie del mandato (Trib. Vicenza 10 luglio 2001).

Al fine di riconoscere la giurisdizione del giudice italiano rispetto alla domanda cautelare proposta dal titolare di un marchio di automobili e di servizi di assistenza e di intermediazione nella vendita dell'usato che lamenti la contraffazione compiuta mediante l'apertura di un sito Internet con un domain name confondibile, non può farsi riferimento agli effetti dannosi determinati dalla diffusione, da parte della titolare del sito, di servizi di informazione relativi al mondo dell'auto pure offerti nella pagina web se la titolare del marchio italiano non vanta un diritto esclusivo né di marchio né di domain name che copra l'attività editoriale (Trib. Torino 2 febbraio 2000).

Ai sensi degli artt. 12 della l. n. 218/1995 e 31 del reg. 44/2000, la legge processuale applicabile nel procedimento cautelare instaurato avanti al giudice italiano è la legge italiana, ed al riguardo, non rileva che alla fase cautelare poi in concreto segua una fase di merito, giacché ad escludere la necessità della stessa può soccorrere una diversa valutazione della parte interessata od un'intervenuta conciliazione, ma occorre che l'interesse alla causa di merito sussista nel momento in cui la fase cautelare viene instaurata (Trib. Venezia 21 luglio 2004).

La cautela in funzione di una lite estera potrà essere data soltanto dal giudice italiano, e ciò in via esclusiva, in quanto il monopolio della forza attrattiva è esteso oltre l'area dell'esecuzione a quello della cautela, senza che possano interferirvi né il giudice penale, né quello amministrativo, né il giudice straniero né l'arbitro, nazionale o straniero (Campeis, De Pauli, 2946).

Ai sensi dell'art. 669-quater, comma 5, c.p.c., come si individua il giudice preventivamente adìto per la causa di merito?

Ai fini dell'accertamento di tale prevenzione, non rileva l'esperimento della procedura di sequestro cautelare, azionata avanti al giudice straniero, la quale non comporta necessariamente una scelta irreversibile del giudice chiamato ad occuparsi della causa di merito cautelanda.

Infatti, ex art. 31 del Reg. Cee n. 44/2000 i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro CEE possono essere richiesti alla giudice di detto Stato anche se la competenza a conoscere nel merito è riconosciuta al giudice di un altro Stato membro talché si deve conseguentemente ritenere che, laddove la competenza a conoscere della causa di merito appartenga a più Stati, non è escluso che chi ha ricorso in sede cautelare in un determinato Stato appartenente alla CEE poi possa decidere di instaurare il giudizio di merito avanti al giudice di un'altra nazione ugualmente competente.

Tornando, pertanto, all'accertamento della prevenzione della lite si rileva che a tale fine l'art. 30 del Reg. CEE n. 44/2000, al n. 2), dispone che un giudice è considerato adìto se l'atto deve essere notificato o comunicato prima di essere depositato presso il giudice, quando l'autorità competente per la notificazione lo riceve.

Nel quadro di un sempre più seguito orientamento del c.d. «diritto vivente» che scinde, con riferimento alle posizioni delle due parti in lite ed ai termini e decadenze che si chiede loro osservare rispetto al momento della notifica di un atto, il momento in cui la notifica si perfeziona per l'uno o per l'altro (Corte cost., n. 477/2002; Corte cost., n. 69/2004).

Non si guarda, pertanto, al fine di stabilire quale sia la causa precedentemente instaurata, al perfezionamento della notifica per il soggetto notificato, ma a quello in cui la stessa si perfeziona per il soggetto notificante, momento che corrisponde a quello della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario.

Nell'ipotesi di litispendenza e continenza di cause promosse in diversi Stati membri, ai fini dell'individuazione del giudice preventivamente adito non rileva l'esperimento della procedura cautelare, la quale, non comporta necessariamente una scelta irreversibile del giudice che dovrà occuparsi della relativa causa di merito posto che, a norma dell'art. 31 del Reg. CEE n. 44/2000, i provvedimenti cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro UE possono essere richiesti all'autorità giudiziaria di detto Stato anche se la competenza a conoscere nel merito è riconosciuta al giudice di un altro Stato membro. Pertanto, laddove la competenza a conoscere della causa di merito appartenga a più Stati, non è escluso che colui il quale ha ricorso in sede cautelare in un determinato Stato appartenente alla UE possa poi decidere di instaurare il giudizio di merito avanti al giudice di un'altra nazione ugualmente competente (Trib. Firenze 13 aprile 2005).

La competenza cautelare nell'ipotesi dell'azione civile promossa o trasferita nel giudizio penale

L'art. 669-quater, ultimo comma, c.p.c. prevede un'ulteriore ipotesi in cui è destinata a trovare ingresso la disposizione contenuta nell'art. 669-ter, comma 3, c.p.c. – riguardante la competenza del giudice che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare – ed è quella in cui l'azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale, salva però in questo caso l'applicazione dell'art. 316, comma 2, c.p.p. in materia di sequestro conservativo.

La disposizione cui allude in questo caso l'art. 669-quater, ultimo comma, c.p.c. attiene alla richiesta di concessione del provvedimento d'urgenza.

La disposizione citata è stata oggetto di critiche in dottrina, attesa la differenza sostanziale con l'altra ipotesi in cui può l'art. 669-quater, comma 5, c.p.c. prevede che possa trovare applicazione l'art. 669-ter, comma 3, c.p.c. – riferita al caso in cui la causa di merito penda davanti ad un giudice straniero, ed il giudice italiano non sia competente a conoscere la causa di merito – in quanto nella fattispecie in esame esiste un giudice italiano dotato della necessaria competenza ed è quello penale a cui peraltro è già devoluta la cognizione dell'azione civile (Celeste, 148; Proto Pisani 1991, 16).

In tale ottica, può allora comprendersi il rinvio operato dall'art. 669-quater, ultimo comma, c.p.c. all'art. 316, comma 2, c.p.p., a mente del quale, la parte civile può chiedere il sequestro conservativo dei beni dell'imputato o del responsabile civile, secondo quanto previsto dall'art. 316, comma 1, c.p.p. – in cui il sequestro conservativo è richiesto dal pubblico ministero nei confronti dell'imputato quando vi sia la fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato – qualora vi sia la fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato, essendo altresì evidente la possibilità per la stessa parte interessata di inserirsi nel solco dell'azione cautelare ove già proposta dal pubblico ministero, anche per gli effetti di cui all'art. 320, comma 2, c.p.p. concernenti l'esercizio della prelazione in sede di esecuzione sui beni sequestrati (Pototschnig, 28).

In questo caso, quando la domanda di sequestro conservativo è introdotta prima dell'esercizio dell'azione civile o della formulazione dell'imputazione nel processo penale oppure quando è proposta nel corso del giudizio civile troverebbe applicazione il criterio del giudice che è o sarebbe comunque competente a conoscere del merito enunciato dall'art. 669-ter, comma 1, e 669-quater, comma 1, c.p.c. (Giordano 2021, 4108).

In dottrina, si è evidenziata la circostanza secondo cui, la speciale competenza sia alternativa o concorrente a quella generale enunciata nell'art. 669-ter c.p.c. (per un approfondimento sul problema attraverso l'analisi comparativa del sequestro conservativo penale e del sequestro conservativo civile, v. Pontecorvo, 568) e, se quindi, la parte possa chiedere il sequestro conservativo soltanto al giudice indicato nell'art. 317 c.p.p. essendo strettamente collegato con le domande restitutorie e risarcitorie formulate con l'azione civile esercitata in sede penale, e tutti gli altri provvedimenti cautelari al giudice civile competente per materia e per valore del luogo in cui la richiesta misura cautelare deve essere eseguita, oppure se sussista la competenza esclusiva del giudice penale nel caso in cui l'azione civile è stata proposta o trasferita in quella sede (Celeste, 148), apparendo anche la giurisprudenza di merito divisa sull'anzidetta questione involgente la competenza del giudice civile e del giudice penale ad emettere il richiesto sequestro conservativo in via concorrente od esclusiva.

Secondo Trib. Ancona 11 novembre 1995, la competenza ad emettere il sequestro conservativo invocato dalla parte lesa costituitasi parte civile nel processo penale, spetta in via concorrente al giudice penale dinanzi al quale pende il giudizio sull'an ed al giudice civile al quale è demandato l'accertamento sul quantum debeatur, a norma dell'art. 669-quater c.p.c. che, richiamando l'art. 316, comma 2, c.p.p., intende fare salva l'abrogazione implicita della norma processualpenalistica anteriore.

La competenza del giudice penale ad emettere il sequestro conservativo richiesto dalla parte lesa costituitasi parte civile non è esclusiva, ma concorrente con quella prevista, in via generale, per tutti i provvedimenti cautelari, dagli artt. 669-ter e 669-quater c.p.c. (Trib. Roma 21 luglio 1993). Contra, altra giurisprudenza di merito che ha, invece, affermato il principio esattamente opposto secondo cui la competenza a concedere il sequestro conservativo, quando l'azione civile sia stata trasferita nel processo penale, spetta in via esclusiva al giudice penale, ai sensi dell'art. 669-quater comma 6 c.p.c. che fà espressamente salva la previsione dell'art. 316, comma 2, c.p.c. (Trib. Roma 20 ottobre 1993). Secondo Trib. Firenze 25 novembre 1996, spetta alla competenza esclusiva del giudice penale la pronuncia sul sequestro conservativo ante causam proposto da soggetto leso costituitosi parte civile nel processo penale, rientrando tale ipotesi nell'eccezione espressamente prevista dall'ultimo periodo dell'art. 669-quater, comma 6, c.p.c. In senso conforme, v. Pret. Milano 17 gennaio 1996, secondo cui la competenza a concedere il sequestro conservativo quando l'azione civile sia stata trasferita nel processo penale, cui il ricorrente si sia già costituito parte civile, deve essere attribuita in via esclusiva al giudice penale, ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c., il quale fa salva l'applicazione dell'art. 316, comma 2, c.p.c.

La competenza a provvedere sull'istanza cautelare di sequestro conservativo, promossa dinanzi al giudice civile dopo l'avvenuta costituzione di parte civile, spetta al giudice penale (Trib. Roma 10 aprile 1995).

La posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità sembra, invece, propendere per la concorrenza della competenza del giudice civile e del giudice penale nel pronunciare il sequestro conservativo.

La questione trova la sua soluzione nel combinato disposto degli artt. 669-quater, comma 6, e 669-ter, comma 3, c.p.c., per cui, nell'ipotesi di azione civile esercitata o trasferita nel procedimento penale, la competenza a conoscere della richiesta di sequestro conservativo spetta al giudice civile del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare, competente per materia o valore, salva l'applicazione del secondo comma dell'art. 316 c.p.p.

È agevole allora desumere che, nella predetta ipotesi, il richiedente può tanto rivolgersi al giudice penale competente per il merito come al giudice civile territorialmente competente per materia o valore. Secondo la Suprema Corte, l'assunto trova altresì riscontro nell'art. 669, comma 2-decies c.p.c. che, nell'ipotesi dell'azione civile esercitata o trasferita nel processo penale, stabilisce che competente a decidere la revoca o modifica del provvedimento cautelare è lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento (Cass. III, n. 199/2003).

Inoltre, secondo Cass. VI, n. 5406/1995, premesso che l'art. 669-quater, ultimo comma, c.p.c. dispone l'applicazione dell'art. 669-ter, comma 3, c.p.c. – competenza del giudice che sarebbe competente per materia o per valore del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare – nel caso in cui l'azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale, salva l'applicazione dell'art. 316, comma 2, c.p.p., poiché l'esercizio dell'azione civile non è comunque consentita nel processo penale prima del momento di esercizio dell'azione penale, così come è, del pari, preclusa, anche al pubblico ministero la possibilità di richiedere il sequestro conservativo, appare chiaro che la suddetta riserva non possa operare se non nel giudizio di cassazione, l'unica fase processuale in cui la cautela non può essere fatta valere davanti al giudice penale.

Il ricorso per sequestro conservativo potrebbe altresì essere introdotto dinanzi al giudice civile ex art. 669-ter, comma 2, c.p.c. se l'azione in sede civile viene ad essere proposta nei confronti dell'imputato dopo che si è verificata la costituzione di parte civile nel processo penale (Attardi, 235).

Secondo un orientamento di merito, l'esercizio dell'azione civile in sede penale durante la pendenza, dinanzi al giudice civile, di un procedimento cautelare finalizzato alla emissione di un provvedimento di sequestro conservativo, non comporta l'estinzione di detto procedimento, né trasferisce al giudice penale la competenza a provvedere in merito alla richiesta di sequestro (Trib. Roma 24 gennaio 1995).

Tuttavia, va anche considerato che avendo ad oggetto l'azione civile nel processo penale le restituzioni ed il risarcimento del danno da reato ex art. 185 c.p., non v'è materia per l'applicazione degli artt. 74 e 75 c.p.p. quando si verta in una situazione nella quale l'azione civile intentata in sede propria non riguardi il danno da reato, ma consista in una azione petitoria e/o nella domanda di un accertamento costitutivo, anche nel caso in cui tali domande attengano nella sostanza alla medesima vicenda interessata dal giudizio penale.

In tale ipotesi, anche ad ammettere in astratto l'applicabilità dell'art. 75 c.p.p., da esso discende che quando all'azione civile in sede propria segue l'azione civile in sede penale è la prima che viene in tale modo trasferita in sede penale ai sensi dell'art. 75, comma 1, c.p.p. e l'accertamento di siffatta situazione, che automaticamente comporta la rinuncia agli atti del giudizio civile, è un problema esclusivo del giudice civile (Cass. V, n. 43241/2008).

Ciò senza considerare che la specifica garanzia assicurata dal sequestro conservativo penale mediante l'istituzione altresì di un privilegio a favore dei crediti da reato, non può in alcun modo essere soddisfatta dal solo sequestro civile.

I presupposti per la proposizione del ricorso cautelare quando pende la causa per il merito

Nel ricorso cautelare in corso di causa, i presupposti per la concessione della richiesta tutela sono del tutto analoghi a quelli richiesti dall'art. 669-ter c.p.c.ante causam.

Tuttavia, esiste una differenza di fondo tra le due modalità di instaurazione del procedimento cautelare atteso che, nel caso in cui la parte ricorrente presenti il ricorso cautelare qualificandolo come anteriore alla causa, nonostante in realtà risulti già pendente il processo di merito ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c. il ricorso così proposto è inammissibile, senza che la declaratoria di inammissibilità comporti alcun giudicato cautelare, potendo dunque il ricorrente riproporre l'istanza cautelare nella sede propria (Trib. Bologna 10 agosto 2017), ragione per cui ai fini dell'applicazione dell'art. 669-quater c.p.c., è necessario che la causa di merito abbia ad oggetto le pretese che la parte vuole cautelare, dovendo ravvisarsi tra il giudizio di merito ed il giudizio cautelare l'identità delle questioni giuridiche poste all'attenzione del giudice adìto, seppure ovviamente con intensità di tutela diversificata in base alle finalità proprie dei due tipi di giudizi.

La differenza tra le due forme di introduzione del procedimento cautelare risiede dunque nella definizione del «perimetro» fattuale, perché mentre nel ricorso cautelare ante causam , l'indicazione del fumus è costruita «liberamente», proprio perché ancora non risulta pendente un giudizio di merito, a differente conclusione si perviene quando quest'ultimo sia invece già in corso, dovendo il fumus essere opportunamente «calibrato» dal ricorrente in relazione alle richieste formulate dal medesimo nella causa pendente per il merito, rispetto alla quale è in ogni caso strumentale.

Infatti, non sarebbe pensabile l'indicazione di un fumus affrancato dalla costruzione del fatto già esposta nel libello introduttivo del giudizio di merito, stante la necessaria strumentalità del primo rispetto al secondo, la quale, è maggiormente evidente nella domanda ex art. 669-quater c.p.c.

Tale assunto trova ulteriore conferma qualora il giudice adito con ricorso ex art. 669-quater c.p.c. decida di unificare la fase cautelare ed il giudizio di merito, emanando in luogo del richiesto provvedimento cautelare un vero e proprio provvedimento definitivo di merito (Cass. III, n. 16894/2016; Cass. IV, n. 14669/2001).

In ciò trova, quindi, giustificazione l'affermazione ricorrente nella giurisprudenza di merito secondo cui vi è causa pendente per il merito e, quindi, il ricorso per la richiesta misura cautelare deve essere proposto al giudice istruttore della stessa, solo quando vi sia identità di parti, di petitum e di causa petendi fra la causa già pendente e quella relativa alla misura cautelare (Trib. Roma 2 novembre 1994).

In tale ottica, è stata quindi ritenuta inammissibile la domanda di condanna alla restituzione del doppio della caparra versata proposta solo con il ricorso cautelare in corso di causa, rappresentando domanda nuova, in ragione della diversità della causa petendi – caparra confirmatoria e non già restituzione di acconti indebiti – al pari della variazione quantitativa del petitum mediato richiesto, nella medesima parentesi cautelare, a titolo di ulteriore misura risarcitoria (Trib. Bari 21 ottobre 2015).

Non a caso, ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c., per causa pendente per il merito deve intendersi quella diretta all'accertamento della pretesa in relazione alla quale l'istante agisce in sede cautelare, con la conseguenza che per radicare la competenza del giudizio cautelare presso il giudice già adìto per il merito è necessaria la riferita perfetta coincidenza di parti, petitum e causa petendi fra il già instaurato giudizio di merito ed il ricorso ex art. 669-quater c.p.c. ragione per cui il giudizio di merito, al quale la cautela è propedeutica, non può in alcun modo identificarsi con una qualsiasi causa di merito già instaurata da una delle due parti, benché questa risulti in qualche misura connessa o pregiudiziale rispetto a quella a garanzia della quale è richiesto il provvedimento cautelare. Ne consegue che è da escludersi l'applicabilità dell'art. 669-quater c.p.c. al caso in cui il procedimento cautelare ed il giudizio di merito precedentemente instaurato presentino delle diversità circa i soggetti passivi delle azioni fatte valere in corso di causa e l'estensione della domanda proposta, cosicché i provvedimenti assunti nel corso dei due procedimenti non interferiranno tra loro, coprendo essi fatti illeciti differenti (Trib. Milano 6 marzo 2012).

In genere, anche nel ricorso cautelareex art. 669- quaterc.p.c. il requisito del periculum in mora non può ritenersi sussistente in re ipsa , perché resta distinto dal fumus boni iuris, il cui riscontro è necessario al fine di bilanciare la valutazione riferita all'eventuale irreversibilità degli effetti della misura cautelare a danno della parte istante.

Per carenza di periculum è stata, infatti, rigettata l'istanza cautelare proposta in via d'urgenza nell'ambito dell'azione civile esercitata nei confronti dell'Agenzia delle Entrate da un'associazione di commercialisti, al fine di vedere affermato il loro diritto a non sottostare all'obbligo di fatturazione elettronica in prossimità dell'entrata in vigore delle relative disposizioni, chiedendo la sospensione degli atti impugnati ovvero il differimento dell'entrata in vigore del sistema di fatturazione elettronica sino a quando non sarà stato compiutamente emendato il suddetto sistema dai vizi denunciati in ricorso, anche alla luce delle osservazioni formulate in proposito dal Garante per la protezione dei dati personali.

Il rigetto della domanda cautelare – inquadrata nella previsione che, a protezione dei diritti garantiti dal d.lgs. n. 196/2003, offre ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. n. 150/2011 uno speciale mezzo di tutela per le ipotesi in cui all'esecutività dell'atto impugnato consegua il pericolo di un pregiudizio grave ed irreparabile, strumento da esercitarsi appunto nell'ambito del giudizio di merito – consegue alla preliminare valutazione che in linea di principio il tema della permeabilità dei sistemi di trasmissione ed archiviazione delle fatture elettroniche rispetto ad eventuali intromissioni illecite non si presta alla valutazione sommaria che è propria del giudizio cautelare, involgendo valutazioni tecniche altamente specializzate, non senza chiarire comunque che, nella fattispecie ai fini della concessione della misura invocata è dirimente l'insussistenza di ragioni gravi e circostanziate che suggeriscano la sospensione dei provvedimenti impugnati richiesta in via d'urgenza, secondo la previsione degli artt. 10 e 5 del d.lgs. n. 150/2011, applicabili alle controversie in tema di protezione dei dati personali, così come l'art. 700 c.p.c. pure invocato in via alternativa, atteso che la misura della sospensione ha infatti natura e struttura cautelare.

Al riguardo, il giudice della cautela adìto ex art. 669-quater c.p.c. potrebbe richiamare l'orientamento secondo cui il sintagma «gravi e circostanziate ragioni» consente la sospensione solo in presenza dell'apparente fondatezza dell'azione e di un consistente pregiudizio in capo al ricorrente, atteso che la natura cautelare del provvedimento è data per presupposta anche nella relazione di accompagnamento del citato d.lgs. n. 150/2011, che individua i presupposti della sospensione nella «ragionevole fondatezza dei motivi su cui si fonda l'opposizione» e nel «pericolo di un grave pregiudizio derivante dal tempo occorrente per la decisione dell'opposizione». E sebbene nel caso della sospensione inaudita altera parte venga posto maggiore accento sulla gravità del pericolo, deve ritenersi comune ad entrambi i casi – in quanto partecipi di una comune natura ed emessi a seguito di una cognizione sommaria — la necessità di uno specifico requisito di urgenza, tradizionalmente declinato in termini di gravità ed inemendabilità del danno conseguente al decorso del tempo necessario prima dell'adozione di un provvedimento definitivo a cognizione piena.

Pertanto, si è affermato in una pronuncia di merito che una rappresentazione del periculum espressa dalla parte ricorrente con specifico riferimento al fatto di temere di essere coinvolta in un meccanismo operativo contra ius, potenziale fonte di responsabilità professionale a suo carico, laddove in concreto, nell'ambito dell'attività di fatturazione elettronica, si desse luogo ad un trattamento improprio dei dati personali dei rispettivi clienti, trattandosi di un pericolo individuato in particolare nella possibilità di illecite intromissioni nel sistema informatico, appare come del tutto inadeguata a sorreggere una richiesta di cautela, traducendosi nel rischio di esposizione a contestazioni e censure da parte dei propri clienti, ovvero di soggezione ad una responsabilità risarcitoria che si presenta come del tutto ipotetico od eventuale, di ricorrenza non immediata, e per sua stessa natura suscettibile di riparazione attraverso un equivalente monetario di incerta determinazione, caratteristiche tutte che ne precludono l'inquadramento nella fattispecie del danno irreparabile, ciò senza contare che, a fronte di eventuali censure da parte della clientela, la parte interessata ben potrebbe opporre la causa di giustificazione dell'adempimento del dovere, con la conseguenza che non sono individuabili – tantomeno in termini di immediatezza – né un effettivo rischio risarcitorio, né un potenziale discredito della parte ricorrente per il solo fatto di avere prestato adesione al nuovo sistema di fatturazione elettronica (Trib. Roma 28 agosto 2018).

Sempre in tale ottica, si è quindi ritenuto che per l'accoglimento dell'istanza cautelare exartt. 669-quater e 671 c.p.c. occorre la ricorrenza sia del requisito del fumus boni iuris che del periculum in mora, ragione per cui non va accolta l'istanza di concessione di un provvedimento cautelare in caso di mancata allegazione del periculum in mora sotto il profilo oggettivo o soggettivo (Trib. Latina 29 aprile 2014).

Allo stesso modo, il ricorso per sequestro conservativo in corso di causa ex art. 669-quater c.p.c. deve essere rigettato per difetto del periculum in mora qualora il ricorrente non alleghi alcun elemento dal quale desumere che il patrimonio del resistente sia incapiente rispetto alle proprie pretese, né elementi concreti dai quali desumere la volontà del resistente di sottrarsi ad un eventuale obbligo di pagamento posto che la mera circostanza di una iscrizione ipotecaria sull'immobile di proprietà di quest'ultimo, da sola, è insufficiente a concretare il rischio di sopravvenuta impossidenza (Trib. Roma 30 maggio 2005).

La giurisprudenza ha ritenuto generalmente insussistente il requisito del periculum in mora richiesto per la proposizione del procedimento di urgenza quando sia trascorso un periodo di tempo consistente dal più recente dei fatti contestati al momento della proposizione del ricorso, in quanto tale decorso del tempo evidentemente costituisce sintomo di una tolleranza antinomica rispetto all'assunta richiesta di tutela in via d'urgenza (Trib. Napoli 4 febbraio 2005; Trib. Napoli 5 luglio 2002; contra Trib. Napoli 5 febbraio 2018).

Ai sensi dell'art. 671 c.p.c. il sequestro conservativo può essere autorizzato sui beni mobili ed immobili del debitore o sulle somme o cose a lui dovute nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento, procedura a cui tale strumento cautelare è preordinato. Nel caso in cui venga irritualmente chiesta l'apposizione del vincolo specifico sulla somma giacente nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare in attesa dell'approvazione del progetto di distribuzione, vanno allegati il periculum concernente concreti elementi di rischio per la perdita della garanzia del credito. Vanno inoltre dimostrati in concreto gli elementi di rischio oggettivi riferiti alla capacità patrimoniale del medesimo debitore rapportati all'entità del credito, e quelli soggettivi, consistenti in comportamenti posti in essere da quest'ultimo che lascino fondatamente ritenere che, al fine di sottrarsi all'adempimento, il debitore ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare il depauperamento del suo patrimonio. Ciò posto, non è sufficiente una mera oggettiva sproporzione tra il credito ed il patrimonio già ab origine esistente dovendo emergere elementi che conducano a ritenere come probabile una diminuzione patrimoniale in capo al soggetto debitore destinatario della misura cautelare (App. Roma 27 agosto 2025).

Il decreto inaudita altera parte nel processo cautelare in corso di causa

La richiesta di concessione di un provvedimento cautelare ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c. quando è già pendente la causa per il merito è possibile introdurla anche con la contestuale richiesta di emissione di un decreto inaudita altera parte, laddove nelle more della notifica del ricorso con il pedissequo decreto di fissazione dell'udienza sia allegata l'imminenza del periculum posto a fondamento dell'istanza cautelare unitamente al fumus.

L'ammissibilità d'ufficio del decreto cautelare inaudita altera parte è considerata estremamente dubbia (Carratta, 205).

I presupposti per l'emissione del decreto cautelare inaudita altera parte nel procedimento cautelare in corso di causa sono ravvisabili quando la prevedibile semplice conoscenza del ricorso cautelare induca laparte resistente a vanificare il futuro provvedimento, e nel caso in cui il periculum consista nel semplice trascorrere del tempo, indipendentemente dalle intenzioni della stessa parte resistente (Turroni 2016, 2).

Infatti, la circostanza che trattasi di ricorso cautelare in corso di causa, non vale ad escludere la misura anzidetta in presenza dell'imminenza del periculum per almeno due ragioni.

La prima ragione è che l'introduzione del ricorso ex art. 669-quater c.p.c. può aversi unitamente alla proposizione dell'atto introduttivo del giudizio di merito, ed in questo caso, tale modalità di presentazione della domanda cautelare comporta che sebbene quest'ultima debba intendersi sempre come proposta in «corso di causa», ciò non toglie che la parte evocata nel giudizio di merito ancora non è costituita, ragione per cui in attesa che lo faccia – sempre che non scelga di rimanere contumace – medio tempore potrebbe verificarsi il temuto pregiudizio costituente il periculum addotto nel parallelo procedimento cautelare dinanzi al giudice adìto.

La seconda ragione è che, laddove la parte resistente sia già invece costituita nel pendente giudizio di merito, ciò non vale comunque ad escludere la sussistenza di una necessità analoga a quella innanzi evidenziata, poiché la costituzione nel pendente giudizio di merito non comporta automaticamente per il convenuto né la conoscibilità dell'istanza cautelare introdotta con il procedimento cautelare che, pertanto, conserva la propria autonomia rispetto alla causa principale nonostante il vincolo di strumentalità esistente con quest'ultima, né tantomeno l'esonero per la parte ricorrente di procedere alla relativa notifica nel termine perentorio stabilito dall'art. 669-sexies c.p.c., unitamente al provvedimento del giudice designato per la trattazione che fissa la relativa udienza di comparizione delle parti (nel caso in cui il decreto non contenga la fissazione dell'udienza di comparizione per la conferma, modifica o revoca entro quindici giorni dalla pronuncia ex art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., della misura cautelare eventualmente concessa, non è inefficace, potendo il prescritto controllo da parte dello stesso giudice che l'ha emessa avvenire, nel contraddittorio delle parti, nell'udienza di prima comparizione, ai sensi dell'art. 180 c.p.c.: v., in tale senso, Trib. L'Aquila 31 ottobre 2002).

In dottrina, si è quindi osservato che l'eventuale coincidenza della data dell'udienza per la conferma, modifica o revoca del decreto inaudita altera parte emesso nel cautelare in corso di causa con quella dell'udienza ex art. 180 c.p.c. nella causa pendente per il merito, nell'ipotesi in cui quest'ultima ricada a distanza di un consistente lasso temporale dalla pronuncia cautelare, integra una palese violazione del principio del contraddittorio, in termini della sua effettività (così Ferri, 2401), che è distinta ed autonoma rispetto a quella dell'atto introduttivo del giudizio di merito, trattandosi di procedimenti distinti, sebbene destinati a confluire nello stesso fascicolo informatico, in cui peraltro il procedimento cautelare è contraddistinto con un proprio numero identificativo di registro generale sul ruolo degli affari contenziosi civili iscritto presso l'ufficio giudiziario adìto.

Il procedimento per decreto inaudita altera parte previsto dall'art. 669-sexies c.p.c. si pone, tuttavia, come un'eccezione alla regola dell'obbligatoria instaurazione del contraddittorio che, dunque, resta l'ordinario modus procedendi anche in materia cautelare essendo riservato alle sole ipotesi in cui la convocazione della controparte possa rappresentare un pregiudizio per l'attuazione del provvedimento (Ferri, 2396).

Il provvedimento d'urgenza richiesto pendente la causa di merito

Il ricorso alla tutela cautelare in via d'urgenza può aversi anche qualora risulti essere già pendente il giudizio di merito, laddove sorga la relativa necessità di evitare un pregiudizio imminente ed irreparabile che può intervenire anche quando è già stato attivato il giudizio per la tutela del diritto vantato dal ricorrente.

Basti pensare, a mero titolo d'esempio, ad una causa per danni inizialmente intentata dal proprietario di un'unità abitativa sottostante ad altra con annesso lastrico solare per i danni causati dall'omessa manutenzione di quest'ultimo laddove si verifichi successivamente un repentino peggioramento dello stato dei luoghi idoneo a fare considerare come imminente il verificarsi di un pericolo di crollo del solaio ovvero dell'eccezionale aggravarsi del fenomeno già esistente dovuto ad infiltrazioni di umidità in grado di rendere insalubri gli ambienti dell'unità abitativa sottostante, essendo evidente la possibilità che si profili in entrambe le ipotesi la ricorrenza di un danno grave alla salute.

Al riguardo, va altresì precisato che il provvedimento reso in via d'urgenza avendo sempre natura strumentale, provvisoria e non definitiva, in quanto destinato ad essere sostituito dalla decisione di merito, ovvero a decadere per effetto di essa o della mancata instaurazione del relativo giudizio, non è autonomamente impugnabile, salvo il caso in cui il giudice adito in corso di causa, con la richiesta di provvedimento d'urgenza unifichi la fase cautelare ed il giudizio di merito emanando, in luogo del provvedimento d'urgenza, un vero e proprio provvedimento definitivo di merito, poiché quest'ultimo, stante il suo carattere decisorio, ha natura sostanziale di sentenza ed è, pertanto, impugnabile mediante l'ordinario atto di appello (Cass. III, n. 16894/2016; Cass. IV, n. 14669/2001).

Il rimedio atipico del ricorso d'urgenza può avere svariati impieghi anche nell'ipotesi contemplata dall'art. 669-quater c.p.c.

Il rimedio ex art 700 c.p.c. azionato in corso di causa può avere ad oggetto anche l'adozione di una misura atipica anticipatoria dell'accertamento del diritto di una società ad esercitare i diritti amministrativi di partecipazione alle assemblee e di voto inerenti le azioni possedute, in relazione alle specifiche eccezioni personali sollevate per paralizzare tali diritti. In tale ipotesi, con la domanda oggetto del ricorso si chiede di consentire, qualora lo si ritenga sussistente e legittimo, l'esercizio del diritto di partecipazione e di voto all'assemblea e tale domanda è affatto differente dal rimedio cui eventualmente potrebbe accedere ex art. 2378 c.c. la medesima ricorrente impugnando la delibera assembleare che assume viziata perché adottata escludendo la sua partecipazione. Il petitum dei due rimedi – sospensione della delibera viziata e ordine di consentire l'accesso alla assemblea ed il voto – è diverso, le azioni di merito – impugnazione di delibera e accertamento dei diritti amministrativi inerenti il possesso di strumenti finanziari/azioni in relazione alla eccezioni sollevate dalla società – collegate ai due rimedi di natura cautelare sono diverse, il risultato della tutela è conseguentemente differente: l'uno di tipo rescindente, mentre l'altro non lo è, atteso che viene chiesto al giudice di assumere una decisione su come debba svolgersi l'assemblea quanto alla posizione del socio istante, ovviamente, prima della sua celebrazione. Con il ricorso ex art 700 c.p.c. pre-assembleare si chiede di consentire l'esercizio effettivo del diritto del socio in assemblea, mentre l'impugnativa della delibera viziata è rimedio che in tesi presuppone la già avvenuta lesione di quel diritto. Lo spazio del rimedio atipico ex art 700 c.p.c. può essere precisamente anche questo: evitare preventivamente la lesione di un diritto e ciò è ammissibile anche se nell'ordinamento sussistono rimedi ripristinatori/risarcitori della lesione consumata che sono ontologicamente diversi dal rimedio preventivo. In una fattispecie di merito si è infatti ritenuto che il rimedio atipico chiesto ex art. 700 c.p.c. dalla società ricorrente non si sovrapponeva al rimedio tipico ex art 2378 c.c., ragione per cui è stata rigettata l'eccezione di inammissibilità della domanda cautelare per difetto di residualità rispetto al rimedio tipico previsto dall'art. 2378 c.c. (Trib. Milano 31 agosto 2019).

La concessione della richiesta misura tutela cautelare esige l'esame della sussistenza dell'ulteriore presupposto del pericolo imminente ed irreparabile alla lesione del tutelando diritto della società ricorrente a partecipare e votare quale socia di minoranza all'assemblea convocata dalla società al cui capitale sociale la prima è partecipe, sulla scorta della prospettata lesione irreparabile del diritto della stessa socia di minoranza di partecipare all'assemblea e di esercitare il voto, per la sola percentuale di azioni, e che soltanto la tutela richiesta ex ante è in grado di scongiurare assicurando la partecipazione allo svolgimento delle operazioni assembleari (Trib. Milano 31 agosto 2019).

Il sequestro conservativo richiesto quando è pendente la causa per il merito

La domanda di sequestro conservativo ai sensi dell'art. 669-bis c.p.c. si propone con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente, e se la misura è domandata in corso di causa ex art. 669-quater c.p.c. va proposta al presidente della sezione adita per il merito, il quale, designa un giudice singolo per la pronuncia sulla richiesta misura cautelare da rendere con provvedimento reclamabile innanzi al collegio.

Il sequestro conservativo previsto dall'art. 671 c.p.c.è ammissibile anche nell'àmbito di una causa di separazionepersonale tra coniugi, rappresentando il sequestro contemplato dall'art. 156, comma 6, c.c. una tutela aggiuntiva e non sostitutiva rispetto all'ordinario sequestro previsto dal codice di rito, atteso che il procedimento ex art. 156 c.c. consente al coniuge debole di procedere al sequestro in caso di inadempimento dell'altro coniuge, senza dovere dare la prova di requisiti diversi dall'inadempimento stesso, ragione per cui ben può il medesimo coniuge, in assenza di tale inadempimento, ricorrere alla tutela ordinaria concessa dall'art. 671 c.p.c., a condizione ovviamente di provare i necessari e tradizionali presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora (Trib. Ivrea 21 settembre 2000; Cass. I, n. 521/1994, in una fattispecie analoga, ha sostanzialmente aderito a questa ricostruzione, censurando un provvedimento di sequestro conservativo reso nell'ambito del giudizio di separazione personale non sul presupposto dell'inesistente sua inconfigurabilità ontologica, ma semplicemente perché reso dal presidente quando la causa era già stata affidata al giudice istruttore.

Il sequestro conservativo, anche quando richiesto in corso di causa, è uno strumento destinato ad assolvere ad una funzione di garanzia patrimoniale per il creditore che ancora non disponga di una sentenza di condanna esecutiva: esso, infatti, può essere autorizzato negli stessi limiti in cui la legge permette il pignoramento di beni mobili o immobili del debitore o di somme e cose allo stesso dovute e, ai sensi degli artt. 686 c.p.c. e 156 disp. att., si converte in pignoramento al momento in cui il creditore sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva (App. Messina 2 settembre 2020).

Ai fini della concessione del sequestro conservativo, deve quindi prendersi in considerazione la valutazione complessiva del temuto pericolo con riguardo a tutti i debitori tenuti in solido, ragione per cui non può concedersi il sequestro conservativo in corso di causa in favore del creditore di un'obbligazione solidale nei confronti di alcuni soltanto dei debitori convenuti (Trib. S. Maria Capua Vetere 20 gennaio 2004; Trib. Bari 13 marzo 1996).

È ammissibile l'istanza di sequestro contenuta nell'atto di citazione introduttivo del giudizio e non in separato ricorso come prescritto dall'art. 669-bis c.p.c., trattandosi di modalità inficiata da mera irregolarità formale ma del tutto idonea al raggiungimento del suo scopo costituito dall'instaurazione del contraddittorio con le controparti (Trib. Lamezia Terme 6 novembre 2012; contra, Trib. Roma 17 gennaio 1996 secondo cui l'istanza di sequestro contenuta nella citazione introduttiva del giudizio di merito è inammissibile).

Non è ammissibile la richiesta di sequestro conservativo in corso di causa formulata oralmente con dichiarazione inserita nel verbale d'udienza in quanto la legge espressamente prevede la forma del ricorso (Trib. Bari 29 aprile 1994).

Il sequestro conservativo in corso di causa è inammissibile qualora la parte richiedente abbia proposto, nel giudizio di merito, soltanto una domanda di mero accertamento circa la sussistenza del preteso credito (App. Genova 4 dicembre 1995).

La convalida del sequestro conservativo immobiliare autorizzato in corso di causa presuppone il semplice controllo formale della tempestiva trascrizione del provvedimento cautelare nella conservatoria dei registri immobiliari del luogo dei beni sequestrati, nonché la comunicazione della relativa notizia al sequestrato, avvenendo l'esecuzione del sequestro a cura e sotto la responsabilità esclusiva del creditore sequestrante, salvo, per quanto concerne la trascrizione, l'obbligo del conservatore di verificare, nei limiti di cui all'art 2674 c.c., l'osservanza degli specifici adempimenti richiesti dalla legge. In ogni caso, una volta che il provvedimento risulti trascritto e sia stato emesso l'ordine di cancellazione da parte del G.E., il sindacato del conservatore non può essere esteso ad un controllo del provvedimento di cancellazione, vieppiù ove si ritenga che ab origine non avrebbe potuto neanche essere trascritto. Infatti, il decreto di trasferimento immobiliare ex art. 586 c.p.c., tanto nell'espropriazione individuale che in quella concorsuale che si svolga sul modello della prima, implica l'immediato ed indifferibile trasferimento del bene purgato e libero dai pesi indicati dalla norma o ricavabili dal regime del processo esecutivo, con il conseguente obbligo per il Conservatore dei Registri immobiliari – o, secondo l'attuale definizione, Direttore del Servizio di pubblicità immobiliare dell'Ufficio provinciale del territorio istituito presso l'Agenzia delle entrate – di procedere alla cancellazione di questi immediatamente, incondizionatamente e, in ogni caso, indipendentemente dal decorso dei termini previsti per la proposizione delle opposizioni agli atti esecutivi avverso il provvedimento traslativo in parola (Trib. Prato 31 gennaio 2024).

Ciò, anche nel caso in cui il provvedimento di sequestro trovi giustificazione nel decreto di omologa della separazione consensuale ed è conseguente alla declaratoria di incostituzionalità dell'art 156 c.c. di cui alla sentenza della Corte Costituzionale 19 luglio 1996, n 258, ragione per cui al fine di concludere diversamente, non può essere considerata, sotto l'aspetto sostanziale, l'esigenza di tutela particolare del soggetto titolare del mantenimento, in relazione alla particolare natura e funzione del provvedimento di sequestro di cui all'art 156 c.c. ed all'ammissibilità della conversione in pignoramento all'esito di un eventuale sentenza di condanna per singoli assegni di mantenimento insoluti.

La notifica alla parte contumace del ricorso cautelare proposto nel corso del giudizio di merito

In dottrina e giurisprudenza, si discute se l'istanza cautelare proposta dall'attore nel corso del giudizio di merito debba essere o no notificata al convenuto contumace.

Nel procedimento cautelare, l'audizione preventiva delle parti non costituisce più un potere discrezionalmente esercitabile dal giudice bensì la modalità normale di concessione della tutela, attesa la centralità del canone del contraddittorio (Tota, 1284).

Con riferimento alla domanda cautelare proposta nel corso della causa di merito, la previa instaurazione del contraddittorio è sempre necessaria, sia che la domanda cautelare venga proposta nei confronti della parte già costituita nel giudizio di merito sia che la domanda cautelare venga proposta nei confronti di una parte contumace.

In tale senso, depone l'orientamento della giurisprudenza, laddove ha affermato che la previa instaurazione del contraddittorio è sempre necessaria, sia che la domanda cautelare sia proposta nei confronti di una parte già costituita sia che la domanda cautelare sia proposta nei confronti di una parte contumace. Sicché l'attore deve notificare ai convenuti contumaci la domanda cautelare proposta nel corso del giudizio di merito, se intende garantire la regolare instaurazione del contraddittorio su di essa (Trib. Bari 15 aprile 2008).

L'istanza cautelare avanzata in corso di causa e il conseguente decreto di convocazione delle parti devono essere notificati al contumace, a cura del ricorrente, nel termine fissato con ordinanza dell'istruttore. Ciò alla luce dell'art. 669-sexies c.p.c., che impone al giudice della cautela di adottare i provvedimenti idonei ad attuare il contraddittorio, e dell'art. 292 c.p.c., che impone alla parte costituita di notificare al contumace le domande nuove (Trib. Termini Imerese 7 ottobre 1998).

In materia di procedimento cautelare uniforme, le cui disposizioni si applicano, in quanto compatibili, agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali, ai sensi dell'art. 669-quaterdecies c.p.c., l'art. 669-sexies c.p.c. si pone come norma fondamentale, che trova applicazione nella domanda cautelare proposta ante causam e nel caso di domanda cautelare proposta nel corso della causa di merito.

Ad una diversa conclusione, non può portare l'art. 292 c.p.c. che non menziona espressamente le domande cautelari fra gli atti che devono essere notificati personalmente al contumace, sia perché, a ben vedere, la domanda cautelare proposta nel corso della causa di merito ben potrebbe rientrare fra le domande per le quali è prescritta la notificazione alla parte contumace, sia perché l'art. 292 c.p.c. è una norma generale che, in materia di procedimento cautelare, appare superata dalle norme speciali di cui agli artt. 669-bis ss. c.p.c. introdotte con la novella del 1990.

La circostanza che petitum e causa petendi dell'istanza cautelare siano comuni a quelle del giudizio di merito già pendente non rende inutile la preventiva formale e distinta instaurazione del contraddittorio, neppure quando ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c. l'atto introduttivo del giudizio di merito iscritto sul ruolo dell'ufficio giudiziario adito contenga anche l'istanza cautelare (Trib. Lecce 22 novembre 2000), perché se, da un lato, è vero che non può escludersi che le due costituzioni intervengano in un unico atto qualora la parte abbia in tale unico atto compiutamente espresso la propria posizione rispetto ad entrambi i giudizi – quello di merito già pendente e quello cautelare sopravvenuto – è ugualmente vero che la costituzione nel procedimento cautelare non può valere sic et sempliciter, anche come formale atto di costituzione nel giudizio di merito già pendente (Cass. IV, n. 5904/2005), persistendo l'autonomia dei rispettivi procedimenti anche se destinati a svolgersi dinanzi al medesimo organo giudicante.

Le allegazioni prodotte nel procedimento cautelare in corso di causa e la loro influenza nel giudizio di merito

Il giudice investito della conoscenza della domanda cautelare in corso di causa non può concedere il richiesto provvedimento sulla base della mera verosimiglianza dei fatti addotti dalla parte ricorrente, perché il presupposto per ottenerlo oltre alla ricorrenza del periculum è l'allegazione del fumus boni iuris, inteso quale verosimiglianza dei fatti costitutivi del diritto sostanziale che si andrà a fare valere nel corso del pendente giudizio di merito.

In particolare, il fumus consiste in una valutazione svolta dal giudice attraverso l'ausilio di strumenti conoscitivi dotati di un minore grado di affidamento sul piano giuridico perché richiedono un rapido espletamento nella loro stessa assunzione, sulla cui scorta, la natura dei risultati incide allora sul piano probabilistico più che su quello della certezza giuridica per la quale, occorrerà invece attendere l'esito dell'istruttoria ad hoc nel corso del pendente giudizio a cognizione piena.

In tale senso, depone la stessa giurisprudenza costituzionale secondo cui il fumus deve risultare da un semplice giudizio di verosimiglianza, concretizzantesi in una valutazione probabilistica circa le buone ragioni espresse dal ricorrente-attore, le quali vanno preservate dal rischio di restare irreversibilmente compromesse durante il tempo necessario a farle valere in via ordinaria, che giustifica il carattere strumentale – rispetto alla realizzazione del diritto da accertare nel giudizio di merito – assunto dal provvedimento cautelare, e la connessa struttura sommaria della cognizione (Corte cost., n. 326/1997).

La cognizione della fase cautelare, nella modalità ante causam ed in corso di causa, lungi dall'identificarsi con una normale istruzione probatoria, si configura semplicemente come assunzione, nel modo che il giudice ritiene più opportuno, degli atti istruttori indispensabili in relazione ai presupposti ed ai fini del provvedimento richiesto. Essa, quindi, non porta ad esprimere una valutazione contenutistica su fatti che hanno rilevanza rispetto alla causa di merito, ma è, al contrario, finalizzata alla semplice verifica dei presupposti anzidetti e non può, per definizione, interferire con la cognizione piena, al cui esito soltanto matura la decisione del merito.

La ragione è semplice e muove dalla diversità dei presupposti della tutela cautelare rispetto al giudizio di merito, atteso che con particolare riferimento all'oggetto della domanda, sono due sono gli elementi che concorrono ad identificare l'oggetto della domanda cautelare: il petitum e la causa petendi.

Il petitum cautelare è il tipo di richiesta che l'attore formula dinanzi al giudice e si distingue tra un petitum immediato – il tipo di provvedimento chiesto al giudice – ed un petitum mediato, a sua volta costituito dal bene della vita che il medesimo istante chiede al giudice ed intende conseguire attraverso il petitum immediato.

Ciò posto, appare di solare evidenza come il genere di bene della vita che si intende conseguire nel ricorso cautelare proposto quando è già pendente la causa per il merito è radicalmente diverso da quello posto a base di quest'ultima, e ciò in dipendenza del necessario riscontro contestuale degli stessi presupposti sui quali si fonda la domandata tutela cautelare: il fumus – che non si identifica con l'accertamento del diritto invocato dalla stessa parte nel giudizio di merito – ed il periculum, a sua volta consistente nell'imminente verificarsi di un pregiudizio che a seconda della particolare tipologia di tutela cautelare a cui si accede, si colora diversamente, anche sul piano dell'intensità, solitamente assumendo la forma più accentuata nella richiesta del provvedimento d'urgenza per effetto del fondato timore riferito all'irreparabilità ed imminenza del lamentato pregiudizio.

Conseguentemente, sebbene diversamente da quanto accade nel procedimento cautelare proposto ante causam ai sensi dell'art. 669-ter c.p.c. – connotato da una significativa autonomia rispetto al futuro ed eventuale giudizio di merito in ragione del principio di stabilità sancito dal novellato art. 669-octies c.p.c. – quello instaurato in pendenza del giudizio di merito è caratterizzato da un più intenso nesso di strumentalità rispetto alla causa petendi ed al petitum «di merito», ragione per cui non dà neppure luogo ad una nuova, diversa e distinta fase processuale in relazione alla quale sia necessario che il difensore già nominato con procura ad litem in calce o a margine dell'atto introduttivo del pendente giudizio di merito, si munisca di un nuovo ed ulteriore mandato al solo fine di proporre una domanda cautelare strumentalmente connessa a quella di merito (Trib. Bologna 21 settembre 2016), ciò non toglie che i due procedimenti siano comunque differenti e strutturalmente autonomi per le ragioni sopra precisate.

L'assunzione degli elementi probatori il cui fine è quello di riscontrare il fumus ed il periculum, stante la diversità di quest'ultimi riconducibili al petitum cautelare rispetto a quello oggetto del pendente giudizio di merito, non consente di fare sì che gli stessi possano concorrere alla formazione del quadro probatorio occorrente per la dimostrazione del relativo diritto di cui la stessa parte afferma di essere portatrice nel merito, ed alla cui tutela preventiva tende agendo in sede cautelare.

Le considerazioni che precedono comportano allora che il materiale probatorio raccolto nella fase cautelare non può essere di per sé destinato, in ragione delle diverse finalità istruttorie, ad assumere una sua evidenza nel giudizio di merito a cognizione piena, rilevando semmai come semplici argomenti di prova liberamente valutabili dal giudice.

In dottrina, si è quindi evidenziata la possibilità che i risultati dell'istruttoria cautelare possano essere considerati nel giudizio di merito tutt'al più come prove raccolte in un altro giudizio, rilevando dunque quali semplici argomenti di prova (Olivieri, 704).

Infatti, per effetto dell'informalità dell'istruttoria e l'esigenza di speditezza del procedimento cautelare, il livello probatorio non è quello rigoroso del procedimento a cognizione piena, risultando bastevole che siano addotte circostanze sulle quali si fondi l'apparenza del diritto, che facciano ritenere probabile l'esito del giudizio di merito, giustificando così un provvedimento anticipatorio della decisione finale (Trib. Bari 15 aprile 2008).

Appare così evidente come la cognizione che il codice di procedura civile attribuisce al giudice in sede di provvedimento cautelare lascia dunque assolutamente irrisolto il quesito circa l'esito finale del giudizio di merito, mirando soltanto a tutelare temporaneamente un preteso diritto sostanziale al fine specifico di salvaguardarlo dall'imminenza di un pregiudizio grave ed irreparabile, ravvisato sulla base di una valutazione provvisoria e di semplice verosimiglianza della situazione prospettata dal ricorrente.

Qualora la domanda volta alla concessione di un provvedimento cautelare sia proposta lite pendente nel relativo sub-procedimento incidentale, possono essere effettuate richieste istruttorie e prodotti documenti rilevanti sul piano del fumus e periculum soltanto se nel correlato giudizio di merito non siano già spirate le relative preclusioni.

A ben vedere, si tratta di una situazione ben diversa da quella disciplinata nell'art. 669-ter c.p.c. concernente il cautelare proposto ante causam, perché, a differenza di quest'ultimo, in cui non vi sono preclusioni o decadenze di sorta per quanto attiene all'istruttoria cautelare essendo quest'ultima notoriamente deformalizzata, nel sub-procedimento cautelare ex art. 669-quater c.p.c. quando è pendente la causa di merito, dovrà invece tenersi conto della tempistica di quest'ultima ai fini della valida allegazione della documentazione probatoria.

I documenti prodotti nel corso di un procedimento cautelare introdotto in pendenza del giudizio di merito sono utilizzabili anche in quest'ultimo processo soltanto alla condizione che la produzione sia avvenuta prima che nel giudizio di merito siano maturate le preclusioni istruttorie (Cass. II, n. 13631/2017; Cass. III, n. 14338/2009).

Il principio di eventualità o preclusione sarebbe fortemente compromesso nella sua operatività ove potesse essere aggirato dalla parte che non ha colpevolmente prodotto documenti o formulato istanze istruttorie entro la seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. attraverso la proposizione di una domanda cautelare in corso di causa (Giordano 2017, 2, la quale osserva che, in detta ipotesi, la parte che propone il ricorso cautelare ex art. 669-quater c.p.c. non può che avvalersi dei mezzi di prova già tempestivamente prodotti o richiesti nell'ambito del giudizio di merito).

La stretta connessione fra la domanda cautelare avanzata quando è già pendente il giudizio per il merito, e quest'ultimo, si evince anche dalla diversa incidenza dell'ammissibilità dei mezzi di prova, i quali, notoriamente nel processo cautelare ante causam non soggiacciono alle forme di preclusioni e decadenze previste nel giudizio a cognizione piena, mentre in quello in corso di causa risentono di tale scansione temporale.

In ragione del principio della strumentalità che caratterizza le misure cautelari rispetto alla decisione di merito, non è consentito alla parte «aggirare» la decadenza maturata nel giudizio di merito producendo nel sub-procedimento cautelare i documenti oggetto della decadenza (Trib. Reggio Calabria 3 agosto 2009).

Conseguentemente, anche nel processo cautelare introdotto quando è giù pendente il giudizio di merito, il momento dell'introduzione della domanda cautelare – a differenza della domanda cautelare ante causam – costituisce un elemento determinante ai fini dell'individuazione del campo di indagine sul fumus boni iuris, dovendo rispettare i limiti e le preclusioni eventualmente maturate nell'istruzione della causa di merito, atteso che quest'ultimo è, pur sempre, diretto alla conferma od alla riforma del provvedimento adottato in sede cautelare, in un rapporto di strumentalità tra i due procedimenti che non viene meno neppure a seguito della riforma del 2005, trattandosi di una forma di «strumentalità necessaria».

Ciò si ricava anche da un'ulteriore considerazione: il carattere di necessaria strumentalità della domanda cautelare rispetto al giudizio di merito, è la ratio della permanenza in capo al giudice della cautela della competenza anche per tale giudizio, e se tale condizione vale nell'ipotesi della domanda proposta ante causam in relazione alla quale, in mancanza di proposizione nel corso dello stesso procedimento di eccezioni in ordine alla competenza del giudice adìto, questa si radica in capo a detto giudice, e vi permane anche con riferimento al giudizio di merito, i termini della suddetta quaestio a maggiore ragione non possono certo mutare nel ricorso cautelare proposto quando è invece già pendente la causa per il merito.

Né contrasta con siffatta conclusione il rilievo relativo all'autonomia che, di regola, connota il giudizio cautelare, rendendolo del tutto indipendente da quello di merito, a seconda dei casi, anche per effetto della sua ultrattività, proprio perché il richiamato carattere del primo deve essere inteso nella sua effettiva portata, ovvero che, il procedimento cautelare non costituisce la prima fase di un unico procedimento che comprende il merito, bensì un procedimento distinto ed autonomo rispetto a quello, con la conseguenza che, ottenuta la pronuncia sull'istanza cautelare, il giudizio di merito – anche se già in corso al momento della pronuncia cautelare – è comunque diretto alla conferma, ovvero alla riforma, del provvedimento già adottato in sede cautelare, che costituisce un effetto anticipatorio del primo (Cass. I, n. 5335/2007).

L'autonomia del giudizio ex art. 669-quater c.p.c. è ulteriormente confermata anche dalla circostanza che la dichiarazione di morte di una delle parti effettuata nell'udienza di un procedimento cautelare in corso di causa non è efficace anche per il giudizio di merito a meno che la dichiarazione non lo indichi espressamente (Trib. Lucca 7 dicembre 2016).

È stata, quindi, rigettata la domanda di sequestro giudiziario formulata in corso di causa delle cambiali consegnate a garanzia del pagamento di parte del corrispettivo convenuto – non sussistendo alcun nesso di strumentalità tra il provvedimento cautelare richiesto e la domanda di merito – essendo stata introdotta nel giudizio di merito pendente la risoluzione del contratto per inadempimento, ma non anche la domanda di restituzione di tutto od in parte del corrispettivo pattuito in relazione al quale erano state consegnati gli effetti cambiari, non potendo così il giudice disporre d'ufficio su tale restituzione neppure in sede di ricorso exartt. 669-quater e 670 c.p.c. (Trib. Torino 8 novembre 2004).

La situazione innanzi prospettata, vale sia per la domanda cautelare introdotta quando è pendente il giudizio di merito sia nel caso in cui venga proposta ante causam, perché all'ipotesi della domanda di merito diversa da quella azionata in sede cautelare è da equipararsi quella in cui la domanda di merito, originariamente non diversa da quella indicata nel ricorso introduttivo, sia divenuta tale in corso di causa (Trib. Biella 8 marzo 1996).

A ben vedere – come si è già osservato in ordine alla competenza – questa è anche la ragione per cui il giudice davanti al quale pende la causa di cognizione piena, anche se questi non risulta competente per il giudizio di merito in sede di pronuncia sulla domanda cautelare, non deve verificare la propria competenza per il merito, essendogli la competenza cautelare attribuita per relationem con riguardo alla sola attuale investitura della causa di merito, atteso che l'eventuale rilascio del provvedimento cautelare in corso di causa, stante il suo carattere non decisorio e non definitivo, non incide sulla possibilità per lo stesso giudice, nel prosieguo della causa, di ritenersi sfornito di competenza, con una pronuncia in rito (Trib. Roma 10 giugno 2010).

In senso conforme, v. Trib. Salerno 10 febbraio 2009, in cui si è affermato che, nell'ipotesi in cui il procedimento cautelare sia stato introdotto in pendenza del giudizio di merito regolato dal rito di cui all'art. 447-bis c.p.c., i poteri delle parti di allegare i nova in funzione della cognizione cautelare risentono delle preclusioni in ordine al thema decidendum medio tempore maturate nel procedimento di cognizione piena exartt. 414 e 420 c.p.c., non potendosi prospettare nel processo cautelare profili, di fatto o di diritto non più deducibili nel giudizio di merito pendente, sicché gli elementi di fatto e le ragioni di diritto da porre ad ammissibile fondamento dell'istanza cautelare sono soltanto quelli contenuti nel ricorso ex art. 414 c.p.c.

Ciò comporta che, nell'istanza cautelare introdotta quando è già pendente la causa di merito, dovendo considerarsi preclusa la formazione della prova laddove siano già spirati i termini di quest'ultima per formulare le richieste istruttorie e le relative produzioni documentali, detta circostanza è destinata ad influire significativamente sulla stessa possibilità di azionare il sub-procedimento cautelare, laddove la produzione della relativa documentazione risulti essere in qualche modo determinante ai fini dell'accoglimento dell'avanzata richiesta cautelare in punto di fumus e/o di periculum.

Pertanto, se l'unica questione dirimente per la definizione dell'istanza cautelare, si riveli essere l'utilizzabilità ai fini della decisione di un documento asseritamente prodotto solo con l'istanza cautelare avanzata in corso di causa, e non anche tempestivamente nel giudizio di merito, ogni decisione assunta in sede cautelare che ne travalichi i limiti sconfinando nel processo di merito sarebbe viziata da insanabile nullità, dovendosi applicare i principi dell'ordinamento in ordine ai rapporti tra cautelare e giudizio di merito, in base ai quali, il documento decisivo e tardivamente prodotto solo nell'ambito cautelare non può condurre all'emissione di un provvedimento destinato con certezza ad essere caducato con la pronuncia del merito.

Interessante si rivela Trib. Avezzano 18 giugno 2004, secondo cui, anche nel processo cautelare il momento dell'introduzione della domanda costituisce un elemento determinante ai fini dell'individuazione del campo d'indagine sul fumus boni iuris, nel rispetto dei limiti e delle preclusioni eventualmente maturate nell'istruzione della causa di merito.

In ordine a quanto sopra evidenziato, è dunque irrilevante che la documentazione rilevante sul piano probatorio sia stata acquisita agli atti del giudizio cautelare, in quanto tale procedura, azionata in pendenza del giudizio di merito, ha natura funzionale a quest'ultimo, e per tale ragione, le attività istruttorie ed i poteri delle parti esercitati in relazione ad essa non possono che risentirne, atteso che nel giudizio di merito tali attività sono possibili e detti poteri sono esercitabili solo se non vi siano già preclusioni, nel senso che l'acquisizione del documento nel procedimento cautelare prima che scattino le decadenze e preclusioni previste dal rito ordinario o speciale applicabile al merito della controversia, costituisce valida acquisizione della documentazione anche in quest'ultimo giudizio, attesa la funzione strumentale del cautelare rispetto alla causa di merito anche se già pendente.

Quanto sopra evidenziato attiene alla tempistica processuale riguardante la produzione della documentazione, non la modalità attraverso la quale, la stessa viene allegata al processo nel corso del giudizio di merito pendente, di primo o secondo grado.

A ciò aggiungasi che, sebbene le modalità della produzione siano quelle risultanti dagli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c., il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in secondo grado nel rispetto delle modalità di produzione previste dall'art. 87 disp. att. c.p.c. e tuttavia, ove il documento sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e questo sia depositato all'atto della costituzione unitamente al fascicolo di secondo grado, si deve ritenere raggiunta – ancorché le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge – la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l'esercizio del diritto di difesa, onde l'inosservanza delle modalità di produzione documentale deve ritenersi sanata (Cass. III, n. 696/2002).

Inoltre, qualora la parte, contro la quale è avvenuta la produzione, mostri di avere avuto conoscenza del documento e di essere stata, perciò i in condizione di difendersi, la suddetta inosservanza non ne preclude l'utilizzabilità, mentre è irrilevante se la parte ha limitato le proprie difese alla ritualità della produzione senza estenderle al contenuto del documento (Cass. III, n. 696/2002).

In tema di procedimento cautelare instaurato in pendenza della causa di merito, in una recente pronuncia di legittimità si è affermato che ove il convenuto si sia costituito con due separate comparse, proponendo un'eccezione in quella cautelare senza reiterarla nella successiva fase del merito, non si verifica la decadenza dall'eccezione, in quanto essa incide sul thema decidendum e resta, dunque, esaminabile dal giudice del merito (Cass. II, n. 2222/2022).

Infatti, premesso che il procedimento cautelare è destinato a sfociare in un provvedimento che ha natura strumentale e provvisoria e, quindi, privo dei requisiti propri della sentenza o, comunque, di un provvedimento decisorio atto a produrre effetti di diritto sostanziale o processuale con l'autorità propria del giudicato, come il detto procedimento non provoca preclusioni o decadenze, e nel successivo giudizio di merito possono essere fatte valere tutte le eccezioni e decadenze anche non opposte nel giudizio cautelare o sulle quali il giudice adìto non abbia assunto alcuna decisione (Cass. IV, n. 12193/2001), così, se instaurato nel corso di un giudizio di merito già pendente, il procedimento cautelare non determina una riapertura dei termini per formulare eccezioni, di merito o di rito, in senso stretto, se non limitatamente ai profili che concernono la stessa domanda cautelare. Quest'ultima evenienza si realizza quando la costituzione in sede cautelare avvenga in un momento processuale in cui, nel contesto del principale giudizio di merito, siano già maturate le decadenze di cui all'art. 167 c.p.c.

In tema di procedimento cautelare instaurato quando la causa per il merito è pendente ma il convenuto non è ancora costituito, se è vero che la costituzione nel procedimento cautelare non può valere, sic et sempliciter, come costituzione nel giudizio di merito, non può tuttavia escludersi che le due costituzioni intervengano in un unico atto, qualora in esso la parte abbia compiutamente preso posizione con riguardo ad entrambi i giudizi (Cass. IV, n. 5904/2005).

Il problema si pone nell'ipotesi in cui la costituzione sia avvenuta con due separate comparse – una per il procedimento cautelare e l'altra per il giudizio di merito – e la costituzione nell'àmbito del procedimento cautelare incidentale sia avvenuta prima della scadenza del termine per quella nell'ambito del giudizio di merito mentre un'eccezione sollevata con la prima comparsa non sia stata reiterata con la seconda per essere poi ribadita con la memoria di cui all'art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c.

In un caso del genere, può essere utile rinviare all'orientamento consolidato in tema di istruzione preventiva, la cui istanza quando già penda la causa di merito, va proposta al giudice investito della causa stessa, anche in caso di eccezionale urgenza, stante la stretta connessione del provvedimento cautelare con il giudizio di merito, il cui risultato definitivo essi tendono a salvaguardare (Cass. II, n. 8943/1994), atteso che in quest'ottica, l'eccezione di decadenza per tardività nella denuncia dei vizi, se può avere rilevanza nell'ambito del procedimento per a.t.p. rendendo così inutile l'espletamento dell'accertamento, non può di per sé perdere efficacia nel contesto del giudizio di merito, in tale guisa incidendo sul thema decidendum.

L'introduzione del procedimento cautelare quando è pendente il giudizio di merito

Nel rito cautelare, lo scopo della domanda è quello di provocare il contraddittorio tra le parti interessate in merito alla richiesta misura cautelare.

La domanda cautelare quando è già pendente la causa per il merito va quindi introdotta dinanzi al giudice autonomamente, essendo dotata – al pari di quella introdotta in modalità ante causam – di una propria causa petendi e petitum cautelare distinto da quello del giudizio di merito.

La forma scritta è imposta dalla stessa struttura del procedimento cautelare uniforme che, anche ove sia incardinato in pendenza della causa di merito, ha una sua autonomia ed implica la formazione di un fascicolo separato.

Ciò si desume anche dalla circostanza che per il ricorso cautelare in corso di causa ex art. 669-quater c.p.c. è dovuto il pagamento del contributo unificato attualmente corrispondente al valore della causa di merito ridotto alla metà, oltre all'anticipazione forfettaria ex art. 30 del Testo unico delle spese di giustizia.

Il ricorso cautelare in corso di causa – e le stesse considerazioni che seguiranno valgono anche per il deposito del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. il quale non introduce un nuovo e diverso giudizio, atteso che costituisce una ulteriore ed eventuale fase, dinanzi al collegio, facente parte integrante dell'unitario procedimento cautelare già instaurato dinanzi al primo giudice, che in tal modo, rispetto alla prima fase, ne costituisce una mera prosecuzione a seguito dell'impugnazione dinanzi ad altro giudice rispetto a quello, monocratico, che ha emesso l'iniziale ordinanza oggetto di reclamo (Trib. Locri 20 ottobre 2016) – è necessariamente depositato telematicamente, dacché proviene dalla parte già precedentemente costituita e dà luogo all'apertura nel SICID di un sub-procedimento. Per la procura ad litem – a meno che non sia espressamente limitata al giudizio di merito e non estensibile alla cautela in corso di causa – può farsì riferimento a quella già in atti al momento della costituzione nel giudizio pendente per il merito.

Il ricorso in un procedimento cautelare in corso di causa rientra tra gli atti cui si riferisce l'art. 16-bis, comma 1, del d.l. n. 179/2012, atteso che detta norma stabilisce che, nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione dinanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, atteso che la parte ricorrente ex art. 669-quater c.p.c. è già costituita nel giudizio di merito, nell'ambito del quale, si inserisce il procedimento cautelare destinato a concludersi con un provvedimento che eventualmente si sostituisce a quello pronunciato dal giudice, e produce effetti, salvo una sua revoca o modifica, sino all'esito del giudizio di cognizione, cui è funzionale, quanto alla tutela dei diritti fatti valere.

Ciò posto, si tratta quindi di stabilire quali siano le conseguenze che discendono dal deposito in forma cartacea di un atto, che doveva essere depositato telematicamente.

La precisazione è importante perché il deposito telematico presenta delle peculiarità che si riverberano sulla stessa forma degli atti che ne costituiscono l'oggetto, che, nel caso in esame, è disciplinata dall'art. 669-bis c.p.c.

Non essendo, in altri termini, ontologicamente concepibile un deposito per via telematica di un documento cartaceo – per il quale l'unica forma di deposito astrattamente configurabile è la consegna materiale o la spedizione postale in cancelleria del supporto fisico – e posto che l'utilizzazione del mezzo telematico presuppone, di necessità, che il documento da depositare sia stato predisposto in modalità informatica, la scelta legislativa di imporre una particolare modalità di trasmissione in cancelleria dell'atto si ripercuote inevitabilmente sui requisiti essenziali dell'atto medesimo, che non potrà mai essere rappresentato da un documento cartaceo, ma soltanto da un documento informatico.

In tale senso, depone anche l'orientamento formatosi nella giurisprudenza di merito.

Non vi è dubbio, quindi, che l'obbligatorietà del deposito telematico abbia comportato, sia pure indirettamente, l'imposizione normativa di una diversa modalità di creazione degli atti processuali, che non possono essere più cartacei, ma soltanto informatici (Trib. Vasto 15 aprile 2016).

Occorre precisare come, in tale caso, risulterebbe inosservata la forma dell'atto e del deposito previsto dalla legge, dal momento che il deposito telematico deve avvenire nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, sicché l'atto depositato telematicamente deve essere redatto in un particolare formato, che ne consenta la ricezione da parte del sistema, e deve essere sottoscritto dal difensore con firma digitale.

Secondo un orientamento giurisprudenziale di merito, la scelta legislativa di escludere la natura cartacea ed imporre quella informatica dell'atto processuale sottende proprio un problema di forma nei suoi requisiti indispensabili e qualificanti l'essenza stessa del documento in funzione dello scopo sotteso allo stesso. Più nello specifico, rispetto agli atti processuali che, per espresso obbligo di legge, devono essere depositati telematicamente e, quindi, redatti in modo informatico, l'atto creato in modalità cartacea, essendo stato redatto in modo assolutamente non previsto dalla normativa ed essendo totalmente privo degli essenziali estremi e requisiti formali per la sua qualificazione come atto del tipo normativamente considerato, risulta così del tutto inidoneo a produrre gli effetti processuali propri degli atti riconducibili al corrispondente tipo (Trib. Locri 20 ottobre 2016, cit.).

Le disposizioni, legislative e regolamentari, dettate in materia di processo civile telematico, non prevedono in modo espresso quali siano le conseguenze derivanti dalla inosservanza delle forme prescritte, né dettano una disciplina di coordinamento con le norme processuali codicistiche e con i principi di carattere generale, previsti dal codice di rito in tema di nullità degli atti.

L'atto processuale cartaceo, infatti, non è sottoscritto con firma digitale, non viene depositato nel rispetto delle regole tecniche e delle specifiche tecniche previste dalla normativa regolamentare del processo civile telematico e non supera le barriere dei controlli della cancelleria, che certifica il deposito dell'atto e dei documenti allegati e mette a disposizione del giudice e delle altre parti processuali l'atto depositato telematicamente ed i relativi allegati.

Per questi motivi, discostandosi in modo assoluto dallo schema legale tipico previsto come esclusivo, il deposito dell'atto in modalità cartacea non può essere ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo del corrispondente deposito telematico ormai – complice la situazione emergenziale dettata dalla pandemia da coronavirus del 2020 – reso obbligatorio dal legislatore anche per gli atti introduttivi del processo civile, compresa l'iscrizione a ruolo ed il pagamento del contributo unificato, ragione per cui, è caduta anche l'originaria distinzione tra atti «introduttivi» del giudizio ed atti «endoprocessuali».

In particolare, il peculiare scopo sotteso all'atto telematico non è soltanto come per ogni atto redatto anche in forma cartacea quello di creare una presa di contatto tra l'ufficio giudiziario ed il depositante ed, ancora, quello dell'instaurazione della prosecuzione del giudizio cautelare, nel rispetto del principio del contradditorio, con la fissazione della prima udienza e la regolare notifica alla controparte del ricorso cautelare e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza, ma soprattutto quello ulteriore di veicolare le richieste della parte al giudice al fine di sollecitare la sua decisione mediante un supporto smaterializzato e decentralizzato che consenta, da un lato, un più rapido ed immediato accesso agli atti e documenti del processo per il giudice e per le parti e, dall'altro, una diversa e più efficiente ed economica gestione dello scambio di dati e informazioni in ambito processuale rispetto al supporto cartaceo, nell'ottica di favorire la progressiva dematerializzazione del fascicolo cartaceo, per le ragioni di economia processuale e di ragionevole durata del processo cui è ispirato il processo civile telematico la cui disciplina si intreccia – di fatto costituendo ormai un corpo unitario – con quella del processo civile.

Dunque, nel caso di specie – e le stesse considerazioni sono state ritenute valide anche per il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., – non dovrebbe trovare applicazione la categoria, di per sé dubbia nonché di difficile definizione e delimitazione in termini certi e precisi, dell'inesistenza dell'atto, bensì quella della nullità di tale atto ai sensi dell'art. 156, comma 2, c.p.c., ogniqualvolta il medesimo difetti dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.

Secondo un'opinione emersa in dottrina, il deposito del ricorso effettuato con una modalità diversa da quella telematica sarebbe affetto da inammissibilità, improcedibilità o comunque dovrebbe essere considerato irricevibile d'ufficio, in quanto le norme che impongono la modalità di deposito telematico sono poste a tutela di un interesse generale, senza possibile sanatoria ex art. 156, comma 3, c.p.c. (Calorio 2019, 5).

La soluzione innanzi prospettata non è, però, condivisa dalla stessa giurisprudenza di merito, le cui conclusioni – sebbene inerenti al giudizio di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. – risultano ugualmente valide anche per il caso del procedimento cautelare di prime cure ex art. 669-quater c.p.c. stante anche qui l'autonomia del processo cautelare rispetto al pendente giudizio di merito.

In base ad altro orientamento della giurisprudenza di merito (Trib. Asti 23 marzo 2015; Trib. Ancona 28 maggio 2015), l'inderogabilità dell'obbligo di deposito telematico non esclude la possibilità della sanatoria della nullità per vizio di forma, in base al principio del raggiungimento dello scopo enunciato nell'art. 156 c.p.c.

In tale ottica, è stato osservato che l'avverbio «esclusivamente», utilizzato dall'art. 16-bis, comma 1, del d.l. n. 179/2012, vale infatti ad indicare la modalità di deposito stabilita, ma non commina espressamente alcuna sanzione per il caso in cui quella forma, definita «esclusiva», non sia stata rispettata, difformemente da quanto richiede l'art. 156, comma 1, c.p.c., affinché una nullità possa ritenersi prevista dalla legge.

È evidente, dunque, come anche per le prescrizioni dettate in tema di processo civile telematico, in assenza di una specifica disciplina, debbano valere quelli che sono i principi e le categorie generali della disciplina processuale.

Al riguardo, va anche precisato che la categoria dell'inesistenza, creata dalla dottrina ed impiegata anche dalla giurisprudenza, riguarda ipotesi della radicale difformità dell'atto processuale dal tipo legale.

L'art. 156, comma 1, c.p.c. prevede che non possa essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge, cosa che, secondo quanto già rilevato, nel caso di specie la legge espressamente non fa.

La mancata espressa previsione di nullità non esime, tuttavia, il giudice dal valutare se l'atto, in concreto formato, presenti delle carenze o difformità, rispetto al tipo legale previsto, così gravi da impedire all'atto di conseguire il suo scopo.

L'art. 156, comma 2, c.p.c. stabilisce infatti, aldilà delle espresse sanzioni di nullità stabilite dalla legge, che la nullità debba essere pronunciata quando l'atto manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, precisando il comma successivo che la nullità – sia per il caso in cui sia comminata dalla legge, sia per il caso in cui discenda dalla mancanza di un requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo – non può mai essere pronunciata se l'atto ha comunque raggiunto lo scopo cui è destinato.

Nel caso del ricorso in corso di causa, è dunque evidente la forma con cui la domanda deve essere proposta che è quella del ricorso rivolto al giudice competente seguendo però le modalità previste ex lege in tema di formazione degli atti processuali rientranti nel processo civile.

Sotto il profilo del raggiungimento dello scopo dell'atto, la circostanza che l'atto – dei cui requisiti di forma-contenuto non viene fatta questione – sia stato ricevuto dalla cancelleria per via telematica, o a seguito del deposito di atto cartaceo presso gli uffici, non influisce sull'idoneità dell'atto – una volta ricevuto comunque dalla cancelleria – di conseguire lo scopo di adire il giudice competente, per ottenere la riforma del provvedimento impugnato.

Nel caso in esame – per quanto esposto – l'atto, pur difforme dal tipo legale prescritto, dal punto di vista funzionale ha quindi raggiunto il suo scopo, ragione per cui non può pertanto essere dichiarato inammissibile, dovendo tale sanzione applicarsi solo nel caso in cui si abbia una nullità non sanabile o non sanata entro il termine stabilito a pena di decadenza.

Sulla questione se sia legittimo il deposito in formato cartaceo di atti processuali da parte del difensore di una parte precedentemente costituita purché l'atto abbia raggiunto il suo scopo, v. Cerrato 905.

Né alcun pregiudizio ha subìto la controparte in termini di violazione del principio del contraddittorio, o lesione dei suoi diritti di difesa, per avere ricevuto la notifica di un atto depositato in forma cartacea presso la cancelleria, anziché depositato secondo le modalità telematiche. Se anche l'atto fosse stato depositato in forma telematica, quest'ultimo non sarebbe stato visibile prima della notifica, poiché data la natura di atto rivolto al giudice, e sul quale spetta al medesimo giudice instaurare il contraddittorio, non sarebbe comunque stato portato a conoscenza della controparte.

Da ultimo, va ancora osservato come non possa ritenersi che l'atto così depositato, recante la sottoscrizione autografa del difensore e non quella digitale, sia privo di sottoscrizione e, quindi, affetto da una nullità assoluta.

La sottoscrizione in una forma diversa non è infatti equiparabile a mancanza di sottoscrizione, sicché le due forme di sottoscrizione debbono essere considerate equipollenti, tenuto conto della funzione della sottoscrizione – che viene assolta sia nell'una, che nell'altra forma – e di come, nell'attuale fase di transizione del nostro sistema processuale verso un processo civile interamente telematico, si abbia una coesistenza di diverse modalità di sottoscrizione degli atti processuali, a seconda della tipologia di atti, o a seconda del giudice dinanzi al quale è pendente il procedimento, visto che la disciplina sopra esaminata, in tema di atti telematici di parte, vale solo per i giudizi dinanzi al tribunale (Trib. Torino 16 gennaio 2015).

Conseguentemente, per quanto attiene alla modalità di introduzione dell'atto, deriva l'inammissibilità dell'istanza cautelare formulata oralmente – quando è già pendente la causa di merito – attraverso verbalizzazione all'udienza, anziché con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente, come prescrive l'art. 669-bis c.p.c. (Trib. Bari 29 aprile 1994; Trib. Trani 28 luglio 1993).

Su tale questione, l'orientamento della giurisprudenza di merito non è tuttavia uniforme.

Trib. Firenze 24 febbraio 2006 , ha infatti ritenuto che la disposizione di cui all'art. 669-bis c.p.c. per cui la domanda cautelare deve essere proposta con ricorso depositato in cancelleria è da ritenersi regola limitata al caso in cui l'istante non abbia altra via formale per adire il giudice, ben potendo essere formulata anche oralmente in udienza; in precedenza, Trib. Casale Monferrato 11 novembre 1996 ha ritenuto ammissibile la proposizione di domanda cautelare anche se compiuta in forma orale in udienza.

La domanda cautelare proposta in violazione delle norme sul procedimento cautelare uniforme è inammissibile, dovendo essere introdotta con ricorso da depositarsi nella cancelleria del giudice adito e che in corso di causa pur essendo ammissibile il deposito in udienza, il ricorso cautelare deve essere comunque autonomo, non potendo la domanda cautelare essere contenuta neppure implicitamente in un altro atto, come quello introduttivo della domanda principale (Trib. Brescia 10 luglio 2015).

Il suddetto obiettivo nel rito cautelare può conseguirsi anche attraverso la comunicazione di un atto in cui a prescindere dalla forma adottata in concreto, sia indicato l'oggetto del giudizio in modo adeguato a consentire al contraddittore di articolare la propria difesa, ragione per cui può considerarsi valida l'adozione di qualsiasi forma che non crei un significativo vulnus al diritto d'azione dell'istante ed al diritto di difesa della controparte (Navarrini, 2428).

L'art. 669-quater c.p.c., coerentemente con la struttura del rito cautelare uniforme, non prevede alcuna sanzione di nullità nell'ipotesi in cui la domanda cautelare venga introdotta seguendo una forma diversa da quella prescritta, trattandosi di un vizio formale che non altera né impedisce il regolare svolgimento del processo cautelare.

La forma dell'istanza cautelare proposta in corso di causa resta identica a quella del ricorso adottato ex art. 669-bis c.p.c. nel procedimento ante causam disciplinato dall'art. 669-ter c.p.c., ma ciò non toglie la possibilità che la parte istante possa prediligere l'atto di citazione, anche se introduttivo dello stesso giudizio di merito, contenente al suo interno la richiesta cautelare che anche in tale particolare ipotesi si considera introdotta in corso di causa (Navarrini, 2430).

Sull'ammissibilità della proposizione dell'istanza cautelare con l'atto di citazione notificato alla controparte non vi è stata condivisione neppure in dottrina, dubbi al riguardo sono stati espressi da Tarzia 253; Arieta, 121; contra, invece, Consolo 1993, 444.

Qualora sopravvengano particolari ragioni di urgenza, l'attore che abbia inserito l'istanza cautelare nell'atto di citazione – piuttosto che depositare un autonomo ricorso cautelare, generando una situazione di litispendenza – potrebbe chiedere ed ottenere l'abbreviazione dei termini di comparizione ex art. 163-bis, comma 2, c.p.c. (Navarrini, 2430).

Non può allora condividersi l'orientamento tendente a ritenere invalida od inammissibile l'istanza cautelare solo perché proposta in forme diverse da quelle prescritte dall'art. 669-bis c.p.c., a tale fine occorrendo affinché possa ravvisarsi un'invalidità della domanda, che questa violi il fondamentale diritto alla difesa, ovvero presenti vizi per i quali la stessa legge commina la sanzione estrema della nullità che di fatto non è prevista per quanto attiene alla forma introduttiva del giudizio cautelare (Lapertosa, 426; Navarrini, 2427).

Del resto, se, da un lato, si è affermato che, l'istanza di sequestro contenuta nell'atto di citazione introduttivo del giudizio di merito va dichiarata inammissibile (Trib. Roma 17 gennaio 1996), dall'altro, qualora in corso di causa sia proposta un'istanza cautelare a verbale, anziché tramite ricorso, la proposizione della stessa deve ritenersi effettuata in forma invalida che, è tuttavia idonea a conseguire lo scopo dell'instaurazione del relativo rapporto processuale incidentale, spettando comunque alla controparte la concessione di un termine a difesa sull'istanza cautelare ex art. 669-quater c.p.c. (Trib. Bologna 2 luglio 1996).

È, quindi, ammissibile l'istanza di sequestro contenuta nell'atto di citazione introduttivo del giudizio e non in separato ricorso come prescritto dall'art. 669-bis c.p.c., trattandosi di modalità inficiata da una mera irregolarità formale ma del tutto idonea al raggiungimento del suo scopo (cioè dell'instaurazione del contraddittorio con le controparti (Trib. Lamezia Terme 6 novembre 2012).

La stessa dottrina non ha mancato di rilevare che anche ritenendo nulla la domanda cautelare proposta lite pendente per il solo fatto di non essere stata introdotta con un autonomo atto in forma di ricorso, ciò non impedirebbe la sua rinnovazione, atteso che ricorso ed atto di citazione sono forme introduttive di un atto sostanzialmente equipollenti, non potendo escludersene la conversione (Navarrini, 2429).

Ciò premesso, nei ei tribunali, il capo dell'ufficio, rilevata la presenza dell'istanza cautelare, dispone la trasmissione del fascicolo al giudice designato alla trattazione del procedimento cautelare, che sarà lo stesso giudice già designato per la trattazione della causa di merito pendente.

La designazione del magistrato è unica, ed è effettuata per entrambi i procedimenti se introdotti contestualmente con il medesimo atto.

Nei tribunali divisi in più sezioni, il procedimento di designazione comporta che il presidente dell'ufficio giudiziario adito trasmette il fascicolo al presidente della sezione competente, il quale, a sua volta, provvederà alla designazione del giudice delegato alla trattazione del cautelare in corso di causa (Celeste 2010, 143).

L'ammissibilità della proposizione di una domanda riconvenzionale nel processo cautelare in corso di causa

La proponibilità di una domanda cautelare riconvenzionale è incompatibile con un autonomo ricorso ragione per cui assume la forma dell'istanza contenuta nella memoria difensiva della parte resistente, ed è ritenuta ammissibile dalla prevalente posizione assunta in dottrina (Merlin, 405; Giordano 2008, 126; Arieta 2011, 900).

La possibilità di proporre una domanda cautelare proposta in via riconvenzionale nel cautelare quando è già pendente la causa per il merito, non è espressamente riconosciuta dallegislatore, nonostante almeno in linea di principio, non esistano ragioni ostative alla proponibilità di una domanda cautelare da parte del resistente, il quale, avrà però gli stessi oneri di allegazione del ricorrente in via principale, per quanto attiene al fumus ed al periculum (Trib. Reggio Calabria 31 ottobre 2007).

Non si rinvengono precedenti editi sulla specifica questione della proponibilità in un giudizio cautelare di una domanda riconvenzionale non fondata sul periculum in mora come la domanda cautelare principale.

Nel senso della possibilità di proporre una domanda riconvenzionale nel procedimento cautelare, purché ciò non si ponga in contrasto con le esigenze di snellezza e celerità che connotano il giudizio cautelare, v., tra le altre, Trib. Bologna 18 luglio 2006; Trib. Firenze 23 luglio 2001; Trib. Casale Monferrato 11 novembre 1996; Pret. Salerno 18 febbraio 1991; Pret. Verona 29 maggio 1987; Nel senso, invece, dell'inammissibilità delle domande riconvenzionali proposte nel giudizio cautelare, v., tra le altre, Trib. Firenze 25 marzo 2002; Pret. Parma 3 maggio 1991.

In realtà, sebbene non esista un divieto esplicito in tale senso, la sua effettiva ricorrenza può ricavarsi aliunde dalla ratio a cui è informato il sistema del procedimento cautelare uniforme introdotto dal legislatore del 1990, il quale, esige uno svolgimento rapido su un oggetto limitato e adeguatamente circoscritto al solo thema decidendum riguardante le prospettazioni di fumus e periculum contenute nel ricorso cautelare, dovendo l'istanza essere proposta autonomamente (Trib. Venezia 3 febbraio 2016), ragione per cui non è dato comprendere perché anche la domanda riconvenzionale non debba essere proposta autonomamente dal resistente con apposito ricorso ex art. 669-bis c.p.c.ante causam od in corso di causa (Trib. Cuneo 21 luglio 2010, ha statuito che la domanda riconvenzionale formulata in sede cautelare non è ammissibile, perché contrasta apertamente con la previsione normativa che impone la proposizione di una domanda cautelare necessariamente con un apposito ricorso), anziché con la memoria di costituzione (secondo Trib. Milano 27 dicembre 2009, è inammissibile una domanda riconvenzionale introdotta in un procedimento cautelare con memoria difensiva, poiché non adempie all'indicazione di cui all'art. 669-bis c.p.c.).

Infatti, a differenza del giudizio a cognizione piena in cui è ravvisabile la necessità di concentrare nello stesso giudizio, per evidenti ragioni di economia processuale, tutte le attività riguardanti l'accertamento del diritto sostanziale in contesa, a differente conclusione deve pervenirsi per quanto attiene la ratio del processo cautelare, in cui assume carattere prioritario l'esigenza di arrivare ad una celere tutela del diritto (Trib. Roma 26 aprile 2012, in cui si è affermato proprio questo, in considerazione del fatto che il processo cautelare non ha la nuova funzione di accertamento dei diritti e deve svolgersi in coerenza con le esigenze di celerità che lo connotano; conforme, Trib. Cuneo 21 luglio 2010, nell'affermare che l'ampliamento del thema decidendum contrasta apertamente con la natura sommaria e con le esigenze di celerità del procedimento già introdotto), il cui accertamento è riservato all'attività espletata nel corso del pendente giudizio di merito, nel quale, controvertendosi sul relativo accertamento con la possibile propensione ad acquisire al termine dello stesso il giudicato, rappresenta la sede naturale per l'espletamento ad ampio spettro di ogni genere di attività difensiva, compresa la proposizione di un'eventuale domanda riconvenzionale da parte del convenuto.

Sulle posizioni formatesi in ordine ai limiti di ammissibilità della domanda riconvenzionale nell'ambito del procedimento cautelare, v. Consolo, Recchioni, 327; Arieta 2005, 892.

Del resto, se così non fosse, aderendo alla più recente tesi giurisprudenziale di merito che ritiene ammissibile la proposizione di una domanda cautelare da parte del resistente nello stesso processo azionato dal ricorrente in via principale, dovrebbe altresì ritenersi ammissibile l'eventuale reconventio reconventionis da parte di quest'ultimo, in risposta alla domanda del resistente, essendo evidente che, ciò comporterebbe la sostanziale trasfigurazione della sommarietà propria del processo cautelare in una sorta di giudizio «ibrido» a cognizione piena.

Ed invero, anche a volere prescindere dai dubbi manifestati da parte della giurisprudenza di merito in ordine all'ammissibilità di una domanda riconvenzionale in un procedimento cautelare, il presupposto indefettibile perché il resistente in un procedimento cautelare possa avanzare una domanda riconvenzionale è che quest'ultima abbia anch'essa natura cautelare perché il procedimento cautelare è un procedimento a cognizione sommaria, come del resto «sommaria» è l'attività istruttoria in esso eventualmente espletata, di tal che la struttura e le finalità di siffatto procedimento appaiono oggettivamente inconciliabili con la proposizione, in via riconvenzionale, di un'ordinaria domanda di merito (Trib. Bari 23 luglio 2007).

Aggiungasi che l'ammissibilità di un'istanza cautelare in via riconvenzionale nell'ambito di un procedimento cautelare in corso di causa postula che la stessa trovi fondamento nella causa petendi e nel petitum del ricorso principale (Trib. Milano 19 giugno 2012; Trib. Roma 26 aprile 2012, cit.), ma ciò non dovrebbe esonerare affatto la parte resistente dall'allegazione del periculum oltre che del fumus invocati a sostegno della propria autonoma domanda cautelare, ragione per cui, sotto tale aspetto, la proposizione della riconvenzionale si risolverebbe nella sopportazione di un doppio onere probatorio a discapito della parte interessata che, di fatto, si vedrebbe astretta ad assolvere al suddetto onere in un tempo processualmente assai ristretto, considerata da tale angolazione, la necessità prioritaria di arrivare ad una tutela rapida del diritto posta a base di qualunque procedimento cautelare, anche se azionato quando è già pendente il merito.

Gli elementi oggettivi e soggettivi della domanda in corso di causa e quelli della domanda di merito

Al fine di stabilire se la domanda cautelare rientri o meno nel perimetro oggettivo dell'azione di merito, occorre confrontare il petitum dell'una con quello dell'altra.

Ciò a cagione dell'indefettibile rapporto di inerenza de deve sussistere fra gli elementi identificativi soggettivi ed oggettivi della domanda cautelare proposta in corso di causa e quelli della domanda proposta dalla stessa parte nella pendente causa di merito.

È pacifico, infatti, considerata la natura strumentale e la funzione cautelativa del tutto provvisoria, che qualsiasi misura cautelare, concessa ante causam od in corso di causa, ultrattiva o meno che sia, è destinata a perdere ex lege la propria efficacia, tanto in caso di successivo rigetto della domanda di merito, quanto in caso di accoglimento, totale o parziale, della domanda, essendo assorbita dalla sentenza e dalle misure disposte all'esito della cognizione piena propria del giudizio di merito.

In considerazione del rapporto di strumentalità del procedimento cautelare, gli effetti della misura cautelare non sono mai in grado di concorrere o di sovrapporsi agli effetti della sentenza di primo grado, nemmeno in funzione integrativa o rafforzativa di quest'ultima, la quale, non appena pronunciata, si pone, appunto, quale unica ed esclusiva fonte di regolamentazione del diritto o del rapporto dedotto, anche prima del passaggio in giudicato.

Pertanto, l'accertamento in concreto del rapporto di strumentalità presuppone la comparazione della domanda cautelare con quella di merito, al fine di verificare se la prima sia davvero «ricompresa» nella seconda in considerazione del fatto che la cautela richiesta possa strumentalmente collegarsi ad uno dei possibili effetti invocati in sede di merito nei confronti delle stesse parti che partecipano al giudizio, in maniera tale che, l'eventuale sentenza di accoglimento sia in grado di assorbire la cautela nella decisione di merito, posto che la misura cautelare può produrre in funzione cautelativa e provvisoria utilità serventi, omogenee e non esorbitanti rispetto a quelle che la sentenza di merito potrebbe procurare.

Diventa, dunque, necessario verificare in concreto la sussistenza di unrapporto di inerenza attuale tra la domanda cautelare e la domanda di merito, nel senso che quest'ultima deve necessariamente comprendere nel suo oggetto l'accertamento del diritto alla cui tutela tende, in via provvisoria, il ricorso cautelare.

Ai fini della comparazione fra gli elementi oggettivi e soggettivi della domanda di merito e quelli della domanda cautelare proposta in corso di causa, deve tenersi conto delle possibili precisazioni e/o modificazioni introdotte all'udienza ex art. 183 c.p.c. o nelle memorie istruttorie, ma pur sempre nel rispetto dei termini perentori di preclusione, al fine di evitare che il ricorso cautelare in corso di causa, proposto successivamente alle preclusioni processuali maturate, costituisca un espediente per estendere surrettiziamente, contra legem, il petitum della domanda di merito.

I provvedimenti aventi natura cautelare nel procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie

La riforma Cartabia attuata con il d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, al Libro II del codice di procedura civile, dopo il Titolo IV ha inserito il Titolo IV bis rubricato norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, prevedendo al Capo II, una nuova forma di procedimento avente natura cautelare, azionabile in corso di causa, quello di cui all'art. 473-bis.22 c.p.c., rubricato provvedimenti del giudice, ai sensi del quale, se la conciliazione non riesce, il giudice, sentite le parti ed i rispettivi difensori e assunte ove occorra sommarie informazioni, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti che ritiene opportuni nell'interesse delle parti, nei limiti delle domande da queste proposte, e dei figli.

L'art. 473 bis. 22 c.p.c. prevede dunque la possibilità che all'esito della prima udienza il giudice emetta i provvedimenti temporanei ed urgenti per disciplinare in via immediata e sino alla decisione di merito, i rapporti personali e patrimoniali tra le parti, nei limiti delle domande da quest'ultime proposte.

Nella Relazione illustrativa alla Riforma Cartabia si chiarisce che tali provvedimenti possono essere adottati anche quando uno dei coniugi non compare all'udienza, e l'ordinanza, suscettibile di reclamo, secondo la previsione dell'art. 473 bis. 24 c.p.c., costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ed è dotata di ultrattività, conservando la sua efficacia anche dopo l'eventuale estinzione del processo, finché non sia sostituita con altro provvedimento.

Ai sensi dell'art. 473 bis. 24 c.p.c. contro i provvedimenti temporanei ed urgenti di cui al comma 1 dell'art. 473 bis. 22 c.p.c. si può proporre reclamo con ricorso alla corte di appello.

L'art. 473 bis.24 c.p.c. quale necessaria garanzia nei confronti dei provvedimenti temporanei assunti in prima udienza prevede il reclamo. Per quanto riguarda il relativo regime, la delega si limita a prevedere che il giudice decide in composizione collegiale ex art. 1, comma 23, lett. r) l. n. 206/2021.

Al riguardo, l'originaria intenzione, quale risultante anche dai lavori della Commissione Luiso, avrebbe verosimilmente dovuto essere nel senso di una generale reclamabilità sempre di fronte al tribunale, del cui collegio ovviamente non avrebbe dovuto fare parte il giudice che aveva emanato il provvedimento impugnato.

Ragioni di prudenza hanno invece consigliato di confermare – ed estendere in via generale – il regime proprio dei provvedimenti presidenziali emanati nella separazione e del divorzio, che prevede ex art. 708, comma 4, c.p.c. il reclamo alla Corte d'Appello, per non introdurre una modifica eccessiva per il sistema ed esorbitante rispetto ai numeri dei processi ed ai ruoli giudiziari.

Inoltre, rispetto all'auspicata reclamabilità anche di tutti i provvedimenti provvisori emessi in corso di causa, inattuabile per ragioni di insufficienza di ruoli, si è prevista comunque una forma di controllo per i provvedimenti più invasivi, id est quelli dotati di maggiore portata, come quelli che sospendono od introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell'affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l'affidamento a soggetti diversi dai genitori.

Questo, almeno sino alla realizzazione della riforma ordinamentale e, quando avrà luogo, l'istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, in forza del quale, l'elevata specializzazione dei magistrati assegnati al costituendo tribunale potrà permettere l'assegnazione dell'intero giudizio alle sezioni circondariali in composizione monocratica, e le impugnazioni dei provvedimenti sia provvisori che definitivi davanti alla sezione distrettuale.

Sempre a questo proposito, l'ulteriore principio di delega di cui al comma 23, lett. v) – “modificare l'articolo 178 del codice di procedura civile introducendo una disposizione in cui si preveda che, una volta istituito il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, l'ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio, che il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di venti giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ricezione della relativa notifica e che il collegio decide in camera di consiglio entro trenta giorni dal deposito del reclamo” – sarà attuato con le norme di coordinamento successive all'introduzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

È altresì ammesso reclamo contro i provvedimenti temporanei emessi in corso di causa che sospendono od introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell'affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l'affidamento a soggetti diversi dai genitori.

Il reclamo deve essere proposto entro il termine perentorio di dieci giorni dalla pronuncia del provvedimento in udienza ovvero dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore. Eventuali circostanze sopravvenute sono dedotte davanti al giudice di merito.

Il collegio, assicurato il contraddittorio tra le parti, entro sessanta giorni dal deposito del ricorso pronuncia ordinanza con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento reclamato e provvede sulle spese.

Ove indispensabile ai fini della decisione, può assumere sommarie informazioni.

L'ordinanza è immediatamente esecutiva.

Avverso i provvedimenti di reclamo pronunciati nei casi di cui al comma 2 dell'art. 473 bis. 24 c.p.c. è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione.

Ad essere reclamabile è l'ordinanza nella sola parte che contiene le statuizioni di merito temporanee ed urgenti concernenti l'affidamento ed il mantenimento dei figli e del coniuge, i provvedimenti aventi contenuto economico e tutti i c.d. provvedimenti consequenziali, non anche la parte dell'ordinanza che pronuncia su aspetti meramente organizzativi dell'iter iudicii ovvero istruttori.

La norma in commento prevede altresì che, nell'adozione dei provvedimenti provvisori riguardanti le parti e la prole, il giudice istruttore indica la decorrenza degli effetti per le statuizioni aventi contenuto economico, con facoltà di retrodatarli al momento della proposizione della domanda, previsione quest'ultima particolarmente importante e volta, per un verso, a prevenire il cospicuo contenzioso di carattere esecutivo innescato dall'incertezza circa l'insorgenza temporale degli obblighi contributivi discendenti dall'adozione dei provvedimenti presidenziali e, per altro verso, a garantire che, anche nel tempo trascorso tra il deposito del ricorso e la celebrazione della prima udienza –particolarmente contenuto nelle previsioni del legislatore delegante – gli oneri di mantenimento siano comunque assolti dal genitore o coniuge gravato.

L'art. 473 bis .23 c.p.c. in tema di modifica dei provvedimenti temporanei ed urgenti prevede che gli stessi possono essere modificati o revocati dal collegio o dal giudice delegato in presenza di fatti sopravvenuti o nuovi accertamenti istruttori.

Il ricorso per sequestro ex art. 473 bis 36. c.p.c. nel corso del giudizio di separazione

L'attuazione degli obblighi a contenuto patrimoniale è disciplinata dagli artt. 473 bis. 36,37,38 e 39 c.p.c.., introdotti dalla Riforma Cartabia.

In particolare, con riferimento all'art. 473 bis. 36 c.p.c. i provvedimenti, anche se temporanei, in materia di contributo economico in favore della prole o delle parti sono immediatamente esecutivi e costituiscono titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale. Se il valore dei beni ipotecati eccede la cautela da somministrare, si applica il comma 2 dell'art. 96.

Il giudice può imporre al soggetto obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il pericolo che possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi di contributo economico.

In questo caso, ai sensi dell'art. 473 bis. 36 c.p.c. il creditore cui spetta la corresponsione periodica del contributo, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni in ordine all'adempimento, può chiedere al giudice di autorizzare il sequestro dei beni mobili, immobili o crediti del debitore.

Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti.

I provvedimenti di cui al comma 2, 3, 3 4 dell'art. 473 bis. 36 c.p.c. sono richiesti al giudice del procedimento in corso o, in mancanza, ai sensi dell'art. 473 bis. 29 c.p.c. secondo un procedimento che ricalca quello già previsto dall'art.710 c.p.c.

Il comma 2 dell'art. 473 bis. 36 c.p.c. riproduce, in un'unica norma e dunque nell'ottica di unificazione, quanto già previsto dall'art. 156, comma 4 c.c. per la separazione personale, dall'art. 8, comma 1 l. n. 898/1970 per il divorzio e dall'art. 3, comma 2, l. n. 219/2012 per i provvedimenti economici a tutela della prole.

Il comma 3 dell'art. 473 bis. 36 c.p.c. riprende la formulazione dell'art. 8, comma 7, della l. n. 898/1970 e dell'art. 3, comma 2 della l. n. 219/2012.

Il creditore può chiedere al giudice di essere autorizzato a procedere al sequestro dei beni mobili, immobili o dei crediti del debitore, affinché siano soddisfatte o conservate le sue ragioni in ordine all'adempimento.

Il sequestro a garanzia del pagamento degli assegni mantiene il suo carattere speciale di strumento di coazione anche psicologica nei confronti dell'obbligato in linea con quanto stabilito dalla giurisprudenza con riferimento all'art. 156 c.c.

Il comma 4 e 5 dell'art. 473 bis. 36 c.p.c., anche in linea con il principio generale della modificabilità dei provvedimenti, prevedono il diritto delle parti di chiedere la modifica dei provvedimenti emessi a tutela delle ragioni creditorie, in presenza di mutamenti delle circostanze.

La domanda va proposta al giudice del procedimento in corso o, in mancanza, al giudice territorialmente competente in base ai principi che regolano la materia.

Lo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive alla Riforma Cartabia apporta modifiche al comma 1 e 2 dell'art. 473 bis.24 c.p.c., relativo al reclamo avverso i provvedimenti provvisori adottati nel corso del giudizio di primo grado, nel senso di rendere più chiaro agli interpreti che il mezzo di reclamo previsto dal comma 2 – relativo ai provvedimenti temporanei emessi in corso di causa che sospendono od introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché a quelli che prevedono sostanziali modifiche dell'affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l'affidamento a soggetti diversi dai genitori – non si differenzia da quello previsto al comma 1, relativo ai provvedimenti temporanei ed urgenti pronunciati all'esito della prima udienza, e che anch'esso si propone dinanzi alla corte d'appello.

I provvedimenti indifferibili, disciplinati dall'art. 473 bis.15 c.p.c., in base ad una serie di concordi indici normativi, non possono essere emessi ante causam e vanno considerati alla stregua di cautelari in corso di causa (Trib. Verona 13 luglio 2023).

Secondo il giudice scaligero, in tale senso depongono  la collocazione dell'art. 473 bis.15 c.p.c., subito dopo quella che descrive il contenuto del ricorso, sulla cui scorta il legislatore avrebbe considerato tale provvedimento alla stregua di un cautelare richiesto in corso di causa,  la mancanza di una disciplina che regoli il raccordo tra la fase ante causam e quella di merito, ed infine la mancanza di una norma analoga a quella prevista per il rito cautelare uniforme, dall'art. 669 ter c.p.c., che attribuisce la competenza a valutare tale domanda quando sia proposta prima dell'inizio del giudizio di merito.

In senso contrario si è espressa parte della dottrina (SCALERA) la quale ha osservato che aderendo alla tesi del tribunale veronese l'art. 473 bis.15 finisce con il divenire una sorta di “duplicato” dell'art. 473 bis.22 c.p.c., contrastando tale lettura con la ratio dell'art. 473 bis.15 c.p.c., che prevede come “regola” l'adozione di questa tipologia di provvedimento a contraddittorio differito, essendo così evidente che non vi siano ostacoli all'applicazione di tale istituto prima dell'instaurazione del giudizio di separazione o di divorzio.

Tale conclusione può ricavarsi dalla stessa rubrica dell'art. 473 bis.15 c.p.c. “provvedimenti indifferibili”, che non sarebbero più tali, e cioè “indifferibili” se possono essere adottati solo in corso di causa (SCALERA) e, dalla constatazione ulteriore che una interpretazione che limiti l'ambito di applicazione dell'art. 473 bis.15 c.p.c. soltanto in corso di causa lascerebbe priva di tutela la fase anteriore all'introduzione del giudizio di merito.

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