Codice di Procedura Civile art. 669 quinquies - Competenza in caso di clausola compromissoria, di compromesso o di pendenza del giudizio arbitrale 1 .

Vito Amendolagine

Competenza in caso di clausola compromissoria, di compromesso o di pendenza del giudizio arbitrale1.

[I]. Se la controversia è oggetto di clausola compromissoria [808 1] o è compromessa in arbitri [806, 807 1, 808-bis] anche non rituali [808-ter] (2) o se è pendente il giudizio arbitrale [813, 816 ss.], la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito [818] , salvo quanto disposto dall'articolo 818, primo comma2.

 

[1] La sezione (comprendente gli articoli da 669-bis a 669-quaterdecies ) è stata inserita dall'art. 74, comma 2, l. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 1° gennaio 1993. L' art. 92 stabilisce inoltre: « Ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti ». L'art. 90, comma 1, l. n. 353, cit., come sostituito dall'art. 9 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534, estende ulteriormente l'applicabilità delle disposizioni ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995.

[2] Comma così modificato dall'art. 23 lett. e-bis) n. 1 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80 e successivamente dall'art. 3, comma 47,  lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149  che aggiunto, in fine, le seguenti parole: «, salvo quanto disposto dall'articolo 818, primo comma» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

L'art. 669-quinquies c.p.c. enuncia il principio-guida da seguire per individuare la competenza del giudice della cautela nell'ipotesi in cui una determinata controversia sia devoluta alla competenza arbitrale a tale fine stabilendo che, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere la causa per il merito oggetto di clausola compromissoria o compromessa in arbitrato, anche non rituale – la precisazione si deve alla l. n. 80/2005, per effetto della quale il giudice può essere chiamato ad emettere misure cautelari anche in presenza di una controversia di merito devoluta ad un arbitrato «libero», in tale modo, sancendo la compatibilità tra la devoluzione di una controversia a quest'ultima forma di arbitrato e la tutela cautelare (Dalmotto, 1231) – ovvero nell'ulteriore ipotesi in cui sia già pendente il giudizio arbitrale.

La norma è stata modificata dall'art. 47, lett. a) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, nota come Riforma Cartabia, che al comma 1 dell'art. 669 quinquies c.p.c. ha aggiunto, in fine, le seguenti parole: “, salvo quanto disposto dall'articolo 818, primo comma”.

La legge di delega n. 206/2021 ha previsto il conferimento in capo agli arbitri del potere di concedere provvedimenti cautelari, laddove le parti in sede di clausola compromissoria o successivamente, di compromesso, abbiano loro concesso tale potere.

Conseguentemente, la modifica apportata all'art. 818 c.p.c. ha reso opportuna la modifica della norma in commento.  

Del resto, come si legge nella Relazione illustrativa alla Riforma Cartabia, l'attribuzione di poteri cautelari in capo agli arbitri ha reso necessario un intervento di coordinamento anche in relazione alle norme che sino ad oggi erano integralmente deputate alla disciplina dei provvedimenti cautelari nell'ipotesi di devoluzione della causa in arbitrato. Per questa ragione, si è dunque imposta quindi una modifica dell'art. 669 quinquies c.p.c., deputato a disciplinare la competenza cautelare in caso di clausola compromissoria, compromesso o pendenza del giudizio arbitrale. Sino ad oggi la norma prevede che nell'ipotesi di controversie oggetto di clausola compromissoria, compromesso in arbitri, anche non rituali, ovvero di pendenza del giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. Rispetto a tale generale previsione si è quindi reso necessario l'inserimento di un inciso per cui la stessa opera “salvo quanto disposto dall'articolo 818, primo comma” del codice di procedura civile.

L'art. 669-quinquies c.p.c. si ritiene applicabile anche nell'ipotesi di devoluzione della controversia ad un arbitrato estero, non menzionando l'anzidetta norma alcuna distinzione tra arbitrato interno od estero, così come trova applicazione anche l'art. 669-quater, comma 5, c.p.c. laddove si riferisce unicamente alla figura del giudice e non anche a quella dell'arbitro straniero (Briguglio 2010, 40).

Conseguentemente, le ipotesi in cui per individuare la competenza del giudice della cautela quando la causa di merito è devoluta in arbitrato occorre guardare all'art. 669-quinquies c.p.c. sono tre e riguardano controversie in cui in atti si rilevi la presenza di una clausola compromissoria; un compromesso oppure quando – anche a prescindere alle prime due opzioni – comunque già esista la pendenza del giudizio arbitrale per effetto di una precedente volontà manifestata in tale senso dalle stesse parti nell'intraprendere per la risoluzione del contenzioso civile un percorso alternativo a quello «giurisdizionale».

Il giudice a cui si riferisce la norma in esame è quello ordinario, dovendosi escludere ogni ipotesi in cui possa ravvisarsi la competenza del giudice onorario stante l'operatività del divieto sancito dall'art. 818 c.p.c. sebbene, con la recente delega legislativa si è prevista la possibilità che anche gli arbitri possano concedere misure cautelari laddove abbiano ottenuto il preventivo consenso dalle parti in sede di compromesso o clausola compromissoria.

Si ricordi che proprio sulla base del divieto di cui all'art. 818, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 669-quaterdecies c.p.c., nella parte in cui, escludendo l'applicazione dell'art. 669-quinquies c.p.c. ai provvedimenti di cui all'art. 696 c.p.c., impedisce in caso di patto compromissorio o di pendenza di giudizio arbitrale, la proposizione della domanda di accertamento tecnico preventivo al giudice che sarebbe competente a conoscere del merito (Amadei, 535).

E il presupposto per l'esclusione dell'istruzione preventiva disciplinata dall'art. 696 c.p.c. dalla competenza degli arbitri è il divieto per costoro, contenuto nell'art. 818 c.p.c., di emettere provvedimenti cautelari, atteso che quanto disposto dall'art. 669-quinquies c.p.c. è solo una conseguenza, per individuare un giudice dello Stato che possa provvedere sulla tutela cautelare in presenza di una convenzione d'arbitrato (Amadei, 535).

In tale ultima eventualità, è infatti evidente come le parti interessate ad una determinata controversia anche laddove non esista una convenzione di arbitrato preesistente, ad esempio, inserita in un contratto od in uno statuto societario, possono sempre accordarsi per ricorrere all'arbitrato quale strumento deflattivo del contenzioso civile ordinario, ragione per cui, la previsione legislativa riguarda il caso in cui la necessità di intraprendere autonomamente un giudizio cautelare sorga successivamente, quando il giudizio arbitrale è ormai già pendente.

Sotto tale specifico aspetto, va quindi considerato che la norma si riferisce genericamente alla pendenza del giudizio arbitrale, per cui occorre guardare all'esatto momento in cui quest'ultimo può davvero considerarsi pendente, vale a dire se con la presentazione dell'istanza – che può essere anche congiunta – di accesso alla relativa procedura, oppure quando il collegio si è già insediato per effetto dell'accettazione dei singoli componenti, la nomina del segretario e la verbalizzazione dell'avvio delle operazioni.

Pertanto, a seguito della dichiarata illegittimità dell'art. 669-quaterdecies c.p.c. nella parte in cui escludeva l'applicazione dell'art. 669-quinquies c.p.c. ai provvedimenti di cui all'art. 696 c.p.c. (Corte cost., n. 26/2010), l'art. 669-quinquies c.p.c. trova ora applicazione in caso di clausola compromissoria, compromesso o pendenza del giudizio arbitrale, anche per la proposizione della domanda di accertamento tecnico preventivo al giudice competente a conoscere del merito.

Diverso, invece, il discorso riguardante l'istruzione preventiva finalizzata alla conciliazione della lite.

Infatti, all'art. 696-bis c.p.c. non partecipando della natura e finalità cautelare propria invece dell'art. 696 c.p.c. è inapplicabile l'art. 669-quinquies c.p.c. ragione per cui la relativa istanza è devoluta alla competenza arbitrale (Trib. Pisa 2 novembre 2020). Nella citata pronuncia, muovendo dalla considerazione che l'istituto dell'istruzione preventiva finalizzata alla conciliazione si contraddistingue per la sua natura ambivalente, per un verso strumento deflattivo di carattere conciliativo, e dall'altro, mezzo di anticipazione istruttoria, propedeutica ad una futura lite – che ha innescato una vivace querelle dottrinaria e giurisprudenziale sulla disciplina applicabile all'istituto, tanto da essere giunto a lambire tra gli altri, l'aspetto dei rapporti con la clausola compromissoria – si è, tuttavia, rivelato convincente l'argomento per il quale, non partecipando della natura cautelare propria, invece, dell'accertamento tecnico preventivo disciplinato dall'art. 696 c.p.c. ad esso è inapplicabile la disciplina di cui all'art. 669-quinquies c.p.c.

In questo caso, si è infatti ritenuto che, poiché la tipologia di consulenza tecnica preventiva prevista dall'art. 696-bis c.p.c. non ha natura cautelare, non subisce il divieto dell'art. 818 c.p.c. ragione per cui, altrettanto chiaramente la convenzione d'arbitrato diventa operativa anche in relazione al suddetto procedimento ed il problema riguardante l'applicabilità dell'art. 669-quinquies c.p.c. in un caso del genere neppure si pone (Amadei, 536).

Infine, non è compatibile con l'arbitrato estero la previsione dell'art. 669-quinquies c.p.c., che presuppone logicamente la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana, sicché la domanda cautelare deve essere proposta al giudice del luogo ove la misura deve essere eseguita in applicazione del criterio indicato per l'inesistenza di un giudice italiano competente a decidere la causa di merito dagli artt. 669-ter comma 3, e 669-quater, comma 5, c.p.c.

Al riguardo, va poi considerato che in tema di procedimenti cautelari, è inammissibile la proposizione del regolamento di competenza, sia in ragione della natura giuridica dei provvedimenti declinatori della competenza – inidonei, in quella sede, ad instaurare la procedura di regolamento, in quanto caratterizzati dalla provvisorietà e dalla riproponibilità illimitata – sia perché l'eventuale decisione, pronunciata in esito al procedimento disciplinato dall'art. 47 c.p.c., sarebbe priva del requisito della definitività, atteso, il peculiare regime giuridico del procedimento cautelare nel quale andrebbe ad inserirsi (Cass. S.U., n. 26154/2017; Cass. VI/III, n. 1613/2017; Cass. S.U., n. 18189/2013; Cass. S.U., n. 16091/2009).

Competenza cautelare e arbitrato

La parte interessata ad ottenere un provvedimento cautelare deve rivolgersi al giudice civile che, per effetto di quanto enunciato dall'art. 669-quinquies c.p.c., in presenza di una controversia oggetto di clausola compromissoria o compromessa in arbitri, anche non rituali, sarebbe stato competente a conoscere del merito secondo i criteri ordinari previsti dal codice di rito, tenendo però presente quanto enunciato nell'art. 413 c.p.c. in caso di arbitrato del lavoro e di cui all'art. 412-ter c.p.c.

Nell'individuazione del giudice competente per la cautela con riferimento ad una controversia oggetto di clausola compromissoria o compromessa in arbitri, trova spazio anche l'art. 669-ter, comma 2, c.p.c. per la competenza anteriore alla causa, il quale dispone chiaramente che, nel caso in cui per la controversia risulti essere competente il giudice di pace la domanda cautelare va proposta dinanzi al tribunale monocratico.

Inoltre, non va trascurato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, la competenza del giudice statale ai sensi degli artt. 669-quinquies c.p.c. e 35 del d.lgs. n. 5/2003, a conoscere dei ricorsi finalizzati ad ottenere la sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari pur soggette alla cognizione arbitrale, sussiste al fine di assicurare la completezza della tutela giurisdizionale nelle more dell'instaurazione del giudizio arbitrale efino alla nomina degli arbitri (Trib. Milano 18 giugno 2013).

A ciò aggiungasi che il disposto di cui all'art. 669-quinquies c.p.c. può trovare applicazione anche qualora venga presentato un ricorso ex art. 2409 c.c. in ragione della natura in senso lato cautelare del relativo procedimento e delle misure richieste le quali, pur coinvolgendo diritti soggettivi, non statuiscono su di essi a definizione di un conflitto tra parti contrapposte, né hanno attitudine ad acquistare l'autorità di giudicato sostanziale, ragione per cui secondo l'orientamento uniforme della giurisprudenza di merito, il giudice statale è competente a decidere sul ricorso anche nell'ipotesi in cui sia presente nello statuto una clausola compromissoria che devolva ad un collegio arbitrale le controversie tra soci ed amministratore (Trib. Bologna 15 marzo 2018).

Quid iuris, invece, qualora sia stato concesso un provvedimento cautelare prima dell'inizio della causa di merito la cui competenza appartiene ad un arbitro?

In tale ipotesi, secondo l'art. 669-octies, comma 5, c.p.c. dinanzi a quest'ultimo dovrebbe essere presentata la domanda introduttiva del giudizio di merito nel rispetto del termine fissato dal giudice della cautela e comunque, sempre nel rispetto di quello previsto ex lege dall'art. 669-octies, comma 2, c.p.c.

In particolare, per quanto attiene all'atto introduttivo, quest'ultimo a differenza della forma del ricorso prevista dall'art. 669-bis c.p.c. – o laddove si ritenga equipollente quella dell'atto di citazione nel giudizio a cognizione ordinaria – dovrà farsi riferimento alla domanda di accesso all'arbitrato che dovrà essere notificata alla controparte.

Al riguardo, va opportunamente ricordato come prima della riforma del 1994 non era previsto alcun atto finalizzato a contenere la domanda, e quindi, ad avviare il procedimento arbitrale, poiché soltanto con l'art. 1 della l. n. 25/1994 veniva disciplinato il contenuto e gli effetti della suddetta domanda, successivamente trasfuso integralmente nell'art. 669-octies, comma 5, c.p.c. disponendo che, nel caso in cui la controversia sia oggetto di compromesso o di clausola compromissoria, la parte, nei termini di cui ai commi precedenti – dunque ai sensi dello stesso art. 669-octies, commi 1 e 2, c.p.c. entro un termine perentorio che comunque, non può mai essere superiore a sessanta giorni – deve notificare all'altra un atto nel quale dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.

In ordine alla forma dell'atto di accesso alla procedura arbitrale, nulla si evince dal dato normativo innanzi richiamato, sebbene come acutamente osservato in dottrina ai fini della litispendenza arbitrale debba farsi riferimento al profilo inerente la vocatio in ius costituente un elemento essenziale della domanda per effetto dell'espressa manifestazione dell'intenzione di avviare l'arbitrato (Campione, 127) che conseguentemente, l'avvicina alla forma dell'atto di citazione.

L'unica certezza è ravvisabile nel fatto che nell'arbitrato societario la nomina degli arbitri è svincolata dalla domanda di arbitrato per la quale è previsto il deposito presso il registro delle imprese, come si evince dalla disciplina di cui agli artt. 34 ss. del d.lgs. n. 5/2003, senza però regolare specificamente le modalità di instaurazione del procedimento arbitrale, ragione per cui così è astrattamente possibile in assenza di un'espressa previsione della clausola compromissoria statutaria anche la necessità di compiere atti distinti per ciascuno di tali adempimenti (Trib. Napoli 6 febbraio 2012).

È anche vero che la nomina dell'arbitro da parte del terzo, pur essendo apparentemente «sganciata» dalla instaurazione del procedimento nei termini sopra indicati, ne costituisce una palese conseguenza sotto il profilo logico, in quanto presuppone l'individuazione dell'oggetto dell'arbitrato, che è condizionata proprio dalla domanda e dall'eventuale replica, la quale ha un senso compiuto solo se il procedimento arbitrale sia stato instaurato con la proposizione della relativa domanda.

In ogni caso, l'inizio del procedimento arbitrale deve necessariamente coincidere con la notificazione di un atto formale contenente le caratteristiche di cui si è detto quanto alla vocatio in ius ed alla manifestazione espressa di avviare l'arbitrato, mancando le quali, non sono integrati né l'avvio del giudizio né il contraddittorio con la controparte (Campione, 127).

A seguito dell'entrata in vigore della l. n. 25/1994, il momento iniziale del giudizio arbitrale va determinato non più – come accadeva nella vigenza del precedente quadro normativo – con riguardo alla costituzione del collegio, bensì con riguardo alla notificazione della domanda di accesso agli arbitri, in quanto idonea a costituire un rituale rapporto procedimentale (Cass. I, n. 13516/2004; Cass. I, n. 5457/2003; Cass. I, n. 10922/2002).

Conseguentemente, con la notifica della domanda di accesso all'arbitrato si costituisce il rapporto processuale, attraverso l'individuazione sia pure in astratto, sulla base della clausola compromissoria, dell'organo deputato a decidere la controversia, dotato del relativo potere, nonché la controparte che risulta dalla stessa clausola compromissoria.

La mancata notifica della domanda di arbitrato – atto distinto dalla nomina dell'arbitro che peraltro può anche mancare quando la relativa designazione sia già contenuta nella clausola compromissoria – così come delineata dagli artt. 1,25 e 26 della l. n. 25/1994, impedisce l'instaurazione del procedimento arbitrale (Cass. I, n. 15445/2012), e ciò indipendentemente dalla natura rituale o libera attribuita all'arbitrato.

In buona sostanza, posto che la domanda arbitrale deve contenere l'intenzione di promuovere il relativo giudizio, la proposizione della domanda e di regola anche la nomina dell'arbitro, la sua effettiva proposizione segna l'inizio del procedimento arbitrale alternativo a quello di merito cui si riferisce l'art. 669-octies c.p.c., rispetto al quale rileva quale «atto introduttivo».

In tale ottica, va opportunamente considerato che, negli artt. 2652,2653,2690 e 2691 c.c., si afferma chiaramente che alla domanda giudiziale è equiparato l'atto notificato con il quale la parte, in presenza di compromesso o di clausola compromissoria, dichiara all'altra la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.

Conseguentemente, è escluso che il procedimento arbitrale possa iniziare e legalmente proseguire in assenza dell'avviso di ricevimento della raccomandata postale, che costituisce non solo il mezzo di prova tipico della ricezione dell'atto introduttivo del giudizio per il suo destinatario, ma integra esso stesso l'elemento costitutivo o perfezionativo della notificazione dello stesso atto di accesso alla procedura arbitrale (Cass. I, n. 7451/2012).

La necessità di una domanda arbitrale, ai fini qui considerati, è stata ribadita anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U., n. 9839/2011) laddove si è affermato il principio che l'atto introduttivo del giudizio arbitrale può essere effettuato con le forme previste dalle parti nell'apposita clausola compromissoria, non senza rilevare – così confermando il giudizio sulla imprescindibilità della domanda di arbitrato nel sistema delineato dalla riforma del 1994 – che la domanda di arbitrato costituente un unico atto con un preciso nomen iuris in una procedura in cui non esistono atti tipici nominati è un atto complesso, costituito da tre distinti nuclei: la manifestazione della pretesa, la dichiarazione di volere promuovere il procedimento arbitrale, la nomina degli arbitri, se spetta.

Ciò trova conferma nella scelta legislativa di rimettere alle parti, e in subordine agli stessi arbitri, l'iniziativa e la determinazione delle regole del procedimento intese come massima espressione del principio di libertà che governa l'arbitrato ed il dato normativo caratterizzante l'istituto, sancendone la deformalizzazione ed in tale modo, confermando la natura privatistica del procedimento, in cui gli arbitri non svolgono funzioni giurisdizionali, non si sostituiscono agli organi dello Stato, ma si inseriscono in una vicenda negoziale, con il compito di dare assetto a determinate posizioni in conflitto, mediante un dictum che esprime l'adempimento ad un precedente mandato atteso che il significato da attribuire al rinvio alle norme del codice di procedura civile, relativamente alla domanda di arbitrato ed alla domanda giudiziaria risente di tale impostazione.

Il necessario corollario di quanto sopra evidenziato porta allora a considerare che l'atto introduttivo del giudizio arbitrale può essere effettuato con le forme previste dalle parti nell'apposita clausola compromissoria e che in tanto l'effettuato richiamo alle norme del codice di rito in essa contenuto può trovare applicazione, in quanto sia specifico e relativo alle modalità di introduzione della domanda di arbitrato, essendo altrimenti lecito desumere la volontà delle parti, al riguardo, anche dal complesso delle stesse norme procedurali pattiziamente stabilite, come del resto accadrebbe se nel rinviare genericamente alle norme processuali di rito, le stesse parti abbiano ritenuto di aggiungere che la richiesta di arbitrato debba essere effettuata per lettera raccomandata, così indicando chiaramente una modalità differente rispetto alle regole del codice di rito (Cass. S.U., n. 9839/2011).

Cognizione arbitrale e competenza del giudice ordinario

L'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003, nel disciplinare i rapporti fra tutela cautelare ed arbitrato in materia di società di capitali, stabilisce che la devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell'art. 669-quinquies c.p.c. ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell'efficacia della delibera (Trib. Roma 26 aprile 2018; Trib. Milano 9 luglio 2009 laddove afferma che giusta il disposto degli artt. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 e 669-quinquies c.p.c., in caso di causa il cui merito sia di competenza arbitrale, nondimeno la competenza sulle domande cautelari permane in capo all'autorità giudiziaria ordinaria).

La norma, nella sua prima parte, conferma il principio generale, stabilito in combinato disposto dagli artt. 818 e 669-quinquies c.p.c., secondo cui gli arbitri non possono concedere provvedimenti cautelari (Trib. Milano 9 luglio 2009), mentre la stessa norma però, nella sua seconda parte prevede una deroga al suddetto principio.

L'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 contiene due distinte norme entrambe afferenti alla tutela cautelare in rapporto al giudizio arbitrale, prevedendosi, da un lato, che il patto compromissorio irrituale non impedisce il ricorso alla tutela cautelare, dall'altro, se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre la sospensione cautelare della relativa efficacia esecutiva (Cattani, 401).

In quest'ultimo caso, la misura cautelare tipica di cui all'art. 2378 c.c., ove si tratti di impugnativa di delibera assembleare compromettibile in arbitri, è affidata dalla legge soltanto all'organo arbitrale, ai sensi dell'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003, salva restando, nel caso di materiale impossibilità di rivolgersi all'arbitro perché il processo arbitrale non è ancora pendente, ovvero perché l'organo arbitrale non è ancora costituito, la distinta possibilità di ottenerne, dinanzi al giudice della cautela adito con ricorso d'urgenzaex art. 669-quinquies c.p.c. la sospensiva.

La natura cautelare della misura sospensiva rende, quindi, la previsione dell'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 un unicum nel sistema della cognizione arbitrale.

Al riguardo, va anche detto che l'ammissione della tutela cautelare a seguito della modifica dell'art. 669-quinquies c.p.c. per effetto della l. n. 80/2005 riguarda anche l'arbitrato irrituale un tempo escluso perché ritenuto strumento, radicalmente diverso dall'arbitrato rituale, di composizione negoziale delle controversie, non estrinsecantesi in un giudizio, al quale la tutela cautelare potesse collegarsi.

La questione sopra delineata risentiva del contrasto esistente in giurisprudenza circa la proponibilità di un ricorso cautelare a fronte di una clausola compromissoria di arbitrato irrituale, laddove si assumeva, in accordo con l'orientamento di legittimità, che detta domanda non fosse ammissibile, in quanto non vi potrebbe essere cognizione sulla domanda cautelare quando non vi è cognizione sulla futura domanda di merito, principio – questo – rispetto al quale, costituirebbe un'eccezione la previsione della competenza del giudice ordinario sul ricorso cautelare in presenza di una clausola di arbitrato rituale, ed in quanto tale, si riteneva quindi non fossero applicabili al caso dell'arbitrato irrituale le disposizioni di cui all'art. 669-octies comma 1 c.p.c., sul termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito, poiché secondo questa impostazione, non sarebbe tale il procedimento negoziale posto in essere dagli arbitri irrituali, e dell'art. 669-octies, comma 5, c.p.c., sul termine per notificare l'atto dichiarativo dell'intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, disposizione, quest'ultima, che si collegherebbe sistematicamente a quella dell'art. 669-novies c.p.c. sulla perdita di efficacia del provvedimento cautelare per la mancata richiesta di esecutorietà del lodo, e quindi anch'essa ritenuta riferibile al solo arbitrato rituale.

In tale senso, la posizione espressa dalla dottrina anteriormente alla riforma del 2005.

La stipula di una clausola compromissoria o di un compromesso per arbitrato libero significa il rifiuto della giurisdizione e del giudice dello Stato, e dunque, correttamente si esclude che possano chiedersi provvedimenti cautelari al giudice statale, perché la tutela cautelare è infatti strumentale a quella di cognizione, sia essa ordinaria o arbitrale rituale, situazione che tuttavia, non dà luogo ad una diminuzione di tutela, essendo aderente alla volontà delle parti ad una composizione della controversia attraverso la determinazione di un ordinamento che non è quello del giudice, ma quello del privato, quindi di un superamento dell'azione (Esposito, 2482).

A seguito della ricordata modifica dell'art. 669-octies c.p.c., tale problematica è stata ormai risolta, essendo stato previsto dal legislatore che la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito quando è pendente il giudizio arbitrale o la controversia è oggetto di clausola compromissoria o compromessa in arbitri anche non rituali.

In dottrina, è stato infatti osservato che non era più ammissibile che il compromesso per arbitrato irrituale, determinando una rinuncia dei contraenti alla tutela giudiziaria dei diritti relativi al rapporto litigioso, comportasse il difetto del potere del giudice di statuire sulla domanda giurisdizionale proposta in via cautelare, atteso che sia l'arbitrato irrituale che l'arbitrato rituale risultano pur sempre riconducibili all'autonomia privata ed alla legittimazione delle parti a derogare alla giurisdizione per ottenere una decisione di fonte consensuale della lite, da collocarsi in posizione del tutto autonoma ed alternativa rispetto al giudizio civile (Agnino, 8).

Tuttavia, sempre in dottrina, è stato osservato che l'ammissibilità della tutela cautelare nell'arbitrato libero comporta la necessità di coordinare gli effetti derivanti dalla misura cautelare attesa l'impossibilità che il lodo per arbitrato libero sia omologato per conseguire l'efficacia esecutiva, soprattutto con riferimento alle ipotesi di sequestro giudiziario o conservativo in cui sussiste l'onere per la parte interessata di instaurare la causa di merito ex art. 669-octies c.p.c. (Celeste 2010, 183).

Conseguentemente, la parte al fine di evitare la dichiarazione di inefficacia della misura cautelare, ha l'onere di notificare la domanda di arbitrato irrituale alla controparte nello stesso termine perentorio di sessanta giorni previsto dalla norma sopra citata.

Gli effetti derivanti dalla clausola statutaria

Il problema, invece, permane in ordine alla possibilità di riconoscere ammissibile o no il ricorso alla tutela cautelare ante causam prima della proposizione della domanda arbitrale o della costituzione del collegio o dell'accettazione dell'arbitro unico.

In particolare, per le controversie di cui all'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 si pone il dilemma interpretativo se sia o mano configurabile nelle more della costituzione del collegio arbitrale la facoltà per il soggetto che si veda minacciato dall'attuazione di una delibera assembleare di rivolgersi al giudice civile.

Inizialmente, l'orientamento della giurisprudenza di merito è apparso diviso tra chi ha affermato che in caso di clausola compromissoria statutaria per arbitrato endosocietario e di impugnativa di delibera assembleare, risulta attribuito esclusivamente agli arbitri il potere decisionale di provvedere in via cautelare sulla sospensiva della decisione impugnata; di conseguenza non residuano spazi alternativi di tutela sia con riferimento alla tutela cautelare atipica che con riguardo a quella tipica prevista dagli artt. 2378 c.c. e 24 del d.lgs. n. 5/2003 (Trib. Catania 14 ottobre 2005), e chi invece ha ritenuto che nelle controversie devolute in arbitrato aventi ad oggetto l'impugnazione di deliberazioni assembleari deve riconoscersi, fino al momento in cui il collegio arbitrale sia costituito, la competenza del giudice ordinario a provvedere sull'istanza di sospensione della delibera impugnata (Trib. Verona 12 aprile 2005).

Infatti, sebbene l'art. 2378 c.c., riformulato dal d.lgs. n. 6/2003, ha previsto la possibilità di chiedere la sospensione della delibera solo nell'àmbito della causa di merito avente ad oggetto l'impugnazione della medesima delibera, escludendo, implicitamente, l'ammissibilità di una tutela cautelare ante causam, tale soluzione non è stata condivisa in dottrina, essendosi sostenuta la tesi che la tutela cautelare arbitrale non esclude quella giudiziale, v. Cattani, 404, il quale, non manca di osservare che non sarebbe ammissibile che si creino situazioni «di vuoto di tutela» per il cittadino, per mere omissioni o imprecisioni del legislatore o per interpretazioni giurisprudenziali eccessivamente rigide e poco ispirate al buon senso; Briguglio 2003, 31; Luiso, 724, che prospetta nel periodo temporale compreso tra la proposizione della domanda arbitrale e la costituzione del collegio un intervento del giudice proprio applicando analogicamente l'art. 669-quinquies c.p.c.; Villa, 315, pur riconoscendo che, nell'àmbito delle controversie cui si riferisce l'art. 2378 c.c., l'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 riconosce la competenza esclusiva degli arbitri in ordine al potere di sospendere cautelativamente la delibera assembleare, osserva come ciò non vale però ad escludere qualsivoglia intervento del giudice statuale. Contra, Arieta, De Santis, 663; Fazzalari, 447; Barletta, 1199, osserva però che, sebbene l'intervento legislativo in ordine all'emissione del provvedimento di sospensione della delibera assembleare sembra volto ad escludere il concorso della potestà arbitrale con quella del giudice ordinario, ciò può porre un problema di effettività della tutela soprattutto qualora il relativo bisogno di avvalersi di tale strumento sorga ante causam ovvero prima ancora della proposizione della domanda arbitrale. In senso favorevole alla possibilità che prima della costituzione del collegio arbitrale possa trovare ingresso il ricorso alla tutela innominata d'urgenza stante la funzione residuale di tale strumento di garanzia, v. Corsini, 1298; contra, Danovi, 561, sostiene la diversa tesi che il potere cautelare rispetto alla richiesta di sospensione delle delibere assembleari spetta in ogni caso agli arbitri, sicché nell'ipotesi di mancata costituzione del collegio la parte interessata dovrà sollecitare una siffatta costituzione ove voglia richiedere la sospensione dell'efficacia del provvedimento e non potrà all'uopo ricorrere al giudice civile chiedendo, pur in presenza del fumus e del periculum la concessione di un provvedimento d'urgenza. Una posizione intermedia è, invece, quella assunta da Ruffini 1535, nell'affermare che l'istanza di sospensione potrebbe in questo caso essere proposta prima al presidente del tribunale e quindi, una volta costituito il collegio arbitrale, dinanzi a quest'ultimi.

Quest'ultima conclusione, in particolare, si desume dall'esame del testo dell'art. 2378, comma 3, c.c. – che non a caso afferma che l'impugnante può chiedere la sospensione dell'esecuzione della deliberazione assembleare con ricorso depositato contestualmente al deposito, anche in copia, dell'atto di citazione salva la possibilità, in caso di eccezionale e motivata urgenza, che il presidente del tribunale, omessa la convocazione della società convenuta, provveda sull'istanza con decreto motivato, dunque inaudita altera parte, che però, riprendendo il principio della proposizione della cautela in corso di causa – tale intendendosi anche la fattispecie in cui la relativa istanza cautelare è proposta congiuntamente a quella della domanda principale di merito – deve altresì contenere la designazione del giudice per la trattazione della causa di merito e la fissazione, davanti al giudice designato, entro quindici giorni, termine quest'ultimo non indicato come perentorio dalla norma qui considerata, dell'udienza per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti emanati con il decreto, nonché la fissazione del termine per la notificazione alla controparte del ricorso e del decreto, e quindi, dalla scelta legislativa di adottare tale testo senza alcun riferimento alla possibilità di anticipare la tutela prima dell'instaurazione del giudizio di merito, nonostante l'affermazione, nel vigore della precedente disciplina, di un orientamento giurisprudenziale volto a riconoscere l'ammissibilità della tutela cautelare, quanto meno atipica, prima dell'avvio del giudizio di impugnazione della delibera.

La ratio della scelta legislativa appena descritta va quindi evidentemente ravvisata nella volontà di collegare in modo più diretto la pronuncia cautelare alla controversia di merito cui è strumentale, in modo tale che il primo intervenga solo dopo che l'oggetto della seconda, e quindi, i motivi di impugnazione, sia cristallizzato dall'avvenuta instaurazione del giudizio.

Questa ratio non subisce deroghe nel caso in cui la controversia di impugnazione sia devoluta in arbitrato, poiché anche in tale caso, infatti, il procedimento di sospensione deve ritenersi disciplinato, con le necessarie variazioni per ciò che concerne l'organo giurisdizionale, dall'art. 2378, commi 3 e 4, c.c.

L'affermazione della natura necessariamente endoprocessuale del rimedio della sospensiva comporterebbe che la corrispondente istanza potrebbe essere proposta solo dopo che l'organo arbitrale si sia formato – con la costituzione del collegio oppure con l'accettazione dell'incarico da parte dell'arbitro unico designato – ma la ricostruzione nei termini predetti delle modalità di instaurazione del procedimento arbitrale renderebbe evidente che tra la proposizione della domanda e la formazione dell'organo arbitrale può trascorrere un certo e non sempre breve lasso di tempo, specialmente laddove sorgano questioni preliminari proprio in ordine alla possibilità di accedere alla tutela arbitrale per effetto dell'interpretazione della stessa clausola.

Conseguentemente, al fine di evitare il vuoto di tutela che si avrebbe in questo intervallo temporale – tanto più grave ove si consideri l'orientamento giurisprudenziale che nega l'ammissibilità della sospensione in caso di avvenuta esecuzione della delibera impugnata – deve, allora, riconoscersi la competenza del giudice ordinario, in sostanziale applicazione della regola generale desumibile dall'art. 669-quinquies c.p.c., in relazione all'istanza di sospensione della delibera almeno fino a che l'organo arbitrale si sia formato e sia concretamente in grado di provvedere.

Questa soluzione risponde efficacemente all'esigenza di garantire il diritto di difesa in tutte le fasi del procedimento arbitrale, di qualunque natura esso sia, in conformità al principio sancito dall'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003, perché l'attribuzione agli arbitri del potere di sospendere la delibera concentra la competenza sull'istanza cautelare in capo ad essi solo a partire dal momento in cui siano concretamente in condizione di poter operare, essendo, invece, ipotizzabile, prima di tale momento, l'intervento cautelare del giudice ordinario in quanto non precluso dalla disciplina della citata norma se interpretata in modo costituzionalmente orientato.

In tale senso, sembra allora condivisibile l'orientamento formatosi nella giurisprudenza di merito.

Tuttavia, poiché secondo l'orientamento maggioritario, nonostante la devoluzione del potere cautelare agli arbitri, rimane intatta la possibilità di ricorrere al giudice ordinario per ottenere il provvedimento cautelare fino a quando il collegio arbitrale o l'ufficio dell'arbitro unico non si sia materialmente costituito e, dunque, non possa materialmente procedere ad esaminare tempestivamente l'istanza di sospensione dell'efficacia della delibera, si è affermato che, stante la modalità d'instaurazione del procedimento arbitrale, fino al momento in cui il collegio arbitrale sia costituito sussiste la competenza del giudice ordinario a provvedere sull'istanza di sospensione della delibera impugnata (Trib. Napoli 6 febbraio 2012; Trib. Milano 17 marzo 2009; Trib. Lucca 27 novembre 2008; Trib. Napoli, 30 settembre 2005, secondo cui rimangono al giudice ordinario soltanto alcuni segmenti d'intervento, con particolare riferimento al periodo che va dalla proposizione della domanda arbitrale alla formazione del collegio giudicante o all'accettazione dell'arbitro).

Pertanto, secondo il più condivisibile orientamento giurisprudenziale (Trib. Bologna 12 aprile 2017; Trib. Milano 7 novembre 2013; Trib. Napoli 8 aprile 2013), in un'ottica costituzionalmente orientata, la presenza nello statuto societario di una clausola compromissoria, a prescindere da ogni considerazione circa la sua validità ed operatività, non preclude comunque la facoltà di proporre avanti all'autorità giudiziaria ordinaria l'istanza cautelare di sospensione dell'efficacia dell'impugnata delibera assembleare fintanto che non sia stato formalmente costituito e non sia stato posto in condizione di operare l'organo arbitrale cui dovrebbe devolversi la cognizione della controversia tra socio e società.

Diversamente opinando, il socio, nelle more della costituzione dell'organo arbitrale, non potrebbe chiedere ed ottenere, con la necessaria immediatezza, la tutela di tipo inibitorio invocata in via d'urgenza, venendo, in tale modo, vanificate evidenti esigenze di effettività del diritto costituzionale di difesa.

Oltretutto, nell'ipotesi di domanda cautelare proposta in corso di causa prevedendo l'art. 2287 c.c. la proponibilità dell'istanza cautelare di sospensione solo previa instaurazione del giudizio di merito – nel caso di specie quello arbitrale – ovvero la domanda di accesso all'arbitrato in quanto l'art. 34 del d.lgs. n. 5/2003 prescrive inderogabilmente che il potere di nomina degli arbitri sia conferito ad un terzo, mentre nulla dice quanto al modo d'instaurazione del procedimento essendo indubbio, tuttavia, che sia necessaria la proposizione di una domanda, che identifichi gli estremi oggettivi e soggettivi del rapporto arbitrale, prevedendo l'art. 35 dello stesso d.lgs. n. 5/2003 l'iscrizione di tale domanda nel registro delle imprese, sulla cui scorta, la domanda diretta alla controparte si distingue nettamente dall'istanza per la nomina degli arbitri, senza che vi sia quindi necessaria contestualità tra questi due atti, né che tale istanza debba essere notificata alla controparte, muovendo la prescrizione dell'art. 810 c.p.c. dal diverso presupposto della naturale contestualità tra la domanda di arbitrato e l'attivazione del procedimento di nomina degli arbitri – ragione per cui anche la tutela cautelare nelle forme dell'art. 700 c.p.c. postula comunque la preventiva instaurazione del giudizio di merito la competenza a conoscere ed a decidere in ordine ad essa, a norma dell'art. 669-quater c.p.c., spetta, inderogabilmente, al giudice della causa di merito fino a quando quest'ultimo, su eccezione di parte o rilievo ex officio, non si sia spogliato della relativa competenza.

La norma sopra citata, infatti, testualmente e chiaramente, recita che quando vi è causa pendente per il merito, la domanda cautelare deve essere proposta al giudice della stessa.

Secondo un orientamento di merito, il giudice ordinario sarebbe invece competente sulla sospensione cautelare delle deliberazioni assembleari anche dopo la costituzione dell'arbitro unico o in composizione collegiale (Trib. Roma 26 aprile 2018).

Questa tesi è stata oggetto di critiche in dottrina, ritenendosi che una volta promossa l'impugnativa arbitrale, solamente gli arbitri possono sospendere l'efficacia della delibera impugnata ovvero conoscere – in sede di revoca o modifica del provvedimento inibitorio già adottato – di eventuali circostanze sopravvenute idonee a rimettere in discussione la valutazione precedentemente compiuta (Tota, 107).

Conseguentemente la tutela cautelare atipica dinanzi al giudice statale va ammessa in tutti i casi in cui la necessità di sospensione si manifesti prima della proposizione dell'azione ordinaria di impugnazione e dunque, a maggiore ragione, quando, trattandosi di impugnativa compromettibile in arbitri, l'accesso alla potestà cautelare attribuita eccezionalmente agli arbitri richieda il rispetto di una più lunga tempistica, per la necessità di attendere non solo il perfezionamento della litispendenza, ma anche la costituzione dell'organo arbitrale (Trib. Lucca 27 novembre 2008).

L'orientamento giurisprudenziale che, muovendo dall'esclusività della competenza degli arbitri a pronunciare provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia della deliberazione impugnata ai sensi dell'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 (Trib. Napoli 8 marzo 2010; Trib. Milano, 17 marzo 2009; Trib. Lucca 27 novembre 2008; Trib. Milano 4 ottobre 2005) ritiene inammissibile la proposizione di un ricorso cautelare nelle more della procedura arbitrale non è quindi del tutto condivisibile, perché significherebbe impedire la possibilità che il giudice statale faccia fronte all'urgenza anche mediante decreto inaudita altera parte sospendendo interlocutoriamente l'efficacia della delibera.

L'orientamento anzidetto si basa sull'argomento letterale dell'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 superabile con una lettura costituzionalmente orientata, atteso che tale disposizione normativa potrebbe essere esaminata non solo come norma attributiva di poteri cautelari agli arbitri, bensì anche ripartitoria delle competenze cautelari arbitrali e giudiziali, nel senso che gli arbitri sono – inderogabilmente – titolari del potere, accessorio rispetto a quello di pronunciare sul merito della causa, di disporre la sospensione della decisione sociale oggetto di impugnazione, mentre il giudice statale resta depositario del potere di accordare la tutela cautelare tout court.

Ciò che conduce ad affermare l'esistenza di un potere cautelare concorrente del giudice ordinario è che la tutela cautelare ha la finalità di rendere effettiva la tutela giurisdizionale dei diritti, in modo che il processo possa effettivamente dare a chi ha un diritto tutto quello che ha diritto di conseguire, quale espressione del più generale principio di pienezza ed effettività della stessa tutela giurisdizionale, rinvenibile direttamente negli artt. 24 e 113 Cost., nonché dal principio del giusto processo di cui all'art. 111 Cost.

In tale ottica, il principio di effettività della tutela giurisdizionale implica necessariamente che venga assicurata senza soluzione di continuità la disponibilità del ricorso alla giustizia in sede cautelare anche in caso di devoluzione della cognizione su una determinata controversia agli arbitri.

Questa è la ragione per cui si è affermato che la devoluzione in arbitrato delle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di deliberazioni societarie non osta alla competenza – concorrente – del giudice ordinario in ordine al provvedimento cautelare di sospensione delle deliberazioni medesime (Trib. Roma 22 aprile 2018).

Con la proposizione della domanda di arbitrato, la lite pendente obbliga a procedere, secondo quanto in precedenza assunto, solo ai sensi e per gli effetti delle disposizioni contenute nell'art. 2378 c.c. per cui, un'istanza cautelare proposta in via d'urgenza al giudice ordinario, seguendo un'interpretazione costituzionalmente orientata al fine di consentire il rispetto del principio di effettività della tutela cautelare, da attuarsi in conformità a quello più generale di difesa, protetto dall'art. 24, comma 1, Cost. potrà essere considerata ammissibile solo se proposta ante causam, vale a dire prima della notifica della domanda di arbitrato ed a condizione che siano soddisfatti tutti i peculiari requisiti strutturali e funzionali richiesti dalla fattispecie (D'Agostino, 1342).

Il più recente orientamento giurisprudenziale sembra non escludere la competenza del giudice civile laddove il giudizio arbitrale non sia ancora pendente od operativo nella persona degli arbitri designati.

In presenza di una clausola statutaria che attribuisce alla cognizione arbitrale le controversie aventi ad oggetto la validità delle delibere, fino al momento in cui l'organo arbitrale non sia concretamente in grado di provvedere deve riconoscersi la competenza del giudice ordinario sull'istanza di sospensione della deliberazione (Trib. Torino 26 febbraio 2021).

La soluzione sopra esposta, sicuramente preferibile tra quelle prospettate in dottrina e giurisprudenza, è stata recepita dall'art. 1, comma 15, lett. c), della l. n. 206/2021, concernente la delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, laddove prevede l'attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell'ipotesi di espressa volontà delle parti in tale senso, manifestata nella convenzione di arbitrato od in un atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge, mantenendo per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all'accettazione degli arbitri, e comunque àncorando la disciplina del reclamo cautelare davanti al giudice ordinario per i motivi di cui all'art. 829, comma 1, c.p.c. e per contrarietà all'ordine pubblico, unitamente alla disciplina riguardante le modalità di attuazione della misura cautelare che anch'essa resta sempre sotto il controllo del giudice ordinario.

Infatti, la legge-delega nel superare il divieto anacronistico e sino ad oggi codificato nell'art. 818 c.p.c. – dunque esprimendosi il legislatore in linea generale, ben al di fuori dell'angusto spazio operativo concesso dall'art. 2378 c.c. – prevede espressamente prevede l'attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell'ipotesi di espressa volontà delle parti in tale senso, manifestata nella convenzione di arbitrato od in un atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge, mantenendo per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all'accettazione degli arbitri.

A ben vedere, la posizione assunta dal legislatore, non deve stupire né tantomeno fare rivivere la preoccupazione sollevata anche in un recente passato in dottrina, secondo cui, dietro l'affermazione del doppio binario afferente la tutela inibitoria possa in realtà celarsi non tanto la preoccupazione per le sorti di chi promuove l'impugnativa arbitrale, quanto piuttosto l'idea che la giustizia erogata dallo Stato sia intrinsecamente migliore e più effettiva di quella offerta dal giudice laico, e che l'autorità giudiziaria debba quindi vigilare sull'operato degli arbitri, anche a costo di limitarne l'autonomia (Tota, 112), proprio perché, l'opportunità di tali interferenze è stata limitata alla sola ipotesi normativamente prevista in cui il vuoto di tutela dinanzi agli arbitri appaia concreto e non altrimenti rimediabile, in un'ottica chiaramente volta ad evitare possibili ingerenze del giudice civile qualora la tutela cautelare ex art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 in sede arbitrale sia di fatto garantita, ancorché con modalità diverse da quelle proprie del processo civile.

La competenza cautelare tra arbitrato rituale ed irrituale

L'art. 669-quinquies c.p.c. regolamenta i rapporti tra la domanda cautelare ed il giudizio di merito devoluto in arbitrato, tenuto conto all'attualità della carenza di potestà cautelare in capo a questi ultimi ex art. 818 c.p.c., sebbene in via di superamento per effetto della volontà di modifica della norma anzidetta manifestata nell'art. 1, comma 15, lett. c), della l. n. 206/2021.

Agli arbitri è sottratto il potere di emettere provvedimenti cautelari, come emerge dall'art. 669-quinquies c.p.c., che devolve la domanda cautelare alla competenza esclusiva del giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito, se la controversia è oggetto di clausola compromissoria o è compromessa in arbitri o se è pendente giudizio arbitrale (Trib. Milano 31 ottobre 1994), conseguentemente, si è «storicamente» affermato il principio secondo cui anche nel caso di controversia oggetto di clausola compromissoria, la domanda cautelare è correttamente proposta al giudice che sarebbe stato competente a conoscere nel merito ai sensi dell'art. 669-quinquies c.p.c. (Trib. Rieti 19 marzo 1994).

Al riguardo, va tuttavia precisato che nella legge-delega si prevede l'attribuzione agli arbitri del potere di emanare misure cautelari soltanto nell'arbitrato rituale lasciando fuori dal perimetro applicativo della futura disposizione normativa l'arbitrato libero e se tale scelta si pone certamente in linea con l'obiettivo generale del rafforzamento del ruolo e della natura di equivalente giurisdizionale che l'arbitrato rituale riveste (Rasia, 1060), ciò nondimeno si rischia però di avanzare a «passo di gambero» rispetto alla scelta operata in precedenza dallo stesso legislatore con la riforma del 2005 nell'avere equiparato le due forme di arbitrato – rituale e libero – ai fini dell'applicazione dell'art. 669-quinquies, comma 1, c.p.c. sul piano dell'individuazione del giudice competente per la cautela in caso di clausola compromissoria, compromesso e di dipendenza del giudizio arbitrale.

Infatti, sebbene la proposta esclude il riconoscimento di un potere cautelare in capo agli arbitri liberi chiamati a risolvere la lite attraverso una determinazione meramente contrattuale, ciò non toglie che resta pienamente ammissibile, per entrambe le forme di arbitrato, ai sensi dell'art. 669-quinquies, comma 1, c.p.c. il ricorso alla tutela cautelare davanti al giudice che sarebbe competente a conoscere il merito della lite.

In proposito, si è precisato che le norme sulla competenza nel procedimento cautelare uniforme manifestano la tendenza del legislatore a fare coincidere la competenza per la cautela con quella per il merito, consentendo così che la richiesta dei provvedimenti tipici ed atipici sia proposta dinanzi al giudice competente per il merito – qualora il giudizio ordinario non sia ancora stato introdotto – oppure davanti al giudice già adito per la tutela di merito, per l'ipotesi di richiesta di provvedimenti cautelari in corso di causa, atteso che la competenza cautelare è di fatto tendenzialmente ancorata alla reale competenza per il merito (Licci 2019, 339).

Il legislatore con la l. n. 80/2005 – sulla scia dell'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 che già aveva affermato che la devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell'art. 669-quinquies c.p.c. – ha riconosciuto che la possibilità per il giudice di emettere provvedimenti cautelari riguarda non solo l'ipotesi in cui la controversia di merito sia devoluta ad un arbitrato rituale ma anche quando si tratti di un arbitrato «libero» a cui non si applicano le norme di cui agli artt. 806 ss. c.p.c.

L'impostazione che negava questa possibilità era fondata essenzialmente sulle conseguenze derivanti da una preventiva e generale rinuncia alla tutela giurisdizionale a favore di uno strumento avente natura negoziale per la risoluzione delle controversie civili e commerciali perché avrebbe finito per comportare anche la rinuncia alla esperibilità della tutela cautelare dinanzi al giudice civile, mancando nell'arbitrato irrituale un giudizio di merito al quale la tutela cautelare possa collegarsi (Dalmotto, 1232).

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 669-quinquies c.p.c. sollevata in riferimento alla parte in cui non individuava il giudice competente ad emettere il provvedimento cautelare nel caso in cui la controversia fosse oggetto di clausola compromissoria per arbitrato irrituale, e dell'art. 669-octies c.p.c. nella parte in cui tutt'ora non stabilisce i termini e le modalità con le quali la parte deve comunicare all'altra la propria intenzione di iniziare il procedimento per arbitrato irrituale a seguito della definita fase cautelare, è stata dichiarata inammissibile dalla Consulta (Corte cost., n. 320/2002), la quale ha tenuto a precisare che la preclusione all'ammissione della tutela cautelare in presenza di una clausola di arbitrato irrituale non discende dalla portata delle norme denunciate – che, nel loro tenore testuale, si limitano a prevedere, sulla premessa dell'insussistenza in capo agli arbitri del potere di concedere provvedimenti cautelari, il raccordo fra i provvedimenti cautelari adottati dal giudice ordinario ed il giudizio e la decisione arbitrali sul merito della controversia – ma discende, nella stessa impostazione intesa come conseguenza della configurazione prospettata – in antitesi ad altre pure avanzate, specie in dottrina – dell'arbitrato irrituale quale strumento, radicalmente diverso dall'arbitrato rituale, di composizione negoziale delle controversie, non estrinsecantesi in un giudizio, al quale la tutela cautelare possa collegarsi. In altre parole, secondo la Consulta, la questione sollevata non coinvolgerebbe problemi di legittimità costituzionale, ma di mera interpretazione del sistema normativo e della volontà contrattuale delle parti, la cui soluzione spetta alla giurisprudenza comune, alla luce dei principi di inviolabilità del diritto costituzionale alla tutela giudiziaria e di disponibilità, entro i limiti delle norme imperative, e dei diritti spettanti alle parti in relazione a vicende in cui si estrinseca la loro autonomia contrattuale.

Prima della modifica apportata dal legislatore del 2005 all'art. 669-quinquies c.p.c., in presenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, era ritenuta inammissibile la richiesta di provvedimento d'urgenza proposta ante causam (Trib. Vercelli 29 luglio 1998), perché l'impossibilità di ottenere misure cautelari in caso di arbitrato irrituale era confermata dall'impianto introdotto dalla l. n. 353/1990 con gli artt. 669-bis ss. c.p.c., ed in particolare dal testo dell'art. 669-novies c.p.c. da cui si evinceva la possibilità di configurare una tutela cautelare davanti al giudice ordinario soltanto in caso di arbitrato rituale.

A seguito della modifica adottata dal legislatore del 2005, l'attuale testo dell'art. 669-quinquies c.p.c. include anche il caso in cui la controversia sia compromessa in arbitri anche non rituali, la cui precisazione riferita alle parole «anche non rituali» sono state inserite, in sede di conversione, dall'art. 23, lett. e-bis), n. 1), del d.l. n. 35/2005, convertito con modificazioni, in l. n. 80/2005, con effetto dal 1° marzo 2006.

La modifica in parola adottata dal legislatore del 2005 si è resa necessaria in quanto, come precedentemente affermato in dottrina, i livelli di omogeneità esistenti tra le due forme arbitrali conosciute dall'esperienza conducono sempre più spesso a sottoporre entrambe ai medesimi principi informatori del processo, tra i quali primeggia il diritto di azione ex art. 24 Cost. ragione per cui non potrebbe, allora, estromettersi dall'ambito di questa regola la protezione di situazioni giuridicamente rilevanti ed esposte a pregiudizi gravi sebbene la relativa tutela sia stata tolta ai togati. Sicché l'asserita rinuncia alla giurisdizione statale cui i litiganti perverrebbero con l'affidare la lite all'arbitro libero si potrebbe al massimo limitare al merito della stessa controversia (Auletta 1999, 86), e non anche alla tutela cautelare.

Va, comunque, ricordato come, già prima della riforma del 2005, si era posto il problema della possibilità di arrivare ad un'equiparazione tra le due forme di arbitrato – rituale e libero – ai fini dell'applicazione dell'art. 669-quinquies c.p.c. in tale senso deponendo un orientamento giurisprudenziale (Trib. Lanciano 29 novembre 2001; Trib. Roma 7 agosto 1997; Trib. Torino 31 ottobre 1996, in cui si è affermato che l'esistenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale non implica una rinuncia alla giurisdizione cautelare e che quindi nemmeno è possibile trarre argomenti contro la compatibilità tra arbitrato libero e misure cautelari dalle disposizioni che regolano il procedimento cautelare uniforme, le quali devono invece essere adeguate all'arbitrato irrituale, in ossequio al fondamentale diritto alla tutela cautelare) il quale, muovendo dalla considerazione che ove si acceda alla tesi che anche la clausola compromissoria od il compromesso per arbitrato rituale equivale ad una rinuncia alla tutela giurisdizionale e non si differenzia, sotto questo profilo, dall'arbitrato irrituale, aveva allora coerentemente ritenuto delle due l'una: o che anche l'arbitrato rituale non lasci spazio alla tutela cautelare, conseguenza pacificamente da escludere in quanto contraria alla previsione legislativa dell'art. 669-quinquies c.p.c., oppure che non vi è ragione per non estendere l'accesso alla tutela cautelare, espressamente sancita a favore di chi comprometta in arbitri rituali una controversia nonostante la rinuncia alla giurisdizione ravvisabile in tale compromesso, anche a favore di chi sottoscriva una clausola per arbitrato irrituale.

Ciò sulla scorta di una considerazione di fondo, il cui perno è chiaramente ravvisabile nella natura squisitamente privatistica propria dell'arbitrato, sia esso «rituale» o«libero».

Infatti, l'anzidetta quaestio iuris, vista da tale angolazione, ha permesso al legislatore di superare un consolidato orientamento giurisprudenziale il quale, muovendo dalla considerazione che la sottoscrizione di una clausola di arbitrato irrituale doveva ritenersi equivalente ad una rinuncia dei contraenti alla tutela giurisdizionale dei diritti relativi al rapporto controverso, che, in quanto tale, non può non riferirsi anche alle misure cautelari (Cass. III, n. 15524/2000), entrato definitivamente in crisi proprio per effetto della configurazione anche dell'arbitrato rituale come un fenomeno rientrante esclusivamente nell'ambito della autonomia privata, principio affermatosi anche nella stessa giurisprudenza di legittimità a seguito della riforma di cui alla l. n. 25/1994, la quale ha dissipato ogni dubbio sulla natura del cd. dictum arbitrale, che è, e resta, un atto di autonomia privata, i cui effetti di accertamento conseguono ad un giudizio compiuto da un soggetto il cui potere ha fonte nell'investitura conferitagli dalle parti, ragione per cui, di conseguenza deve escludersi che si possa parlare di arbitri come di organi giurisdizionali (Cass. I, n. 1403/2001; Cass. S.U., n. 527/2000; Cass. I, n. 345/1999; Cass. S.U., n. 5690/1995).

Ciò in quanto il giudizio arbitrale è antitetico a quello giurisdizionale e ne costituisce la negazione proprio perché la devoluzione della controversia ad arbitri si configura quale rinuncia all'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, nonché quale manifestazione di una legittima scelta per la soluzione della controversia sul piano privatistico, secondo il dictum affidato a «giudici privati».

Pertanto, per effetto dell'art. 669-quinquies, comma 1, c.p.c. nel testo vigente novellato dalla riforma del 2005, sia nell'ipotesi di cautelare anteriore all'avvio del procedimento per arbitrato libero sia quello durante il suo svolgimento, la relativa domanda si propone al giudice civile che sarebbe stato competente a conoscere del merito se non fosse stata stipulata la clausola compromissoria od il compromesso per arbitrato irrituale.

La competenza cautelare in presenza di compromesso o clausola arbitrale e relative conseguenze

La ratio che secondo le norme sul procedimento cautelare uniforme tende a legare la competenza cautelare alla concreta competenza per il merito è chiaramente ravvisabile nel tentativo di un'efficace e razionale «raccordo» della prima con la seconda, coerentemente con il carattere strumentale proprio del provvedimento cautelare (Licci 2019, 340), che anche laddove attenuato per effetto della sua natura anticipatoria o conservativa comunque permane, trattandosi di una caratteristica intrinseca che connota lo stesso strumento di tutela.

Nel caso, invece, della competenza per il merito devoluta ad un procedimento arbitrale, essendo l'arbitro sprovvisto di competenza cautelare non è possibile fare coincidere quest'ultima con quella per il merito, ragione per cui il legislatore con l'art. 669-quinquies, comma 1, c.p.c. ha di fatto scelto il criterio della cd. «competenza virtuale» per il merito al fine di individuare il giudice della cautela (Licci 2019, 340), affermando che in tale ipotesi, giudice competente per la cautela è il giudice che secondo gli ordinari criteri generali per materia, valore e territorio sarebbe stato competente a conoscere il merito in assenza della convenzione arbitrale.

Il raccordo tra cautela e merito viene dunque fatto sulla scorta del principio generale che negando la tutela cautelare agli arbitri ex art. 818 c.p.c.la concentra nelle mani del giudice statale che sarebbe stato competente se non ci fosse stata la devoluzione della controversia in arbitrato, sia nell'ipotesi in cui non si sia ancora verificato l'accesso al procedimento arbitrale – parafrasando il concetto riferito alla tutela ante causam – sia nell'ipotesi in cui si è già pendente la lite dinanzi agli arbitri (Licci 2019, 343).

Il fondamento del divieto sancito dall'art. 818 c.p.c. risiede a detta di molti nella carenza di poteri coercitivi in capo agli arbitri ed in particolare nell'assenza di una tutela esperibile in forma esecutiva od anche solo meramente attuativa del provvedimento cautelare, riconducibile per lo più all'assenza di imperium il quale costituisce una prerogativa propria del giudice statale.

In realtà, come efficacemente sostenuto in dottrina (Carosi 2021, 54), la vera ragione sottostante al divieto in parola deve rinvenirsi nella perpetuazione di una scelta di politica legislativa che dagli anni quaranta del secolo scorso arriva fino all'attualità, precisamente fino all'approvazione dell'art. 1, comma 15, lett. c), della l. n. 206/2021, alla quale, si deve riconoscere il pregio di avere finalmente interrotto questo sottile fil rouge, essendo divenuto ormai anacronistico tanto da contribuire a caratterizzare lo scarso appeal, vale a dire la capacità di attrazione esercitata sui privati dal sistema dell'arbitrato italiano rispetto a quelli di altri paesi.

In tale ottica, è stata ritenuta infondata l'eccezione di incompetenza del giudice ordinario a fronte della clausola compromissoria che devolve ad un collegio arbitrale la competenza di ogni controversia insorta tra le parti inerente all'interpretazione, esecuzione ed efficacia del contratto intercorso, fondata sull'assunto che le domande cautelari sono sottratte alla cognizione arbitrale dall'art. 818 c.p.c. a mente del quale, gli arbitri non possono concedere sequestri, né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge, e che tali domande vanno proposte dinanzi al giudice ordinario che sarebbe stato competente a conoscere del merito, ai sensi dell'art. 669-quinquies c.p.c. (Trib. Roma 3 luglio 2020).

È sufficiente che la clausola compromissoria sia stata soltanto stabilita dalle parti, ad esempio nello statuto sociale, perché si possa adire in sede cautelare il giudice ordinario che sarebbe stato competente, a maggiore ragione, quando il ricorrente ritenga che la clausola arbitrale non trovi applicazione, poiché in tale ipotesi, introdurrà davanti al giudice ordinario sia il merito che il cautelare. Nel merito si accerterà la competenza, mentre in sede cautelare non si può che procedere alla valutazione del merito del ricorso (Trib. Firenze 21 luglio 2020).

In tale contesto, esaurita la fase cautelare se necessario ai sensi dell'art. 669-octies c.p.c. per instaurare il giudizio di merito potrà ricorrersi alla procedura arbitrale.

Ai fini della legittimità del sequestro conservativo disposto dal giudice in sede cautelare, è pienamente valida l'instaurazione del giudizio di merito mediante procedimento arbitrale, purché rispettosa del termine perentorio decorrente dall'emissione del provvedimento, ai sensi degli art. 669-octies e 669-nonies c.p.c. (Trib. Roma 15 maggio 1998).

La riforma, indubbiamente, non ha risolto alcuni problemi interpretativi derivanti dalla necessità di coordinare il principio della compatibilità tra arbitrato irrituale e tutela cautelare con la natura strumentale, anche sotto il profilo strutturale, dei provvedimenti cautelari di carattere conservativo, riguardante il necessario rispetto dell'art. 669-octies c.p.c. al fine di evitare che concessa una misura cautelare ante causam la stessa possa andare incontro ad una dichiarazione d'inefficacia laddove non venga dato inizio al giudizio di merito entro il termine perentorio previsto ex lege.

Infatti, le considerazioni che precedono, ovviamente non eliminano la necessità di dover individuare nel ricorso cautelare proposto dinanzi al giudice individuato ex art. 669-quinquies, comma 1, c.p.c. l'azione che si andrà a proporre nel successivo ed eventuale giudizio di merito – che nel caso di cui si discorre è sostituito dal giudizio arbitrale – quanto alla causa petendi e petitum, poiché occorre sempre tenere conto del principio di strumentalità che notoriamente connota la stessa ragione d'essere del processo cautelare, anche nell'eventualità in cui detta caratteristica risulti essere attenuata per effetto della nota distinzione tra provvedimenti con finalità anticipatoria o conservativa, proprio perché il possesso dell'anzidetta qualità, è riferita all'instaurazione del giudizio di merito rispetto al quale, il cautelare è pur sempre posto in una condizione per così dire «servente».

Non a caso, la circostanza riferita alla protrazione dell'efficacia della misura cautelare concessa benché destinata a rimanere efficace anche in assenza di proposizione nel termine di legge del giudizio di merito dinanzi agli arbitri quando essa abbia natura anticipatoria, non contenendo un accertamento idoneo al passaggio in giudicato, non è certo incompatibile con la successiva proposizione del giudizio di merito arbitrale, volto ad un accertamento di cognizione con efficacia di giudicato.

Al riguardo, è inoltre opportuno precisare che inoltre, non essendovi pericolo di conflitto di giudicati, così come la misura cautelare non vincola la parte interessata a promuovere il giudizio di merito davanti al tribunale ove è stato presentato il giudizio cautelare, sempre che, in base ai criteri generali e/o speciali, sussistano altri fori competenti in via alternativa (Trib. Milano 14 giugno 2018), le stesse considerazioni non possono non valere anche nel caso in cui il giudizio di merito debba instaurarsi dinanzi ad un collegio arbitrale oppure avanti ad un arbitro unico.

La quaestio può risolversi considerando la ratio legis, in un'ottica volta a salvare l'applicabilità delle misure cautelari tanto nei casi di arbitrato rituale, quanto in quelli di arbitrato libero, equiparando l'inizio del giudizio di merito, all'instaurarsi del procedimento arbitrale, così come del resto disciplinato dagli artt. 806 ss. c.p.c., laddove si consideri in particolare che, l'art. 669-octies c.p.c. enuncia espressamente nel caso in cui la controversia sia oggetto di compromesso o di clausola compromissoria che la parte nei termini di legge deve notificare all'altra un atto nel quale dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale rituale o «libero», propone la domanda per arbitrato rituale o libero e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri o dell'arbitro unico – con una disposizione ad hoc che può essere contenuta nella stessa domanda di arbitrato oppure formulata con atto separato, in ogni caso trattandosi di un'indicazione dotata di una propria autonomia rispetto alla domanda arbitrale in sé considerata – e l'art. 669-novies c.p.c. il quale, dispone che il provvedimento cautelare perde la sua efficacia nel caso in cui dopo la pronuncia del lodo arbitrale, la parte che aveva richiesto la misura cautelare, non presenti domanda di esecutorietà del lodo arbitrale, entro i termini eventualmente previsti a pena di decadenza dalla legge.

A ciò aggiungasi l'ulteriore ipotesi – prevista dall'art. 669-novies, ultimo comma, c.p.c. – del lodo arbitrale che dichiari l'inesistenza del diritto a tutela del quale il provvedimento cautelare era stato concesso.

In tale prospettiva, quello che si intende precisare è che a prescindere dal grado concreto di strumentalità insito nel ricorso allo strumento cautelare, quest'ultimo anche qualora sia destinato ad essere stabilizzato nel tempo, non essendo in nessuna ipotesi equiparabile anche sul piano degli effetti prodotti ad una pronuncia di merito al termine di un giudizio a cognizione piena, inevitabilmente comporta che anche quando ci si trova dinanzi ad una fattispecie come quella prevista dall'art. 669-quinquies c.p.c. deve comunque tenersi conto che la struttura della domanda cautelare non muta dovendo comunque possedere il contenuto previsto dall'art. 125 c.p.c., anche qualora si verte in un'ipotesi attratta, quanto alla trattazione del merito, dalla competenza arbitrale.

Infatti, delle due l'una: o al procedimento cautelare in relazione al quale è esclusa l'applicabilità dell'art. 669-octies c.p.c. la parte sceglie di non proseguire con il merito formulando la relativa istanza in tale senso volta all'accesso alla procedura arbitrale, oppure, nel caso opposto, in cui detta norma da ultimo richiamata trova invece applicazione, appare evidente come il provvedimento cautelare perderebbe efficacia – ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 669-novies c.p.c. – nel caso in cui il relativo giudizio arbitrale non fosse iniziato nel rispetto del termine perentorio fissato dal giudice o comunque previsto dall'art. 669-octies c.p.c. (Trib. Milano 9 luglio 2009).

A tale proposito, non è possibile ragionare diversamente, perché così facendo, si verrebbe chiaramente a snaturare l'essenza stessa del processo cautelare di fatto, privandolo ab origine della sua stessa ratio istitutiva, e consentendone la confusione con altri procedimenti ugualmente caratterizzati dalla sommarietà del rito ma privi della finalità e finanche della stessa natura cautelare.

Competenza cautelare quando pende il giudizio arbitrale

Nel caso in cui risulti pendente il giudizio arbitrale, sia esso rituale od irrituale, l'art. 669-quinquies c.p.c. devolve la domanda cautelare alla competenza esclusiva del giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito.

Si è osservato che, quando il giudizio arbitrale è pendente – ma alla stessa conclusione si perviene anche nell'ipotesi in cui la lite non sia ancora stata instaurata con la proposizione della domanda di accesso alla procedura arbitrale – la scelta del legislatore del 1990 è stata quella di àncorare la competenza territoriale al giudice che sarebbe stato competente per il merito anziché a quello del luogo in cui la misura cautelare avrebbe trovato attuazione (Celeste 2010, 180).

Questa è l'ipotesi generale prevista dall'anzidetta disposizione normativa, rispetto alla quale costituisce una chiara eccezione quella concernente l'impugnativa di una delibera assembleare societaria compromessa in arbitri, in cui invece quando è pendente il giudizio arbitrale, l'adozione della misura cautelare tipica prevista dall'art. 2378 c.c. è affidata soltanto all'organo arbitrale, ai sensi dell'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003.

La pendenza della lite – segnata per effetto della proposizione della domanda arbitrale – è dunque per l'art. 669-quinquies c.p.c. la c.d. «linea rossa» per l'operatività della suddetta norma in ordine alla competenza del giudice statale per la concessione di un richiesto provvedimento cautelare, poiché gli arbitri nel vigente sistema non possono concedere provvedimenti cautelari per effetto del divieto sancito dall'art. 818 c.p.c.

La competenza del giudice statale a concedere i richiesti provvedimenti cautelari quando è pendente il giudizio arbitrale comporta la necessità di stabilire la sorte di quest'ultimo, poiché appare evidente come a differenza di quanto accade nel giudizio di merito pendente dinanzi al tribunale ex art. 669-quater c.p.c. in cui si «apre» una sorta di sub-procedimento parallelo a quello riguardante il giudizio principale sempre dinanzi al giudice statale, nel caso previsto dall'art. 669-quinquies c.p.c. si tratta invece di procedimenti completamente autonomi e slegati l'uno dall'altro pendenti uno dinanzi ad un giudice statale e l'altro dinanzi ad uno o più arbitri la cui natura e funzione resta confinata in un ambito squisitamente privatistico.

Ciò posto, va quindi detto che, muovendo dalla considerazione che in tema di arbitrato, secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità nei rapporti tra il giudizio ordinario ed il procedimento arbitrale l'art. 819-ter c.p.c. dichiara espressamente inapplicabile l'art. 295 c.p.c., escludendo pertanto, anche nel caso in cui sia configurabile un rapporto di pregiudizialità tra una causa promossa dinanzi al giudice ordinario ed un'altra pendente dinanzi agli arbitri od in relazione alla quale sia prevista la definizione a mezzo di arbitrato, la possibilità di disporre la sospensione della prima in attesa della decisione di quest'ultima (Cass. VI, n. 2335/2020; Cass. VI, n. 8870/2019; Cass. VI, n. 783/2016; Cass. III, n. 22380/2009), appare evidente che anche il giudizio arbitrale non possa essere sospeso in attesa che il giudice statale si pronunci sul cautelare.

Infatti, nella fattispecie, non potrebbe nemmeno trovare applicazione quanto disposto dall'art. 819-bis c.p.c. in tema di sospensione del procedimento arbitrale posto che attiene ad ipotesi differenti rispetto a quella di cui si discorre, non configurandosi né una «pregiudiziale penale» contemplata dall'art. 75 c.p.p., né una questione pregiudiziale di merito che non potrebbe formare oggetto della convenzione arbitrale – salva la sola possibilità che venga sollevata una questione di legittimità costituzionale o benché non prevista dalla norma citata, una questione implicante la c.d. «pregiudiziale comunitaria» dinanzi al giudice sovranazionale – sebbene la casistica prevista dalla suddetta norma non esclude la possibilità di considerare ulteriori arresti della procedura arbitrale previsti dall'art. 816-sexies c.p.c. in presenza di eventi attinenti alla morte, estinzione o perdita di capacità della parte.

Allo stesso modo, non risulta applicabile l'art. 337, comma 2, c.p.c. riguardante la sospensione del procedimento arbitrale se è invocata l'autorità di una sentenza e questa è impugnata, poiché il cautelare non integra l'autorità di una pronuncia emessa nel giudizio di cognizione non potendo conseguire la cosa giudicata.

Nel caso in cui, invece, si verifichi una delle eventualità previste dall'art. 816-sexies c.p.c. una volta disposta la sospensione, il procedimento si estingue se nessuna parte deposita presso gli arbitri istanza di prosecuzione entro il termine fissato dagli arbitri stessi o, in difetto, entro un anno dalla cessazione della causa di sospensione.

Una volta che gli arbitri abbiano avuto notizia della morte di una delle parti, unica loro mansione è quella di adottare le misure che ritengano essere più opportune per garantire l'integrità del contraddittorio e la consequenziale ripresa della vicenda processuale. In quest'ottica, è stato quindi osservato che, non si vede quale altro compito possa spettare agli arbitri se non disporre un arresto del processo in corso, magari avvalendosi proprio di quella sospensione, che è il rimedio suggerito dalle stesse scelte codice di rito (Bugliani, 418).

Quid iuris invece per quanto attiene all'ipotesi relativa all'individuazione del giudice competente ad emettere la misura cautelare in presenza di un accordo compromissorio per arbitrato estero?

Le principali opzioni interpretative riguardano quelle in cui la competenza andrebbe attribuita al giudice del luogo dove la misura cautelare deve essere eseguita distinguendo il caso in cui l'arbitrato estero abbia ad oggetto controversie che possano essere o meno devolute alla competenza del giudice italiano.

In particolare, nel caso dell'arbitrato estero, è stato osservato che un'opzione interpretativa ritiene corretto riconoscere la competenza del giudice astrattamente competente per materia o valore a conoscere il merito del luogo in cui il provvedimento cautelare debba essere eseguito, trattandosi di un caso in cui difetterebbe la giurisdizione del giudice italiano (Celeste 2010, 181).

Nell'ipotesi in cui risulti pendente il giudizio arbitrale, tale situazione non è però ritenuta ravvisabile quando in detto procedimento sia stata emessa una pronuncia parziale di cui sia stato richiesto il riconoscimento in Italia, poiché in tale ipotesi, il fatto che il giudizio arbitrale prosegua per affrontare la decisione nel merito di altre questioni controverse esistenti fra le medesime parti, non vale ad escludere la competenza del giudice della delibazione del lodo parziale ad emettere le misure cautelari ritenute necessarie (Celeste 2010, 181).

In presenza di una clausola compromissoria per arbitrato estero avente ad oggetto comportamenti da eseguirsi esclusivamente nel territorio dello Stato italiano, senza che rilevi la qualificazione dell'arbitrato come rituale o irrituale, l'istanza cautelare relativa a diritti tutelabili nel merito spetta alla giurisdizione del giudice italiano (Trib. Roma 28 agosto 1999).

In presenza di una clausola compromissoria per arbitrato estero, è stato ritenuto da un lato che non sia possibile applicare le categorie giuridiche della ritualità ed irritualità e, dall'altro, che sussiste la competenza cautelare del giudice italiano da determinarsi, trattandosi di un'ipotesi di difetto di giurisdizione, non sulla base dell'art. 669-quinquies bensì ai sensi dell'art. 669-ter c.p.c. (Trib. Palmi 9 luglio 1998).

L'ammissibilità del ricorso cautelare dinanzi all'autorità giudiziaria

In base a quanto dispone, da un lato, l'art. 818 c.p.c. e, dall'altro, l'art. 669-quinquies c.p.c. appare incontrovertibile che il ricorso cautelare non possa che essere proposto dinanzi al giudice statale, atteso che, ai sensi dell'art. 669-quinquies c.p.c., in caso di clausola compromissoria o di pendenza del giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice ordinario che sarebbe stato competente a conoscere del merito (Trib. Grosseto 17 gennaio 2003), tranne nell'ipotesi in cui l'analogo potere cautelare riferito all'inibitoria delle delibere assembleari societarie spetti all'arbitro, e sempre che l'arbitrato sia già in corso ovvero sia stata proposta la relativa domanda di accesso alla procedura arbitrale.

Vista da tale prospettiva, e considerata la comune natura privata delle due specie di arbitrato rituale ed irrituale, che in entrambi i casi comporta la devoluzione della controversia agli arbitri la quale, si traduce comunque in una rinuncia alla tutela giurisdizionale, tale situazione non può che portare alla conclusione della piena compatibilità della tutela cautelare con qualsivoglia forma di arbitrato, ragione per cui il ricorso al sequestro conservativo, è quindi ammissibile anche laddove le parti abbiano previsto una clausola compromissoria per arbitrato irrituale (Trib. Catania 4 ottobre 2001).

In verità, proprio la sintetica disposizione racchiusa nell'art. 818 c.p.c. lascia trasparire evidenti problematiche di raccordo della procedura arbitrale con la disciplina cautelare uniforme, la quale – questo è opportuno ricordarlo – si occupa in una maniera assai poco organica e frammentata degli aspetti concernenti il procedimento cautelare in caso di compromesso, clausola compromissoria o pendenza del giudizio arbitrale.

Uno di questi problemi è stato quello sollevato da Trib. Torino 21 maggio 2001, secondo cui non vi potrebbe essere una cognizione sulla domanda cautelare se non vi è cognizione sulla futura domanda di merito (principio questo affermato successivamente anche da Trib. Rimini 8 settembre 2003), sulla cui scorta, venne sollevata l'eccezione di legittimità costituzionale degli artt. 669-quinquies e 669-octies c.p.c. sotto il profilo dell'uguaglianza e della piena tutela dei diritti, atteso che nonostante la correlazione esistente tra le due citate forme di tutela giurisdizionale – cautelare e di merito – sarebbe venuta meno nell'ipotesi dell'arbitrato irrituale, situazione questa a cui ha posto rimedio successivamente il legislatore del 2005 integrando con una disposizione ad hoc l'art. 669-quinquies, comma 1, c.p.c.inserendo il riferimento all'arbitrato irrituale o libero, mentre in precedenza la stessa norma secondo il citato consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, riteneva che il ricorso alla tutela cautelare in presenza di clausola compromissoria, si riferisse al solo arbitrato rituale (in precedenza Corte cost., n. 320/2002 aveva rigettato l'eccezione di incostituzionalità affermando che spetta soltanto al giudice ordinario, e non alla Corte costituzionale, stabilire se sia valida ed efficace la rinuncia pattuita tra le parti alla tutela cautelare dinanzi all'autorità giurisdizionale, in quanto la questione, come era stata prospettata, non si prestava a coinvolgere problemi di legittimità costituzionale, ma di interpretazione del sistema normativo e della stessa volontà contrattuale delle parti, la cui soluzione spetta alla giurisprudenza comune, alla luce dei principi di inviolabilità del diritto costituzionale alla tutela giudiziaria e di disponibilità, entro i limiti delle norme imperative, dei diritti spettanti alle parti in relazione a vicende in cui si estrinseca la loro autonomia contrattuale).

L'intervento del legislatore del 2005 si è rivelato opportuno al fine qui considerato, laddove si consideri che la questione se, in presenza di una clausola compromissoria, resti preclusa la tutela cautelare era stata affrontata anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale era giunta alla conclusione che la risposta non poteva non essere affermativa, sostanziandosi la clausola compromissoria per arbitrato libero od irrituale in una rinuncia dei contraenti alla tutela giurisdizionale dei diritti relativi al rapporto controverso, che, in quanto tale, non poteva non riferirsi anche alle misure cautelari, che sono preordinati al giudizio ordinario davanti agli organi investiti del potere giurisdizionale, avendo precisato che l'esperibilità della tutela cautelare risultava incompatibile con la finalità propria dell'arbitrato libero o irrituale, che è quella di affidare a terzi la composizione bonaria delle contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti (Cass. III, n. 15524/2000).

Infatti, non è apparso condivisibile sostenere la posizione di chi afferma che le parti decidendo di rimettere la controversia a degli amichevoli compositori hanno per ciò solo inteso rimettere loro ogni questione, in tale modo non lasciando spazio ad altre forme di tutela inclusa quella cautelare (Trib. Torino 2 aprile 2004; Trib. Roma 3 febbraio 2004; Trib. Modena 15 dicembre 2003; Trib. Catania 13 settembre 1999), essendo invece vero che la sottoscrizione della clausola compromissoria consente di rimettere agli arbitri unicamente la decisione sul merito delle questioni oggetto di controversia, e non anche la gestione di situazioni di emergenza che bisogna invece soddisfare per evitare che nel tempo occorrente agli stessi arbitri per arrivare alla decisione, il diritto reclamato dalla parte che ha ragione venga irrimediabilmente frustrato, rendendo la pronuncia sostanzialmente priva di una sua qualche concreta utilità, essendo così evidente che tutela cautelare e tutela di merito – pur essendo la prima funzionale a fare sì che si realizzino le condizioni per soddisfare il diritto alla cui affermazione tende la seconda – non sono la stessa cosa, come peraltro sembra dimostrare l'esistenza del nesso di strumentalità che, come già detto in più occasioni, anche laddove risulti attenuato ciò non vuole dire che non esista, e che pertanto la sottoscrizione di una clausola compromissoria anche per arbitrato irrituale non può in alcun modo comportare per la parte la rinuncia preventiva ad avvalersi di una tutela cautelare a fronte di situazioni urgenti che al momento della relativa sottoscrizione non erano né prevedibili né immaginabili.

La ricerca del giudice competente si fonda sull'utilizzo dei criteri ordinari previsti dal codice di rito, in particolare nella sezione II e III del libro I – salvo il caso dell'arbitrato del lavoro ex art. 412-ter c.p.c. e delle controversie in relazione alle quali trovano applicazione i criteri dell'art. 413 c.p.c. – che per quelle di cui all'art. 409 c.p.c. individua il giudice competente territorialmente per la causa di merito riferendosi alla circoscrizione in cui è sorto il rapporto, ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto lavorativo.

La competenza in tema di accertamento tecnico preventivo in caso di controversia devoluta ad arbitri

L'art. 669-quaterdecies c.p.c., sotto la rubrica ambito di applicazione, stabilisce che le disposizioni della sezione I, capo III, libro IV, del codice di rito, relativa ai procedimenti cautelari in generale, si applicano ai provvedimenti previsti dalle sezioni II, III e V, nonché, in quanto compatibili, agli altri provvedimenti cautelari disciplinati dal codice civile e dalle leggi speciali.

Soltanto l'art. 669-septies c.p.c., concernente il provvedimento negativo ed il governo delle spese, si applica anche ai provvedimenti di istruzione preventiva previsti dalla sezione IV del capo III.

La dottrina dominante ha sempre sostenuto che le norme del procedimento cautelare uniforme diverse dall'art. 669-septies c.p.c.non operano nell'istruzione preventiva per esplicita previsione dell'art. 669-quaterdecies c.p.c., v. Trisorio Liuzzi, 255; Proto Pisani, 385; Merlin 428; Salvaneschi 1998, 805. Contra, Besso, 222, per la quale la formulazione letterale dell'art. 669-quaterdecies c.p.c. non conferma che l'art. 669-septies c.p.c. sia l'unica disposizione applicabile all'istruzione preventiva. Sulla diversità di disciplina voluta dal legislatore del 1990 non più del tutto giustificabile, atteso che la ragione di tale scelta va ricercata nella circostanza che i provvedimenti degli artt. 692 ss. c.p.c. sono finalizzati non alla tutela di un diritto sostanziale dal pericolo che esso possa subire dalla durata del processo, bensì ad assicurare la prova dell'esistenza di quel diritto dal pericolo che la stessa non possa essere più assunta, e dunque, in quanto tali, essi puntano quindi a salvaguardare la fruttuosità del diritto processuale alla prova, non incidendo sulla realtà sostanziale, Licci 2010, 729; Salvaneschi 1998, 800; Tommaseo, 697; Balena, 5; contra, Auletta 2002, 280, il quale osserva che invece l'istruzione preventiva non rappresenta una tutela cautelare del diritto alla prova ma il diritto ad un determinato procedimento di prova, atteso che con essa si esercita il diritto di agire in giudizio mediante la nomina del consulente tecnico nominato dall'ufficio del giudice. Al riguardo si ritiene maggiormente condivisibile la tesi di Licci 2010, 731, secondo cui, il semplice fatto che l'istruzione preventiva – la quale peraltro possiede già di suo le caratteristiche strutturali della provvisorietà e strumentalità proprie dei provvedimenti cautelari – non incida direttamente sulla realtà materiale non è di per sé una ragione sufficiente a privarla della funzione lato sensu cautelare, perché rappresenta anch'essa un profilo essenziale della tutela giurisdizionale, atteso che tale misura soggiace pur sempre all'interesse specifico che giustifica il ricorso alla tutela cautelare, consistente nell'esigenza di apprestare la necessaria salvaguardia per effetto dell'esistenza di un'imminente pericolo di danno, che potrebbe conseguire per effetto del ritardo con cui sopravvenga una pronuncia che statuisca nel merito. Pertanto, il periculum che un determinato bene che si assume essere affetto da un certo tipo di vizio la cui origine deve essere accertata, possa andare irrimediabilmente perduto durante il tempo occorrente per svolgere le necessarie indagini conoscitive, fa sorgere l'esigenza di compiere quegli accertamenti che si rendono necessari ed indifferibili nell'immediato per scongiurare il rischio di non potervi più provvedere.

Tale eccezione vale a ribadire l'intento del legislatore in tale senso, che trova ulteriore conferma negli stessi lavori preparatori, dai quali emerge che il legislatore del 1990 ritenne di escludere i provvedimenti d'istruzione preventiva dall'ambito applicativo del procedimento cautelare uniforme, perché essi, pur avendo natura cautelare (Trisorio Liuzzi 244, secondo cui la natura cautelare dei procedimenti di istruzione preventiva è confermata dalla loro stessa collocazione operata dal legislatore all'interno dei procedimenti di cui al libro IV, titolo I; contra, Picardi, 583, per il quale, nonostante l'aspetto lato sensu cautelare, l'atto di istruzione preventiva sembra appartenere piuttosto alla giurisdizione cognitiva, essendo un'anticipazione della fase istruttoria), non sono collegati al giudizio di merito (in tale senso, v. Proto Pisani 385, il quale sostiene che la peculiarità dei procedimenti di istruzione preventiva si riflette sulla disciplina del procedimento nel senso di prescindere da qualsiasi forma di strumentalità, almeno nel senso rigido indicato dagli artt. 669,669 novies c.p.c.; sulla natura del procedimento di istruzione preventiva che lo avvicina a quella propria dei provvedimenti cautelari conservativi, i meno strumentali al giudizio di merito, v. Licci 2010, 730; Luiso 2009, 245), a dimostrazione che la strumentalità – anche quando attenuata per effetto della riforma del 2005 – ha una sua imprescindibile ragione d'essere che contribuisce come si è già avuto modo di precisare, la stessa ratio istitutiva dei provvedimenti cautelari disciplinati dal codice di rito.

Ciò posto, la natura cautelare dei provvedimenti di istruzione preventiva – confermata dalla collocazione sistematica dell'istituto – è generalmente riconosciuta ed è stata anche di recente affermata, laddove si è sottolineato la ratio ispiratrice, diretta ad evitare che la durata del processo si risolva in un danno per la parte che dovrebbe vedere riconosciute le proprie ragioni (Corte cost., n. 144/2008), non potendosi dubitare che l'alterazione dello stato dei luoghi oppure in generale, di ciò che si vuole sottoporre ad accertamento tecnico preventivo, possa provocare dei pregiudizi irreparabili al diritto che la parte istante intende fare valere.

Conseguentemente, non sussiste alcuna incompatibilità tra la disciplina sul procedimento cautelare uniforme introdotto dal legislatore del 1990 e l'art. 696 c.p.c. riguardante l'accertamento tecnico preventivo sulla scorta del semplice rilievo che quest'ultimo non richiede l'instaurazione entro un dato termine del giudizio ordinario, mentre nel caso del procedimento cautelare esiste la possibilità che occorra iniziare il giudizio di merito nel rispetto del termine perentorio massimo di cui all'art. 669-octies c.p.c., anche nel caso in cui la controversia sia oggetto di compromesso o di clausola compromissoria ai sensi dell'art. 669-quinquies, comma 5, c.p.c. salvo che ricorra la fattispecie in cui il cautelare rientri tra quelli a strumentalità attenuata.

Infatti, questo specifico profilo non può escludere la natura cautelare dell'accertamento tecnico preventivo, tenendo altresì presente che la sua assunzione non pregiudica le questioni relative alla rilevanza del provvedimento reso ex art. 696 c.p.c., destinate ad essere verificate nel giudizio di merito, nel quale i risultati stessi della c.t.u. unitamente all'intero fascicolo d'ufficio con il relativo contenuto non possono essere prodotti, né richiamati, né riprodotti in copia prima che il giudice abbia dichiarato la relativa ammissibilità nel giudizio di merito, ai sensi dell'art. 698, comma 3, c.p.c.

A ben vedere, questa forma di tutela rappresenta dunque una componente della stessa funzione giurisdizionale per la cui attuazione svolge anche un ruolo strumentale, comune sia alle misure di tipo anticipatorio che a quelle conservative (Corte cost., n. 421/1996; Corte cost., n. 253/1994), ed in tale prospettiva si giustifica il carattere espansivo delle regole del procedimento cautelare uniforme stabilito nell'art. 669-quaterdecies c.p.c.

In base all'art. 669-quinquies c.p.c., in relazione alla controversia oggetto di clausola compromissoria o compromessa in arbitri anche non rituali o nel caso in cui sia pendente il giudizio arbitrale, mentre è possibile chiedere davanti al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito la concessione di un determinato provvedimento cautelare, non è invece possibile proporre l'istanza per avere un'analoga tutela mediante il ricorso all'accertamento tecnico preventivo, ad onta della comune natura cautelare.

In realtà, trattasi come peraltro evidenziato in dottrina (Tedoldi, 318), di un difetto di coordinamento normativo che aveva portato i procedimenti di istruzione preventiva a rimanere ex littera esclusi dalla sfera d'applicabilità dell'art. 669-quinquies c.p.c., dacché la norma di chiusura sul procedimento cautelare uniforme, cioè l'art. 669-quaterdecies, ultima parte, c.p.c., dichiarava loro applicabile soltanto l'art. 669-septies c.p.c. sugli effetti preclusivi attenuati del provvedimento di rigetto nel merito e sulla liquidazione delle spese.

La ratio diretta ad evitare che la durata del processo ordinario si risolva in un pregiudizio per la parte che intende fare valere le proprie ragioni, è comune sia ai provvedimenti cautelari che all'accertamento tecnico preventivo, così come del resto comune è anche il carattere provvisorio di detti provvedimenti, nonché l'assenza di argomenti che possano giustificare in modo idoneo un loro differente trattamento sul piano giuridico con specifico riguardo all'arbitrato, ragione per cui la previsione espressa nell'art. 669-quinquies c.p.c. laddove quest'ultimo contempla solo i provvedimenti cautelari i quali possono essere richiesti ricorrendo al giudice statale anche se la controversia nel merito è devoluta ad arbitri, escludendo però in tale ipotesi il provvedimento di cui all'art. 696 c.p.c. rivela la palese irragionevolezza di tale esclusione (non senza considerare l'osservazione ricorrente in dottrina – Tiscini 2010, 84 – che il mutato contesto giustifica l'assimilazione tra istruzione preventiva e provvedimenti cautelari), il cui effetto è quello che la regola di competenza prevista dall'art. 669-quinquies c.p.c. nelle controversie compromesse in arbitri per tutti gli altri provvedimenti cautelari, diviene applicabile anche per il procedimento di accertamento tecnico preventivo di cui all'art. 696 c.p.c. ragione per cui la relativa domanda, in caso appunto di controversia compromessa in arbitrato sia esso rituale o libero, si proporrà al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito.

L'intervento della Consulta è stato opportuno ed anzi necessario, perché considerando il ruolo dell'art. 669-quinquies c.p.c. in un contesto come quello italiano in cui gli arbitri sono sprovvisti della generale possibilità di emettere provvedimenti cautelari (tranne che nell'ipotesi enunciata dall'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 come peraltro ricorda Tedoldi, 318), solo estendendone l'applicazione, in quanto norma attributiva non solo di competenza ma anche di potere, è possibile superare il divieto dell'art. 818 c.p.c. ed in tale ottica, occorre quindi leggere in combinato disposto delle suddette norme (Tiscini 2010, 90), anche al fine di evitare che quel potere in un caso come quello qui considerato non venga attribuito a nessuno, realizzandosi così una situazione assimilabile a quella di un'assenza di tutela giurisdizionale.

Non va, infatti, dimenticato che la tutela cautelare è parte integrante e, dunque, indefettibile della tutela giurisdizionale dei diritti ragione per cui, per ogni controversia deve necessariamente esistere un giudice naturale della tutela cautelare di cui sono provviste tutte le situazioni soggettive riconosciute dall'ordinamento giuridico (Delle Donne 2010, 2115), ragione per cui la citata sentenza della Corte costituzionale non ha fatto altro che evidenziare la comune natura cautelare dei procedimenti di istruzione preventiva rispetto ai restanti provvedimenti cautelari sulla cui scorta non è ammissibile la scelta legislativa di discriminare la disciplina a seconda della tipologia di provvedimento cautelare.

Il principio era stato già affermato in forma di obiter da Corte cost., n. 144/2008, laddove si osservava che il ricorso al provvedimento ex art. 696 c.p.c. fa parte della tutela cautelare, della quale condivide la ratio ispiratrice che è quella di evitare che la durata del processo si risolva in un pregiudizio della parte che dovrebbe veder riconosciute le proprie ragioni, in tale modo, sottolineando che le analogie tra le ragioni che impongono la tutela cautelare e quelle che presiedono alla disciplina dell'istruzione preventiva erano già state più volte riconosciute dalla stessa giurisprudenza costituzionale.

Le considerazioni che precedono hanno quindi indotto la Consulta a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 669-quaterdecies c.p.c. nella parte in cui, escludendo l'applicazione dell'art. 669-quinquies c.p.c. ai provvedimenti di cui all'art. 696 c.p.c. impedisce, in caso di clausola compromissoria, di compromesso o di pendenza di un giudizio arbitrale, la proposizione della domanda di accertamento tecnico preventivo al giudice che sarebbe competente a conoscere del merito (Corte cost., n. 26/2010), come invece accade per i provvedimenti cautelari.

Tale soluzione è, del resto, in linea con l'evolversi del sistema italiano che attualmente disciplina il procedimento cautelare uniforme, divenuto sempre più «liquido» nel tentativo di accogliere le continue spinte protese al suo incessante ammodernamento provenienti da dottrina e giurisprudenza nel tentativo di renderlo più confacente ai bisogni individuali espressione di una realtà quotidiana propria di una società civile anch'essa ormai sempre più «liquida» come del resto sembra dimostrare lo stesso mutamento registratosi in ordine al concetto di «strumentalità» e con esso, l'allentamento del legame inscindibile tra fase cautelare e di merito (Tiscini 2010, 84).

Conseguentemente, mentre in precedenza la giurisprudenza sia di legittimità sia di merito aveva avuto modo di affermare che in presenza di una clausola per arbitrato irrituale non era ammissibile richiedere l'accertamento tecnico-preventivo (così Cass. III, n. 15524/2000; Pret. Verbania 11 settembre 1995), successivamente al nuovo corso inaugurato dalla Corte Costituzionale la giurisprudenza di merito si è adeguata, affermando che il ricorso al giudice italiano per l'accertamento tecnico preventivo è ammissibile anche quando il giudizio di merito sia devoluto ad arbitri esteri (Trib. Genova 4 luglio 2019).

Un'ultima considerazione si impone prima di chiudere la disamina concernente l'individuazione del giudice competente che, se effettuato sulla base di quanto enunciato nell'art. 669-quinquies c.p.c. – ovvero del giudice che sarebbe competente per il merito – impone una riflessione, atteso che nell'ipotesi in cui è competente il giudice di pace, ciò comporterebbe rispettivamente ai sensi degli artt. 669-ter, comma 2, e 669-quater, comma 3, c.p.c. che la relativa domanda debba proporsi al tribunale, ragione per cui, come a suo tempo acutamente osservato in dottrina (Bonato, 1651), ciò comporterebbe l'esclusione della competenza del giudice di pace a favore del tribunale laddove non trovino ingresso le diverse disposizioni concernenti gli artt. 693 e 696, comma 3, c.p.c.

La ragione è semplice, laddove si consideri che in caso di stipulazione di una convenzione d'arbitrato la competenza a disporre l'accertamento tecnico preventivo potrebbe spettare ad un giudice diverso da quello individuato dagli artt. 693 e 696 c.p.c. proprio sulla scorta di quanto enunciato nel combinato disposto di cui agli artt. 669-ter, 669-quater e 669-quinquies c.p.c.

In dottrina, si è infatti paventata l'ipotesi che il richiamo all'art. 669-quinquies c.p.c. potrebbe indurre a ritenere che, nel caso in cui venga stipulata una convenzione d'arbitrato, la competenza a disporre l'accertamento tecnico preventivo spetti ad un giudice diverso da quello individuato dagli artt. 693 e 696 c.p.c. perché rispetto al rapporto tra arbitrato e tutela cautelare, dal coordinamento degli artt. 669-quinquies, 669-ter e 669-quater c.p.c. discende che se, in mancanza di un patto compromissorio, competente per decidere la causa di merito è il giudice di pace, la domanda cautelare dovrà comunque essere proposta al tribunale. Conseguentemente, il ricorso all'art. 669-quinquies c.p.c. nel caso del procedimento d'istruzione preventiva comporterebbe l'esclusione della competenza del giudice di pace per effetto della stipulazione d'una convenzione d'arbitrato, la cui presenza renderebbe possibile la deroga alla competenza stabilita dagli artt. 693 e 696 c.p.c. (Delle Donne 2008, 3).

Ad analoga considerazione, si perviene laddove si consideri che nei procedimenti di istruzione preventiva, ivi compresi quelli di accertamento tecnico preventivo, è competente anche il giudice del luogo in cui la prova deve essere assunta quando vi sia estrema difficoltà di ottenere in tempo utile l'espletamento dell'istruzione preventiva da parte del giudice competente per il merito, in particolare per la lontananza di questo dal luogo dell'accertamento da eseguire (Trib. Torino 1° dicembre 2016).

A ogni buon conto, secondo un risalente orientamento di legittimità, poiché il giudice competente a provvedere sull'istanza di accertamento tecnico preventivo è lo stesso giudice che sarebbe competente per la causa di merito, ove questa sia attribuita in via convenzionale ad un determinato giudice, lo stesso giudice è competente con riguardo alla richiesta istruzione preventiva, senza che tale foro convenzionale possa ritenersi escluso a norma dell'art. 28 c.p.c., trovando con esso applicazione lo specifico criterio di competenza territoriale consistente nella prevista coincidenza del foro della causa di merito (Cass. II, n. 9290/1991; Cass. II, n. 4073/1986).

La competenza cautelare tra procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo e cognizione arbitrale.

Al ricorrere di una delle ipotesi che comportino la devoluzione in arbitrato della controversia l'art. 669-quinquies c.p.c. è chiaro nel prevedere la competenza cautelare in capo al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito.

Quid iuris, però, in ordine alla competenza a conoscere del ricorso cautelare – ad esempio per sequestro conservativo – quando oltre all'esistenza di una clausola compromissoria in arbitrato, lo stesso venga anche depositato in pendenza del termine per la proposizione dell'opposizione al decreto ingiuntivo già emesso nonché in ordine al rapporto stesso tra il suddetto ricorso cautelare ed il ricorso per decreto ingiuntivo proposti entrambi dal medesimo creditore?

In tale particolare ipotesi, mentre nulla quaestio sul piano della proponibilità del ricorso cautelare nonostante l'esistenza del patto compromissorio, stante il chiaro disposto di cui all'art. 669-quinquies, comma 1, c.p.c. unitamente al divieto sancito dall'art. 818 c.p.c. per gli arbitri di concedere provvedimenti cautelari, si pone invece il correlato problema riguardante l'eventualità che possa ricorrere un caso di competenza funzionale del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 645 c.p.c.

Se, in linea generale, può sicuramente convenirsi con l'orientamento di legittimità e di merito che l'esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo ma impone a quest'ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull'esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri (Trib. Vicenza 30 aprile 2019; Cass. S.U., n. 21550/2017; Cass. VI, n. 14570/2012; Cass. II, n. 5265/2011; Cass. I, n. 8166/1999), in tale contesto il ricorso per sequestro conservativo è inammissibile per essere stato proposto in violazione dell'art. 669-quater c.p.c. che stabilisce la proposizione della domanda cautelare dinanzi al giudice della già instaurata causa per il merito, individuando nel giudice chiamato a conoscere dell'opposizione a decreto ingiuntivo il giudice competente?

Al riguardo, secondo il più recente orientamento emerso in giurisprudenza, la designazione del magistrato delegato alla trattazione di un'istanza cautelare proposta durante la pendenza del termine utile a proporre opposizione ad un decreto ingiuntivo già emesso, deveritenersi sussistere in favore del capo dell'ufficio giudiziario adìto per il ricorso per decreto ingiuntivo, territorialmente competente.

La domanda cautelare di sequestro conservativo proposta quando ancora il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo non è stato designato, configura solo una violazione di norme organizzative interne all'ufficio giudiziario adito attinenti alla corretta distribuzione degli affari, un costituendo un vizio di competenza idoneo ad inficiare l'instaurazione del relativo procedimento cautelare (Trib. Palermo 17 luglio 2014).

Tuttavia, si tratta di una posizione non del tutto condivisa, atteso che, secondo altro orientamento di merito, ai fini della competenza, occorre rilevare se la domanda cautelare – anche in questo caso finalizzata a conseguire il sequestro conservativo – sia stata depositata prima della notifica del decreto ingiuntivo opposto in questa ipotesi dovendo considerarsi proposta nella modalità ante causam, stante che, da un lato, ai sensi dell'art. 643, comma 3, c.p.c. la notificazione determina la pendenza della lite e, dall'altro, che, conseguentemente in questo caso troverebbe applicazione il disposto dell'art. 669-ter, comma 1, c.p.c., in base al quale, prima dell'inizio della causa di merito la domanda si propone al giudice competente a conoscere del merito, sulla cui scorta, non potrebbe quindi essere considerato competente per il giudizio cautelare il giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, né quello competente a decidere la causa di opposizione a quest'ultimo (Trib. Prato 4 gennaio 2012).

Quest'ultima posizione è conforme al principio di diritto espresso in precedenza dalle Sezioni Unite, che, nel comporre un contrasto insorto in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità in ordine alla corretta interpretazione dell'art. 643, comma 3, c.p.c. avevano affermato che la lite introdotta con la domanda proposta in sede monitoria deve considerarsi pendente a seguito della notifica del ricorso e del decreto ingiuntivo, ma gli effetti della pendenza retroagiscono al momento del deposito del ricorso monitorio (Cass. S.U., n. 20596/2007).

In ogni caso, il diritto ad accedere alla tutela cautelare non può essere ingiustificatamente compresso, men che mai de relato per effetto di una semplice clausola pattizia, ad esempio, in arbitrato libero, abdicativa dell'immediata possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale per la tutela di un determinato diritto soggettivo.

Così come l'avvenuta stipulazione di una convenzione arbitrale non preclude al creditore l'accesso alla tutela monitoria e l'emanazione di un decreto ingiuntivo, imponendo al giudice, in caso di successiva opposizione fondata sull'esistenza dell'accordo compromissorio, la declaratoria di nullità o, comunque, la revoca del decreto opposto e la rimessione della controversia al giudizio degli arbitri in caso di arbitrato rituale, ovvero la dichiarazione di improponibilità della domanda in caso di arbitrato libero (Cass. S.U., n. 22433/2018, in motivazione; Cass. S.U., n. 21550/2017, riguardante una clausola di compromesso in arbitrato estero, la quale non osta all'emissione di un decreto ingiuntivo, perché il conseguente difetto di giurisdizione attiene alla cognizione di una «controversia» e, quindi, presuppone il contraddittorio, notoriamente assente nel procedimento monitorio, e per tale ragione, la clausola arbitrale diviene quindi applicabile con riguardo all'opposizione a decreto ingiuntivo; Cass. II, n. 5265/2011; Cass. I, n. 8166/1999), allo stesso modo, il ricorso alla tutela cautelare ante causam in presenza di una clausola compromissoria per arbitrato libero deve ritenersi ammissibile in quanto species del più ampio genus della tutela giurisdizionale dei diritti sancita dall'art. 24 Cost., essendo uno strumento di difesa essenziale a preservare il diritto minacciato, apparendo irragionevole negarvi l'accesso sulla base di una convenzione squisitamente privatistica qual è quella arbitrale sia essa rituale od irrituale (Trib. Trani 24 gennaio 2005).

La possibilità di ricorrere al giudice statale per l'emissione di un decreto ingiuntivo anche in presenza di un patto compromissorio è ammissibile, non rientrando tra i poteri degli arbitri né la possibilità di emettere provvedimenti cautelari e neppure quella di concedere provvedimenti monitori inaudita altera parte (Ghittoni, 338).

In tale senso, depone anche l'orientamento della giurisprudenza di merito, essendosi affermato che l'esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo, atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l'emissione di un provvedimento inaudita altera parte, imponendo però a quest'ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull'esistenza dell'anzidetta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto, e la contestuale rimessione della controversia agli arbitri (Trib. Bari 20 febbraio 2006).

In quest'ottica, non va dimenticato che giudice ed arbitro esprimono due differenti forme di giustizia quando si tratta di accostare i rispettivi rapporti a quelli fra differenti giurisdizioni, per la cui disciplina occorre guardare all'art. 11 della l. n. 218/1995, considerando che la devoluzione della controversia alla cognizione degli arbitri comporta il difetto di giurisdizione del giudice statale rilevabile in ogni stato e grado del processo ex art. 37 c.p.c. (Marengo 1994, 347).

La devoluzione della controversia ad arbitrato estero.

Il giudice italiano investito di una domanda di tutela cautelare funzionale ad una controversia devoluta ad arbitri può trovarsi dinanzi ad una clausola compromissoria per arbitrato di diritto interno oppure ad una per arbitrato estero.

Nella prima ipotesi, la lex fori regolatrice del procedimento arbitrale è quella italiana, contenuta nel titolo VIII del libro IV del codice di rito, mentre nella seconda ipotesi, la lex fori sarà quella del paese straniero in cui ha sede l'arbitrato.

In base all'art. 10 della l. n. 218/1995, in materia cautelare, la giurisdizione italiana sussiste quando il provvedimento deve essere eseguito in Italia o quando il giudice italiano ha giurisdizione nel merito.

La giurisprudenza di legittimità ha osservato che ai fini dell'accertamento della validità ed efficacia della clausola compromissoria che deroga la giurisdizione in favore di arbitri stranieri, occorre anzitutto stabilire quali siano le norme che il giudice debba applicare per tale esame, a tale fine, occorre stabilire se la validità vada scrutinata secondo la legge italiana ovvero secondo la legge di un altro Stato. Ciò in quanto l'art. 57 della l. n. 218/1995 stabilisce che le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 – ratificata in Italia con la l. n. 975/1984 – in cui l'art. 3, comma 1, stabilisce che il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti, le quali possono designare la legge applicabile a tutto il contratto, ovvero ad una parte soltanto di esso (Cass. S.U., n. 36374/2021).

In ordine agli effetti spiegati dall'accordo compromissorio per arbitrato estero sulla competenza cautelare del giudice nazionale, occorre dunque preliminarmente accertare se la clausola compromissoria per arbitrato estero, privando il giudice italiano della giurisdizione sul merito, possa derogare anche alla giurisdizione cautelare e se tale deroga possa assumere forma tacita oppure occorra un'espressa manifestazione di volontà delle parti interessate, non senza considerare altresì che la convenzione per arbitrato estero non necessariamente comporta l'effetto derogatorio della giurisdizione di merito del giudice nazionale, atteso che tale effetto non si verifica quando la devoluzione ad arbitri esteri di una controversia, anche in assenza della convenzione arbitrale, non sarebbe comunque rientrata nella giurisdizione di merito del giudice italiano.

In tale senso, si è affermato che poiché l'art. 2 della Convenzione di New York del 10 giugno 1958 statuisce che ciascuno Stato contraente riconosce la convenzione scritta con la quale le parti si obbligano a sottoporre ad arbitrato tutte o talune controversiti insorte o che potrebbero insorgere tra di esse in merito ad un determinato rapporto di diritto, contrattuale o non contrattuale, concernente una questione suscettibile di essere risolta mediante arbitrato, e che agli arbitri stranieri nell'arbitrato estero può deferirsi, in via preventiva ed eventuale, la decisione delle controversie non ancora insorte, tramite una clausola compromissoria redatta in forma scritta ad substantiam, che identifichi con esattezza le future controversie aventi origine dal contratto principale, posto che i patti volti a derogare alla giurisdizione del giudice ordinario si interpretano restrittivamente, deve correlativamente affermarsi in caso di dubbio la giurisdizione di tale giudice, perché la clausola contrattuale di deroga alla giurisdizione italiana a favore di un arbitro straniero nel contratto principale non si estende alle controversie relative ai contratti ad esso collegati (Cass. S.U., n. 11529/2009; Cass. S.U., n. 7398/1998).

In particolare, posto che il quadro normativo di riferimento è composto dalle norme sulla giurisdizione – tra le quali spiccano gli artt. 4 e 10 della l. n. 218/1995 – e da quelle concernenti la competenza cautelare, sulla cui scorta, le seconde sono destinate a operare soltanto nell'ipotesi in cui sussiste la giurisdizione, va detto che ai sensi delle norme innanzi richiamate, la giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili, e che in materia cautelare, la giurisdizione italiana sussiste quando il provvedimento deve essere eseguito in Italia oppure quando il giudice italiano ha giurisdizione nel merito.

Tale ultima disposizione normativa va opportunamente coordinata con quanto attualmente prevede l'art. 35 del regolamento UE n. 1215/2012 che ha sostituito l'art. 31 del Regolamento CE n. 44/2001, ai sensi del quale, i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro possono essere richiesti all'autorità giurisdizionale di detto Stato membro anche se la competenza a conoscere del merito è riconosciuta all'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro.

Quest'ultima norma, in particolare, laddove di fatto determina lo «sganciamento» della giurisdizione cautelare da quella di merito – qualora la prima risulti radicata per effetto delle regole di diritto internazionale privato dinanzi al giudice nazionale a cui è richiesta la tutela interinale – è il dato normativo di riferimento ai fini dell'individuazione dell'ambito della giurisdizione cautelare nazionale in presenza di un accordo compromissorio per arbitrato estero. Nel caso italiano, risulta evidente in tale senso l'operatività dell'art. 10 della l. n. 218/1995 il quale consente alla parte interessata di rivolgersi al giudice nazionale del luogo di esecuzione della misura cautelare oppure in alternativa, a quello munito di giurisdizione nel merito.

In presenza della clausola compromissoria per arbitrato estero, se sussiste la giurisdizione italiana, ai fini cautelari, la relativa competenza dovrà essere individuata – facendo leva sull'art. 669-ter, comma 3, c.p.c. nel giudice competente per materia o per valore del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare – rispetto alla fattispecie regolata dall'art. 669-quinquies c.p.c.

L'art. 669-quinquies c.p.c. potrebbe trovare, quindi, applicazione anche nell'ipotesi di devoluzione della controversia ad arbitrato estero, non prevedendo detta norma alcuna distinzione tra arbitrato interno ed arbitrato estero (Briguglio 2010, 40).

In tale ipotesi, la domanda relativa ad una controversia oggetto di clausola compromissoria, compromessa in arbitri anche non rituali o in relazione alla quale pende il giudizio arbitrale si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito.

Trova anche applicazione l'art. 669-quater, comma 5, c.p.c. – che quando la controversia pende dinanzi ad un giudice straniero richiama l'applicazione dell'art. 669-ter c.p.c. nel caso in cui il giudice italiano non sia competente a conoscere la causa di merito — laddove si riferisce all'esclusiva figura del giudice straniero e non anche a quella dell'arbitro straniero.

Ciò premesso, il legislatore ha previsto un meccanismo destinato ad operare nell'ipotesi in cui non sia possibile àncorare la competenza cautelare a quella reale per il merito, per effetto del quale, al fine di individuare il giudice della cautela occorre guardare alla competenza «virtuale» per il merito, e tale regola vale anche nell'eventualità in cui la competenza per il merito della causa sia devoluta ad arbitri essendo noto come quest'ultimi siano sprovvisti di competenza cautelare per effetto di quanto previsto nell'art. 818 c.p.c. – salvo l'eccezione contemplata dall'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 5/2003 – sulla cui scorta, non sarà possibile fare coincidere la competenza del merito con quella cautelare, essendo solo la prima, in virtù della scelta compiuta dalle parti, affidata ai giudici privati.

In dottrina, si è precisato che il divieto sancito dall'art. 818 c.p.c. è limitato al solo potere di emettere i provvedimenti cautelari disciplinati nel capo III del libro IV del codice di rito, mentre nulla osta, invece, a che le parti possano, in forza della clausola compromissoria o attraverso il rinvio integrativo ad un regolamento d'arbitrato che lo preveda, affidare agli arbitri il potere di concedere misure aventi struttura e contenuto cautelare (Carosi 2018, 397; Marengo 1994, 136).

La giurisdizione cautelare deve, quindi, essere esercitata dal giudice che sarebbe stato competente ove le parti non avessero deciso di ricorrere all'arbitrato per la risoluzione della loro controversia (Licci 2019, 343), con l'importante precisazione che in questo caso, la tutela cautelare è attribuita al giudice statale, unicamente in funzione della tutela di merito che le parti avevano inteso deferire ad arbitri e della sua effettività, non certo in funzione del regolare svolgimento del giudizio arbitrale, né tantomeno al fine precipuo di eseguire un controllo sull'operato degli arbitri o sul contenuto della stessa convenzione arbitrale (Briguglio 2010, 17).

Pertanto, con riferimento al caso dell'arbitrato estero o internazionale, la disposizione racchiusa nell'art. 669-quinquies c.p.c. va letta in stretta correlazione con quanto dispone l'art. 669-ter, comma 3, c.p.c., il quale, nel caso in cui il giudice italiano non sia competente a conoscere la causa di merito, afferma che, la domanda si propone al giudice che sarebbe competente per materia o valore del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare.

Va, poi, considerato che, nel caso in cui non si tratti di un giudizio rimesso ad un collegio arbitrale avente sede all'estero ma chiamato a giudicare secondo la legge italiana, ipotesi in cui pacificamente, sussiste il divieto di cui all'art. 818 c.p.c., i provvedimenti cautelari possono essere chiesti solo all'autorità giudiziaria italiana potendosi discutere soltanto in ordine alla competenza per territorio e, in specifici casi, per materia (Trib. Venezia 6 luglio 1998; Trib. Palmi 9 luglio 1998).

Al riguardo, dubbi permangono se la clausola compromissoria per arbitrato interno debba essere intesa come rinuncia tacita anche per quanto concerne il diritto di agire dinanzi al giudice ordinario in punto di tutela cautelare oppure se per giungere a tale risultato, una tale volontà debba essere espressamente manifestata nella convenzione di arbitrato in modo che laddove quest'ultima nulla preveda in merito, resterebbe così salva la facoltà di investire per la cautela il giudice statale.

Secondo una risalente giurisprudenza di merito, la rinuncia alla giurisdizione insita nella sottoscrizione di una clausola compromissoria per arbitrato libero è limitata al giudizio di merito e non può investire anche la tutela cautelare (Trib. Torino 31 ottobre 1996); contra, Cass. S.U., n. 2238/1989, che precedentemente aveva affermato il principio che una clausola compromissoria per arbitrato irrituale comporta la rinuncia alla giurisdizione ordinaria e l'impraticabilità della tutela cautelare.

Ai fini dell'accertamento della validità ed efficacia della clausola compromissoria che deroga la giurisdizione in favore di arbitri stranieri, occorre invece preliminarmente stabilire quali siano le norme che il giudice deve applicare, e quindi se tale esame debba essere condotto secondo la legge italiana ovvero secondo la legge di un altro Stato, tenendo presente che la clausola compromissoria per arbitrato di diritto interno non preclude al giudice straniero di assicurare la tutela cautelare «se» e nei «limiti» in cui lo consentano le regole dell'ordinamento di appartenenza in punto di giurisdizione (Carosi 2018, 402; Briguglio 2010, 31).

A tale fine, secondo un orientamento di merito, nel caso in cui le parti abbiano deferito la controversia contrattuale ad un arbitrato estero tale deferimento si estende anche alla materia cautelare, sulla cui scorta si è ritenuto debba allora dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice italiano in relazione all'istanza ex art. 669-ter c.p.c. laddove finalizzata a conseguire un sequestro giudiziario od in subordine un provvedimento d'urgenza (Trib. Frosinone 19 settembre 2017).

Inoltre, con specifico riferimento alla presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, l'eccezione di compromesso, attesa la natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario da attribuirsi all'arbitrato rituale in conseguenza della disciplina complessivamente ricavabile dalla l. n. 25/1994 e d.lgs. n. 40/2006 deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito, dando così luogo ad una questione di giurisdizione e rendendo ammissibile il regolamento preventivo di cui all'art. 41 c.p.c. (Cass. S.U., n. 36374/2021).

La deroga alla giurisdizione dello Stato può farsi valere mediante il regolamento preventivo anche da un soggetto avente la propria sede in Italia che sia stato convenuto davanti al giudice nazionale e che invochi l'esistenza di un accordo derogatorio della giurisdizione, in tal modo dimostrando uno specifico interesse ad agire con il regolamento, per escludere la giurisdizione del giudice italiano in ragione di un diverso criterio di collegamento, quale è un valido accordo per arbitrato estero (Cass. S.U., n. 29879/2018).

Al riguardo, occorre altresì considerare che ai sensi dell'art. 10 della l. n. 218/1995 – il quale può operare quale criterio alternativo di attribuzione della giurisdizione cautelare sulla base del luogo di esecuzione del provvedimento, essendo indifferente che l'altro e principale criterio «strumentale», quello della sussistenza della giurisdizione di merito, sia escluso in concreto da una clausola riguardante il foro giudiziale o convenzionale o compromissoria, ovvero e già in astratto, dalle regole di diritto internazionale privato applicabili – in materia cautelare, la giurisdizione italiana sussiste quando il provvedimento deve essere eseguito in Italia oppure quando il giudice italiano ha giurisdizione nel merito, sebbene a tal proposito, in dottrina si è osservato che non è affatto vero che l'art. 10 della l. n. 218/1995 postula sempre ed indistintamente la potestas cautelare del giudice statale italiano soltanto perché giudice del luogo di esecuzione del provvedimento senza possibilità di deroga compromissoria o comunque pattizia, così come neppure è vero che al contrario qualsiasi convenzione arbitrale comporti sempre ed invariabilmente sia la deroga alla giurisdizione di merito che a quella cautelare (Briguglio 2017, 771).

La possibile compatibilità fra l'esercizio della giurisdizione cautelare italiana e l'arbitrato estero fondata sull'applicazione degli artt. 10 della l. n. 218/1995 e 669-bis ss. c.p.c. non è contraddetta dall'art. 11 della Convenzione di New York, cui il giudice italiano è tenuto comunque ad uniformarsi, in quanto trattassi di una norma il cui contenuto su tale questione appare assumere una colorazione neutra, rinviando alla concreta interpretazione del singolo accordo compromissorio (Briguglio 1999,143).

Inoltre, occorre altresì considerare che in tema di deroga alla giurisdizione italiana a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero, l'art. 4 della l. n. 218/1995 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, attribuisce rilevanza ai fini dell'accettazione della giurisdizione, al comportamento concludente delle parti che comunque risulti idoneo a farne conoscere la relativa volontà in tale senso (Cass. S.U., n. 22236/2009).

In relazione a quanto sopra evidenziato, si è affermato che spetta quindi alla giurisdizione del giudice italiano l'istanza cautelare relativa a diritti tutelabili nel merito in base a clausola compromissoria per arbitrato estero ed avente ad oggetto comportamenti da eseguirsi esclusivamente nel territorio dello Stato italiano (Trib. Napoli 10 maggio 2005), senza che rilevi la qualificazione dell'arbitrato come rituale od irrituale (Trib. Roma 28 agosto 1999).

Conseguentemente, in caso di clausola compromissoria o di pendenza del giudizio arbitrale il giudice competente per la cautela, ai sensi dell'art. 669-quinquies c.p.c. è quello che, per materia, valore e territorio, sarebbe stato competente a conoscere del merito in assenza della convenzione arbitrale, e dunque, in ambito cautelare la competenza del giudice civile sussiste sia prima del sorgere della controversia, sia quando la lite dinanzi agli arbitri risulti essere già pendente.

Tale regola, per effetto della riforma del 2005, vale anche per l'arbitrato libero essendo ormai pacifica la possibilità di ricorrere alla tutela cautelare anche in presenza di tale tipologia di arbitrato, applicando lo stesso criterio ai fini della competenza, esseno quest'ultima riconosciuta al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito.

In merito a quanto sopra evidenziato, occorre in proposito comunque ricordare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, per l'arbitrato estero è irrilevante la distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale, dovendo esso qualificarsi sempre rituale quoad effectum, tenuto conto che la suddetta distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale non è usualmente praticata in ambito internazionale (Cass. S.U., n. 21550/2017; Cass. S.U., n. 10800/2015).

La deroga prevista nell'art. 669-ter c.p.c. non è, invece, riferibile all'ipotesi in cui vi siano plurime competenze per il merito della controversia e tra queste risulti anche quella italiana.

In questo caso, infatti, non può applicarsi il foro del luogo di esecuzione del provvedimento cautelare, essendo il giudice italiano, comunque, eventualmente competente per il merito, seppur in concorrenza con altri giudici, circostanza in forza della quale consegue che, l'istanza cautelare ante causam in siffatta ipotesi va proposta al giudice italiano che sarebbe competente per il merito.

In dottrina, si è inoltre evidenziato che l'esercizio della potestas iudicandi cautelare del giudice italiano non è affatto sempre incompatibile con una convenzione per arbitrato estero, è ciò si evince dalla stessa disciplina del processo cautelare uniforme, la quale, riferendosi esplicitamente ex art. 669-novies, comma 4, c.p.c. ed anche implicitamente, ai sensi degli artt. 669-ter, comma 3, e 669-quinquies  c.p.c. alle ipotesi in cui la potestas iudicandi per il merito non spetta al giudice italiano perché affidata convenzionalmente ad arbitri esteri, in tale modo sembra attestare l'eventualità che invece possa ricorrere tale compatibilità (Briguglio 2010, 45).

La quaestio è interessante nel caso in cui gli arbitri siano chiamati anche ad emettere provvedimenti cautelari, in forza della deroga alla giurisdizione italiana conseguente all'opzione per un collegio arbitrale estero e l'applicabilità generale della legge di quello Stato.

Orbene, premesso che al riguardo non occorre neppure evidenziare che, opinando in tale senso, potrebbero sorgere problemi in sede di attuazione del futuro provvedimento cautelare, trattandosi di questioni superabili ove si consideri che si controverterebbe pur sempre di un provvedimento non già cautelare di diritto interno, ma di un provvedimento emesso da un arbitro estero che in quanto tale, va solo reso esecutivo in Italia, appare evidente come in realtà, l'unico vero problema che si pone in una situazione del genere, è quello di stabilire se la legge estera consenta o no agli arbitri di adottare provvedimenti cautelari, perché solo qualora ciò non sia possibile, infatti, si potrebbe porre il problema della nullità totale o parziale della clausola compromissoria per contrasto con l'art. 24 Cost., in quanto impeditiva della tutela cautelare, che nel nostro ordinamento assume pacificamente rilevanza costituzionale (Corte cost., n. 198/2010; Corte cost., n. 321/1998; Corte cost., n. 388/1999) dovendosi tenere conto del principio relativo alla garanzia della tutela giurisdizionale posto dall'art. 24, comma 1, Cost., che comprende anche la fase dell'esecuzione forzata, il quale deve essere attuato in almeno due modi diversi.

Ciò in considerazione che da un lato, gli strumenti di tutela più rapidi possono essere chiamati a realizzare la funzione di anticipazione satisfattiva della pretesa del soggetto istante attraverso l'anticipata formazione di titoli esecutivi anche provvisori, che consentano di accedere immediatamente ai processi di esecuzione forzata e, quindi, di realizzare quanto disposto dal titolo anche contro la volontà del soggetto obbligato, e dall'altro, che l'effettività della stessa può essere chiamata ad evitare che il risultato della tutela finale di merito possa essere vanificato in conseguenza di pericula che solo l'intervento del giudice della cautela può neutralizzare tempestivamente, attraverso l'adozione di misure di cautela tipica, atipica ed extravagante, idonee a salvaguardare il diritto leso o sottoposto a pericolo di lesione.

Il che porrebbe, di conseguenza, il duplice problema di individuare, da un lato, la legge applicabile e, dall'altro lato, il giudice competente a provvedere, dunque se quello estero oppure quello italiano.

In tale ottica, non va infatti sottaciuto che il sistema del procedimento cautelare uniforme disegnato dal legislatore italiano del 1990 disciplina espressamente l'efficacia del provvedimento cautelare emesso dal giudice italiano nell'ipotesi in cui in sede di arbitrato estero sia intervenuta una pronuncia nel merito o nell'ipotesi opposta, nel caso in cui non sia stato tempestivamente attivato l'arbitrato estero per il giudizio di merito, ragione per cui ciò comporta necessariamente che le regole sulla competenza territoriale del giudice italiano adito ante causam in sede cautelare ed in presenza di un accordo compromissorio ovvero quando l'arbitrato è già pendente ai sensi dell'art. 669-ter, comma 3, e 669-quinquies c.p.c. possano e debbano trovare applicazione anche se trattasi di un arbitrato estero (Briguglio 2017, 777).

Non va, poi, dimenticato che l'art. 3 della l. n. 218/1995, fissando le regole comuni sull'esercizio della giurisdizione italiana, afferma che quest'ultima sussiste quando il convenuto ha in Italia il domicilio o la residenza oppure vi ha un rappresentante abilitato a stare in giudizio a norma dell'art. 77 c.p.c. e negli altri casi previsti dalla legge.

Il carattere di principio generale desumibile da tale regola di competenza trova la sua ratio nel fatto che essa, in linea di principio, permette al convenuto di difendersi più agevolmente (sulla portata di tale regola, v. Corte giustizia CE 17 giugno 1992 C-26/91, che precisa come le norme di competenza, derogatorie rispetto all'indicato principio generale, non possono essere soggette ad un'interpretazione estensiva).

Inoltre, sebbene l'art. 4, n. 2), della l. n. 218/1995 amplia rispetto al passato gli spazi entro i quali le parti possono accordarsi, per accettare o derogare la giurisdizione interna a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero, detta disposizione esclude ogni possibilità di derogare alla giurisdizione italiana oltre che nei casi in cui la deroga non sia provata per iscritto anche nelle ipotesi in cui la causa verta sui diritti indisponibili, nel cui àmbito vanno annoverate, oltre alle cause attribuite alla competenza esclusiva del giudice italiano, anche quelle di cui agli artt. 806 e 808, comma 2, c.p.c., norma quest'ultima che statuisce testualmente che le controversie di cui all'art. 409 c.p.c. possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro purché ciò avvenga a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria (Cass. S.U., n. 10219/2006).

Sotto tale aspetto, l'esame da parte del giudice italiano della validità della clausola arbitrale in base alla legge italiana è consentito dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 resa esecutiva in Italia con la l. n. 62/1968, laddove l'art. 2, par. 3, impone al giudice di devolvere la lite agli arbitri, in presenza di una clausola compromissoria e su richiesta di una delle parti, salvo che la clausola stessa sia nulla, inefficace od insuscettibile di applicazione (Cass. S.U., n. 13725/2016).

Conclusione questa confortata ulteriormente dalla considerazione, unanimemente condivisa, che la l. n. 218/1995 nel coordinare le sue norme di rinvio con il diritto sostanziale italiano comporta l'applicazione di quelle norme interne non contingentemente legate al funzionamento della società italiana e caratterizzantesi come più tipicamente rivolte a garantire i diritti fondamentali delle persone.

La disciplina della litispendenza internazionale prevista dall'art. 7 della l. n. 218/1995 è applicabile all'arbitrato estero?

Al quesito sembra doversi rispondere negativamente, atteso che il legislatore italiano ha tenuto distinte le due diverse ipotesi di pendenza di lite presso il giudice straniero e presso arbitro estero, stabilendo la possibilità di deroga convenzionale della giurisdizione italiana per entrambe, nella ricorrenza di determinati e identici presupposti ex art. 4, comma 2, della l. n. 218/1995, e prevedendo viceversa l'obbligo ai sensi dell'art. 7, comma 1, della l. n. 218/1995 o la facoltà ex art. 7, comma 3, della l. n. 218/1995 di sospensione del procedimento soltanto nel primo caso di pendenza della lite dinanzi ad un giudice straniero.

A tale fine, la collocazione delle due norme in questione inducono quindi a ritenere che la diversità di previsione altro non sia se non l'espressione di una deliberata scelta del legislatore, che ha inteso configurare in termini di alternatività il rapporto fra la giurisdizione italiana da una parte, ed il giudice straniero o l'arbitrato estero dall'altra, riservando la rilevanza del rapporto di pregiudizialità unicamente alle ipotesi di contemporanea pendenza di liti davanti ad un giudice straniero ed al giudice nazionale.

In buona sostanza, la disciplina della litispendenza internazionale prevista dall'art. 7 della l. n. 218/1995non è applicabile all'arbitrato estero, e tale interpretazione, oltre a porsi in linea con quella costituzionalmente orientata della disciplina della sospensione alla luce dell'art. 111 Cost., non contrasta con il principio di parità tra la giurisdizione italiana e la giurisdizione o l'arbitrato estero, fissato dall'art. 4, comma 2, della l. n. 218/1995 (Cass. I, n. 20688/2009).

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X, Torino, 1999, 255; Villa, Una poltrona per due: la sospensione delle delibere assembleari fra giudice privato e giudice statuale, in Riv. arb., 2009, 316; Vullo, Note in tema di competenza cautelare in caso di arbitrato, in Giusto proc. civ., 2018, 981.

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