Richiesta di verifica del credito (art. 64, d.lgs. n. 159/2011)

Corinna Forte

Inquadramento

Ai sensi dell'art. 63 del d.lgs. n. 159/2011, come da ultimo modificato dalla l. n. 161/2017, salva l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento assunta dal debitore o da uno o più creditori, il Pubblico Ministero, anche su segnalazione dell'amministratore giudiziario che ne rilevi i presupposti, chiede al tribunale competente che venga dichiarato il fallimento dell'imprenditore i cui beni aziendali siano sottoposti a sequestro o a confisca di prevenzione.

La norma disciplina il caso in cui il fallimento sia sopravvenuto in epoca successiva al sequestro di prevenzione.

Nel caso in cui il proposto sia soggetto non al fallimento, ma alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, il Pubblico Ministero chiede al tribunale competente l'emissione del provvedimento di cui all'art. 195 del r.d. n. 267/1942 (c.d. legge fallimentare).

Il Pubblico Ministero segnala alla Banca d'Italia la sussistenza del procedimento di prevenzione su beni appartenenti ad istituti bancari o creditizi ai fini dell'adozione dei provvedimenti di cui al titolo IV del d.lgs. n. 385/1993.

Quando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare; in virtù della recente modifica di cui alla citata l. n. 161, la verifica dei crediti e dei diritti inerenti ai rapporti relativi ai suddetti beni viene svolta dal Giudice delegato del tribunale di prevenzione nell'ambito del procedimento di cui agli artt. 52 e ss. (in precedenza, il compito era attribuito al Giudice delegato fallimentare).

In tali ipotesi, il Giudice delegato al fallimento provvede comunque all'accertamento del passivo e dei diritti dei terzi nelle forme degli artt. 92 e ss. della l. fall. Verificando altresì, anche con riferimento ai rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 52, comma 1, lettere b), c) e d), d.lgs. n. 159/2011 (ovvero, la non strumentalità del credito rispetto all'attività criminale del proposto e la buona fede del terzo creditore).

Se nella massa attiva del fallimento sono ricompresi esclusivamente beni già sottoposti a sequestro, il tribunale, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara chiuso il fallimento con decreto (art. 119, r.d. n. 267/1942).

In caso di revoca del sequestro o della confisca, il curatore procede all'apprensione dei beni, il Giudice delegato al fallimento procede alla verifica dei crediti e dei diritti in relazione ai beni per i quali è intervenuta la revoca del sequestro o della confisca.

Se la revoca interviene dopo la chiusura del fallimento, il tribunale provvede ai sensi dell'art. 121 del r.d. n. 267/1942, anche su iniziativa del Pubblico Ministero, ancorché sia trascorso il termine di cinque anni dalla chiusura del fallimento.

Il curatore subentra nei rapporti processuali in luogo dell'amministratore giudiziario; l'amministratore giudiziario propone le azioni disciplinate dalla sezione III del capo III del titolo II della l. fall., ove siano relative ad atti, pagamenti o garanzie concernenti i beni oggetto di sequestro.

La l. n. 161/2017 ha poi introdotto il comma 8-bis all'art. 63, statuendo che l'amministratore giudiziario, ove siano stati sequestrati complessi aziendali e produttivi o partecipazioni societarie di maggioranza, prima che intervenga la confisca definitiva, può (previa autorizzazione del tribunale ai sensi dell'art. 9 del r.d. n. 267/1942) avanzare domanda per l'ammissione al concordato preventivo, di cui agli artt. 160 e seguenti del citato regio decreto, nonché accordo per la ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182-bis, ovvero predisporre un piano attestato ai sensi dell'art. 67, comma 3, lettera d), del r.d. n. 267/1942.

L'art. 64 del Codice Antimafia regolamenta, invece, l'ipotesi in cui il sequestro di prevenzione sia successivo alla dichiarazione di fallimento.

Si prevede che, in tal caso, il Giudice delegato al fallimento, sentito il curatore e il comitato dei creditori, dispone con decreto non reclamabile la separazione di tali beni dalla massa attiva del fallimento e la loro consegna all'amministratore giudiziario; i crediti ed i diritti inerenti ai rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, ancorché già verificati dal Giudice del fallimento, sono ulteriormente verificati dal Giudice delegato del tribunale di prevenzione ai sensi degli artt. 52 e seguenti.

I crediti così verificati, ai sensi degli artt. 53 e seguenti, dal Giudice delegato del tribunale di prevenzione, sono soddisfatti sui beni oggetto di confisca secondo il paino di pagamento di cui all'art. 61 del d.lgs. n. 159/2011.

Se sono pendenti, con riferimento ai crediti e i diritti inerenti ai rapporti relativi per cui interviene il sequestro, i giudizi di impugnazione di cui all'art. 98, r.d. n. 267/1942, il tribunale fallimentare sospende il giudizio sino all'esito del procedimento di prevenzione e le parti interessate, in caso di revoca del sequestro, dovranno riassumere il giudizio.

Se il sequestro o la confisca di prevenzione hanno per oggetto l'intera massa attiva fallimentare ovvero, nel caso di società di persone, l'intero patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili, il tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiara la chiusura del fallimento con decreto; qualora poi il sequestro o la confisca intervengano dopo la chiusura del fallimento, essi si eseguiranno su quanto eventualmente residua dalla liquidazione.

Anche in questo caso, come in quello precedente, la legittimazione processuale passa all'amministratore e, qualora le azioni siano state proposte dal curatore, l'amministratore lo sostituisce nei processi in corso.

Se il sequestro o la confisca sono revocati prima della chiusura del fallimento, i beni sono nuovamente ricompresi nella massa attiva e l'amministratore giudiziario provvede alla consegna degli stessi al curatore; qualora, invece, dette misure vengano revocate dopo la chiusura del fallimento, si provvede ai sensi dell'art. 63, comma 7 con la riapertura del fallimento.

Completamente diversa la prospettiva nel rapporto tra le procedure concorsuali e le misure di prevenzione non ablative (controllo giudiziario e amministrazione giudiziaria, disciplinati dall'art. 65.

Si prevede, infatti, che tali misure non possono essere disposte su beni compresi nel fallimento e che, qualora la dichiarazione di fallimento sia successiva all'applicazione delle misure di prevenzione del controllo ovvero dell'amministrazione giudiziaria, la misura di prevenzione cessi sui beni compresi nel fallimento.

La cessazione è dichiarata dal tribunale con ordinanza.

In tali evenienze, infine, se alla chiusura del fallimento residuano beni già sottoposti alle anzidette misure di prevenzione, il tribunale della prevenzione dispone con decreto l'applicazione della misura sui beni medesimi, ove persistano le esigenze di prevenzione.

Formula

N. ... RGMP

TRIBUNALE DI ...

SEZIONE MISURE DI PREVENZIONE

Alla c.a. del Sig. Giudice Delegato Dott. ....

Il sottoscritto, nato a ... il ... residente in ... alla via ..., c.f. ..., legale rappresentante della ... con sede in ... partita iva n. ...;

rappresentato dall'Avv. ... del Foro di ...;

PREMESSO

che in data ... è stato eseguito il sequestro n. ... emesso dal Tribunale in intestazione a carico di ...;

che esso ha avuto ad oggetto i seguenti beni ...;

che esso è stato eseguito in data ...;

che è stato attinto dalla misura l'intero patrimonio aziendale e che risulta immesso in possesso l'amministratore giudiziario Dott. ...;

che il sottoscritto istante è creditore verso la società in sequestro della complessiva somma di Euro ..., di cui Euro ... in privilegio ed Euro ... in chirografo, per forniture eseguite in data ... come da fatture n. ...;

che in forza delle indicate fatture era stato già richiesto e concesso decreto ingiuntivo dal tribunale di ... esecutivo in difetto di opposizione il ...;

che ad oggi lo scrivente è, ancora, creditore insoddisfatto della somma di Euro ..., oltre interessi come per legge;

che la società debitrice, oggi in sequestro, era già dichiarata fallita con sentenza n. ... emessa in data ... dal Tribunale di ...;

RILEVATO

che il Giudice delegato al fallimento, sentito il curatore e il comitato dei creditori, ha disposto la separazione dei beni sequestrati dalla massa attiva del fallimento e la loro consegna all'amministratore giudiziario;

che il credito era già stato verificato dal Giudice del fallimento ai sensi della relativa normativa, come da atto allegato;

che si tratta di un debito anteriore alla data del sequestro e ricorrono le condizioni di cui all'art. 52, d.lgs. n. 159/2011 e in particolare:

a) il restante patrimonio del proposto è inidoneo al soddisfacimento del credito, poiché tutti i beni sono attinti da misura di prevenzione ed al proposto è stato riconosciuto un sussidio alimentare corrisposto dalla procedura per le minime esigenze di vita quotidiana;

b) il credito non è in alcun modo strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego e, in ogni caso l'istante odierno, ha ignorato, in condizione di assoluta buona fede, la condizione del proposto, essendosi costui presentato come normale ed ordinario operatore commerciale, in regime di libero mercato;

c) il credito non è affatto in nesso di strumentalità con la illecita attività;

che, inoltre, a sostegno della condizione di buona fede si rappresenta che:

- ...;

- ...;

- ....

Tutto ciò premesso,

CHIEDE

all'ill.mo Giudice delegato che, previa fissazione dell'udienza, sia riconosciuto il diritto di credito e che sia ammesso al passivo della procedura per i seguenti importi:

in via privilegiata:

IVA su fatture Euro ...;

TOTALE IN PRIVILEGIO Euro ...;

in via chirografaria:

Imponibile fatture Euro ...;

Interessi legali dalla scadenza

delle fatture al sequestro Euro ...;

spese diritti ed onorari

liquidati nel decreto ingiuntivo Euro ...;

TOTALE IN CHIROGRAFO Euro ...;

Si dichiara di voler ricevere ogni comunicazione o notificazione al seguente n. di fax ... o indirizzo di posta elettronica ....

Si allegano i seguenti documenti:

decreto ingiuntivo ...;

Fatture ...;

atti della procedura fallimentare;

Data ... sottoscrizione parte/Avvocato

In caso di difesa tecnica

Procura in calce all'atto.

Commento

I rapporti tra le misure di prevenzione patrimoniali e la procedura fallimentare

La materia è stata radicalmente innovata dal d.lgs. n. 159/2011, in attuazione della delega prevista dall'art. 1 della l. n. 136/2010 (il c.d. “Piano straordinario contro le mafie”); detta norma, entrata in vigore dal 13 ottobre 2011, disciplinando i rapporti dei terzi con il procedimento di prevenzione e, conseguentemente, regola la disciplina dei rapporti pendenti al momento dell'esecuzione del sequestro.

Il principio di fondo è quello secondo cui la sussistenza di limiti alla tutela dei terzi è funzionale alla salvaguardia delle finalità proprie della misura di prevenzione antimafia: lo scopo sarebbe, quindi, di evitare che il mafioso (e, in generale, il proposto) si precostituisca creditori di comodo al fine di vanificare la misura di prevenzione.

Si tratta di una finalità analoga a quella sottesa alle norme che disciplinano l'accertamento dei crediti nella procedura fallimentare (e in genere, nelle procedure concorsuali); la ratio delle norme che regolano la verifica dei crediti in sede fallimentare è, infatti, quella di scongiurare il rischio della precostituzione di creditori di comodo ovvero della precostituzione di titoli di preferenza, in violazione della par condicio creditorum.

Il capo III è destinato a disciplinare i controversi rapporti tra misure di prevenzione e fallimento dell'imprenditore i cui beni siano stati attinti da sequestro: qui si assiste, come accennato, per la prima volta all'inserimento nella materia delle misure di prevenzione di una disciplina esplicita e organica delle interrelazioni tra ablazione patrimoniale antimafia e procedure concorsuali.

Gli art. 63-65 contengono la disciplina dei rapporti con le procedure concorsuali, impostata secondo una delimitazione solo in apparenza cronologica: l'art. 63, infatti, è dedicato alle ipotesi di dichiarazione di fallimento posteriore al sequestro di prevenzione, mentre l'art. 64 si occupa della fattispecie, speculare alla prima, in cui il sequestro di prevenzione intervenga in un momento successivo rispetto alla pronuncia dichiarativa del fallimento.

L'art. 65 disegna, infine, i rapporti tra le procedure concorsuali e le misure di prevenzione “atipiche” modificate dall'art. 34, ossia l'amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario.

Si deve, infine, evidenziare che il Codice Antimafia nella sua originaria formulazione non si occupava del rapporto con le procedure diverse dal fallimento e in particolare con il concordato preventivo e con i piani di ristrutturazione: verosimilmente non si era trattato di una dimenticanza, quanto piuttosto di una scelta consapevole che aveva avuto riguardo alle specifiche caratteristiche di quelle procedure, considerato che esse non condividono lo spossessamento pieno del debitore e che, pertanto, il sequestro di prevenzione non avrebbe incontrato limitazioni e, ricorrendone le condizioni, avrebbe avuto precedenza rispetto alle misure in questione, eventualmente con esso concorrenti.

Sul punto, non erano mancati autori che avevano ammonito il Legislatore affinché rimediasse al più presto alla lacuna inerente i rapporti della prevenzione con concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria, denunciando scarsi spiragli per interpretazioni analogiche delle norme dettate in ordine al solo fallimento.

Tale scelta destava, in effetti, qualche perplessità se si tiene conto delle interferenze, assolutamente possibili in concreto, tra la disciplina concordataria e i provvedimenti di ablazione totale o parziale del patrimonio alla stregua della normativa antimafia.

La lacuna ordinamentale ora delimitata è stata colmata, almeno in parte, con la legge di riforma del Codice Antimafia, n. 167/2017, vigente dal 19 novembre 2017, che ha introdotto espressamente una regolamentazione dei rapporti con le principali soluzioni concordate di crisi.

Dichiarazione di fallimento successiva al sequestro (art. 63 del Codice Antimafia)

L'art. 63 del Codice Antimafia disciplina l'ipotesi di dichiarazione di fallimento successiva al sequestro di prevenzione, stabilendo che “salva l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento assunta dal debitore o da uno o più creditori, il Pubblico Ministero, anche su segnalazione dell'amministratore giudiziario che ne rilevi i presupposti, chiede al tribunale competente che venga dichiarato il fallimento dell'imprenditore i cui beni aziendali siano sottoposti a sequestro o a confisca”.

Nella formulazione risalente al 2011 si stabiliva, al comma 3, che quando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare; in tale ipotesi, il Giudice delegato al fallimento provvede all'accertamento del passivo e dei diritti dei terzi nelle forme degli artt. 92 e ss. del r.d. n. 267/1942, verificando altresì, anche con riferimento ai rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 52, comma 1, lettere b), c) e d) e comma 3 del decreto.

Ancora, si statuiva che se 'ella massa attiva del fallimento fossero ricompresi esclusivamente beni già sottoposti a sequestro, il tribunale, sentito il curatore e il comitato dei creditori, dichiarava chiuso il fallimento con decreto ai sensi dell'art. 119 del r.d. n. 267/1942; si applicavano in tal caso le disposizioni degli artt. 52 e ss. del citato d.lgs.

In caso di revoca del sequestro o della confisca, il curatore procedeva all'apprensione dei beni ai sensi del capo IV del titolo II del r.d. n. 267/1942. Se la revoca interveniva dopo la chiusura del fallimento, il tribunale provvedeva ai sensi dell'art. 121 del r.d. n. 267/1942 anche su iniziativa del Pubblico Ministero.

I commi 4 e 6-7 dell'art. 63, come meglio si vedrà in seguito, sono stati significativamente modificati per effetto della l. n. 161/2017.

L'art. 63 del Codice Antimafia si occupa, come accennato, del caso in cui la dichiarazione di fallimento intervenga successivamente all'esecuzione del sequestro di prevenzione risolvendo alcuni problemi interpretativi che nella prassi si erano posti in ordine alla titolarità del potere di agire per ottenere l'emissione della dichiarazione di fallimento, ma, al tempo stesso, ponendo una serie di questioni ermeneutiche di non scarso momento e potenzialmente cariche di rilevanti conseguenze operative.

La norma, al comma primo, affida al Pubblico Ministero, anche su segnalazione dell'amministratore giudiziario, l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento, facendo salve le eventuali attività dei creditori o dello stesso debitore/sottoposto alle misure di prevenzione sul punto e stabilendo che la disposizione opera nei confronti dell'imprenditore “i cui beni aziendali siano sottoposti a sequestro o confisca”.

Peraltro, secondo taluni autori la citata disposizione potrebbe apparire non necessaria, atteso che l'art. 7 della l. fall. Già accorda al P.M. il potere di agire in tal senso quando l'insolvenza emerga “nel corso di un procedimento penale”, quale deve intendersi anche quello volto alla confisca di prevenzione; ciò salvo ritenere che il legislatore in questo modo abbia inteso ribadire il principio della tassatività dei casi in cui l'organo della pubblica accusa ha legittimazione a presentare domanda di fallimento.

Se, poi, l'impresa oggetto della misura ablativa risulti sottratta al fallimento, essendo assoggettabile alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, il Pubblico Ministero dovrà chiedere al Tribunale, ai sensi dell'art. 195, l. fall., la dichiarazione dello stato di insolvenza funzionale alla successiva sottoposizione alla citata procedura.

Nulla dice la norma in commento in ordine ai soggetti cui è applicabile la normativa sull'Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi; tale silenzio è forse spiegabile tenendo a mente che il Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 270/1999, è già legittimato a ricorrere innanzi al Tribunale competente perché sia accertata l'insolvenza delle grandi imprese in crisi.

Quel che emerge dalla disamina del testo di legge è che deve dirsi risolta nel senso indicato la questione operativa, che si era posta nella prassi, circa la titolarità del potere-dovere di agire per la dichiarazione di fallimento in capo agli organi del giudizio di prevenzione: in concreto ci si chiedeva se tale iniziativa spettasse, nel silenzio della legge, al Tribunale competente in tema di misure di prevenzione ovvero al singolo Giudice Delegato oppure, ancora, all'amministratore giudiziario qualora costui ne ravvisasse i presupposti nel corso della gestione.

Senza dubbio anche l'amministratore potrà segnalare l'insolvenza al P.M. affinché questi chieda al Tribunale competente che venga dichiarato il fallimento dell'imprenditore i cui beni aziendali siano stati sottoposti a sequestro o confisca.

Ne conseguirà la legittimazione dell'ausiliario – a seconda dei casi esclusiva o concorrente con quella del curatore – ad agire con la revocatoria fallimentare al fine di rendere inopponibili gli atti di disposizione anche alla procedura di prevenzione.

La norma in analisi non specifica i criteri da adottare per valutare lo stato di insolvenza dell'azienda sequestrata; il riferimento interpretativo potrebbe essere all'art. 5 della l. fall., secondo cui “lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

Peraltro – secondo taluni – l'azienda in sequestro non potrebbe, per definizione, avere debiti certi, liquidi ed esigibili, né dovrebbe adempiere ad alcuna obbligazione pregressa.

Ciò in quanto i creditori sono bloccati ex lege, non potendo intraprendere alcuna azione esecutiva o azionare crediti senza aver prima attivato la peculiare procedura di accertamento della buona fede di cui agli artt. 52 e ss. Codice Antimafia.

La procedura concorsuale acquisirà gli eventuali altri beni dell'imprenditore, non suscettibili di ablazione di prevenzione, e potrà porre in essere azioni recuperatorie o risarcitorie (ad esempio nei confronti di terzi – azioni di risarcimento danni, di abuso della posizione dominante – o dello stesso proposto – azione di responsabilità quale amministratore della società) volte ad acquisire danaro che costituirà la massa attiva del fallimento.

Il comma 4 dell'art. 63 stabilisce che, allorché venga dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa fallimentare, di talché i creditori ammessi potranno soddisfarsi soltanto con i beni non colpiti dal vincolo di prevenzione; si persegue l'evidente intento di separare le due gestioni, ciò che appare in concreto possibile solo qualora la misura di prevenzione non abbia attinto l'intero patrimonio del soggetto proposto e residuino, quindi, beni suscettibili di essere ricompresi nella massa fallimentare.

Come accennato, tale ipotesi pare piuttosto difficile da realizzarsi in concreto, salvo il caso in cui il fallimento possa attingere a beni individuabili ab origine come di legittima provenienza e, pertanto, mai entrati nel giudizio di prevenzione (perché non proposti o perché la richiesta di sequestro degli stessi sia stata respinta): vale a dire, ad esempio, cespiti di provenienza successoria, ovvero provento di donazioni non “sospette”, o beni acquistati con i proventi di lavoro lecito e dimostrato, oppure, ancora, con introiti straordinari (si pensi a vincite al lotto e simili, allorché il Giudice della prevenzione non ritenga simulata tale fonte di reddito).

La norma va, infatti, coordinata con la possibilità per il tribunale di “estendere” il vincolo con successivi sequestri a beni della cui esistenza si sia venuti a conoscenza dopo l'esecuzione del primo provvedimento, nonché con l'art. 25 del Codice (confisca di prevenzione per equivalente) che, com'è noto, consente l'apprensione – a determinate condizioni – anche di beni di provenienza lecita.

La presenza del sequestro o della confisca di prevenzione, in altri termini, induce una verifica sul credito secondo regole “rafforzate”, estranee alla cultura e alla tradizione dell'istituto fallimentare.

La normativa, dunque, istituisce un vero e proprio “doppio statuto” di verifica del credito e della posizione del soggetto che si insinui al fallimento, a seconda che la procedura concorsuale stessa sia libera ovvero vincolata dalla procedura antimafia.

Nel primo caso, opereranno solo le regole cristallizzate nella legge fallimentare e il procedimento di verifica dei crediti si dipanerà secondo quelle disposizioni; nel secondo, invece, al cospetto della coesistenza dell'intervento patrimoniale antimafia, l'accertamento si attua con i criteri rafforzati introdotti dalla normativa in esame.

Laddove il fallimento interessi solo una parte dei beni sottoposti a misura antimafia, i beni stessi sono sottratti alla procedura concorsuale e trova per gli stessi applicazione una procedura di verificazione c.d. rafforzata, che combina quella della legge fallimentare e quella scritta nella novella; la competenza era, nel vecchio testo, del Giudice fallimentare che era tenuto ad applicare gli artt. 52 e ss. del testo novellato.

Destava qualche perplessità la scelta di riservare la verifica sul credito alla procedura fallimentare, trattandosi di uno scrutinio complesso che impone cautela e, soprattutto, che non può prescindere da una serie di informazioni che ordinariamente non rientrano nel patrimonio cognitivo del Giudice fallimentare.

Altro punto critico era quello collegato alla questione se – dovendo il Giudice delegato, secondo le norme fallimentari, verificare i crediti precedenti alla dichiarazione di fallimento – fosse tenuto a verificare anche i crediti (prededucibili) sorti in occasione della misura di prevenzione per la gestione dell'impresa.

Forse proprio tenendo conto di tutte le criticità ora evidenziate, il legislatore del 2017 ha riformulato il comma 4 dell'art. 63, introducendo la regola secondo la quale la verifica dei crediti e dei diritti concernenti i beni sequestrati o confiscati compete al Giudice delegato della prevenzione, nell'alveo della generale procedura di accertamento tratteggiata dagli artt. 52 e ss. del Codice.

All'attualità, quindi, la verifica sarà – linearmente – svolta dal Giudice delegato della prevenzione in ordine a crediti e diritti insistenti su beni oggetto di misura di prevenzione e dal Giudice delegato al fallimento per i restanti, anche dopo l'eventuale revoca del sequestro o della confisca (art. 63, comma 7).

Tale accertamento sarà condotto, in parte, sulla base di criteri comuni, atteso che il Giudice della prevenzione opererà ex artt. 52 e ss., mentre quello fallimentare seguirà sia le regole degli artt. 92 e ss. della legge fallimentare che i parametri degli artt. 52 e ss. del Codice Antimafia.

La legge ha, opportunamente, inciso sul comma 5 dell'art. 63, abrogandolo.

Il comma 4 dell'art. 63 mira, come anticipato, alla separazione dalla massa attiva dei beni attinti da sequestro di prevenzione e la formulazione normativa (“i beni ... sono esclusi dalla massa attiva fallimentare”) sembrerebbe non lasciare al Giudice delegato al fallimento alcuno spazio di discrezionalità circa la loro esatta individuazione, dovendosi intendere l'espressione nel senso che tali cespiti, colpiti da misura di prevenzione, non potranno ab origine essere oggetto di apprensione nella massa fallimentare e che il provvedimento in esame non potrà trovare esecuzione nei confronti degli stessi.

Come accennato, sul punto taluni autori hanno sostenuto che l'art. 63, comma 4, citato demanda la tutela delle ragioni creditorie e dei terzi in genere alla sola procedura di prevenzione con la conseguenza che, qualora il fallimento intervenga dopo che il Giudice della prevenzione abbia già effettuato la verifica dei crediti alla stregua degli artt. 57 e ss. del Codice Antimafia, occorre comprendere quale efficacia possa avere il decreto di esecutività di quello stato passivo considerato che, com'è noto, quest'ultimo spiega i suoi effetti solamente nei confronti dell'Erario (art. 59 comma 4) e non già nei riguardi dei creditori, e che il Giudice delegato al fallimento conserverà la propria autonomia valutativa nei confronti dei crediti concernenti beni riconducibili unicamente alla massa fallimentare, pur potendo fare riferimento, anche per economia processuale, agli accertamenti già operati in sede di prevenzione.

Appare inevitabilmente necessario, dunque, che nella prassi si dia vita a un costante raccordo tra amministratore giudiziario e curatore fallimentare, nonché tra Giudice delegato della prevenzione e Giudice delegato al fallimento, in prima battuta al fine di individuare con precisione quali siano i cespiti sui quali la dichiarazione di fallimento potrà legittimamente spiegare i suoi effetti e, nel corso della gestione, al fine di consentire un'immediata apprensione del bene nelle ipotesi, ad esempio, di revoca del sequestro o della confisca dello stesso.

Al contrario, l'art. 63 esclude l'operatività, nelle ipotesi di dichiarazione di fallimento successiva al sequestro di prevenzione, della lettera a) del comma 1 dell'art. 52, disposizione che, nella differente fattispecie riguardante l'esperibilità di forme di tutela dei terzi che vantino diritti sui beni oggetto di ablazione statuale, nel testo del 2011 subordinava la salvaguardia delle posizioni attive degli stessi anche alla condizione che l'escussione del restante patrimonio del proposto fosse risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati.

La norma è stata incisa dalla novella del 2017, che ha eliminato la necessità della previa escussione del patrimonio del proposto, sostituendo l'inciso con quello più generico “che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati”.

Detta ultima norma non è richiamata dall'art. 63 proprio in considerazione dell'intervento della procedura concorsuale e dei relativi meccanismi di tutela dei diritti dei creditori coinvolti, nonché in virtù dei diversi parametri valutativi operanti nell'individuazione del credito da soddisfare e della misura del soddisfacimento legalmente consentito alla stregua della par condicio creditorum.

Il comma 6 dell'art. 63 disciplina la differente fattispecie in cui vi sia perfetta e totale coincidenza tra beni attinti da misura di prevenzione e beni suscettibili di apprensione nella massa fallimentare: in tale evenienza la legge riconosce la prevalenza delle misure di prevenzione disponendo che il tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiari chiuso il fallimento con decreto.

Ancora, giova rilevare che il richiamo testuale agli artt. 52 e ss. del testo de quo, operato nell'ipotesi di chiusura del fallimento, comporta l'operatività nelle richiamate ipotesi del giudizio di accertamento dei diritti dei terzi che la norma demanda al tribunale della prevenzione: in altre parole, essendo preclusa ai creditori del proposto fallito la via della procedura concorsuale, gli stessi potranno far valere le loro posizioni attive mediante il ricorso alle procedure proprie del rito della prevenzione e con i parametri giuridici ivi previsti.

Peraltro, detta ultima disposizione è stata espunta dalla riforma del 2017 perché ritenuta, evidentemente, superflua atteso che comunque gli artt. 52 e ss. sono destinati a essere applicati in presenza di una procedura di prevenzione.

La norma in analisi ha, dunque, introdotto un nuovo caso di chiusura del fallimento, ai sensi e con gli effetti di cui agli artt. 118 e ss., l. fall., prevedendo, altresì, che qualora sopravvenga la revoca del sequestro o della confisca dopo la citata chiusura il tribunale possa disporre, anche su iniziativa del Pubblico Ministero, la riapertura del fallimento alla stregua dell'art. 121, l. fall.

Quanto alla possibile riapertura del fallimento, giova osservare che mentre di norma essa è disposta dal Tribunale su ricorso del fallito o dei creditori, l'art. 63, comma 7, del Codice attribuisce legittimazione attiva anche al P.M. nel caso in cui vi siano sopravvenienze attive derivanti dalla revoca delle misure di prevenzione patrimoniali.

Nella vigenza del testo originario, che non prevedeva nulla sul punto, si era osservato che il comma 7 destava notevoli dubbi, dovendosi comprendere se la procedura fallimentare sarebbe ripresa dal punto in cui era giunta al momento del decreto di chiusura o dal momento in cui era sopravvenuto l'accertamento del passivo nel procedimento di prevenzione (o addirittura della vendita dei beni e nel pagamento dei creditori) e se i creditori già ammessi al passivo dal Giudice della prevenzione avrebbero potuto chiedere la “conferma” del provvedimento di ammissione al Giudice fallimentare ovvero dovuto presentare nuova domanda di ammissione.

Il nuovo testo del comma 7, modificato nel 2017, ha infatti chiarito che in caso di revoca del sequestro o della confisca il Giudice delegato fallimentare procede alla verifica dei crediti relativi ai beni interessati dalla revoca.

In poche battute, il Giudice fallimentare è chiamato quindi a effettuare una nuova verifica dei crediti (vecchi e nuovi) in forza delle sole norme fallimentari e in forza di tali norme dovrà verificare anche i crediti sorti in pendenza della misura di prevenzione, mentre i creditori già ammessi al passivo in pendenza del fallimento saranno tenuti a chiedere la conferma del provvedimento di ammissione.

Il novellato comma 7 dell'art. 63 ha, peraltro, stabilito che in caso di revoca del sequestro successiva alla chiusura del fallimento il curatore subentra nei rapporti processuali pendenti in luogo dell'amministratore giudiziario, consentendogli quindi di proseguire iniziative giudiziarie eventualmente avviate durante il procedimento di prevenzione.

Non è stato, invece, testualmente previsto che il curatore – nel caso in cui il fallimento sia sopravvenuto dopo il sequestro e residuino dei beni ascrivibili alla massa attiva – possa intervenire nel procedimento di prevenzione in rappresentanza della massa: tale evenienza era, peraltro, esclusa dalla giurisprudenza di legittimità in quanto il curatore non può configurarsi quale terzo cui tecnicamente “appartengono” i beni ai sensi del previgente art. 2-ter comma 5 della l. n. 575/1965 (la nozione è stata circoscritta unicamente agli intestatari formali del bene sottoposto al vincolo ed eventualmente diversi rispetto al proposto), di talché egli avrebbe soltanto l'opportunità di proporre incidente di esecuzione per chiedere la revoca della confisca, dimostrando la legittima provenienza dei beni.

Il tema della legittimazione del curatore è stato affrontato da Cass. V, n. 29983/2020 ove si è sostenuto che la legittimazione ad intervenire nel procedimento per l'applicazione della confisca di prevenzione, cui si associa il potere di articolare una vera e propria difesa, spetta ai titolari di diritti reali, di diritti di garanzia e di diritti di godimento sui beni sottoposti a sequestro di prevenzione e non al curatore del fallimento nella cui massa attiva siano compresi i beni sequestrati.

Ciò perché, come chiarito dal diritto vivente (S.U., n. 11170/2014 - dep. 17 marzo 2015, Uniland Spa e altro, Rv. 263685; S.U., n. 29951/2004, C. fall. in proc. Focarelli, Rv. 228163), il curatore fallimentare, che è certamente terzo rispetto al procedimento di sequestro/confisca dei beni appartenuti alla fallita società, non è, tuttavia, «titolare di alcun diritto sui beni», ma è, piuttosto, «un soggetto gravato da un munus pubblico, di carattere prevalentemente gestionale, che affianca il Giudice delegato al fallimento ed il tribunale per consentire il perseguimento degli obiettivi propri della procedura fallimentare», che si identificano con il soddisfacimento dei creditori.

Il curatore fallimentare, quindi, «non può agire in rappresentanza dei creditori, i quali, a loro volta, prima della conclusione della procedura, non sono titolari di alcun diritto sui beni, ma di una semplice pretesa e sono, quindi, privi di qualsiasi diritto restitutorio sui beni sottoposti a sequestro»; ciò spiega, quindi perché i terzi titolari di diritti di credito (che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro), nei confronti del proposto o del fallimento dichiarato in riferimento a compagine imprenditoriale che gli sia riferibile, non figurino tra i soggetti terzi cui è consentito di intervenire - ai sensi dell'art. 23, d.lgs. n. 159/2011 - nel procedimento per l'applicazione della confisca di prevenzione, essendo, coerentemente, previsto che costoro ricevano tutela soltanto una volta che la confisca sia stata disposta secondo quanto stabilito dagli artt. 52 e ss., d.lgs. n. 159/2011.

La disciplina dettata dagli artt. 63 e 64, d.lgs. n. 159/2011 ('Rapporti con le procedure concorsuali'), a giudizio della Corte, conferma tale impostazione, nel senso del riconoscimento della prevalenza della procedura di prevenzione su quella civilistica del fallimento, con riguardo al profilo della sottrazione del patrimonio in sequestro alla massa attiva fallimentare, ma assegna al curatore del fallimento un potere - dovere di interlocuzione da esercitare esclusivamente in seno alla procedura fallimentare, come risulta manifesto dall'incedere testuale dell'art. 64, d.lgs. n. 159/2011: « ... il Giudice delegato al fallimento, sentito il curatore e il comitato dei creditori, dispone con decreto non reclamabile la separazione di tali beni [quelli compresi nel fallimento sui quali sia disposto il sequestro di prevenzione] dalla massa attiva del fallimento e la loro consegna all'amministratore giudiziario» (comma 1); «il tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiara la chiusura del fallimento con decreto ai sensi dell'art. 119 del r.d. 16 marzo 1942».

Alla stregua delle disposizioni riportate, quindi, il curatore fallimentare coopera con il Giudice delegato al fallimento alla puntuale ricognizione e perimetrazione dei beni sottoposti a sequestro di prevenzione in vista della loro separazione dalla massa attiva e della loro consegna all'amministratore giudiziario nominato nell'ambito del procedimento di prevenzione, ovvero con il tribunale, in ipotesi di completa sovrapposizione tra i beni sottoposti a sequestro di prevenzione e i beni della massa fallimentare, in funzione chiusura del fallimento stesso.

Donde, una volta esauritasi la fase di distacco dei beni sopposti a sequestro di prevenzione dal fallimento, con consegna degli stessi all'amministratore giudiziario (ovvero, a maggior ragione, una volta chiusosi il fallimento in ragione dello svuotamento della massa fallimentare a favore del procedimento di applicazione della confisca di prevenzione), non vi è ragione di un intervento del curatore fallimentare nel procedimento di prevenzione, essendo egli surrogato nel proprio ruolo gestorio dei beni sequestrati dall'amministratore giudiziario: conclusione, questa, che pare avvalorata dal tenore della disposizione di cui all'art. 64, comma 9, d.lgs. n. 159/2011, secondo cui: «Nella delineata prospettiva, quindi, non vi è ragione di ritenere che vi sia contrasto con quanto affermato dalla sentenza Sez. II, n. 38573/2019, Mediterranea S.p.a., Rv. 277396, che, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, ha riconosciuto al curatore fallimentare, quale organo titolare di una funzione pubblica, la legittimazione a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro eseguito dopo la dichiarazione di fallimento su beni appartenenti alla massa attiva, avendo la Corte chiarito, in motivazione, che la predetta legittimazione corrisponde: «alla esigenza di delimitare e circoscrivere l'area dei beni colpita dal sequestro - un'area attingibile dal provvedimento definitivo della confisca -, al fine di tutelare, nei limiti del compatibile l'esercizio di "una funzione pubblica nell'ambito dell'amministrazione della giustizia».

In conclusione, sono state ribadite l'assenza di una legittimazione del curatore fallimentare ad intervenire nel procedimento di prevenzione e il fatto che i diritti dei creditori, insinuatisi al fallimento, trovano tutela anche nel procedimento di prevenzione, una volta divenuta definitiva la confisca, ai sensi degli artt. 52 e ss., d.lgs. n. 159/2011.

Il novellato comma 7, inoltre, ha stabilito che qualora la revoca del sequestro intervenga dopo la chiusura del fallimento il tribunale provvede ai sensi degli artt. 121 e ss. della l. fall., anche su iniziativa del P.M., e sebbene siano trascorsi più di cinque anni dalla chiusura del fallimento: viene, così, prevista una nuova ipotesi di legittimazione attiva del Pubblico Ministero a richiedere la riapertura del fallimento e si opta per il superamento del limite temporale di cinque anni entro cui avanzare la richiesta, onde il tribunale fallimentare potrà riaprire la procedura già chiusa senza limiti di tempo, in deroga al citato art. 121.

Infine, il comma 8 dell'art. 63 attribuisce all'amministratore giudiziario nominato nel giudizio di prevenzione la titolarità delle azioni disciplinate dalla sezione III del capo III del titolo II del r.d. n. 267/1942 (quindi, sostanzialmente, dell'azione revocatoria ordinaria) con gli effetti di cui all'art. 70, ove siano relative ad atti, pagamenti o garanzie concernenti i beni oggetto di sequestro: senza dubbio di grande rilevanza appare tale innovazione con la quale è stato risolto, in senso positivo, il dubbio circa la possibilità che l'amministratore giudiziario operasse nel modo indicato e che va indiscutibilmente nella direzione di un progressivo avvicinamento dei poteri e dei compiti di tale soggetto rispetto a quelli che l'ordinamento già riconosceva al curatore fallimentare.

Il riferimento testuale agli artt. 66 e ss. della l. fall. impone che l'amministratore operi in via revocatoria in presenza dei medesimi presupposti fattuali, giuridici e cronologici stabiliti nella materia fallimentare e non sfugge che le citate disposizioni del r.d. n. 267 andranno coordinate con quelle specificamente previste nella materia della prevenzione dall'art. 26, d.lgs. n. 159/2011, a norma del quale “quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con il decreto che dispone la confisca il Giudice dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione”.

Inoltre, ai fini del citato vaglio, “si presumono fittizi fino a prova contraria: a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell'ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado; b) i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione”.

Particolarmente rilevante appare, infine, la previsione contenuta nell'ultima parte del comma ottavo dell'art. 63, in forza della quale gli effetti del sequestro e della confisca si estendono ai beni oggetto dell'atto dichiarato inefficace: la disposizione amplia normativamente gli effetti della misura di prevenzione, estendendoli su beni non compresi nel decreto di sequestro/confisca, allorché si sia conclusa con esito positivo l'azione revocatoria instaurata dall'amministratore giudiziario innanzi a un organo che non potrà che essere il tribunale fallimentare.

Ne consegue che il patrimonio del proposto da confiscare avrà ad oggetto anche beni ulteriori rispetto a quelli ab initio sequestrati, comprendendo sia quei cespiti oggetto dell'atto dichiarato inefficace con sentenza del Giudice civile/fallimentare ex art. 63, comma 8, sia quelli oggetto di atti di disposizione dichiarati nulli, con il decreto di confisca di prevenzione, per accertata intestazione fittizia ai sensi dell'art. 26 del Codice Antimafia.

In concreto, si pensi a un bene oggetto di un atto di cessione a titolo oneroso, compiuto dal proposto e oggetto di revocatoria, sul quale si produrranno gli effetti dell'ablazione di prevenzione in forza di un provvedimento non già emesso dal tribunale della prevenzione bensì da un organo diverso, ossia dal tribunale fallimentare in sede giudizio sull'azione revocatoria intentata dall'amministratore.

Si è sul punto osservato che, in definitiva, la revocatoria fallimentare in mano all'amministratore giudiziario si trasforma da rimedio teso ad assicurare la par condicio creditorum in strumento per ricostruire retroattivamente il patrimonio del proposto, alla stessa stregua di quanto stabilito dal citato art. 26.

Peraltro, la menzione espressa delle sole azioni revocatorie pone dubbi sull'esperibilità da parte dell'amministratore di quelle azioni finalizzate alla declaratoria di inefficacia fallimentare, a meno che la dizione non vada intesa in senso atecnico e quindi riferita a tutte le azioni ricostruttive fallimentari.

Di recente la Suprema Corte (Cass. V, n. 22618/2022) ha poi affermato che, in tema di misure di prevenzione patrimoniali su beni della massa fallimentare, l'avvenuta ammissione del credito al passivo non è vincolante in sede di prevenzione, in quanto il c.d. "giudicato endofallimentare", ai sensi dell'art. 96, comma 6, l. fall., copre la sola statuizione di rigetto o di accoglimento della domanda di ammissione ed esaurisce, quindi, la sua portata all'interno della procedura fallimentare; in motivazione, la Corte ha precisato che, ove ne ricorrano i presupposti, tale giudicato, riguardando i medesimi crediti della procedura di prevenzione, può rilevare in tale sede solo ai fini della prova della data certa.

Il rapporto tra misure di prevenzione patrimoniali e le soluzioni concordate di crisi

Come anticipato, il testo originario del Codice Antimafia non regolava i rapporti tra il procedimento di prevenzione patrimoniale e le procedure concorsuali diverse dal fallimento, salvo il riferimento per incidens alla liquidazione coatta amministrativa; premessa - si è visto - la certa fallibilità dell'imprenditore socialmente pericoloso i cui beni siano stati tutti confiscati, era quindi discussa in dottrina e giurisprudenza la praticabilità di tali vie risolutive, alternative o sostitutive rispetto al fallimento (si pensi al concordato preventivo, al concordato liquidatorio, alla c.d. transazione fiscale e agli accordi di ristrutturazione del debito).

Come anticipato, la l. n. 161/2017 ha innovato notevolmente la materia introducendo, al comma 8-bis dell'art. 63, la possibilità che l'amministratore giudiziario, in caso di sequestro di aziende o di partecipazioni societarie di maggioranza e prima della confisca definitiva, chieda (previa autorizzazione del Tribunale della prevenzione ex art. 41) al tribunale fallimentare di essere ammesso al concordato preventivo (artt. 160 e ss., l. fall.) o all'accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182, l. fall.), ovvero di predisporre un piano attestato (art. 67, comma 3, lett. d) della l. fall.

È consentito anche, mediante piano di ristrutturazione, disporre l'alienazione dei beni in sequestro, se necessitata per garantire la salvaguardia dell'unità produttiva e il mantenimento dei livelli occupazionali; ciò pure al di là dei casi previsti dell'art. 48 del Codice.

La riforma, che ha confermato l'assenza, in capo al Tribunale della prevenzione, di un'autonoma legittimazione attiva ad instare per la dichiarazione di fallimento, ha poi precisato che l'amministratore debba relazionare sullo stato dell'azienda e le concrete prospettive di prosecuzione, affinché il tribunale possa approvare il “programma” e impartire le direttive di gestione, secondo un meccanismo simile a quello dell'art. 104, l. fall. (esercizio provvisorio).

Nel silenzio della legge, si ritiene invece che non sia possibile accedere alle altre soluzioni non fallimentari di crisi previste nel nostro ordinamento, ovvero la transazione fiscale (art. 182-ter l. fall.), l'accordo di ristrutturazione con gli intermediari finanziari e la convenzione di moratoria (art. 182-sexies della l. fall.).

Riguardo alla transazione fiscale, parte della dottrina guarda con perplessità l'omessa previsione della possibilità di ricorrere a tale istituto, che è parimenti funzionale alla conservazione dell'operatività delle imprese in stato di difficoltà, ratio per il cui soddisfacimento è stata immaginata proprio la citata riforma dell'art. 63.

Parimenti, si è ritenuta incomprensibile la scelta di non estendere il comma 8-bis anche alle fattispecie di cui agli artt. 182-ter e 182-septies, risultando difficile capire perché sia possibile il ricorso a soluzioni concordatarie con i creditori e non con gli intermediari finanziari e nelle forme della convenzione di moratoria; ciò anche perché nella pratica si osserva che spesso i debiti più consistenti dell'impresa in sequestro sono proprio quelli nei confronti dello Stato per tributi non pagati, degli istituti di previdenza e delle banche.

Probabilmente, le ragioni dell'esclusione della transazione fiscale dal novellato art. 63, comma 8-bis, risiedono nelle peculiarità della normativa: sotto il profilo della sorte dei crediti tributari, infatti, l'art. 50 Codice Antimafia prevede che le procedure esecutive dei concessionari di riscossione pubblica siano sospese in caso di sequestro di aziende e di società e che, in presenza di una confisca definitiva, i crediti erariali si estinguono per confusione ex art. 1253 c.c.; per le altre procedure, invece, vanno richiamati gli artt. 52 e ss. che prevedono un analitico procedimento di accertamento dei crediti e un soddisfacimento del creditore entro il limite massimo e generale del 60%.

Inoltre, il Codice all'art. 55 già stabilisce l'impossibilità di iniziare o proseguire azioni esecutive da parte dei creditori, finalità questa che viene perseguita dal debitore con l'accordo di ristrutturazione e la convenzione di moratoria.

Di converso, è stato consentito il ricorso al c.d. piano attestato, mezzo di superamento delle crisi e perfezionamento degli accordi di ristrutturazione: esso, tuttavia, qualificabile come un atto di organizzazione concorsuale dell'imprenditore funzionale al mantenimento dell'efficienza della struttura organizzativa aziendale, non appare particolarmente utile per l'amministratore giudiziario, che opererà nelle più efficaci forme del concordato o dell'accordo di ristrutturazione.

In caso di insuccesso delle intese volte alla ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, infine, il fallimento non potrà essere causa di risoluzione dell'accordo stesso, ma determinerà unicamente la misura dell'importo per il quale i creditori aderenti potranno chiedere l'ammissione al passivo per la quota di credito concordato e, naturalmente, rimasto insoddisfatto, essendo espressamente esclusa la possibilità di una revoca per i pagamenti già eseguiti, mentre potranno essere revocati i pagamenti effettuati nei confronti di creditori non aderenti all'accordo.

In questi casi, sarà l'amministratore giudiziario a poter agire per la revoca dei pagamenti (art. 67, l. fall.) eseguiti nei confronti dei creditori che non avessero aderito, dal momento che i beni sequestrato sono esclusi dalla massa attiva (art. 63, comma 4) e potendo il curatore fallimentare fare affidamento solo sui beni non attinti da sequestro.

Dichiarazione di fallimento precedente rispetto al sequestro di prevenzione (art. 64 del Codice Antimafia)

L'art. 64 del d.lgs. n. 259/2011 delinea, con una struttura simile a quella del precedente art. 63, la disciplina operante nelle ipotesi in cui il sequestro di prevenzione intervenga successivamente alla dichiarazione di fallimento: anche qui, come si vedrà, il Legislatore ha statuito il principio della prevalenza degli effetti della misura di prevenzione rispetto al fallimento, con il limite del sequestro/confisca eseguiti dopo la chiusura del fallimento, e ha inoltre inteso distinguere il caso di perfetta coincidenza quantitativa e qualitativa tra i beni oggetto di misura di prevenzione e del fallimento da quello in cui sia possibile realizzare una distinzione concreta tra le aree di operatività dei due istituti.

Ancora, il procedimento di accertamento dei crediti, pure in questa ipotesi, prevede due diversi iter, a seconda che vi sia o meno piena e perfetta coincidenza tra patrimonio acquisito alla massa fallimentare e beni successivamente sequestrati.

Il comma 1 concerne, appunto, tale ultima evenienza (vale a dire, che residuino beni ulteriori rispetto a quelli attinti dal vincolo di prevenzione) e attribuisce al Giudice delegato al fallimento, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, il potere-dovere di emettere un decreto non reclamabile con il quale ordina la separazione dei beni successivamente colpiti da sequestro di prevenzione dalla massa attiva del fallimento, nonché la loro consegna all'amministratore giudiziario.

La norma - si è detto - riecheggia l'art. 87-bis della l. fall. secondo il quale, per i soli beni mobili, è previsto che il Giudice delegato disponga con decreto la restituzione ai terzi, che vantino su di essi diritti reali o personali emergenti per tabulas, dei beni già in precedenza appresi dal curatore.

Peraltro, mentre in quel caso è previsto il consenso del curatore e del comitato dei creditori, se già costituito, invece qui costoro devono essere sì sentiti, ma il loro parere non vincolerà il G.D.

Quindi, va affermato che la decisione circa l'apprensione dei beni è comunque quella demandata al Giudice della prevenzione in sede di delibazione della proposta di sequestro nella fase interinale e che nessuna specifica facoltà di intervenire sul punto pare rimessa, invece, agli organi della procedura concorsuale.

L'art. 64, comma 2, nella sua originaria formulazione prevedeva che i crediti e i diritti vantati nei confronti del fallimento, compresi quelli inerenti i rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, fossero sottoposti alla verifica, già innanzi descritta, di cui all'art. 52 (anche qui venivano richiamati il comma 1, lettere b), c) e d) e il comma 3 sul vaglio della buona fede del terzo) nelle forme, tuttavia, degli artt. 92 e ss. della l. fall.: insomma, si era cercato di trasportare l'accertamento, squisitamente di prevenzione, circa i diritti dei terzi innanzi al Giudice fallimentare onerandolo, nelle citate ipotesi, di un'ulteriore valutazione.

Tale disposizione riservava, pertanto, al Giudice delegato al fallimento - in ogni caso in cui esista una massa fallimentare attiva che ecceda il compendio sequestrato - la verifica delle passività; tale A.G. avrebbe dovuto, verosimilmente, rivedere l'eventuale verifica già operata alla luce dei criteri dettati dall'art. 52 del Codice Antimafia.

In specie, si stabiliva che se alla data del provvedimento di sequestro il g.d. fallimentare avesse già provveduto alla verifica del passivo, avrebbe dovuto fissare una nuova udienza entro novanta giorni per una nuova verifica dei soli crediti già ammessi; tale nuovo accertamento era necessario, in quanto occorreva verificare ex novo anche la sussistenza dei requisiti exartt. 52 e ss. del Codice Antimafia.

Ne conseguiva la possibilità che un credito già ammesso in sede fallimentare venisse, in seconda battuta, non ritenuto meritevole dallo stesso Giudice perché carente dei presupposti cristallizzati dalla normativa antimafia.

La l. n. 161/2017 ha, come accennato, innovato la materia statuendo che - qualora non vi sia piena coincidenza tra le due gestioni - i crediti e i diritti inerenti ai rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, ancorché già verificati dal Giudice del fallimento, dovranno essere ulteriormente accertati dal tribunale della prevenzione ai sensi degli artt. 52 e ss. del Codice Antimafia.

La citata modifica, che ha tenuto conto delle critiche rivolte dalla dottrina alla norma previgente, tende ad attribuire al Giudice delegato della prevenzione le verifiche dei crediti ricadenti sui beni in sequestro: l'operazione appare certamente condivisibile e razionale, stanti il principio di tendenziale separazione tra le due gestioni e le peculiarità del vaglio di cui agli artt. 52 e ss. che, per le ragioni in precedenza esposte, risulta senza dubbio più conferentemente attribuito anche in siffatta ipotesi al Giudice della prevenzione.

Gli interventi sull'art. 64 tendono, insomma, ad attribuire al Giudice delegato della prevenzione le verifiche dei crediti con riferimento ai beni assoggettati a sequestro, anche se già verificati dal Giudice delegato al fallimento.

Dunque, si è inteso eliminare la discrasia da più parti rilevata nella parte in cui la verifica è attualmente attribuita, nelle forme del d.lgs. n. 159/2011, al Giudice delegato al fallimento.

Correlata alla nuova distribuzione delle competenze è l'abrogazione del comma 3, secondo il quale la verifica ex artt. 52 e ss. doveva essere svolta anche per i crediti insinuati nel fallimento dopo il deposito della richiesta di applicazione della misura di prevenzione da cui era scaturito il sequestro.

L'abrogazione del comma 3 e la risistemazione del comma 2 appaiono in linea con la modifica del comma 4 dell'articolo in esame, che prima statuiva - qualora fossero pendenti giudizi impugnatori ai sensi dell'art. 98, l. fall. (opposizione allo stato passivo, impugnazione dei crediti ammessi o revocazione) e fosse sopravvenuto il sequestro - la competenza del tribunale fallimentare a svolgere, di ufficio, l'accertamento di cui al comma 2 assegnando alle parti un termine perentorio per l'integrazione degli atti introduttivi.

Il passaggio delle competenze al Giudice della prevenzione ha, infatti, determinato la rimodulazione del comma 4: oggi, infatti, gli eventuali giudizi di cui all'art. 98 concernenti posizioni relative ai beni sequestrati saranno sospesi dal tribunale fallimentare al sopravvenire del vincolo di prevenzione e gli interessati saranno tenuti a riassumere il giudizio nell'ipotesi di revoca del sequestro.

La novella appare certamente funzionale a un razionale assetto del sistema: oggi, infatti, il tribunale della prevenzione curerà la verifica ex artt. 52 e ss. ed eventuali questioni legate alla procedura fallimentare, potenzialmente incidenti o confliggenti con l'oggetto del giudizio di verifica o con gli esiti del procedimento di prevenzione, saranno poste in stand-by, in attesa delle sorti della prevalente misura di prevenzione.

In caso di revoca di questa, inoltre, non vi sarà una reviviscenza automatica del giudizio, ma sarà rimesso alla scelta della parte - che potrebbe aver già visto soddisfatte le proprie ragioni in sede di prevenzione - se proseguirlo o meno.

Correlativamente riformulato, con la novella del 2017, anche il comma 6 della norma in esame.

Il testo previgente imponeva un secondo significativo limite alle prospettive di tutela dei creditori del fallito sottoposto al sequestro di prevenzione, stabilendo che i creditori ammessi (ovvero quelli la cui situazione risultasse conforme al diritto sia alla stregua della normativa fallimentare che ai sensi dell'art. 52 del Codice antimafia) potessero essere soddisfatti sui beni oggetto di confisca secondo il piano di pagamento di cui all'art. 61, con la precisazione che il progetto di pagamento redatto dall'amministratore giudiziario doveva tenere conto del soddisfacimento dei crediti in sede fallimentare.

Tale norma, dunque, tendeva a garantire una qualche tutela ai terzi titolari di una posizione attiva solida e correttamente accertata, prevedendo testualmente l'accesso al soddisfacimento anche sui beni oggetto di confisca.

Il nuovo testo, in modo invero più lineare, prevede invece che i crediti di cui al comma 2, verificati dal Giudice delegato della prevenzione, siano soddisfatti sui beni oggetto di confisca secondo il piano di pagamento di cui all'art. 61: si riconduce, quindi, anche la posizione dei creditori interessati a beni e diritti oggetto di una precedente procedura concorsuale nell'alveo del più ampio piano di pagamento dei crediti accertati, il cui schema è tratteggiato nel menzionato art. 61.

In effetti, è indiscutibile come la posizione del terzo titolare di un diritto, ad esempio di garanzia, su di un bene colpito da misura di prevenzione e che già si fosse attivato prima del sequestro per insinuarsi nel passivo, sia esposta al rischio di un oggettivo indebolimento conseguente al passaggio del bene in questione sotto la gestione dell'amministratore giudiziario della prevenzione (il quale ben potrebbe, ad esempio, avere idee differenti circa la sorte del cespite rispetto al curatore fallimentare ed al Giudice delegato al fallimento) e alla correlativa sottrazione alla massa attiva.

Inevitabilmente, infatti, il sopravvenire del vincolo di prevenzione determina l'operatività di una serie di norme maggiormente restrittive quanto alla posizione dei terzi, sia in ordine ai profili di accertamento dei loro diritti che in riferimento alle concrete possibilità di pieno soddisfacimento degli stessi.

Il comma 7 dell'art. 64 tratteggia, invece, la diversa ipotesi in cui il sequestro o la confisca abbiano per oggetto l'intero patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili, ovvero l'intera massa attiva fallimentare: in tale evenienza la legge stabilisce ancora una volta, in perfetto parallelismo con il richiamato art. 63, comma 6, la prevalenza degli effetti delle misure di prevenzione rispetto al fallimento, con la conseguenza che il tribunale fallimentare, sentiti il curatore e il comitato dei creditori (che, si ripete, ben poco potranno interloquire sul punto), deve dichiarare la chiusura del fallimento con decreto ai sensi dell'art. 119, l. fall.

La novella del 2017 non ha inciso significativamente sulla norma, salva la cancellazione del richiamo agli artt. 52 e ss. del Codice Antimafia, ragionevole in considerazione dell'attrazione della competenza a procedere alla verifica dei crediti in capo al Giudice della prevenzione, in forza della quale il riferimento alle citate norme sarebbe stato ultroneo.

Unico limite alla prevalenza delle misure di prevenzione sul fallimento è quello delineato dal successivo comma 8, a norma del quale allorché il sequestro o la confisca intervengano dopo la chiusura del fallimento, essi possono essere eseguiti solo su quanto eventualmente residui dalla liquidazione: si è, quindi, recepito l'orientamento interpretativo che già prima della novella individuava proprio nella ripartizione dell'attivo e nella chiusura del fallimento l'argine temporale di fronte al quale dovevano arrestarsi gli effetti dell'ablazione patrimoniale, in quanto in tale situazione i beni, salve le ipotesi di fittizie o fraudolente intestazioni, sono legittimamente fuoriusciti dal patrimonio del fallito.

Ne consegue che i beni eventualmente liquidati e l'attivo ripartito in sede fallimentare non vengono rimessi in discussione, all'indomani della misura di prevenzione, sulla presunzione che i beni sono usciti legittimamente dal patrimonio del fallito. Deve essere fatta salva la possibilità della prova contraria, ovvero di prova volta a dimostrare l'intestazione fraudolenta o fittizia di beni appresi o liquidati in sede fallimentare, con conseguente nuovo accertamento delle posizioni dei terzi che ben potrà comportare la riacquisizione di beni liquidati e ripartito nel precedente fallimento.

In caso di revoca del sequestro o della confisca prima della chiusura del fallimento, comunque, i beni saranno nuovamente ricompresi nella massa attiva e l'amministratore provvederà a consegnarli al curatore mentre, qualora la revoca sopravvenga dopo la chiusura del fallimento, il tribunale - da intendersi come quello fallimentare - provvederà ai sensi dell'art. 121 del r.d. n. 267/1942, anche su iniziativa del Pubblico Ministero.

Il comma 9 dell'articolo in esame - richiamando l'analogo comma 8 dell'art. 63, relativo all'ipotesi, speculare, del fallimento successivo al sequestro - statuisce che, in caso di sequestro intervenuto dopo la dichiarazione di fallimento, la titolarità dell'azione revocatoria ordinaria passa unicamente in capo all'amministratore giudiziario: al fine, evidentemente, di evitare l'inutile duplicazione delle competenze e la possibile confusione tra i ruoli, si è scelto di riconoscere la legittimazione attiva della citata azione (peraltro, come si è visto, d'impostazione squisitamente concorsuale) soltanto all'amministratore giudiziario della prevenzione, il quale addirittura sostituirà il curatore nei giudizi in corso.

Si verifica, quindi, una peculiare forma di successione a titolo particolare ex lege, riconducibile all'ambito dell'art. 111 c.p.c., sebbene il legislatore abbia usato l'espressione “lo sostituisce nei procedimenti in corso” che parrebbe richiamare, impropriamente, i casi di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c.

Infine, nell'ipotesi in cui - dopo che il curatore abbia promosso l'azione e l'amministratore sia subentrato per effetto del disposto sequestro - prima della chiusura del fallimento il vincolo di prevenzione venga revocato, il comma 10 dell'art. 64 statuisce che spetti nuovamente al curatore proseguire i giudizi in corso.

Chiaramente, nell'eventualità di revoca della misura di prevenzione si avrà la reviviscenza del potere del curatore nel proporre e proseguire le azioni in questione, alla stregua del citato art. 64, comma 10.

Quanto alle modalità di esercizio delle azioni revocatorie e di inefficacia previste dalla legge fallimentare v'è rinvio alla disposizione dell'art. 63, comma 8, con conseguente legittimazione esclusiva dell'amministratore giudiziario; ove le azioni siano state proposte dal curatore, la norma prevede che l'amministratore lo sostituisca nei processi in corso.

Sembrerebbe trattarsi, si è visto, di una tipica ipotesi di sostituzione processuale da recuperare all'istituto di cui all'art. 81 c.p.c.

Come può notarsi, la norma in esame non regolamenta espressamente l'ipotesi in cui il sequestro di prevenzione intervenga dopo la vendita del bene in sede fallimentare; il tema è delicato perché si tratta di individuare il momento oltre il quale il sequestro di prevenzione non può attingere il bene, per l'avvenuto perfezionamento della fattispecie traslativa fallimentare.

La tesi prevalente è quella di ritenere che detto momento vada individuato nell'emissione del decreto di trasferimento che segna, appunto, un discrimine invalicabile nel subprocedimento di liquidazione; del resto, si è in una fase in cui al Giudice delegato compete il potere di sospensione della vendita ex art. 108, l. fall. nel termine di giorni dieci dal deposito in cancelleria della documentazione ex art. 107, comma 5, l. fall.

Proprio questo momento segnerebbe, quindi, il termine oltre il quale non si può impedire il perfezionamento della vendita del bene.

Deve, infine, essere dato atto della circostanza che non sono comunque mancate voci diverse in giurisprudenza che hanno preferito individuare il momento di perfezionamento nel materiale pagamento del prezzo, quindi addirittura dopo l'ordinanza di aggiudicazione (Cass. civ. I, n. 2433/2009).

Il rapporto tra procedure concorsuali e misure di prevenzione patrimoniali non ablative (art. 65 del Codice Antimafia)

La norma, non incisa dalla riforma del 2017, si occupa del rapporto tra le misure del controllo e dell'amministrazione giudiziaria da un lato e del fallimento dall'altro: il sistema si ispira alla prevalenza esclusiva della procedura fallimentare, con conseguente cessazione della misura di prevenzione.

Sul punto è interessante osservare come l'innanzi descritto effetto di prevalenza delle misure di prevenzione sul fallimento operi unicamente allorché vengano disposte misure patrimoniali connotate da un effetto ablativo (ossia, sequestro e confisca), ma non anche nell'evenienza in cui il tribunale faccia applicazione delle diverse misure dell'amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario disciplinate, come si è visto, dall'art. 34.

In tale caso, anzi, la regola è diametralmente opposta e si registra la prevalenza degli effetti del fallimento nel senso che - qualora sia già stato dichiarato il fallimento sui beni nello stesso ricompresi - le citate misure non possono proprio essere disposte, mentre, qualora la dichiarazione di fallimento intervenga successivamente rispetto all'irrogazione delle ricordate misure, le stesse cessano (con provvedimento del tribunale) sui beni compresi nel fallimento.

Ciò in quanto - evidentemente - si tratta di società che si ritiene siano sottoposte al mero condizionamento del soggetto pericoloso, ma che non siano nella sua disponibilità uti dominus.

Viene fatta salva la possibilità di applicare le richiamate misure soltanto sui cespiti che eventualmente residuino dopo la chiusura del fallimento, ma sempre che sugli stessi già fossero state ordinate le citate misure e purché il collegio ritenga persistenti le esigenze della prevenzione anche all'indomani della chiusura del fallimento.

Probabilmente, si è ritenuto che qualora il condizionamento economico dell'impresa sia - per così dire - esterno all'interesse criminale, non è opportuno pregiudicare le posizioni dei creditori e i rapporti economici che hanno tratto scaturigine da contatti commerciali ordinari, recuperando la disciplina del concorso tra le misure allo statuto c.d. antimafia.

Qui, come visto, prevarrà la disciplina fallimentare, mentre la cessazione della misura di prevenzione è automatica e non è soggetta ad alcuna valutazione discrezionale dell'autorità giudiziaria, che deve dichiararla con ordinanza.

Le esigenze di prevenzione antimafia sono comunque salvaguardate dalla previsione secondo cui - nell'ipotesi che alla chiusura del fallimento dovessero residuare beni - il tribunale è autorizzato a rinnovare la misura di prevenzione: sul punto, va osservato che non si tratta di un intervento di natura automatica, atteso che il decreto per l'applicazione della misura andrà qualificato come un titolo nuovo che può trovare applicazione sui beni medesimi solo ove persistano le esigenze di prevenzione che avevano già imposto l'intervento patrimoniale.

In conclusione, se un'impostazione di tal genere può dirsi prima facie comprensibile e anche condivisibile al fine di non comprimere le posizioni giuridiche dei terzi creditori interessati a insinuarsi nel fallimento al di fuori delle ipotesi di intervento stricto sensu ablativo da parte dello Stato, non sfugge che la disposizione di cui all'art. 65 si riferisce a misure che, in linea teorica, potrebbero trasformarsi in sequestro (per il controllo giudiziario) e addirittura in confisca (nell'ipotesi di cui all'art. 34, comma 7) dei beni che si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, alla scadenza del termine per l'amministrazione giudiziaria.

Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

Il 15 luglio 2022, dopo diversi rinvii, è entrato in vigore il Codice della Crisi di Impresa e dell'Insolvenza (d.lgs. 14/2019 su legge di delega 155/2017) che ha introdotto talune novità, ad esempio eliminando i termini “fallito” e “fallimento”, e adottando la definizione di liquidazione giudiziale.

Il regime dei rapporti di tale procedura con i sequestri e le confische di prevenzione non è, al contrario, stato modificato e anzi la disciplina del d.lgs. n. 159/2011 in tema di amministrazione giudiziaria, tutela dei terzi e rapporti con la procedura di liquidazione giudiziale (ma non quella relativa alla destinazione dei beni definitivamente confiscati) diviene la disciplina regolatrice anche per i sequestri finalizzati alla confisca.

Al contrario, per i sequestri e confische penali la disciplina complessiva è stata modificata mediante la riscrittura dei commi 1 - bis e 1 - quater dell'art. 104 - bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale: per ogni forma di sequestro, compreso quello impeditivo di cui all'art. 321, comma 1 del codice di rito, si prevede l'applicabilità delle disposizioni del Codice Antimafia in materia di amministrazione dei beni sequestrati; per ogni forma di sequestro (escluso quello impeditivo) e confisca penale è introdotta l'applicabilità delle disposizioni dell'intero Titolo IV del d.lgs. 159, in materia di tutela dei terzi e rapporti con le procedure di liquidazione giudiziale (con la precisazione che le citate norme non valgono per i beni confiscati definitivamente alla data di entrata in vigore della legge, che restano soggetti alla disciplina previgente); per sequestro e confisca “allargati” si prevede l'applicabilità di tutte le disposizioni del Codice antimafia in materia di amministrazione dei beni sequestrati, tutela dei beni compresi i rapporti con la liquidazione giudiziale, amministrazione e destinazione dei beni confiscati; per il sequestro conservativo, si conferma che non può essere disposto in pendenza della procedura di liquidazione giudiziale.

Si prevede poi, superando i ricordati contrasti giurisprudenziali, ai sensi dell'art. 320, la legittimazione del curatore a impugnare il decreto di sequestro e le ordinanze in materia di sequestro.

Quanto alla disciplina transitoria, nulla di specifico si prevede in riferimento alle norme ricordate, ma l'impianto complessivo della legge fa ritenere che le nuove disposizioni si applichino alle liquidazioni giudiziali pronunciate ai sensi della nuova disciplina. Infatti, il comma 1 dell'art. 390 prevede l'applicabilità della legge previgente per i ricorsi per dichiarazione di fallimento, proposte di concordato fallimentare e così via depositati prima dell'entrata in vigore del Codice, mentre il comma 2 stabilisce l'applicabilità della disciplina della legge previgente alle procedure pendenti alla data del 15 luglio 2022.

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