Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 57 - Clausole sociali dei bandi di gara, degli avvisi e degli inviti e criteri di sostenibilità energetica e ambientale 1

Marco Giustiniani
Codice legge fallimentare

Artt. 34, 50


Clausole sociali dei bandi di gara, degli avvisi e degli inviti e criteri di sostenibilità energetica e ambientale1

l. Per gli affidamenti dei contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale e per i contratti di concessione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti inseriscono nei bandi di gara, negli avvisi e inviti, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell'offerta, misure orientate tra l'altro a:

a) garantire le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate, la stabilità occupazionale del personale impiegato, tenuto conto della tipologia di intervento, con particolare riferimento al settore dei beni culturali e del paesaggio2;

b) garantire l'applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, in conformità con l'articolo 113.

2. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l'inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi, definiti per specifiche categorie di appalti e concessioni, differenziati, ove tecnicamente opportuno, anche in base al valore dell'appalto o della concessione, con decreto del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e conformemente, in riferimento all'acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari, anche a quanto specificamente previsto dall'articolo 130. Tali criteri, in particolare quelli premianti, sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l'applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'articolo 108, commi 4 e 5. Le stazioni appaltanti valorizzano economicamente le procedure di affidamento di appalti e concessioni conformi ai criteri ambientali minimi. Nel caso di contratti relativi alle categorie di appalto riferite agli interventi di ristrutturazione, inclusi quelli comportanti demolizione e ricostruzione, i criteri ambientali minimi sono tenuti in considerazione, per quanto possibile, in funzione della tipologia di intervento e della localizzazione delle opere da realizzare, sulla base di quanto stabilito nei pertinenti criteri ambientali minimi relativi agli interventi edilizi4.

2-bis. L'allegato Il.3 prevede meccanismi e strumenti premiali per realizzare le pari opportunità generazionali e di genere e per promuovere l'inclusione lavorativa delle persone con disabilità o persone svantaggiate5.

[4] Comma modificato dall'articolo 2, comma 1, lettera a-bis), del D.L. 21 maggio 2025, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla Legge 18 luglio 2025, n. 105.

Inquadramento

L'art. 57 del Codice – che succede in linea temporale agli artt. 34 e 50 del d.lgs. n. 50/2016 – recante sia disposizioni in materia di clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato nell'esecuzione dei contratti pubblici, sia previsioni riguardanti i criteri di sostenibilità, si prefigge, da un lato, lo scopo di consolidare un principio di tutela sociale nel diritto dei contratti pubblici, fino a tempi recenti permeato in maniera totalizzante dalle istanze legate alla tutela della concorrenza e del mercato (De Luca, Perrone), e dall'altro di rafforzare la disciplina ‘multivaloriale' in cui la tradizionale primazia del principio di tutela della concorrenza – anche a prescindere dalla sua recente ‘subordinazione' rispetto al principio del risultato – già in precedenza era stata insidiata dall'emersione di nuove istanze di tipo sociale e ambientale.

Il decreto correttivo (D. Lgs. 209/2024)

Il Decreto correttivo reca modifiche all’articolo 57 del Codice, limitatamente alla disciplina delle clausole sociali. La novella distingue con chiarezza i vincoli legati alle clausole sociali in senso stretto dagli obblighi discendenti dall’articolo 11, in materia di tutele lavoristiche. Si tratta di un’operazione di mera chiarificazione, finalizzata a rendere la norma più chiara.

Ambito di applicazione del comma 1

Il comma d'apertura della nuova norma prevede che “per gli affidamenti dei contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale e per i contratti di concessione i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti, tenuto conto della tipologia di intervento, in particolare ove riguardi il settore dei beni culturali e del paesaggio, e nel rispetto dei principi dell'Unione europea, devono contenere specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell'offerta, misure orientate tra l'altro a garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l'applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all'oggetto dell'appalto o della concessione e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente, nonché a garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell'appaltatore e contro il lavoro irregolare”.

Come noto, con la locuzione ‘clausole sociali' si è soliti intendere “quelle disposizioni normative che impongono ad un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge ed agevolazioni finanziarie” (Orlandini).

L'origine di siffatte clausole deve rinvenirsi nell'art. 2, della Convenzione OIL n. 94/1949, “Labour clauses (public contracts) convention” ratificata dalla l. n. 1305/1952, il quale disponeva che i bandi e gli avvisi per l'assegnazione di appalti e concessioni pubblici dovessero contenere “clausole che garantiscano ai lavoratori interessati salari (incluse le indennità) durata di lavoro e altre condizioni di lavoro non meno favorevoli di quelle stabilite per un lavoro dello stesso genere nella professione o nell'industria interessate della stessa regione”.

Nell'ordinamento giuridico italiano le clausole sociali hanno trovato la loro prima disciplina nell'art. 36 dello Statuto dei lavoratori di cui alla l. n. 300/1970, secondo cui “nei provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti leggi dallo Stato a favore di imprenditori che esercitano professionalmente un'attività economica organizzata e nei capitolati di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l'obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona. Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella successiva, per tutto il tempo in cui l'imprenditore beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge”.

Il predetto art. 36 della l. n. 300/1970 è stato poi dichiarato incostituzionale nella parte in cui non estendeva l'obbligatorietà delle clausole di equo trattamento anche a quella dei contratti aventi ad oggetto la concessione di pubblici servizi; nell'occasione, la Corte costituzionale ha ribadito la rilevanza e la funzione dell'istituto, rimarcando che “le clausole sociali sono funzionali al procedimento di selezione del contraente e, in applicazione dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione, esse consentono alle imprese di confrontarsi limitando, però, la possibilità di incidere, a fini concorrenziali, il trattamento economico e normativo destinato ai lavoratori che deve essere pari al minimo previsto dai contratti collettivi di lavoro. Il rispetto delle norme volte a regolamentare i diritti dei lavoratori rappresenta un limite non valicabile alla competizione tra imprese”.

Su questo quadro normativo nazionale si è poi innestata l'evoluzione valoriale della contrattualistica pubblica comunitaria, che ha portato ad una sempre maggiore sensibilità nei confronti delle tematiche sociali.

Tale evoluzione, da ultimo, per quanto interessa in questa sede, ha prodotto l'inserimento nelle tre direttive eurounitarie del 2014 in tema di contratti pubblici (n. 2014/24/UE, n. 2014/23/UE e n. 2014/25/UE) di una folta schiera di disposizioni innervate di riferimenti alla tutela del lavoro e ad altri obiettivi di rilievo sociale.

In tale contesto, la Direttiva n. 2014/24/UE chiarisce fin dal Considerando n. 2 che gli appalti pubblici sono il mezzo per una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, che debba tendere anche al “conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale”. In quest'ottica “lavoro e occupazione contribuiscono all'integrazione nella società e sono elementi chiave per garantire pari opportunità a tutti” (Considerando n. 36): è quindi, “particolarmente importante che gli Stati membri e le amministrazioni aggiudicatrici adottino misure pertinenti per garantire il rispetto degli obblighi in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro”, applicando a tal fine le disposizioni nazionali ed europee vigenti (Considerando n. 37). In specie, “I relativi obblighi potrebbero trovare riscontro in clausole contrattuali. Dovrebbe anche essere possibile inserire negli appalti pubblici clausole che assicurino il rispetto dei contratti collettivi in conformità del diritto dell'Unione. Il mancato rispetto dei relativi obblighi potrebbe essere considerato un grave illecito perpetrato dall'operatore economico in questione che può comportare l'esclusione di quest'ultimo dalla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico” (Considerando n. 39). Completano l'excursus relativo alla Direttiva n. 2014/24/UE gli artt. 18 (secondo cui “gli Stati membri adottano misure adeguate per garantire che gli operatori economici, nell'esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dal diritto dell'Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro elencate nell'allegato X”) e 70 (secondo cui “le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere condizioni particolari in merito all'esecuzione dell'appalto” purché collegate al suo oggetto, comprensive di considerazioni anche di ordine “sociale o relative all'occupazione”) della stessa direttiva.

Disposizioni pressoché identiche compaiono nella Direttiva n. 2014/23/UE (si vedano l'art. 30 e i Considerando nn. 55, 57, 58, 70 e 72) e nella Direttiva n. 2014/25/UE (si vedano gli artt. 36 e 87 oltre ai Considerando nn. 4, 51, 52, 54, 55, 102, 103 e 100).

Per come risultante dall'articolo in commento e per come interpretato, seppure con riferimento alla vecchia disciplina, dalla Linee guida ANAC n. 13 recanti “la disciplina delle clausole sociali”, l'ambito applicativo dell'obbligo di prevedere nella documentazione di gara specifiche clausole sociali investe gli affidamenti di appalti e concessioni di lavori e di servizi diversi da quelli di natura intellettuale, oggi in particolare laddove l'intervento riguardi il settore dei beni culturali e del paesaggio. Per ‘servizi di natura intellettuale' si devono intendere quelli che richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, come ad esempio il brokeraggio assicurativo e la consulenza. Questa condizione, in particolare, si verifica nei casi in cui – anche eventualmente in parallelo all'effettuazione di attività materiali – il fornitore elabora soluzioni, proposte e pareri che richiedono una specifica e qualificata competenza professionale, prevalente nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all'organizzazione di mezzi e risorse. In quest'ottica, quindi, il servizio non ha natura intellettuale per il solo fatto di essere prestato da personale soggetto all'obbligo di iscrizione in albi professionali. In sostanza oggi, caduto il riferimento ai contratti ad alta intensità di manodopera, l'applicazione delle clausole sociali resta esclusa solo per i servizi di natura intellettuale.

Tutto ciò premesso e considerato in ordine all'evoluzione storica della disciplina oggi sfociata nell'articolo in commento, è il momento di concentrarci sull'ultimo ‘miglio' di questa evoluzione.

L'art. 57, comma 1, rappresenta oggi l'approdo di plurimi interventi normativi e dubbi interpretativi sorti in vigenza del precedente Codice ed esplicati dapprima prima nel parere del Cons. St. n. 2703/2018 e successivamente nelle citate Linee guida dell'ANAC n. 13, recanti “disciplina delle clausole sociali”, che ancora oggi conservano una loro utilità in funzione di ausilio per le stazioni appaltanti e gli operatori del settore, ovviamente nei limiti della compatibilità con la nuova disciplina.

Il previgente art. 50 del d.lgs. n. 50/2016 veniva interpretato dalla giurisprudenza nel senso che l'obbligo di prevedere nella documentazione di gara specifiche clausole sociali veniva riferito unicamente agli affidamenti di appalti e concessioni di lavori e di servizi “ad alta intensità di manodopera”.

Veniva escluso, invece, “che alcuna clausola sociale potesse essere prevista per appalti e concessioni di lavori e servizi di natura intellettuale. Negli altri casi l'inserimento della clausola rimaneva una facoltà della stazione appaltante” (Consiglio di Stato, Schema di codice dei contratti pubblici, Relazione agli articoli e agli allegati).

In continuità con la novella recata dalla l. n. 120/2020 (di conversione del d.l. n. 76/2020), viene confermata l'applicabilità della disciplina in tema di clausole sociali anche alle procedure sottosoglia.

L'applicazione delle clausole sociali resta esclusa solo per i servizi di natura intellettuale.

L'articolo, coerentemente con il criterio della delega, fa riferimento espresso ai contratti collettivi nazionali e territoriali di settore ed elimina il riferimento legislativo all'art. 51 del d.lgs. n. 81/2015.

In aggiunta, specifica che le clausole sociali debbano garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell'appaltatore e contro il lavoro irregolare.

I contenuti della clausola sociale e le relative modalità applicative

Pur essendo specificamente preordinate dal legislatore alla finalità di garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato nell'esecuzione dei contratti pubblici, misura che è oggi considerata dal legislatore rientrante tra i requisiti necessari dell'offerta, la giurisprudenza (sia eurounitaria che nazionale) ha ripetutamente chiarito come non si possa imporre all'aggiudicatario di un appalto un obbligo generalizzato di assumere senz'altro tutto il personale impiegato dal fornitore uscente.

Le esigenze di tutela sociale vanno bilanciate con la necessità di tutelare la libertà imprenditoriale degli operatori economici.

Il riassorbimento del personale utilizzato dall'impresa uscente può essere imposto al nuovo affidatario solamente nella misura in cui sia compatibile con la sua organizzazione aziendale. Le clausole sociali, in buona sostanza, comportano una ‘priorità' per il reimpiego del personale già occupato nell'appalto e non già un obbligo indiscriminato di assunzione di tale personale.

Questa interpretazione, del resto, è l'unica compatibile con il diritto eurounitario, come più volte chiarito dalla stessa Corte di Giustizia dell'Unione europea fin da epoca risalente (cfr. Corte G iust. UE, sentenza C-460/2002 del 9 dicembre 2004 e sentenza C-386/2003 del 14 luglio 2005).

Alla clausola sociale non può essere attribuito “un effetto automaticamente e rigidamente escludente e non può pertanto essere intesa nel senso di comportare un obbligo assoluto per l'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente impresa in quanto l'obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente deve essere contemperato e reso compatibile con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell'appalto” (Cons. St. III, n. 7922/2021).

Per queste ragioni, la clausola va formulata e intesa “in maniera elastica e non rigida, rimettendo all'operatore economico concorrente finanche la valutazione in merito all'assorbimento dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario, anche perché solo in questi termini la clausola sociale è conforme alle indicazioni della giurisprudenza amministrativa secondo la quale l'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d'impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell'appalto” (Cons. St. V, n. 4539/2022).

Invero, “l'essere obbligati ad assumere un determinato contingente di addetti limita la possibilità dell'imprenditore di ricorrere, ove la tecnologia lo consenta, all'automazione dei processi produttivi; ciò si ripercuote, senza ombra di dubbio, sia sull'organizzazione dell'impresa sia sulla redditività dell'attività e, in via ultimativa, anche sull'economicità della prestazione per l'amministrazione pubblica committente” (De Luca, Perrone).

In quest'ottica, le clausole sociali devono comunque consentire all'affidatario di un contratto pubblico di assumere non già tutto il personale impiegato dal contraente uscente, ma solamente un numero di addetti compatibile con la propria organizzazione d'impresa.

Unica eccezione a questo principio – secondo la giurisprudenza – si registra con riferimento al settore del trasporto pubblico locale, nel quale la normativa di settore sembrerebbe ammettere una clausola sociale particolarmente forte, garantendo in caso di subentro il trasferimento di tutto il personale dipendente (tranne i dirigenti) dal gestore uscente al subentrante, con l'applicazione del CCNL di settore e del contratto di secondo livello applicato dal gestore uscente almeno per un anno dalla data di subentro (Cons. St. V, n. 973/2020).

Secondo quanto opportunamente chiarito dalle Linee guida ANAC in vigenza del precedente Codice, affinché possano essere applicate le clausole sociali occorre che il contratto di cui si tratta sia oggettivamente assimilabile a quello in essere. Più precisamente, l'inserimento di clausole volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato “non è legittimo qualora non sussista, per la stazione appaltante, alcun contratto in essere nel settore di riferimento, ovvero il contratto in essere presenti un'oggettiva e rilevante incompatibilità rispetto a quello da attivare. L'incompatibilità è oggettiva quando pertiene alle prestazioni dedotte nel contratto e non deriva da valutazioni o profili meramente soggettivi attinenti agli operatori economici. Non sussiste di regola incompatibilità laddove il contratto di cui si tratta preveda prestazioni aggiuntive rispetto a quello precedente, salvo il caso in cui, per l'entità delle variazioni e per i conseguenti effetti sulle prestazioni dedotte, risulti complessivamente mutato l'oggetto dell'affidamento”.

Laddove la clausola sociale sia applicabile, la stazione appaltante deve dare conto dei relativi presupposti in sede di determina a contrarre, e deve prevedere nella lex specialis di gara che ciascun concorrente alleghi all'offerta un progetto di assorbimento. In tale documento, il concorrente deve indicare con quali modalità intende dare applicazione alla clausola sociale, indicando in modo particolare i ) il numero di dipendenti del fornitore uscente che intende riassorbire nella propria organizzazione aziendale e ii ) il contratto collettivo che intende applicare (specificando altresì il relativo trattamento economico), tenendo oggi conto, “in relazione all'oggetto dell'appalto o della concessione e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente,

nonché a garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell'appaltatore e contro il lavoro irregolare” (art. 57, comma 1).

Affinché ciascun offerente possa predisporre in maniera seria e compiuta il proprio progetto di assorbimento e quindi conoscere i dati del personale da riassorbire, nella lex specialis di gara la stazione appaltante deve indicare tutti gli elementi rilevanti a tale scopo, come ad esempio il numero di unità impiegate nell'appalto, il monte-ore complessivo, il CCNL applicato dal fornitore uscente, i livelli retributivi e gli scatti di anzianità (v. Linee guida ANAC n. 13).

Anche a questo fine, l'art. 57 richiede che le clausole sociali siano “specifiche”; tale previsione preclude alla stazione appaltante di formulare clausole dai contorni vaghi e indefiniti che non chiariscano il contenuto concreto degli obblighi posti in capo all'aggiudicatario.

Una volta che il concorrente abbia presentato in sede di gara un progetto di assorbimento in cui si sia impegnato ad assorbire un certo numero di addetti, il contenuto del progetto di assorbimento diventa vincolante per l'offerente che lo ha presentato, che è tenuto a rispettarlo lungo tutto il periodo di esecuzione del contratto. Sull'osservanza di tale obbligo è chiamata a vigilare la stazione appaltante. Eventuali inadempimenti possono portare all'applicazione di penali ovvero, nei casi più gravi, alla risoluzione del contratto.

La clausola sociale non può imporre all'aggiudicatario l'obbligo di mantenere il CCNL applicato dal fornitore uscente.

Sul punto, preme rammentare l'orientamento espresso dalla Corte di Giustizia nella sentenza “Rüffert” (Corte Giust. UE, sentenza C-346/2006, 3 aprile 2008), secondo cui sarebbe illegittima una disposizione contemplata nella legislazione di uno Stato membro che imponga di applicare i livelli minimi di trattamento economico e normativo previsti in uno specifico contratto collettivo quale presupposto per l'affidamento di un contratto d'appalto pubblico. La violazione delle norme comunitarie è stata ravvisata nel rilievo che una siffatta prescrizione costituisca un ostacolo illegittimo alla libertà di prestare servizi, poiché quegli stessi minimi di trattamento, se superiori a quelli applicati ai propri dipendenti (e se superiori al salario minimo obbligatorio, eventualmente previsto dal contratto collettivo di categoria dotato di efficacia generale), rappresentano una ingiustificata limitazione della libertà d'impresa ed alla concorrenza.

A tali conclusioni è giunta anche la giurisprudenza amministrativa nazionale, la quale ha rilevato che “la clausola sociale è posta in funzione del mantenimento dei livelli occupazionali, ma essa non attribuisce anche al singolo lavoratore, in occasione del “cambio appalto”, un incondizionato diritto al livello di inquadramento contrattuale precedentemente posseduto, e più in radice al mantenimento della contrattazione collettiva precedentemente applicata, ma deve essere bilanciata con l'autonomia organizzativa dell'impresa e le esigenze tecniche del servizio” (Cons. St. V, n. 873/2019).

Tale orientamento trova conferma anche nei pareri di precontenzioso resi dall'ANAC (ex multis, si veda il parere di precontenzioso reso dall'Autorità con delibera n. 62 del 30 gennaio 2019).

Sulle clausole sociali cfr.  Cons. Stato, Sez. V, 25 gennaio 2024, n. 807, secondo cui, per contemperare l'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto con la libertà d'impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, deve consentirsi un'applicazione elastica e non rigida della clausola sociale  al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell'appalto.

Gli “appalti verdi”

Sotto il profilo valoriale richiamato nel paragrafo d'apertura, come noto, si è progressivamente affermata la nozione di “appalti verdi” (o anche “Green Public Procurement”) quali strumenti di mercato finalizzati all'internalizzazione della variabile ambientale negli acquisti delle pubbliche amministrazioni, ai quali vengono ricondotti i) un elemento oggettivo rappresentato dall'inerenza alla materia della contrattualistica pubblica e ii) un elemento teleologico consistente nella strumentalità rispetto alla realizzazione di obiettivi di tutela ambientale (Cafagno, Farì).

Gli appalti verdi esprimono un criterio generale che dovrebbe orientare il settore pubblico verso l'acquisto di beni e servizi più rispettosi dell'ambiente rispetto ad altri beni o servizi ad essi fungibili (Fidone, Gli appalti verdi).

Si tratta, in buona sostanza, di strumenti giuridici intesi a promuovere la graduale integrazione degli interessi ambientali nella disciplina legislativa degli appalti pubblici (Schizzerotto, p. 967), in ossequio al c.d. principio d'integrazione delle politiche ambientali, enunciato sin dal 1992 con il Trattato di Maastricht e innalzato alla stregua di autentico principio generale delle politiche comunitarie.

Tale principio intende significare il “carattere trasversale del diritto dell'ambiente: ogni intervento normativo, ogni azione amministrativa, in qualsiasi materia, in qualsiasi settore di attività, deve sempre farsi carico del problema della tutela ambientale. L'ambiente si tutela, cioè, in ogni settore di disciplina, giacché qualsiasi attività umana può costituire una minaccia, un pericolo, un danno per l'ambiente” (Renna).

Gli ‘appalti verdi' non integrano “un particolare tipo di appalto, bensì una serie di strumenti eterogenei finalizzati a propiziare la convergenza tra l'interesse principale oggetto dell'appalto e l'interesse alla tutela dell'ambiente” (Hagi Kassim).

Essi costituiscono un esempio paradigmatico dell'evoluzione che ha caratterizzato l'ordinamento europeo negli ultimi decenni e che ha condotto ad un considerevole allargamento degli interessi oggetto di protezione, con l'estensione delle tutele ordinamentali anche ad interessi diversi rispetto a quelli meramente economici come appunto quello relativo alla tutela ambientale, che “può, a ragione, essere considerato come uno dei primi interessi ad aver incrinato il ruolo di supremazia riconosciuto al principio di concorrenza” (Viola).

Il Piano d'Azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione

A livello nazionale, la nascita del Green Public Procurement viene ricondotta alla l. n. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007), con cui il legislatore investì l'allora Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (oggi Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica) dell'onere di predisporre e di attuare un Piano d'Azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione, di concerto con i Ministeri dell'economia e dello sviluppo economico.

Sulla base della l. n. 296/2006, con decreto interministeriale 11 aprile 2008 n. 135, è stato quindi adottato il Piano d'Azione Nazionale GPP (di seguito anche “PAN GPP”), quale strumento teso a favorire la diffusione degli appalti verdi e a promuovere l'adozione di tutte le misure necessarie all'integrazione delle esigenze di sostenibilità ambientale con le procedure legate all'acquisto di beni, all'esecuzione di lavori o all'approvvigionamento dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni.

Il PAN GPP ha posto una serie di obiettivi tra cui i) la riduzione del consumo di risorse naturali, ii) la graduale sostituzione delle fonti energetiche non rinnovabili con quelle rinnovabili, iii) la riduzione della produzione di rifiuti e iv) la riduzione delle emissioni inquinanti.

In attuazione del PAN GPP, è stata poi adottata nel corso degli anni una serie di decreti ministeriali con cui sono stati individuati – con riferimento ad alcune specifiche categorie merceologiche – i c.d. criteri ambientali minimi (CAM).

I CAM hanno la funzione di individuare nominalmente gli strumenti da utilizzare nell'ambito dei singoli appalti pubblici relativi a ciascuna categoria merceologica e contengono indicazioni generali attinenti alle diverse fasi delle procedure di gara le quali, ove recepite dalle stazioni appaltanti, risultano utili a classificare un acquisto come ‘sostenibile'.

Tali criteri sono declinati alla stregua di criteri minimi di tutela: le stazioni appaltanti hanno piena facoltà di prevedere criteri più stringenti, ma non possono invece discostarsi al ribasso da tali previsioni (Cafagno, Farì).

Il PAN GPP dovrebbe essere sottoposto a revisione con cadenza almeno triennale; tuttavia, fino ad ora, la prima e unica revisione è stata operata con il decreto ministeriale 10 aprile 2013.

Una ulteriore revisione è attualmente in corso d'opera.

Gli impulsi del diritto dell'Unione europea

Lo stimolo all'adozione del PAN GPP è partito a livello comunitario e più precisamente dalla Comunicazione CON 2003-302 della Commissione Europea, tesa a sviluppare il concetto di ciclo di vita ambientale all'interno delle politiche volte ad incoraggiare i c.d. acquisti verdi da parte delle amministrazioni pubbliche.

In effetti, il cambiamento di paradigma che ha messo al centro la sostenibilità ambientale si è manifestato in primo luogo nelle politiche dell'Unione europea.

Nel contesto della “Strategia Europa 2020” è stato deciso di abbandonare il perseguimento della crescita economica tout court, in favore di una crescita economica che fosse ‘intelligente, sostenibile ed inclusiva'.

Si è quindi ritenuto di valorizzare l'uso ‘strategico' degli appalti pubblici, ossia di utilizzare la contrattualistica pubblica come ‘leva' per il perseguimento degli obiettivi individuati a livello di policy.

In quest'ottica, il principio di sviluppo sostenibile ha come contenuto il dovere e la responsabilità di coniugare due imperativi apparentemente inconciliabili quali la crescita economica secondo il modello capitalista e la protezione dell'ambiente. Esso allarga l'orizzonte temporale delle istituzioni alla difesa degli interessi delle future generazioni (Cafagno).

La giurisprudenza europea ha svolto un ruolo di primo piano nell'emersione delle istanze ambientali nella contrattualistica pubblica dell'Unione. Per prima, la sentenza Beentjes ha ammesso la legittimità di criteri di valutazione delle offerte non prettamente economici, purché non aventi l'effetto di produrre effetti discriminatori a danno dei candidati. La svolta definitiva si è poi consumata con il noto caso Concordia Bus, nel quale la Corte di Giustizia ha affermato inequivocabilmente che “anche fattori non meramente economici possono incidere sul valore di un'offerta per l'amministrazione aggiudicatrice” (Corte giust., C-513/99, 17 settembre 2002).

Del resto, la scelta di dare rilievo ad esigenze sociali e ambientali trova solido fondamento normativo nei Trattati; basti pensare all'art. 3 del TUE e agli artt. 9 e 11 del TFUE.

Su queste basi, con la Direttiva n. 2004/18/CE per la prima volta fu esplicitamente riconosciuta alle stazioni appaltanti la possibilità di considerare fattori di natura extraeconomica come quelli relativi alla tutela ambientale.

Sennonché, gli elementi di Green Public Procurement contenuti nelle direttive comunitarie del 2004, già in sé poco “coraggiosi”, furono recepiti dal previgente Codice di cui al d.lgs. n. 163/2006 in maniera asettica e soprattutto vennero declinati in chiave di facoltatività.

Un vero e proprio “scatto” sulla strada degli appalti verdi si è avuto solamente con le direttive eurounitarie del 2014, in cui i riferimenti al Green Public Procurement appaiono maggiormente penetranti ed incisivi.

La spiccata sensibilità ambientale delle nuove direttive emerge già dal Considerando n. 91 della Direttiva n. 2014/24/UE, secondo il quale “l'articolo 11TFUE impone che le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente siano integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile. La presente direttiva chiarisce in che modo le amministrazioni aggiudicatrici possono contribuire alla tutela dell'ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile, garantendo loro la possibilità di ottenere per i loro appalti il migliore rapporto qualità/prezzo”.

Proseguendo nella lettura delle disposizioni contenute nella Direttiva n. 2014/24/UE, ulteriori riferimenti alle tematiche ambientali si rinvengono relativamente ai criteri di aggiudicazione e alle condizioni di esecuzione.

In modo particolare, l'art. 67 della Direttiva n. 2014/24/UE, dopo aver chiarito al primo comma che il criterio di aggiudicazione da utilizzare in via prioritaria deve essere quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, aggiunge che l'offerta economicamente più vantaggiosa va individuata sulla base di un approccio costo-efficacia, “quale il costo del ciclo di vita conformemente all'art. 68, e può includere il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base di criteri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi all'oggetto dell'appalto pubblico in questione”.

In tale contesto, assume un rilievo centrale e fortemente innovativo il concetto di “costo del ciclo di vita” (life-cycle costing), declinato dall'art. 68 dopo essere stato introdotto dall'art. 67, in merito al quale si rinvia al commento dell'art. 105 del Codice.

La ratio di queste innovative previsioni è quella di evitare che le possibili future esternalità negative legate a un prodotto vadano a ricadere sulla collettività.

Secondo alcuni autori, tali previsioni sarebbero state connotate dall'obiettivo di disegnare “un doveroso bilanciamento tra efficienza economica e tutela ambientale” (Biancareddu – Serra).

In realtà, già con il Libro verde del 2011 “sulla modernizzazione della politica dell'UE in materia di appalti pubblici – Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti”, il legislatore eurounitario aveva messo in chiaro come la crescita economica e la tutela dell'ambiente siano tra loro complementari e non già alternativi (Fidone, Il nuovo Codice dei contratti pubblici).

Tale documento i) da un lato prospettava un'azione di ammodernamento della contrattualistica pubblica europea allo scopo di conseguire una maggiore efficienza della spesa pubblica, e ii) dall'altro lato dichiarava ‘complementari' alle esigenze di efficienza economica gli “obiettivi sociali comuni” quali “la tutela dell'ambiente”.

In tale contesto, “farsi carico in qualsiasi settore delle esigenze di tutela dell'ambiente significa considerare la tutela ambientale come parte del processo di sviluppo, non separabile da questo. Concettualmente, insomma, non può esservi alcuna disciplina di fenomeni di sviluppo che, all'interno, non abbia in qualche modo introitato la tutela ambientale, per garantire che lo sviluppo sia realizzato con equilibrio ed equità – cioè sia, appunto, “sostenibile” – in modo da non compromettere la qualità dell'ambiente e la disponibilità delle risorse naturali, la qualità della vita e le stesse possibilità di sviluppo non solo delle generazioni attuali, ma pure di quelle future” (Renna).

A margine di quanto precede, è d'obbligo notare come il legislatore italiano (pur dimostrandosi – come vedremo – molto ‘coraggioso' nell'intraprendere la strada degli appalti verdi) non sembri invero molto convinto dell'esistenza di questo rapporto di complementarità tra l'efficienza economica e la tutela ambientale, posto che all'art. 30 del d.lgs. n. 50/2016 ha previsto la possibilità di subordinare il principio di economicità ad altri criteri tra cui quelli legati alla salvaguardia dell'ambiente, come se la tutela ambientale dovesse necessariamente confliggere con il perseguimento di interessi di natura economica.

I criteri di sostenibilità energetica e ambientale nella disciplina codicistica

L'art. 57 in commento conferma la disciplina (per l'epoca) fortemente innovativa di cui al previgente Codice in relazione ai criteri di sostenibilità energetica e ambientale, con cui il legislatore italiano ha inteso attuare la disciplina eurounitaria, spingendosi a prevedere forme generalizzate di ricorso ‘obbligatorio' ai criteri ‘verdi' nelle procedure di affidamento degli appalti pubblici (Viola).

Ai sensi dell'articolo in commento, le stazioni appaltanti sono chiamate a contribuire agli obiettivi ambientali previsti dal PAN GPP “attraverso l'inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e conformemente, in riferimento all'acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari, anche a quanto specificamente previsto nell'articolo 130”.

La disposizione in esame, peraltro confermando l'impostazione già inaugurata dal legislatore italiano con il c.d. Collegato Ambientale' di cui alla l. n. 221/2015, prevede in buona sostanza che le stazioni appaltanti – nella redazione della documentazione di gara – debbano obbligatoriamente (e non già facoltativamente, come nel vigore della previgente disciplina) utilizzare i criteri ambientali minimi così come individuati nei decreti ministeriali attuativi del PAN GPP.

In linea di principio, l'applicazione dei CAM dovrebbe consentire di diffondere le tecnologie ambientali e i prodotti ecologicamente preferibili, fungendo così ‘da leva' sul mercato e inducendo gli operatori economici meno virtuosi ad adeguarsi alle nuove richieste dell'amministrazione (Viola).

Dal punto di vista dell'ambito di applicazione oggettivo, l'obbligo di utilizzo dei CAM non può che riferirsi ai soli appalti rientranti nelle categorie merceologiche per le quali i criteri ambientali minimi sono stati individuati. Con riferimento a tali appalti, i CAM dovranno essere obbligatoriamente rispettati quantomeno nella formulazione delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali, a pena di illegittimità della procedura.

Sotto il profilo dell'ambito di applicazione soggettivo, l'obbligo vale per tutti i soggetti giuridici che – a vario titolo e prescindendo dalla relativa natura pubblica o privata – siano chiamati ad affidare contratti pubblici, posto che la nozione di “stazione appaltante” ricomprende al proprio interno sia le amministrazioni aggiudicatrici, sia gli enti aggiudicatori operanti nei settori speciali, sia i soggetti aggiudicatori comunque tenuti all'osservanza delle regole dettate dal Codice.

Ai sensi del secondo comma dell'articolo in commento, “tali criteri, in particolare quelli premianti, sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l'applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'articolo 95, comma 6. Nel caso dei contratti relativi alle categorie di appalto riferite agli interventi di ristrutturazione, inclusi quelli comportanti demolizione e ricostruzione, i criteri ambientali minimi di cui al comma 1, sono tenuti in considerazione, per quanto possibile, in funzione della tipologia di intervento e della localizzazione delle opere da realizzare, sulla base di adeguati criteri definiti dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica”.

In altre parole, la norma prevede che i CAM (ed in particolare quelli declinati alla stregua di criteri premianti) siano valorizzati – tra gli altri elementi qualitativi – ai fini dell'applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

Con specifico riferimento ai contratti aventi ad oggetto interventi di ristrutturazione, tale obbligo viene parzialmente ridimensionato nella sua cogenza nella misura in cui se ne prevede l'applicazione “per quanto possibile, in funzione della tipologia di intervento e della localizzazione delle opere da realizzare”.

Il richiamo interno all'art. 108, comma 4, del Codice, esalta ancor di più il peso della tematica ambientale nel contesto della disciplina codicistica, considerato il ruolo preminente nell'ambito dei criteri di valutazione qualitativi rivestito da criteri di natura ambientale (“in particolare quelli premianti”, come precisato dal legislatore rispetto alla norma previgente), quali “il possesso di un marchio di qualità ecologica, il costo di utilizzazione e di manutenzione avuto riguardo ai consumi di energia e delle risorse naturali, nonché alle emissioni inquinanti e ai costi complessivi, inclusi quelli esterni e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici, riferiti all'intero ciclo di vita dell'opera, bene o servizio, con l'obiettivo strategico di un uso più efficiente delle risorse e di un'economia circolare che promuova ambiente e occupazione” (Viola).

Ciò posto, con riferimento al secondo comma dell'art. 57, la terminologia utilizzata dal legislatore appare alquanto elastica, nella misura in cui si impone alle stazioni appaltanti non già di “ applicare tout court i CAM, ma solo di “ tenerli in considerazione . “In disparte ogni considerazione circa l'opportunità di inserire in un testo normativo locuzioni questo tipo, di dubbia consistenza giuridica, (...) la locuzione ‘sono tenuti in considerazione', nonostante l'evidente assenza di vincolatività, non sembra potersi ridurre all'introduzione di una mera facoltà in capo alle stazione appaltante” (Cafagno, Farì); in tal guisa, sembra potersi rinvenire – in capo alla stazione appaltante – quantomeno un obbligo di motivazione ogni qualvolta scelga di non fare uso dei CAM, sul modello del “comply or explain”.

Le disposizioni di cui al secondo comma dell'art. 57 – così come quelle relative al primo comma – trovano applicazione indipendentemente dall'importo dell'affidamento.

Bibliografia

Biancareddu, Serra, Gli appalti verdi: la soddisfazione di interessi ambientali attraverso le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, in Giurisd. amm., nn. 7-8, 2014; Cafagno, Princìpi e strumenti di tutela dell'ambiente come sistema complesso, adattivo, comune, Torino, 2007; Cafagno, Farì, I princìpi e il complesso ruolo dell'amministrazione nella disciplina dei contratti per il perseguimento degli interessi pubblici, in Clarich (a cura di), Commentario al Codice dei Contratti Pubblici, Torino, 2019; Caringella, Protto, Il Codice dei contratti pubblici dopo il correttivo, Roma, 2017; Fidone, Gli appalti verdi all'alba delle nuove direttive: verso modelli più flessibili orientati a scelte eco-efficienti, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2012; Fidone, Il nuovo Codice dei contratti pubblici, in Clarich (a cura di), Commentario al Codice dei Contratti Pubblici, Torino, 2019; Giustiniani, Commento all'art. 34, in Caringella (a cura di), Il Codice dei contratti pubblici, Milano, 2021; Giustiniani, Commento all'art. 50, in Caringella (a cura di), Il Codice dei contratti pubblici, Milano, 2021; Hagi Kassim, I criteri di sostenibilità energetica e ambientale negli appalti pubblici. L'emersione dell'istituto degli “appalti verdi” nel panorama europeo e nazionale, in italiappalti.it., 14 febbraio 2017; Renna, I principi in materia di tutela dell'ambiente, in Rivista quadrimestrale di diritto dell'ambiente, 1-2, Torino, 2012; Schizzerotto, I principali provvedimenti europei ed italiani in materia di Green Public Procurement, in Rivista Giuridica dell'Ambiente, 6, 2004; Villamena, Codice dei contratti pubblici. Nuovo lessico ambientale, clausole ecologiche, sostenibilità, economicità, in Riv. giur. edil., 3, 2017; Viola, La sostenibilità energetica e ambientale nei contratti pubblici, in Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021.

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