Rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare: è lecita anche per motivi egoistici
28 Agosto 2025
Nel corso di due differenti vicende giudiziali, due proprietari di terreni e di immobili, tramite atto notarile, rinunciavano alle rispettive proprietà. Il Ministero competente e l'Agenzia del demanio avviavano un procedimento di nullità dell'atto di rinuncia e il giudice di primo grado, ritenendo che la questione fosse suscettibile di ripresentarsi in numerosi giudizi successivi, ravvisava la sussistenza delle condizioni per disporre il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Cassazione, affinchè risolvesse le questioni di diritto attinenti «l'ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà su beni immobili» e «l'eventuale indicazione del perimetro del sindacato giudiziale sull'atto». Secondo un primo orientamento (favorevole), la rinuncia abdicativa alla proprietà darebbe luogo ad un negozio giuridico unilaterale, non recettizio, né traslativo, con effetti soltanto indiretti sui terzi. Altro orientamento (contrario), invece, ritiene che i beni immobili, a differenza delle cose mobili, non possano essere di proprietà di alcuno, negando, in particolare, l'ammissibilità generale dell'istituto e ritenendo nulle tutte le rinunce “egoistiche”. A seguito del contrasto in esame, le Sezioni Unite sono giunte alle seguenti argomentazioni. Secondo la Corte di legittimità, gli unici interessi e intenti che hanno rilievo giuridico sono quelli dell'autore della dichiarazione di rinuncia. Difatti, la rinuncia trova causa in sé stessa e non produce un vincolo contrattuale: si tratta di una forma attuativa del potere di disposizione del proprietario che non è soggetta dalla legge ad alcun espresso limite di scopo. L'unilateralità e la non recettizietà dell'atto di rinuncia sono conseguenze dell'interesse individuale che essa realizza con la dichiarazione del titolare del diritto soggettivo diretta unicamente a dismettere il medesimo. È necessario, tuttavia, che tale dichiarazione sia manifestata nel mondo esterno perché produca il suo effetto, mediante atto pubblico o scrittura privata e che sia trascritta per essere opponibile a terzi. Effetto essenziale della rinuncia è la dismissione del diritto dalla sfera giuridica del titolare. Non nell'atto di rinuncia, ma nell'effetto riflesso essenziale che esso provoca, trova poi causa l'art. 827 c.c. in base al quale «i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato». Difatti, lo Stato diventa proprietario dopo che è venuta meno la precedente relazione di attribuzione tra il soggetto e la situazione giuridica di proprietà; sicché, l'acquisizione al patrimonio disponibile dello Stato trova, perciò, il proprio titolo costitutivo nella vacanza e non nella rinuncia. Le Sezioni Unite non condividono, inoltre, i dubbi sull'atipicità dell'atto di rinuncia alla proprietà immobiliare, in quanto, l'interesse del proprietario discende dalla natura reale del diritto e dalla intrinseca patrimonialità del suo oggetto. La rinuncia potrebbe rivelarsi, di caso in caso, «atto inutile o dannoso» soltanto se volta a perseguire esclusivamente un interesse insuscettibile di valutazione economica rispetto alla res, e quindi di per sé estraneo all'esercizio della proprietà. Tuttavia, come indicato nel provvedimento in commento, ammessa la rinuncia abdicativa alla proprietà come modalità di attuazione dei poteri dominicali di utilizzazione e di scelta della destinazione del bene, le categorie degli atti emulativi e dell'abuso del diritto non possono ergersi a limiti della stessa per la tutela di interessi altrui o per la salvaguardia di scopi generali di varia natura. Non può comprendersi tra i possibili margini di intervento del giudice un rilievo di nullità virtuale per contrasto con il precetto dell'art. 42, comma 2, Cost., in caso di esercizio del potere di disposizione patrimoniale del proprietario diretto alla perdita del diritto. Pertanto, il problema deve essere incentrato sulla verifica della «meritevolezza e/o illiceità della causa» dell'atto di rinuncia alla proprietà immobiliare, o della «illiceità del motivo», o della «frode alla legge», o della «nullità per contrasto col divieto di abuso del diritto». Ad esempio, la rinuncia alla proprietà immobiliare animata dal fine egoistico di accollare allo Stato le spese e i danni dei fondi in dissesto idrogeologico, inquinati o inutilizzabili, «dovrebbe dirsi contraria ad una norma imperativa», oppure «il mezzo per frodare l'applicazione di una siffatta norma, o ispirata da un motivo illecito determinante obiettivizzato nell'atto abdicativo». Difatti, quello che la rinuncia esprime è il disinteresse (negativo) a mantenere la titolarità del bene, mentre l'ipotizzato abuso abdicativo supporrebbe un esercizio della facoltà proprietaria diretto a concretizzare un interesse (positivo) diverso da quello che ne giustifica il riconoscimento e a raggiungere un risultato economico non meritato. In conclusione, l'esercizio antisociale della proprietà rimane soggetto al controllo giudiziale con riguardo a quei concreti comportamenti proprietari che sacrificano le ragioni dei terzi e che vengono perciò valutati secondo i canoni della responsabilità civile. Alla luce delle considerazioni innanzi esposte le Sezioni Unite hanno espresso i seguenti princìpi di diritto:
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