Revirement della Cassazione: le tabelle di Milano non hanno valore normativo

Ludovico Berti
16 Settembre 2025

La Suprema Corte, con la pronuncia Cass. Civ. n. 24349 dello scorso 2 settembre, ha escluso l'obbligatorietà delle tabelle del Tribunale di Milano ( e di qualunque altro Foro) per la liquidazione dei danni non patrimoniali. Da diversi anni le tabelle milanesi sono state il principale riferimento per assicurare uguaglianza, equità e certezza nelle liquidazioni; la preoccupazione è che la disapplicazione di tali criteri possa condurre a una frammentazione delle decisioni, a un aumento dell'arbitrio giudiziale e a un incremento del contenzioso. Con il presente contributo l'Autore sottolinea, pertanto, l'urgenza di un intervento legislativo che colmi il vuoto normativo e riporti uniformità e certezza nel sistema risarcitorio.

Massima

È del tutto evidente - nonostante una giurisprudenza l'abbia affermato, ma senza alcuna oggettiva base, suscitando da ultimo un intervento specifico del legislatore che non poteva essere supplito - che le c.d. tabelle milanesi, come quelle di qualunque altro Foro, non hanno alcun valore normativo, non provenendo da un soggetto dotato di potestà legislativa e/o regolamentare.

Si tratta, in effetti, di una mera proposta di usualità equiparativa, che può senz'altro ispirare nel caso concreto la valutazione che il giudice è tenuto a effettuare nell'ottica di equità quando non esistono regole normative specifiche di quantificazione; e il giudice non è però obbligato ad applicare siffatte tabelle né tantomeno, se decide di applicarle, ad applicarle in toto, integrando queste, appunto, solo uno degli strumenti potenzialmente utili per operare un'adeguata valutazione di merito del quantum risarcitorio.

Il caso

La Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Varese, ha condannato la società appallata a risarcire €. 10.000, oltre accessori, a titolo di danno da diffamazione. La soccombente è ricorsa per cassazione, sostenendo ex art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., la violazione degli artt. 1226,2043,2056 e 2059 c.c. e delle tabelle di Milano, lamentando che la Corte di merito abbia errato nel liquidare l'importo massimo previsto dalla tabella di Milano per le diffamazioni di “tenute gravità” (forbice da €. 1000 ad €. 10.000), “senza dar conto…dell'effettivo riscontro degli elementi di fatto riferibili” alla tabella ed omettendo, quindi, di compiere un “ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze” indicate nella stessa.

La questione

Le tabelle di Milano hanno valore (para)normativo e comunque costituiscono un criterio al quale il giudice deve attenersi?

Le soluzioni giuridiche

Enunciando la massima sopra riportata la Suprema Corte di Cassazione è tornata sui suoi passi e, rigettando il ricorso, ha negato che i criteri tabellari (di qualunque foro) possano essere in qualche modo vincolanti per il giudicante.

Con mezza facciata di motivazione la SC distrugge 15 anni di certezze sulla base delle seguenti considerazioni:

  1. la giurisprudenza (prima fra tutte la notissima sentenza “Amatucci” della terza sezione della Cassazione n. 12408 del 7.06.2011) che ha affermato il valore (para)normativo della tabella di Milano in quanto atta, in assenza di parametri di legge, a garantire un equa ed uniforme riparazione dei danni in tutto il territorio nazionale e che deve, pertanto, ritenersi vincolante “potendo il giudice e l'interprete discostarsene solo con esplicita, adeguata, esaustiva motivazione imposta dagli elementi e dalle circostanze del singolo caso” è errata perché non fondata su alcuna base oggettiva;
  2. le cd. tabelle di Milano, come quelle di qualunque altro foro, non hanno alcun valore normativo, non provenendo da un soggetto dotato di potestà legislativa e/o regolamentare;
  3. tali tabelle hanno tuttavia suscitato un intervento del Legislatore – “che non poteva essere supplito” dai diversi Tribunali – oggi sfociato con la TUN;
  4. tali tabelle, rappresentano una “mera proposta di usualità equiparativa” che “può senz'altro ispirare” la valutazione equitativa del giudice quando non vi siano specifiche regole normative di quantificazione;
  5. il giudice non è obbligato ad applicare tali tabelle né ad applicarle integralmente, costituendo queste, “solo uno degli strumenti potenzialmente utili per operare un'adeguata valutazione del quantum risarcitorio”.

Sulla base di tali argomentazioni e della censura sostanzialmente fattuale circa l'importo riconosciuto dalla Corte di Appello, la SC ha disatteso il motivo di ricorso.

Osservazioni

I principi che la Corte ha affermato in un obiter inserito in appena mezza pagina di motivazione non possono che destar preoccupazione agli operatori del diritto.

Non possiamo non ricordare che fu proprio la necessità – da tutti condivisa – di garantire uguaglianza, certezza ed equità nelle liquidazioni, spesso disomogenee nel territorio nazionale, a condurre, nel 2011, la Terza Sezione a rendere i criteri tabellari proposti dal Tribunale di Milano sostanzialmente vincolanti.

Si spiegava al tempo che senza un punto fermo in tema di criteri liquidativi, si genera – inevitabilmente – un incremento della litigiosità e del contenzioso, oltre ad un'inaccettabile causalità delle aspettative e delle risultanze risarcitorie, a tutto discapito anche della necessaria cd. morigeratezza processuale.

La tabella di Milano veniva quindi preferita perché, essendo la più diffusa nel territorio nazionale, era maggiormente idonea a garantire l'uniformità delle liquidazioni.

Ecco che dal 2011 (ma in realtà anche da prima), a parte la breve parentesi di primato della tabella romana sul danno parentale terminato con l'adeguamento della tabella di Milano ai criteri a punti sanciti dalla Cassazione (v. Cass. n. 10579 del 21.04.2021), i parametri meneghini sono stati il riferimento per la liquidazione di tutti i danni non patrimoniali e, quindi, non solo del danno da lesione del diritto alla salute, garantendo in tal modo il rispetto dei principi di uguaglianza, equità e certezza delle liquidazioni.

Ora, se è pur vero che con la TUN la stragrande maggioranza delle lesioni alla salute che danno diritto al risarcimento del danno biologico permanente e temporaneo – ovverosia tutte quelle conseguenti ad errori medici ed incidenti stradali – sono state sottratte alla tabella meneghina che dovrebbe continuare ad applicarsi negli altri pochi casi (es. danno da cosa in custodia, ecc.), va sottolineato come la stessa tabella continui ad essere di fatto il principale punto di riferimento nella liquidazione nei tantissimi casi di danni parentali (v. Cass. n. 37009 del 16.12.2022) e, sostanzialmente, per tutti i danni non oggetto di regolazione normativa.

La preoccupazione sta, quindi, nel fatto che la SC screditando i criteri esistenti in un momento in cui non ne esistono di normativi, rischia di riportare l'interprete indietro di 20 anni e di lasciare tali liquidazioni in balia del mero arbitrio con aumento delle litigiosità fra chi pretende più e chi, invece, vuole pagare meno di quanto proposto dalle tabelle, in spregio della tanto ricercata uguaglianza, equità e certezza delle liquidazioni.

Vogliamo tuttavia sperare che da oggi i tribunali italiani non si avventureranno in liquidazioni completamente slegate dai parametri che da sempre li guidano nei calcoli dei risarcimenti, ben potendosi confidare che – fintanto che non ci saranno parametri di Legge – il riferimento rimarrà sempre quello tabellare, pur nella nuova consapevolezza che, se un giudice dovesse decidere di discostarsene motivando la scelta di un diverso criterio di liquidazione, nessuno gli potrebbe dire nulla!

Ciò che cambia è che, mentre prima la disapplicazione poteva configurare, in taluni casi, addirittura una violazione di legge ricorribile in cassazione, oggi tale possibilità appare preclusa.

Si auspica, però, che un discostamento dai criteri tabellari possa ragionevolmente ammettersi, come è avvenuto fino ad oggi, solo in casi eccezionali e tenuto conto della specificità del caso concreto.

A ben vedere, infatti, anche se oggi la SC ha espressamente escluso l'applicazione obbligatoria delle tabelle, è pur vero che neppure la sentenza “Amatucci”, così come la giurisprudenza successiva, abbia mai inteso di impedire al giudice di discostarsi dai criteri tabellari, concedendogli sempre la possibilità, seppur con adeguata motivazione e tenuto conto delle circostanze e degli elementi del caso concreto, di utilizzare criteri diversi o di applicarli, ma modulandoli, sempre secondo le circostanze del caso concreto.

Ricordiamo, ad esempio, come il discostamento dai criteri tabellari sia stato ammesso in casi in cui “la fattispecie fuoriesca ictu oculi dallo schema standardizzato” (Cass. civ., 11.11.2019, n. 28988) o quando “sussistano ipotesi pregiudizievoli non contemplate dalle tabelle”, (Cass. civ., 26.06.2020, n. 12913) oppure “quando risultino allegate e provate situazioni di fatto che si discostino effettivamente da quelle ordinarie” (Cass. civ., sez. III, 14.06.2011, n. 12953) o, infine, “in presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto” (Cass. civ. sez. III, 23.02.2016, n. 3505).

Possiamo quindi ben sperare che, nonostante l'apparente dirompenza dell'obiter, il criterio tabellare continuerà a rappresentare comunque la soluzione “equiparativa” che derivando dal confronto di numerosissime decisioni, “può senz'altro ispirare” il giudice nella sua valutazione equitativa, dalla quale ci si può legittimamente discostare solo in presenza di circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l'entità, poiché, altrimenti ragionando, non si avrebbe altra soluzione che, quella – inconcepibile - di ammettere decisioni fondate sul mero arbitrio.       

Conclusioni

Il quadro che emergerebbe da una prima frettolosa lettura e da un ottuso rispetto del principio affermato dalla SC non è voluto da nessuno e pertanto l'auspicio è quello che la Terza Sezione abbia inteso, ancora una volta, suscitare un intervento del Legislatore – che, come sostiene, non può essere “supplito” dai tribunali - volto ad occuparsi, una volta per tutte, dei criteri risarcitori necessari a ristorare ogni ipotesi di danno. 

Un intento, se è corretta questa lettura, certamente da accogliere con plauso ma considerata l'assenza in atto di qualsiasi proposta in tal senso e dei tempi che, ad esempio, ci sono voluti per normativizzare i criteri per il risarcimento del danno alla salute, va perseguito senza tuttavia minare la tenuta di quel poco di certo che i tribunali, nell'assenza del Legislatore, con dedizione ed impegno, sono stati costretti a fare per supplirne le carenze.

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