Non è possibile mettere in esecuzione le sentenze tributarie (esecutive) non definitive

19 Settembre 2025

Con la sentenza n. 6182/2025 la Corte Siciliana di 2° grado ha statuito che il rimedio di ottemperanza ex art. 70 D.Lgs 546/1992, non è applicabile alle sentenze tributarie non ancora passate in giudicato.

Massima

In difetto di un requisito espressamente previsto dalla norma (“passaggio in giudicato” della sentenza ottemperanda) il ricorso deve ritenersi inammissibile.

Il caso

A fronte dell'inadempimento di un Comune, il difensore del contribuente, quale distrattario delle spese legali, depositava ricorso per ottemperanza innanzi la Corte di Giustizia Tributaria della Sicilia, Palermo.

Il difensore in questione, specificava che la sentenza rimasta ineseguita non era definitiva, stante l'impugnazione innanzi la Suprema Corte.

In atto introduttivo il difensore sottolineava la provvisoria ed immediata esecutività delle sentenze tributarie, atteso che il rimedio ex art. 70 D.Lgs 546/1992 poteva essere esperito, anche, nelle ipotesi di sentenze non definitive, per il combinato disposto degli artt. 67, 67-bis, 68 e 69 del D.Lgs. 546/1992 (v. Cass. 7574/2024, Cass. 11908/2022, Cass. 11286/2022 e CTR Valle d'Aosta Aosta, Sez. 2, Sentenza, 16/10/2019, n. 12, ma anche Circ. Ag. Entrate n. 38/E/2015 p. 86).

Richiedeva, di conseguenza, la nomina di un commissario ad acta per dare esecuzione al dispositivo giudiziale. Il Comune resistente non si costituiva; non contestava il debito ed attribuiva il ritardo alla mancata approvazione del Bilancio di previsione 2025/2027. Alla Pubblica udienza di discussione il ricorrente insisteva nei propri scritti difensivi. Tale ricorso era dichiarato non ammissibile dalla Corte di Giustizia di 2° grado della Sicilia. A detta del Giudice siciliano, la non definitività della pronunzia da ottemperare è ostativa all'utilizzo del rimedio previsto dal codice di rito tributario.

La questione

La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire se la non definitività di una sentenza tributaria - provvisoriamente ed immediatamente esecutivo - sia ostativa al rimedio di ottemperanza, ex art. 70 D.Lgs 546/1992.

La soluzione giuridica

Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituiti coinvolti nel caso in commento.

L'ottemperanza è l'unico mezzo di tutela del contribuente a fronte della sentenza tributaria rimasta ineseguita, non essendo oggi possibile l'espropriazione forzata (v. art. 70 del D.Lgs. 546/92).

L'azione di ottemperanza non è soggetta ad alcuna decadenza, ma all'ordinaria prescrizione decennale ex art. 2953 c.c. (se il ricorso non è accolto per ragioni di rito può essere rinotificato).

Il ricorso va notificato all'ente impositore che non ha ottemperato e/o all'Agente della riscossione.

Il contribuente deve possedere una sentenza, anche non passata in giudicato, che comporti la condanna al pagamento di somme di denaro, aver notificato la sentenza ai sensi dell'art. 68 del D.Lgs. 546/92, e non aver ricevuto quindi le somme entro i novanta giorni (v. Circ. Agenzia delle Entrate 29.12.2015 n. 38 § 1.15.1).

Se l'ottemperanza è chiesta ai sensi degli artt. 68 e 69 del DLgs. 546/92, essendo previsto un termine per l'adempimento (i 90 giorni dalla notifica della sentenza), la messa in mora non è necessaria (v. Circ. Agenzia delle Entrate 29.12.2015 n. 38 § 1.15.4). Il ricorso deve contenere i requisiti dell'art. 18 del D.Lgs. 546/92, tra i quali è necessario esporre, sinteticamente, l'andamento del processo, nonché indicare la sentenza di cui si chiede l'ottemperanza. Deve essere intestato al Presidente della Corte di primo o secondo grado e il difensore deve essere munito di procura, salvo questa comprendesse già tale azione.

Il ricorso va depositato in segreteria che lo comunicherà alla controparte.

Va allegata la sentenza inottemperata e l'atto di messa in mora (in originale o in copia autentica). È dovuto il contributo unificato (circ. Min. Economia e Finanze 21.9.2011 n. 1) parametrato al valore ella lite.

Notificato il ricorso a cura della segreteria, entro venti giorni dalla comunicazione, la parte pubblica può trasmettere memorie, documentando l'eventuale adempimento.

Scaduto tale termine, il Presidente della Corte assegna il ricorso alla sezione che ha emesso la sentenza inottemperata (l'assegnazione ad una sezione diversa non dà luogo a nullità, v. Cass. 24.10.2008 n. 25669; contra, Cass. 30.10.2023 n. 30019).

Decorso tale termine il Presidente della sezione fissa la data di udienza e ne dà comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.

Il Collegio, sentite le parti e acquisita la documentazione necessaria, adotta con sentenza i provvedimenti necessari all'attuazione della sentenza, tra cui la nomina di un commissario ad acta.

Una volta eseguita la sentenza, il Collegio dichiara chiuso il procedimento con ordinanza.

Seguiva declaratoria di inammissibilità del ricorso.

A detta dello scrivente la sentenza in parola, oltre ad aver risvolti particolarmente preoccupanti per i contribuenti, crea una reale lacuna di rimedi, tutele e non merita condivisione.

Difatti, la questione della mancata formazione del giudicato è implicitamente sanata dagli artt. 68 e 69 del D. Lgs. 546/92, i quali stabiliscono che la competenza spetta “alla corte di giustizia tributaria di primo grado ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla corte di giustizia tributaria di secondo grado”.

Va ipotizzato dunque che, nel momento in cui è stato presentato appello, il giudice dell'ottemperanza non potrà che essere la Corte di secondo grado.

Ciò significa che il rimedio di ottemperanza è pacificamente applicabile anche in casi di sentenze non definitive.

Tale tesi ha già trovato avallo sia in giurisprudenza (v. Cass. 7574/2024, Cass. 11908/2022, Cass. 11286/2022 e CTR Valle d'Aosta Aosta, Sez. 2, Sentenza, 16/10/2019, n. 12), sia nella prassi amministrativa (v. Circ. Ag. Entrate n. 38/E/2015 p. 86).

Di recente la Suprema Corte ha stabilito che in tema di spese di lite nel processo tributario, se il pagamento in favore del contribuente, o del difensore antistatario, non è eseguito spontaneamente dall'Amministrazione nel termine di novanta giorni dalla notifica della sentenza, ai sensi dell'art. 38 del D.Lgs. n. 546 del 1992, le somme dovute a tale titolo possono essere richieste con il giudizio di ottemperanza, senza necessita di formale costituzione in mora e senza dover attendere il passaggio in giudicato della sentenza che ha dato luogo al titolo di pagamento (v. Cass. 3097/2024 e Cass. 11286/2022).

Tale indirizzo è stato ribadito in un recente giudizio di ottemperanza, definito con sentenza CGT di 1° Trapani 758/2025, depositata in data 01.09.2025.

Ma non basta!

A seguire il principio elaborato dalla sentenza in commento, se non fosse attivabile l'ottemperanza, a meno che non si voglia privare le sentenze tributarie di esecutività provvisoria ed immediata, l'unico rimedio esperibile a fronte della inerzia amministrativa, sarebbe l'esecuzione civile.

Ora, come risaputo, a margine della introduzione del D.Lgs. n. 156/2015, è stata soppressa la parte che consentiva, in presenza di condanna al pagamento di somme dell'Amministrazione finanziaria o dell'ente impositore, la possibilità del contribuente di attivare il processo di esecuzione forzata.

In questo senso, diviene ancor più chiara la scelta del legislatore di sottrarre al giudice ordinario la giurisdizione in merito all'esecuzione delle sentenze emesse dal giudice tributario, concentrando nel solo giudizio di ottemperanza lo strumento di tutela giurisdizionale in fase esecutiva.

Ne consegue che la non ammissibilità del ricorso all'azione civile ex D.Lgs 156/2015, cui va aggiunto la sentenza in commento CGT Sicilia 6182/2025 che esclude il rimedio ex art. 70 D.lgs 546/1992 per sentenze non ancora definitive, comporta, come naturale conseguenza, il principio di diritto secondo cui le sentenze tributarie non definitive, non sono passibili di esecuzione.

Tesi assolutamente non plausibile, in quanto in aperto contrasto con gli artt. 67,67-bis 68 e 69 del D. Lgs. 546/1992, con la riforma del 2015 e con la parità delle parti processuali.

Ancora, oltre alla errata valorizzazione della non definitività della pronunzia da ottemperare il secondo Giudice, dichiarando la non ammissibilità del ricorso è, anche, incorso nella errata applicazione dell'art. 18 D.Lgs. 546/1992, quale tassativa elencazione delle cause di inammissibilità del ricorso tributario, in combinato disposto con l'art. 70 D.Lgs. 546/1992.

In nessun punto del citato art. 18 è presente la non definitività del provvedimento giudiziale, come motivo di inammissibilità del rimedio ex art. 70.

La decisione in commento, infatti, non si pone certamente in linea con l'orientamento ella Cassazione (v. Cass. 22106/2016, Cass. 24669/2015 e Cass. 27494/2014), secondo la quale le previsioni di inammissibilità del ricorso devono essere interpretate per il loro rigore in senso restrittivo, in quanto incidono sul diritto di difesa.

In particolare la sanzione dell'inammissibilità deve essere limitata ai soli casi nei quali il rigore estremo è davvero giustificato, in conformità con quanto ritenuto dalla Consulta secondo cui le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità (v. Corte Cost. 189/2000 e 520/2002).

Osservazioni

A fronte di tale pronunzia è assolutamente legittimo il ricorso per Cassazione per violazioni del procedimento (art. 70 co. 10 del DLgs. 546/92) e per violazione di legge, incluso il vizio di motivazione della sentenza (v. Cass. 30.5.2008 n. 14534), con naturali aggravi di costi ed oneri per i contribuenti rimasti privi di strumenti di tutela ed in balia della inerzia amministrativa (non sanzionata dal Giudice tributario siciliano).

Ad ogni modo, attesa la reiezione del ricorso per ragioni di rito, detto rimedio potrà essere rinotificato.

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