L’eccezione di compensazione e l’efficacia di giudicato della relativa decisione

18 Settembre 2025

La questione controversa oggetto del giudizio di appello e poi di quello dinanzi alla Corte di cassazione riguardava essenzialmente la portata da attribuire alla sentenza emessa a definizione di precedente contenzioso tra le parti, avente ad oggetto il medesimo contratto di locazione, ma mensilità diverse di morosità.

Massima

L'art. 35 c.p.c., sebbene dettato nel quadro della disciplina delle modificazioni della competenza per ragioni di connessione, assume rilievo decisivo per evidenziare il particolare regime che, ai fini del formarsi della cosa giudicata, presenta la c.d. eccezione di compensazione: emerge, infatti, dalla disciplina della norma che, quando venga dedotto dal convenuto un credito in compensazione ed esso sia incontestato dall'attore, la sua rilevanza rimane ferma sul piano dell'eccezione e, quindi, se un controcredito venga accertato dal giudice lo è solo come fatto estintivo del credito oggetto della domanda principale e non quale fatto costitutivo di un diverso diritto fatto valere. Qualora, invece, il controcredito venga contestato dall'attore quanto ai fatti costitutivi dedotti per evidenziarne l'esistenza, si deve ritenere, per effetto della contestazione, che esso divenga sempre oggetto di domanda di accertamento circa detta esistenza con efficacia di cosa giudicata, anche per quanto riguarda l'eccedenza rispetto alla somma in relazione alla quale è stato accertato l'effetto compensativo e ciò pur in assenza di petitum condannatorio riguardante l'eccedenza medesima.

Il caso

La Alfa S.r.l. intimava alla Beta S.r.l. sfratto per morosità, convenendola contestualmente dinanzi al Tribunale di Pesaro per la convalida. La conduttrice contestava, in particolare, la stessa esistenza della morosità, asserendo di aver corrisposto ingenti somme "in nero" di ammontare ben superiore al canone pattuito. Disposto il mutamento del rito per la prosecuzione del giudizio a cognizione piena, la medesima conduttrice spiegava domanda riconvenzionale per il pagamento della somma di euro 525.226,56, quale eccedenza residuante all'esito della compensazione tra il credito per canoni scaduti e il maggior importo versato "in nero", nonché dell'importo di euro 14.187,60 a titolo di indennità per la perdita dell'avviamento commerciale. Il procedimento veniva, quindi, sospeso per la pendenza di un procedimento penale a carico del legale rappresentante della società conduttrice, avente ad oggetto l'accusa di falsificazione di talune quietanze di pagamento aventi ad oggetto il medesimo contratto di locazione oggetto del processo civile. Malgrado l'esito condannatorio del primo grado, il processo penale si concludeva con l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non era più previsto dalla legge come reato a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 7/2016. Riassunto il processo civile, il Tribunale di Pesaro, con sentenza n. 348/2020, dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di risoluzione del contratto - per essere stato l'immobile nel frattempo rilasciato spontaneamente - e rigettava le domande riconvenzionali proposte dalla società Beta, portate avanti dalla curatela a seguito di intervenuto fallimento. Avverso la predetta pronuncia, la curatela del Fallimento della Beta S.r.l. interponeva appello, rigettato dalla Corte d'appello di Ancona. La medesima curatela proponeva, quindi, ricorso per cassazione, a cui resisteva la Alfa S.r.l.

La questione

La questione controversa oggetto del giudizio di appello e poi di quello dinanzi alla Corte di cassazione riguardava essenzialmente laportata da attribuire alla sentenza emessa a definizione di precedente contenzioso tra le parti, avente ad oggetto il medesimo contratto di locazione, ma mensilità diverse di morosità. Anche nel più risalente procedimento, infatti, la conduttrice aveva dedotto di aver versato maggiori somme “in nero”, limitandosi, tuttavia, ad una mera eccezione riconvenzionale, non accompagnata da domanda di condanna della controparte al versamento delle maggiori somme incassate. Il giudice di merito aveva, quindi, escluso che l'accertamento contenuto nella precedente sentenza – che aveva accertato pagamenti "in nero" effettuati dalla conduttrice in aggiunta a quelli previsti dal contratto, sia pure ai soli fini della compensazione con la morosità dedotta dalla locatrice – potesse avere efficacia di giudicato rispetto ad un giudizio di risoluzione contrattuale afferente lo stesso rapporto contrattuale, ma periodi diversi di asserita morosità.

Le soluzioni giuridiche

La conclusione era, tuttavia, giudicata errata, in diritto, dalla Suprema Corte, la quale riteneva che il giudice di merito avesse fatto malgoverno dei principi ricavabili dall'art. 35 c.p.c. in punto di efficacia di giudicato della sentenza che decida sull'eccezione di compensazione sollevata dal convenuto.

Osservano, infatti, i giudici di legittimità che la norma dell'art. 35 c.p.c., sebbene dettata nel quadro della disciplina delle modificazioni della competenza per ragioni di connessione, assume rilievo decisivo per evidenziare il particolare regime che, ai fini del formarsi della cosa giudicata, presenta la c.d. eccezione di compensazione, in particolare nell'ipotesi in cui venga dedotto un controcredito eccedente la somma pretesa dall'attore. Ciò in quanto emerge dalla disciplina della norma che, qualora venga dedotto un credito in compensazione ed esso sia incontestato dall'attore, la rilevanza di esso rimane ferma sul piano dell'eccezione e, quindi, se un controcredito venga accertato dal giudice, lo è solo come fatto estintivo del credito oggetto della domanda principale e non quale fatto costitutivo di un diverso diritto fatto valere. Ne consegue che se il controcredito sia maggiore di quello oggetto della domanda principale, non si forma accertamento su quella fattispecie costitutiva e, dunque, giudicato sull'eccedenza.

Qualora, invece, il controcredito venga contestato dall'attore quanto ai fatti costitutivi dedotti dalla controparte per evidenziarne l'esistenza, si deve ritenere che, per effetto della contestazione, esso divenga sempre oggetto di domanda di accertamento circa detta esistenza e, quindi, di decisione con efficacia di cosa giudicata, indipendentemente dal fatto che l'eccedenza venga fatta o meno oggetto di domanda condannatoria da parte dell'eccipiente. La contestazione, infatti, secondo la pronuncia in commento, comporta necessariamente un accertamento ai fini della risoluzione del contrasto tra le parti, sicché, dovendo il giudice accertare il controcredito opposto dal convenuto (e contestato, appunto, dall'attore) quell'accertamento avrà efficacia di giudicato rispetto al controcredito nella sua interezza - non, quindi, sulla sola somma rispetto alla quale sia stato accertato l'effetto compensativo – a prescindere che sia formulato (o meno) un petitum di condanna per l'eccedenza.

Poiché, pertanto, nel primo giudizio tra le parti, il Tribunale di Pesaro, con sentenza n. 374/2012, aveva rigettato la domanda di risoluzione del contratto proposto dalla locatrice accertando dei pagamenti "in nero" effettuati dalla conduttrice in aggiunta a quelli previsti dal contratto, quell'accertamento, fatto a fronte della contestazione della locatrice, doveva intendersi munito di efficacia di cosa giudicata quanto ai relativi fatti costitutivi, malgrado fosse mancata, in quella sede, una domanda riconvenzionale finalizzata all'ottenimento delle maggiori somme corrisposte.

La sentenza impugnata era, su tale assunto, annullata con rinvio alla Corte d'appello di Ancona, affinché quest'ultima considerasse formatosi il giudicato sull'intero controcredito a suo tempo fatto valere nel giudizio deciso con la sentenza n. 374/2012 del Tribunale di Pesaro.

Osservazioni

Ai sensi dell'art. 35 c.p.c. “quando è opposto in compensazione un credito che è contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adito, questi, se la domanda è fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile, può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per la decisione relativa all'eccezione di compensazione subordinando, quando occorre, l'esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione,  altrimenti provvede a norma dell'articolo precedente” (rimettendo, quindi, l'intero processo al giudice superiore). Dalla norma predetta discende che gli effetti processuali dell'eccezione di compensazione dipendono strettamente dalla contestazione del controcredito opposto dal convenuto da parte dell'attore. Qualora, infatti, il controcredito sia contestato, e il suo valore ecceda la competenza del giudice adito, quest'ultimo deve rimettere l'intera controversia al giudice superiore (ai fini di un accertamento contestuale di entrambi i crediti), salva la facoltà di rimettere al giudice superiore la decisione sulla sola eccezione di compensazione qualora la domanda principale sia fondata su titolo non contestato o facilmente accertabile (caso in cui si giungerà a una condanna con riserva dell'eventuale accertamento del controcredito eccepito in compensazione). Il rilievo che l'art. 35 c.p.c. attribuisce alla contestazione del credito opposto in compensazione a fini competenza è esteso dalla pronuncia in commento anche all'efficacia di giudicato esterno della sentenza che decide sull'eccezione di compensazione. Osserva, infatti, la Suprema Corte che, qualora venga dedotto un credito in compensazione ed esso sia incontestato dall'attore, la rilevanza della deduzione deve intendersi confinata sul piano dell'eccezione, sicché l'accertamento del controcredito – quale fatto estintivo del credito oggetto della domanda principale e non quale fatto costitutivo di un diverso diritto fatto valere – non può considerarsi esteso all'eventuale eccedenza del credito oggetto della domanda principale, anche ai fini dell'applicazione dell'art. 2909 c.c., rimanendo, appunto, l'accertamento limitato al credito oggetto della domanda principale e alla sua esistenza. In presenza, di contro, di contestazione da parte dell'attore, l'eccezione di compensazione diviene di fatto, secondo quanto esposto nella pronuncia in commento, domanda riconvenzionale di accertamento del controcredito, con la conseguenza che, qualora quest'ultimo sia maggiore di quello oggetto della domanda principale, l'accertamento posto in essere dal giudice di merito, riguardando l'an e il quantum del controcredito della sua interezza, spiegherà efficacia di giudicato esterno anche per l'eccedenza rispetto al credito oggetto della domanda principale, anche qualora in quel giudizio sia mancato un petitum di condanna per l'eccedenza medesima. Trattasi di orientamento che trova dei precedenti conformi nella giurisprudenza di legittimità (ad esempio, Cass. civ., sez. lav., sent., 26 marzo 2003, n. 4502, secondo cui “nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, poiché l'eccezione di compensazione, dedotta quale eccezione riconvenzionale, determina l'ampliamento dell'oggetto del contendere, la decisione del giudice sull'accertamento e la esistenza del credito opposto in compensazione – qualora divenga definitiva per mancata impugnazione – ha efficacia di giudicato, con conseguente preclusione della possibilità di richiedere un successivo nuovo accertamento”) ma destinato a confrontarsi anche con orientamenti difformi, avendo la Suprema Corte in diverse occasioni affermato che l'eccezione di compensazione corrisponde sempre ad una eccezione riconvenzionale allorché venga sollevata dal titolare del credito di importo maggiore il quale non pretenda di ottenere nello stesso giudizio di pagamento dell'eccedenza, assumendo, solo in caso contrario, i connotati della domanda riconvenzionale (Cass. civ., sez. III, sent., 20 gennaio 1997, n. 538; Cass. civ., sez. II, sent., 2 marzo 2016, n. 4133; Cass. civ., sez. III, ord., 26 febbraio 2024, n. 4968).

Riferimenti

Sulle implicazioni dell'art. 35 c.p.c. in senso conforme alla pronuncia in commento si vedano:

- Cass. civ., sez. lav., sent., 26 marzo 2003, n. 4502;

- Cass. civ., sez. II, sent., 16 ottobre 1993, n. 817 (menzionate dai medesimi giudici di legittimità).

In senso non conforme si vedano:

- Cass. civ., sez. III, sent., 20 gennaio 1997, n. 538;

- Cass. civ., sez. II, sent., 2 marzo 2016, n. 4133;

- Cass. civ., sez. III, ord., 26 febbraio 2024, n. 4968.

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